Serie TV > NCIS
Segui la storia  |       
Autore: Slytherin Nikla    14/08/2011    3 recensioni
Premetto che è un tentativo, nato da mesi e mesi di fantasticherie sul mio telefilm preferito: una ragazza cresciuta in polizia torna, dopo una brutta esperienza, a ricaricare le pile nell'Agenzia Governativa dove il suo Maestro regna sovrano.
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Donald Mallard, Leroy Jethro Gibbs
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non ho proprio abbastanza parole per scusarmi di questa lunga attesa... Sono un'aggiornatrice PESSIMA che non merita lettori affezionati come voi... ç___ç Vi avviso fin da subito che [spoiler! XD] questo capitolo non porta granché avanti la parte investigativa della vicenda, e me ne dispiace...e temo che sia un po' fluff ;) se non v'interessa questo aspetto, consolatevi, questo non è un capitolo fondamentale e potete direttamente passare al prossimo - che, GIURO GIURO GIURO, non si farà attendere tanto quanto questo! 


« Stai abbastanza comoda, così? » Accolsi la domanda di Ducky con uno sbuffo spazientito.

« Troppo. Dovrei rimettermi in forze, non poltrire giorno e notte coccolata come una principessa... »

« Devi riposarti, prima di tutto. Per rimetterti in forze bisogna prima che il tuo organismo le recuperi, non ti pare? »

« Ma io sto bene! Guarda! » Feci sfoggio per l'ennesima volta dei progressi che la fisioterapia aveva fatto fare al mio braccio. « Voglio tornare al lavoro, non ce la faccio più a star qui senza fare niente. »

« Non puoi ancora. Ne abbiamo già parlato mille volte. »

« Anche solo come semplice osservatore! Ne ho bisogno, Ducky. »

« Potrebbe essere pericoloso anche per la squadra. E poi bisogna considerare che... »

« Che? » Donald, che si era interrotto di colpo e sembrava stato messo in difficoltà dalla mia insistenza, abbozzò.

« Niente. Una sciocchezza. »

« Oh, non credo proprio. “Senza contare che”... Cosa? »

Lui si sedette sul bordo del divano e se non fosse stato per gli agenti di guardia che Gibbs aveva destinato in casa fino a nuovo ordine la cosa sarebbe certo parsa molto intima. Le condizioni della signora Mallard erano peggiorate durante le settimane in cui ero rimasta a Bethesda ed era stato necessario ricoverarla in una struttura dove si prendessero cura di lei ventiquattr'ore su ventiquattro: la casa sembrava diversa, senza di lei, in qualche modo estranea, e persino i cani mostravano la propria malinconia non muovendosi dalla mia stanza o seguendomi come piccole ombre pelose. In quello spaesamento, tuttavia, non avevo perso il mio tocco nel capire quando si tentava di nascondermi qualcosa. Donald capitolò.

« Da quando ti crede fuori gioco Carson non ha più colpito. »

Lo disse con dolcezza, in un certo senso con cautela, ma il suo garbo servì a poco; odiavo quelle mie reazioni stizzite ed infantili ma non riuscii ad evitarla – dopotutto lo sapevo: tornare in servizio attivo avrebbe fatto ripartire il gioco interrotto e messo a rischio un'altra vita.

« Ma io sono fuori gioco! E di questo passo non ci rientrerò mai. »

« Sì, invece. Ma quando sarà il momento, e non prima. »

Le mie giornate si ripetevano tutte uguali – sveglia, medicine, fisioterapia, fisioterapia, pranzo, ulteriori esercizi nella speranza di ottenere qualche risultato in più... La parte migliore era la sera, inutile girarci intorno. Il ritorno di Ducky non significava semplicemente avere compagnia: c'erano il racconto della giornata, gli aneddoti, i casi che mi ostinavo a voler seguire anche dall'esterno, gli approfondimenti psicologici nei quali Ducky aveva deciso di coinvolgermi... Con un unico neo.

Da quando mi ero svegliata in ospedale, dalla trepida confessione che mi aveva fatto circa i propri sentimenti, tra noi sembrava essere sorto un muro invalicabile. Non che ci fosse freddezza, certo, anzi; Donald non perdeva occasione di farmi oggetto di attenzioni e premure che avrebbero reso un paradiso la convalescenza di chiunque, non mi lesinava certo i piccoli gesti di tenerezza che tanto mi piaceva ricevere. Ciò tuttavia, percepivo nettamente quell'ostacolo. E man mano che i giorni passavano, mi faceva impazzire.

« Vuoi dirmi cosa ti preoccupa? » andai alla carica una sera, dopo aver rimuginato per l'intero pomeriggio e aver preso la decisione che non avrei tollerato oltre la cosa. Lui stava bevendo il suo abituale scotch dell'ultima ora e mi guardò sgomento, senza la minima idea, probabilmente, di ciò di cui gli stessi parlando.

« Niente... »

« Allora parliamo di ciò che preoccupa me: vuoi? »

« Ma certo, tesoro, ci mancherebbe... È per il lavoro? »

Scossi appena la testa, poggiando sul tavolo accanto a me la mia tazza di tisana. Dio, avrei ucciso per un bicchiere di whisky. « Non è il lavoro. Sei tu. »

« Io? »

« Tu. Ed io. Noi, insomma. » Lo vidi aggrottare la fronte, abbandonare lo scotch. Venne a sedersi accanto a me ed ebbi l'impressione che stesse per domandarmi qualcosa, ma non lo fece e fui ancora io a riempire quel silenzio. « È cambiato qualcosa, Donald. Da quando mi sono svegliata in ospedale... È cambiato qualcosa, non è vero? »

« Non riesco a capire. Non... »

« Era solo lo stress del momento. In realtà non ti piaccio abbastanza, » suggerii. Lui si mostrò letteralmente sconvolto.

« Come ti viene in mente? Certo, che mi piaci... Mi chiedo come tu possa anche solo pensare che non sia così. »

« Be', non lo so, guardaci. Mi sfiori appena, e solo se non se ne può fare a meno. Mi baci sulla fronte. Passano ore prima che torni a guardarmi negli occhi dopo avermi cambiato la medicazione. Se sei in imbarazzo puoi dirlo, Ducky, non è mica obbligatorio che io stia qui... »

Lo ammetto: una parte di me aveva sperato che si mostrasse sdegnato, che protestasse bruscamente; avevo sperato di dovermi scusare. Invece sospirò piano, scivolando all'indietro fino ad incontrare lo schienale del divano.

« Non è questo, Christine. Credimi. »

« Allora... È per questa, vero? » domandai, la voce rotta nello sfiorare il cerotto che ancora proteggeva la ferita alla base del collo. Sarebbe rimasta una cicatrice molto brutta, era stato chiaro fin da subito, e a dir la verità se ancora la tenevo ben nascosta era perché io per prima faticavo a farci i conti – e se non riuscivo a guardarla io, perché avrebbe dovuto riuscirci lui?

« Cosa? »

« La cicatrice che si sta formando. Non è bella da guardare, lo so. » Lui si voltò di tre quarti, il braccio sullo schienale, la mano tesa a sfiorare con la punta delle dita la mia guancia.

« Ora è parte di te, Christine. È il tuo coraggio, la tua determinazione a vivere. Come potrei non amarla, secondo te? »

Sentii lacrime inopportune pungere agli angoli degli occhi.

« E allora perché resti lontano? »

Persi di nuovo il contatto con il suo sguardo e passò molto tempo prima che lui decidesse di parlarmi di nuovo. Lunghi minuti nei quali valutai la possibilità di alzarmi e andar via senza una parola, cosa che non feci soltanto per non abbandonare il campo.

« Ho paura di farti del male, » lo sentii mormorare.

« Ma la mia spalla sta meglio, adesso. Mi hanno anche dato il permesso di esercitarmi al poligono... Non ho bisogno di essere protetta, Donald. Ormai dovresti saperlo. »

Sorrise ma non era convinto, potevo vederlo senza sforzo – mi sorrise come si fa coi bambini. Io però non ero una bambina, e per certi versi, come sempre ripete mio zio, non lo sono mai stata. Presi in mano la situazione.

Se in via precauzionale il braccio sinistro continuava ad essere limitato nei movimenti grazie al tutore, il destro era libero di collaborare al raggiungimento dei miei scopi: mi puntellai su di esso per farmi più vicina. Lasciai che la mia mano scivolasse sulla nuca di Donald e lo baciai, quasi stupita nello scoprire che non opponeva alcuna resistenza. Avevo desiderato quel bacio fin da quando avevo iniziato a sentire le forze tornare e ora, nonostante avessi dovuto aspettarlo tanto e quasi forzarlo, non mi sembrava vero. Mi mancò il fiato.

Scoprire di nuovo le sue labbra, il lieve sentore di scotch nella sua bocca, ritrovare le sue mani che pronte mi avevano circondato la vita fino ad approdare con sicurezza sulla schiena – forse era un bene, che la signora Mallard si fosse trasferita.

« Christine... » esalò sulle mie labbra, e mi ritrovai con le dita fra i suoi capelli, il fiato corto e un gran calore sulla pelle; pochi attimi e non ci fu più papillon né occhiali, né i miei capelli sempre legati, persino il tutore scomparve. Avevo bisogno di libertà, di facilità nei movimenti – avevo, prima di tutto, bisogno di abbracciarlo, di essere sicura che non era un sogno. Iniziai a sbottonargli la camicia. « Non qui, » mi fermò. « Merita di essere speciale... »

Sorrisi al nulla mentre pronunciava quelle parole proprio sulla mia gola, e mi lasciai docilmente guidare fino al piano superiore.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > NCIS / Vai alla pagina dell'autore: Slytherin Nikla