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Autore: shootingstar_    15/08/2011    2 recensioni
Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno cosa fosse quella rompiscatole.
Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno perché le sembrasse il nemico.
Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno che Viola la bionda era il nemico.
Lulu allora la guardò- la guardò per bene.
I suoi occhi saettarono dall'alto a al basso, per poi riscendere, dalla testa ai piedi.
«Quindi tu sei una nuova compagna addetta all'immagine».

Vi presento una nuova commedia scolastica ambientata in un prestigioso Istituto Privato Superiore di Sartoria, dove i numerosi personaggi si scontreranno con divise possedute dal male, amori, tradimenti, complicità, segreti e dove faranno volare aeroplani di carta pieni di sogni dalle finestre sbarrate.
Buona lettura
Grazie in anticipo
shootingstar_
[N.B.: I generi, Het, FemSlash, Slash si riveleranno con l'andare dei capitoli. Se siete portatori di omofobia, meglio che non leggiate in ogni caso]
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo uno: l'inizio di un nuovo anno.



Il primo giorno di scuola era sempre, inevitabilmente e non molto inspiegabilmente una mastodontica scocciatura- e questo giusto per riportare in parole povere ciò che Lulu pensava riguardo il doversi alzare a quell'ora indecente dopo tre mesi di vacanza.

La ragazza, ancora avvolta alla bell'e meglio dalle lenzuola lilla aggrovigliate, ancora con gli occhi serrati, ficcò una mano sotto il cuscino con l'impellente desiderio di far tacere quel dannatissimo cellulare.

Quando finalmente la musica si arrestò e la camera tornò in silenzio, la ragazza bofonchiò al cuscino: «Ancora cinque minuti, solo cinque minuti» prima di tornare in quello che i medici riconoscerebbero senza alcuna difficoltà come stato di catalessi.


I proverbiali cinque minuti erano già passati da un pezzo quando Lulu si svegliò di soprassalto, assordata dai colpi secchi alla porta che, stupidamente, nel sonno, aveva scambiato per spari.

Subito dopo i colpi alla porta si aggiunse la voce di sua madre a perforarle le orecchie.

«Lucrezia, scendi subito da quel letto!».

«Mmh» mormorò la ragazzina. «Ora, ora».

«Finalmente» la sentì borbottare dall'altra parte della porta. Il ticchettio dei tacchi di quella donna era come un martello pneumatico nella testa di Lulu. Che poi, chissà perché si era già messa le scarpe. «Ah, sbrigati. Questa mattina ho un appuntamento, non posso accompagnarti».

Ecco svelato il mistero.

Lulu si destò subito. «E me lo dici solo ora?» le urlò di rimando. «Non farò mai in tempo!».

«Certo che sì tesoro mio. La colazione è sul tavolo. Divertiti a scuola».

Lulu sbuffò, passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri tutti annodati. Recuperò il cellulare da sotto il cuscino, sperando con tutto il cuore che quella spiritosa di sua madre l'avesse presa solo un po' in giro.

In alto a destra, scritto chiaramente in nero, l'ora segnava 7.45. Non ci voleva un genio in matematica per capire che non ce l'avrebbe mai fatta a fare tutto e ad essere a scuola alle 8.10.

Lulu sorrise alla foto di sfondo, dopodiché si decise finalmente ad alzarsi dal letto.

Mentre si trascinava in bagno come uno zombie, poté constatare che il mal di testa della sera prima non le era ancora passato- allo stesso modo, la sensazione di nausea le attanagliava ancora lo stomaco brontolante.

La prima cosa che vide una volta arrivata in bagno, oltretutto, non migliorò affatto né il suo umore né la sua salute.

Eccola, era lì, lì che la guardava con quella sua aria insolente, di sfida.

Lulu avrebbe davvero voluto prenderla a pugni, farle del male, ma tanto lo sapeva che non sarebbe servito a niente. Era solo una stupidissima divisa, e combattere una divisa era ancor più difficile che combattere una persona in carne ed ossa- ma d'altronde quell'orrido completo era l'incarnazione del male.

Dopo essersi lavata, pettinata- la sola cosa impiegava diversi minuti- e truccata per quanto potesse truccarsi, Lulu si avvicinò alla divisa appesa alla gruccia.

Sapeva che era una cosa alquanto improbabile, ma avrebbe potuto giurare che quel mostro la stesse guardando dall'alto in basso.

Strinse l'orlo della gonna grigia, pensando, per quella che doveva essere la duecentesima volta in due anni di carriera scolastica, che l'obbligo della divisa era proprio un bel paradosso.

Fra tutti, proprio loro.

Naturalmente la sua era una scuola famosa, prestigiosa e anche a pagamento, per quanto la quota fosse modesta, su questo non v'erano dubbi.

Era altrettanto vero, però, che la loro era una scuola di moda e sartoria.

Passavano le giornate a studiare le caratteristiche fisiche delle persone e, di conseguenza, a tagliare, progettare e cucire in base a queste caratteristiche.

E allora, si chiese frustata mentre indossava la polo blu, perché lei era obbligata a indossare quell'abominio che le faceva le gambe e il busto ancor più corti di quanto già non fossero?

Per non parlare di quando sarebbe arrivato l'inverno. Lì le sarebbe toccato anche mettere le calze- allora sì che si sarebbe sentita come un vero spaventapasseri in miniatura.

Rassegnata, Lulu agguantò al volo la cartella per tre quarti vuota dalla scrivania, infilò il cellulare in tasca, scese al piano di sotto, agguantò al volo il pezzo di torta per la colazione e uscì di casa senza rendersi conto di non aver chiuso la porta a chiave.


Stava correndo quando qualche pazzo che gridò il suo nome la indusse ad inchiodare.

«Lulu, ehi, Lulu!».

La ragazza si voltò in fretta. Aveva riconosciuto la voce. L'aveva riconosciuta subito, e subito i suoi istinti omicidi si erano placati. Se avesse ritardato, sarebbe entrata alla seconda ora, non era poi la fine del mondo.

Lasciò cadere la cartella, che si accasciò, ripiegandosi su se stessa, sul cemento.

In meno di un secondo, Lulu aveva ripreso a correre, ma questa volta nella direzione opposta, questa volta in direzione del ragazzo che l'aveva chiamata. In men che non si dica l'aveva già raggiunta e gli era già letteralmente saltata in braccio.

Il ragazzo scoppiò a ridere: «Lulu, Lulu, mi stai tirando il collo!».

«Scusa, scusa» si affrettò a dire, per poi sistemarsi meglio, incrociare le gambe attorno alla vita del ragazzo e senza accennare di volerglisi staccare di dosso. «Ora va meglio, dico bene?».

Sorridendo il ragazzo disse semplicemente: «Mi sei mancata tanto».

Lulu gli stampò un bacio sulle labbra.

«Anche tu». Il suo tono era serio, stranamente serio. Lo guardò un attimo negli occhi, gli occhi color cioccolato che aveva imparato a leggere così bene in quegli anni. «E immagino che tu rimanga sempre...».

«...irrimediabilmente gay, esatto».

Ancora stretta a lui, Lulu sbuffò. «E per fortuna. Altrimenti mi sarebbe toccato contenderti con tutte le galline che ti sarebbero letteralmente saltate addosso».

«Lulu, non esagerare» le disse. «E poi ti starebbe bene. Io devo contenderti continuamente».

Lulu sciolse la presa e atterrò dolcemente. Fece una piccola smorfietta. Per un attimo, in braccio al suo migliore amico, si era sentita alta.

«Dai, raccogli la cartella, o qualcuno te la calpesterà».

«Sissignore».


Erano ormai vicinissimi alla scuola e per qualche strana ragione- o più semplicemente per quella che doveva essere stata l'addizione fra una corsa perdifiato e una sostanziale dose di fortuna non erano più in ritardo.

«Com'è andata la festa ieri?».

Lulu continuò a camminare. Al solo sentire nominare la parola “festa” la nausea tornò a farle visita- non che se ne fosse mai completamente andata, a dirla tutta.

In un flash che dovette durare al massimo un secondo, ecco passarle davanti agli occhi i momenti peggiori della serata, colorati delle tonalità di tutto ciò che aveva osato ingerire.

«Ehi, Lulu?».

«Non lo vorresti sapere, Jamie, non lo vorresti proprio sapere» gli rispose infine in tono lugubre. «Non so nemmeno se Dave sia riuscito a tornare a casa, a dire il vero».

James reprimette una risata. «Certo che sì. Vedrai, oggi sarà pronto e pimpante ad aspettarci».

«Sarà» si limitò a replicare la ragazza. «In ogni modo siamo arrivati a destinazione. Yu-ooh».

I due amici osservarono la scuola.

Il cancello nero, in ferro battuto, impreziosito da pretenziosi ghirigori era aperto, pronto ad accoglierli tutti, come sicuramente avrebbe annunciato la preside al discorso di inizio anno.

L'edificio, imponente nella sua struttura simile a quella bizantina, con le sue finestre piccole ma luminose, gettava ombra sul cortile popolato da studenti in grigio e blu.

Da quella distanza era pressoché impossibile distinguere qualcuno, qualche faccia famigliare, o anche solo gli studenti dai bidelli, anche loro con l'imposizione di tali colori nelle loro divise.

James prese la mano dell'amica.

«Andiamo, Lulu, non fare troppe storie. Sai benissimo che a te non potrebbe che andar bene». Le regalò un sorriso d'incoraggiamento prima di continuare dicendo: «E poi lo sai benissimo che il mondo ti trova bellissima anche con la divisa».

In tutta risposta, la ragazza gli pestò il piede, si liberò dalla stretta della sua mano e, avventurandosi oltre quel cancello che per qualche ragione le aveva sempre messo inquietudine, iniziò a cercare il resto del gruppo.


«Dave! Ehi, Dave!».

Un ragazzo non poi molto più alto di lei si girò. Sventolò la mano in segno di saluto.

«Venite, venite».

La voce era ancora in qualche modo impastata, le ombre violacee che gli circondavano gli occhi appena più chiari di quelli di James lo facevano sembrare pallido, se non grigio. Eppure, non appena furono abbastanza vicini, il ragazzo non esitò a correre a salutarli.

«Jamie» fece, accompagnando il nome con una pacca alla spalla dell'amico. «Com'era la Grecia?».

«Esattamente come l'anno scorso» gli rispose, restituendogli la pacca sulla spalla. «Avete fatto baldoria ieri sera, eh».

Dave esibì un mezzo sorriso: «Me l'han detto».

Lulu rise. Dopodiché si guardò attorno.

«Gli altri dove sono?».

Dave scosse la testa. «Non ne ho la più pallida idea. Comunque vige la solita regola, se non ci si becca qua, ci si vede all'ingresso dell'Aula Magna».

Il rumore metallico e monotono della prima campanella dell'anno, quella più temuta dagli studenti, quella che segnava l'inizio di un altro anno di fatiche dopo i mesi estivi riempì l'aria.

«Come non detto» disse James. «Andiamo».











shootingstar_'s angle.
Buongiorno a tutti. Ovviamente nessuno mi conosce- piacere, sono shootingstar_, fino a qualche giorno fa "nota" come Minnie e sono qui a presentarvi la mia prima, nuova, long fic originale. Con questo non vi voglio dire di essere clementi. Al contrario, se c'è da tartassare, fatelo *additt
Come ben si capisce, Paper Plane si presenta come un'altra commedia scolastica. Tuttavia ho deciso di ambientare la storia in una scuola di moda, tanto per cambiare un po' e per dare un tocco di originalità.
In questo primo capitolo appaiono i primi tre personaggi: Lulu, diminutivo di Lucrezia (cognome Poschini), Jamie (James Dukas) e Dave (Davide Belotti). Tuttavia, se le cose procederanno secondo i piani, i personaggi saranno molti di più :3
Ovviamente la scuola è fittizia, ambientata possibilmente in un posto fittizio, il sistema scolastico è altrettanto fittizio- nel senso che non seguirà i nostri regolari canoni, così come fittizzie sono le situazioni eccetera eccetera.
Inoltre, vi chiedo di tenervi bene a mente il cellulare di Lulu e la foto di sfondo che ancora non è stata descritta ma che, sempre secondo i miei piani, dovrebbe rivelarsi importante ai fini della storia.
Ecco, è tutto, almeno credo.
Spero vivamente di avervi incuriositi, spero che recensiate e che qualcuno mi segua :3
Grazie mille per la pazienza, vi prometto che cercherò di aggiornare al più presto!
shootingstar_
   
 
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