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Autore: Dark_Blame    15/08/2011    2 recensioni
"Abbassamento del livello di coscienza, lo chiamano. Ridursi in uno stato tale che non è più la ragione a decidere delle cose che sentiamo, vediamo, facciamo. Cosa succederebbe se si potesse esplorare quel luogo del cervello - quella parte nascosta dell'Iceberg, come la chiamava Freud, che è il subconscio? Quali orrori - e quali meraviglie - potrebbero scaturirne? Questa è la storia di chi ha compiuto un viaggio simile. Benvenuti a Wonderland, di nuovo."
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Aldilà della presentazione pomposa, non prendete troppo sul serio questo racconto. è solo un mio tentativo di provare un genere nuovo e difficile come il non-sense, un po' per sfogarmi, un po' per divertirmi, un po' per esprimere concetti che penso (anche se dubito riuscirò a farmi capire). Spero non sia pesante da leggere ^^
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Prologo: Jack delle lanterne. L'inizio del viaggio.


Abbassamento del livello di coscienza, lo chiamano. Ridursi in uno stato tale che non è più la ragione a decidere delle cose che sentiamo, vediamo, facciamo. L'essere umano abbassa il suo livello di coscienza in continuazione: i poeti e gli scrittori la chiamano “ispirazione”, per tutti gli altri ci sono i sogni, le illusioni, le fedi, le speranze, i desideri … anche se irrealizzabili, l'uomo ci crede lo stesso, accantonando per un attimo la razionalità. Una volta, sarebbe stato da matti pensare che l'uomo avrebbe imparato a volare. Oggi ci sono gli aerei.


Cosa distingue tra quello che è reale e quello che non lo è? E credere fermamente in qualcosa, non può contribuire a realizzarlo?

Cosa succederebbe se si potesse esplorare quel luogo del cervello - quella parte nascosta dell'Iceberg, come la chiamava Freud, che è il subconscio? Quali orrori - e quali meraviglie - potrebbero scaturirne?


Questa è la storia di chi ha compiuto un viaggio simile. Benvenuti a Wonderland, di nuovo.

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Mi manchi”


Una volta l'aveva scritto su un cartoncino bianco, in mezzo a un mazzo di fiori. Due parole, inchiostro nero, calligrafia non tanto precisa - non era abituato a scrivere a mano e l'occasione lo rendeva solo più nervoso. Nessun punto a finire la frase, che rimaneva così, lanciata in aria, aperta. Inconcludente. Nessun punto: il genere di mancanza che una come lei, così attenta alla punteggiatura, così pignola da correggere gli accenti, così scrupolosa da detestare le abbreviazioni, avrebbe sicuramente notato.

Era il momento di dimostrare coi fatti quello che aveva scritto. E magari mettere il punto su quella frase.


Era stato altre volte in un ospedale, ma mai come paziente. La porta della camera era aperta, l'infermiera stava passando a cambiare le flebo - si era assentata un attimo, per andare a prendere qualcosa nelle stanze dei medicinali. Lui non sarebbe entrato, comunque. C'era una netta divisione tra dentro e fuori la stanza.

E ancora, una netta divisione tra le palpebre e il resto del mondo.

Morgana giaceva in quel letto, una piccola ciocca di capelli fuori posto, in una curva come un punto interrogativo sulla fronte bagnata da un velo di sudore. Vicino, una macchina ripeteva “è viva, è viva, è viva” nel suo linguaggio fatto di bip. Un giorno, lo sapeva, la macchina avrebbe cambiato idea - e avrebbe detto “Morgana è mortaaaaaaaaaaa” in un lungo biiiiiiip lamentoso e costante, finché qualche dottore con la faccia sconsolata non l'avrebbe spenta.

Perché Morgana era in coma, e la macchina era la sua nutrice. Secondo la versione ufficiale, la colpa era di un incidente in autostrada.

C'é un mondo dentro le pupille disse il serpente. Jack annuì, e con lui annuì la sua faccia lunatica riflessa nel vetro della finestra, davanti a lui. Fuori era già buio. Lentamente, faticosamente, come se avesse avuto dei pesi di piombo ai piedi, incominciò a trascinarsi via dalla corsia d'ospedale senza nemmeno entrare nella stanza di Morgana. Tanto, il coma era irreversibile. Entrare o non entrare, non significava nulla: non l'avrebbe raggiunta.


Pensi che le persone siano tutte uguali. Pensi che ognuno veda quello che vedi tu, capisca quello che tu capisci. Ma è un errore comune. La gente crede a quel che vede. Non puoi camminare, se non credi che il pavimento che stai pestando sia uno, e uno solo, e quello che tu vedi.

Si dice “mela” e ci si aspetta che gli altri si immaginino un frutto vagamente rotondo, rosso fuori, bianco dentro.

Si dice “giusto” e si pensa che il pubblico sia d'accordo. Se non è così, si litiga o ci si allontana, perché pare incredibile che qualcuno si ostini a pensarla diversamente.

E invece, chi ha deciso che quella è una “mela”? Chi ha detto per la prima volta, “giusto”?


Uscito dall'ospedale, Jack fece un lungo tragitto a piedi nelle strade poco illuminate. Il serpente era abbastanza comunicativo, quella sera, dato che non smetteva di parlare un momento.

C'é una storiella divertente. Un giorno, una delegazione di marziani visita il pianeta Terra. Le autorità della Terra allora organizzano un tour per mostrare le meraviglie del pianeta: le piramidi, la civiltà, i musei, new york, cose così. Alla fine del lungo giro turistico, ad una conferenza stampa qualcuno chiede ai marziani cosa gli è piaciuto di più della Terra; e loro rispondono: « Mah, quelle persone verdi, alte, che se c'é un po' di vento si chinano e sussurrano tra loro.» Bhé, mi crederai se nessuno ha capito che i marziani parlavano dei cazzo di alberi.

E magari dovessero scendere i marziani per le incomprensioni. Le luci bianche di un supermercato aperto fino a tardi lo avvolsero, riempiendo i segni viola che aveva sotto agli occhi e accecandolo un po'. Come in trance vagò tra gli scaffali di prodotti lucidi e puliti, ognuno che prometteva una vita felice. Il supermercato dopotutto è da sempre il paradiso del consumismo, avrebbe detto il serpente (se non fosse stato impegnato, al momento, a parlare delle incomprensioni). Non aveva molto in tasca, comunque, riuscì a trovare il posto dove tenevano i superalcolici. Invece no. La gente non si capisce. L'imbecille medio non capisce nemmeno se stesso. Però fa lo stesso, pretendiamo comunque di capire gli altri. E sopratutto pretendiamo che gli altri ci capiscano. Rimase un po' interdetto davanti alle varie possibilità. Alla fine, scelse due bottiglie di vodka, tanto per andare sul sicuro. A casa, comunque, aveva altra roba.

Il problema era arrivarci, a casa, e non lasciarsi cadere su un marciapiede scolandosi entrambe le bottiglie. Erano solo pochi metri. Alla fine, tirò fuori le chiavi, la vodka che tintinnava nella busta di plastica, salì le scale, e raggiunse finalmente il monolocale in cui viveva.

Si sedette sul pavimento, stappando la prima bottiglia. La verità non è una sola. E il mondo non è uno solo. Fa solo paura ammetterlo, ma le uniche cose reali sono quelle nella testa - tutto è nella testa. Cambia la testa, e cambierai il mondo intero. O, se preferisci, il mondo non esiste se nessuno lo guarda.

Portò il vetro alle labbra. Aveva la schiena appoggiata al muro. Probabilmente, questo non gli avrebbe impedito di cadere per terra non appena finita la seconda bottiglia. Pazienza, avrebbe sopportato. Inclinò il più possibile bottiglia e bocca, facendo scendere liberamente il liquido incolore nella sua gola. Se tutti sono convinti che il mondo è unico, è solo per una fottuta illusione collettiva. Fa comodo così. L'umanità piano piano si è convinta di certe cose, silenziosamente, tranquillamente. A volte, immagino sia anche più produttivo. Ma finché si tratta di socializzare, va bene. Non puoi venirmi a vendere poi le tue stronzate su Dio: Dio è come il mondo. Non c'è se nessuno lo prega.

La vodka iniziò a riempirgli la pancia, bruciandogli in gola. Poteva quasi sentire, in anticipo, il fegato a cui veniva dato un colpo senza precedenti. Ma doveva essere così. Una volta aveva studiato, a scuola, un certo gruppo di poeti di cui non ricordava il nome. Baudelaire, però, almeno di fama, lo ricordava. Il succo della storia era comunque che questi si sfondavano di droga, alcol, sesso e via dicendo, per raggiungere i “misteri” del mondo.

Gli iniziavano a pizzicare gli occhi. Prese fiato. Stappò la seconda bottiglia, anche se non aveva finito con la prima.

Togli il compromesso, e c'è quello che nessuno ti verrà mai a raccontare. Quello che non puoi capire. Quello che anche te stesso - da sveglio - non capisci, nascondi a te stesso. Il mondo sotto le palpebre.

Naso, occhi e gola gli bruciavano come se stesse mangiando carboni ardenti. E aveva caldo, un caldo infernale, e voglia di muoversi mentre il liquido trasparente gli bucava lo stomaco. Si costrinse a stare fermo e a vuotare anche la seconda bottiglia, mentre gli veniva la nausea a forza di avere la bocca foderata nello stesso sapore non-sapore della vodka e dell'alcol.

E piano piano, sentiva i pensieri farsi più frammentari, staccati, distanti.

Rimaneva solo la voce del serpente.

Il mondo dentro le pupille.

Ed è lì che stai andando.


Jack svenne, ad un certo punto della serata, le labbra che puzzavano di vomito. Piano piano la sua figura scivolò dal muro sul pavimento. Qualcuno aveva dipinto il mondo di arancione come una zucca di Halloween.

*Note e altro*

Ecco qua. Come ho detto nell'anteprima, questo è solo un tentativo, quasi un gioco. Ho l'impressione di non aver scritto la metà di quello che volevo dire - o almeno di non averlo scritto in maniera comprensibile. Spero non sia, comunque, del tutto privo di interesse come prologo.


Se vi va, lasciatemi una recensione, mi farebbe solo piacere.


  
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