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Autore: RobynODriscoll    15/08/2011    2 recensioni
"La cenere era già sul suo volto.
Specchiandosi, la vedeva dentro ogni poro, conficcata nei solchi delle rughe, stipata nelle borse sotto gli occhi. Aveva iniziato a spargersi sul suo capo, dove i capelli un tempo nerissimi si diradavano tracciando la corona della vecchiaia. Era lì, la cenere: gli impiastricciava i lineamenti come una cipria grottesca. II belletto della sconfitta. Un triste presagio di quella che i cannoni avrebbero lasciato di lì a poco per le strade, devastando la sua città."
Una one-shot (probabilmente, la prima di una raccolta) che riempie un buco della trama di "Bianca come il Peccato". Cos'è andato a fare Ezio a Bologna nel 1506? Questa è la risposta.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bologna, Febbraio 1506

 

La cenere era già sul suo volto.

Specchiandosi, la vedeva dentro ogni poro, conficcata nei solchi delle rughe, stipata nelle borse sotto gli occhi. Aveva iniziato a spargersi sul suo capo, dove i capelli un tempo nerissimi si diradavano tracciando la corona della vecchiaia. Era lì, la cenere: gli impiastricciava i lineamenti come una cipria grottesca. II belletto della sconfitta. Un triste presagio di quella che i cannoni avrebbero lasciato di lì a poco per le strade, devastando la sua città.

Strinse le labbra piccole, seccate dal freddo e dal modo in cui le masticava quando era nervoso. La lettera del re di Francia era arrivata quel giorno. Il responso era chiaro: non si sarebbe opposto all'avanzata del Papa. Nonostante si appellasse ancora a Giovanni chiamandolo “il mio carissimo cugino”, come usava fare quando ancora Bologna gli serviva, non avrebbe mosso un dito per frenare l'ambizione di Giuliano della Rovere. La città sarebbe caduta presto.

Certo, le macchine da guerra di Sua Santità avrebbero trovato la pappa già pronta. I terremoti dell'anno precedente avevano devastato la sua bella Bologna. A cavallo tra il Santo Natale e la Dodicesima Notte, l'avevano scossa, devastata e violata in ogni modo possibile, trasformando la piazza del mercato in un accampamento di zingari. Per otto giorni, la selciata di San Francesco e quella di strada Maggiore erano state il riparo dei bolognesi, le cui case dai muri crepati potevano trasformarsi da un momento all'altro in trappole mortali. Il terrore di nuove scosse li aveva portati all'aperto nel pieno dell'inverno, sotto la neve, riparati sotto rifugi di fortuna. Neppure un gatto ci aveva lasciato le penne; tuttavia, i palazzi e le case erano crollati, incrinati, non più sicuri. Erano venuti giù senza distinzione di rango: i merli del Palazzo Comunale e del Palazzo del Podestà insieme alle case povere e ai loro comignoli. Lo stesso palazzo dei Bentivoglio non era stato risparmiato: parte del salone, del granaio e della facciata erano ridotti a macerie.

Era un chiaro messaggio. La terra gli stava dicendo che il suo potere iniziava a sgretolarsi. Ma avrebbe resistito, fino all'ultimo. Era sempre un Bentivoglio.

Giovanni studiò impietosamente l'espressione rassegnata del proprio volto. Gli angoli degli occhi e della bocca tesi verso il basso, come la pelle che iniziava a crollare. Poteva aver deciso di resistere fino all'ultimo, ma dentro di sé lo sapeva. Era finita. Finita. La Duchessa di Ferrara, che gli aveva promesso appoggio e protezione, non poteva più nulla. A breve Giulio II avrebbe invaso la sua città, se non gliela avesse consegnata. Della Rovere bramava il momento in cui avrebbe abbattuto le porte possenti, e marciato sul suo palazzo. Bramava di trovare la Cripta. E di saccheggiare il suo leggendario tesoro.

L'unica consolazione di Giovanni Bentivoglio era che il Papa di certo non sapeva dove cercare. Come chiunque altro. Come lui stesso.

“Gentile l'aveva predetto”.

La voce dell'uomo alle sue spalle era bassa, controllata. Giovanni non si sorprese. Alla luce fioca della candela aveva scorto la sua ombra, accanto ai tendaggi. La finestra non era aperta.

Sapeva che sarebbe venuto. Si era aspettato di provare paura, almeno un po'. Ma la vista del cappuccio nero col becco d'aquila gli fece nascere un sorriso sul volto. Quella notte di tuoni e lampi era perfetta per andarsene per mano di un Assassino.

“Aveva predetto la vostra caduta.” proseguì l'intruso “Lei aveva sfiorato la Mela, e aveva visto tutto questo.” Una pausa. “Ecco perché l'avete torturata e poi bruciata. Per estorcerle il suo segreto.”
Giovanni non si voltò. Cercò di scrutare il volto sotto il cappuccio nel riflesso dello specchio. Soltanto metà era visibile: il mento irto di barba, le labbra sfregiate, parte del naso lievemente aquilino.

“Ma lei si è rifiutata di parlare.” gli rispose con voce pacata “L'avevate indottrinata per bene...il vecchio Mario Auditore sapeva cosa faceva quando l'ha spedita nel mio letto per carpirmi informazioni.” Scosse il capo al ricordo della pelle pallida della donna. Profumava sempre di gelsomino. “Gentile Budrioli non ha parlato fino all'ultima goccia di sangue. Anche se, se non ricordo male...ha usato il suo ultimo fiato per maledire la vostra causa.”

Vide l'Assassino farsi avanti, in uno scatto d'ira a malapena trattenuta.

“Era disperata per ciò che le avevate fatto!”

“O forse” insinuò Giovanni “aveva capito di essersi schierata dalla parte sbagliata, fin dal principio.”

Si voltò, lentamente. Era vecchio, stanco e già sconfitto. Ezio Auditore da Firenze avrebbe potuto ucciderlo senza ottenere da lui la minima resistenza. Sapeva che l'assassino l'aveva capito. Per qualche attimo aspettò il colpo, che non arrivò. Alzò gli occhi su di lui.

“Se non siete qui per uccidermi...allora, perché?”

L'Assassino non si mosse. Come se si sentisse a disagio nella luce fioca della candela, agognando di tornare nelle tenebre.

“Sono qui in città per il figlio di Gentile.” disse infine “Non speravo di trovarlo ancora in vita.”

“Non avrei potuto uccidere il sangue del mio sangue, mai. Lui deve restare fuori da questa guerra.”

Un ghigno si disegnò sul volto di Ezio. “E se invece abbracciasse il Credo della madre?”

Fu il turno di Giovanni di tentare di dominare la rabbia. Alquanto vanamente. “Cosa gli avete detto?” ringhiò, cercando di ricacciare indietro la voce per non allertare i servitori fuori della porta.

“Niente che non sia vero.”

“Non avevate il diritto!”

“Lui lo aveva. Doveva sapere.”

Una pausa, dolente. Gli occhi rossicci del Bentivoglio vagarono sul pavimento. “Cosa ha deciso?”

Ezio Auditore si spostò, a passi misurati, verso una sedia. Sedette, ma cauto, come un animale selvatico in un territorio sconosciuto.

“Nulla, ancora. Era troppo sconvolto per comprendere appieno le conseguenze delle sue origini. Ma dovrà fare una scelta, un giorno.”

Un lampo illuminò la notte. Ora Giovanni riusciva a scorgere una porzione sufficiente degli occhi del fiorentino. Profondi, rapaci, arroganti. Lo sguardo di chi sa di essere la parte più forte, al momento. Chissà se aveva sempre quell'aria di superiorità, o se la riservava per occasioni speciali come quella?

Il tuono gorgogliò lontano. Giovanni drizzò la schiena in un moto di orgoglio, sfiorando la croce Templare che portava al collo. “Se sarà costretto a prendere posizione, sono certo che sceglierà la parte giusta.”

Per tutta risposta, Ezio Auditore da Firenze accennò ad un ghigno. “Ne sono certo anche io. Vedremo chi dei due avrà avuto ragione.” Si alzò dalla sedia, dandogli le spalle senza un cenno.

La successione di lampi e di tuoni si fece più rapida in quel loro breve silenzio. Il temporale stava per abbattersi su Bologna. Giovanni si alzò, e nel bagliore di un fulmine che si abbatteva sui colli strinse la manica del suo nemico. Ezio Auditore si volse, sorpreso e in allarme. Era pronto ad attaccarlo se avesse compiuto un passo falso. Ma lui non aveva intenzione di aggredirlo. Tutt'altro.

“Voi Assassini dite di uccidere anche per pietà. Abbiatene per me. Prima di andare, toglietemi la vita.”

“Perché dovrei farvi questa grazia?”

“Per Gentile, che mi amava.”

“L'avete mandata al rogo.”

“E per Mario che amava lei.”

La reazione fu immediata. Le lame celate saettarono sotto la sua gola, raggelando la pelle flaccida sotto il mento. Senza scalfirlo. Solo un monito.

Il tono dell'Auditore fu glaciale. “Non nominate il suo nome, non ne siete degno.”

“Perché siete qui allora?” domandò Giovanni, per la seconda volta. “Perché rischiare di penetrare nel mio palazzo? Soltanto per avvisarmi che ora il figlio di Gentile sa? Per ridere della mia futura disfatta? Perché, messer Auditore?”

Ezio ristette, senza ritirare le lame. “Cercavo qualcosa nel vostro palazzo. Non l'ho trovata.”

“Uccidetemi ora. Mettete a frutto il vostro tempo e il mio. Non voglio vedere la mia città cadere e il mio nome venire calpestato.”

“No.”

“Uccidetemi, Assassino!”

“No!”

Perché?

Si rese conto che la sua voce era suonata disperata, più di quanto avesse inteso quando gli aveva lasciato le labbra. Quella domanda era una supplica.

L'Auditore prese qualche istante, prima di rientrare nelle tenebre da cui era venuto. Aprì la finestra: l'aria gelida di un febbraio tempestoso invase di prepotenza la stanza.

“Non è la vendetta ad animarmi. Non più” disse, prima di sparire oltre il davanzale.

Non era vero. Quella visita era già, di per sé, una vendetta. Ora, Giovanni Bentivoglio avrebbe dovuto vivere con la consapevolezza che suo figlio, l'unico che sentisse davvero suo tra la sua numerosa progenie, sapeva ogni cosa. Probabilmente lo odiava. Probabilmente non avrebbe seguito la sua strada.

O forse no. Forse poteva ancora recuperare il danno, e rammentargli quanto dovesse a suo padre.

Ripensò a Gentile, ai suoi occhi chiari, alla sua voce calda. Alla sua espressione, così diversa da quella sempre contrariata di sua moglie Ginevra. Così in pace con il mondo, come se non si sforzasse di leggervi un senso, come se accettasse lo scorrere degli eventi senza farsi domande.

Ti preoccupi troppo, Giovanni. - lei rideva, era bella - La vita è un salto nel buio. - ci credeva, davvero - Salta, e non farti domande! - guardarla rasserenava il suo cuore.

A volte, Giovanni Bentivoglio aveva l'impressione che la cenere gli fosse crollata sul capo il giorno in cui Gentile era stata arsa al rogo. Che fosse la sua cenere, quella che vedeva sulla propria pelle. Non gli si era più staccata di dosso da quel maledetto giorno, ricordandogli sempre la sua colpa.

Mandarla a morte, sacrificarla sulla scacchiera dell'eterna guerra tra Templari e Assassini, era stato l'inizio della rovina.

Ma Ginevra l'aveva voluto. E ciò che voleva Ginevra, semplicemente, diventava realtà. Almeno il ragazzo era stato salvato.

E se avesse scelto davvero il Credo di sua madre? Se si fosse unito all'Auditore e agli sporchi Assassini? Dopo che aveva fatto tanto per proteggerlo, e tenerlo fuori da quei giochi di potere e di morte...
Ancora una volta quei cani gli strappavano l'unica cosa bella che la vita gli avesse riservato...tutto questo era colpa loro!

Giovanni aveva perduto il potere, e la sua amata città. Aveva perduto Gentile. Ed ora gli veniva strappato anche suo figlio? No, tutto questo era troppo da sopportare.

L'impotenza e la frustrazione si trasformarono in una rabbia montante, che gli faceva prudere le mani. Doveva sfogare quella rabbia - quel prepotente bisogno di annientare qualcosa – e di provare dolore fisico mentre lo faceva.

Schiantò i pugni sullo specchio, una volta, due volte. Mandandolo in pezzi con un rumore cristallino. Ferendosi le mani.

“Padre? Con chi parlate?”

Suo figlio Ermes entrò nella stanza, insieme ad alcune guardie. Di certo erano stati attirati dal trambusto. I tendaggi danzavano nel vento. Il giovane dai capelli e gli occhi rossicci fissò incredulo lo specchio rotto, e le mani del padre. Guardò la finestra aperta.

“Luridi cani! Sono stati qui! Vi hanno fatto del male?”

“Ti sbagli” lo bloccò Giovanni, ansimando per lo sforzo di sorridere. La sofferenza delle ferite lo rendeva più lucido. “Nessuno è stato qui. E' stato...un fulmine. Ha colpito lo specchio, non so come...è stato un istante.”

Ermes lo guardò a lungo, dimostrando di non essere convinto della sua spiegazione. Tuttavia, finse di farlo, e mandò a chiamare il medico per disinfettare le sue ferite.

Giovanni lo guardò, mentre si mostrava sollecito come non lo era mai stato nei suoi confronti. Sapeva che Ermes lo riteneva un incapace nel governo, così come suo fratello maggiore, Annibale. Erano stati loro, istigati dalla madre Ginevra, a far sterminare i Marescotti cinque anni addietro. Erano loro a credere nel sangue.

Sapeva che, nonostante la bugia che gli aveva rifilato, Ermes avrebbe ordinato ai suoi uomini di pattugliare le strade alla ricerca di un cappuccio da Assassino. Suo figlio era fatto così, mai soddisfatto finché non veniva versato del sangue. C'era una crudeltà ferina incisa nel suo volto. Così simile a quella che si agitava negli occhi di sua madre. Così diversa dalla placida calma negli occhi di Gentile, e in quelli dell'uomo che lei aveva generato.

D'improvviso, Giovanni si sentì stanco e chiese di essere lasciato solo, per poter prendere sonno. Ignorò il mormorio dei servi, che avevano già preso il racconto del fulmine che spacca lo specchio come un nefasto presagio. Ignorò lo sguardo sospettoso di Ermes. Fu più facile, quando li ebbe chiusi fuori della sua stanza. Desiderò intensamente che l'Assassino cambiasse idea, e tornasse per lui. Per fare ciò che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di compiere da solo. Lasciò la finestra aperta, nel caso fosse tornato.

Si distese sul letto, chiuse gli occhi, rivide il volto di Gentile. Ancora giovane e bella, intoccata dalla tortura.

Ti preoccupi troppo, Giovanni. Salta, e non farti domande!

Dal baldacchino del letto, la cenere scese di nuovo su di lui, danzando come neve, a chiudergli occhi e a soffocargli il respiro.



*********


NdRuna:
Ho pensato molto se valesse la pena inserire questo pezzo prima del nuovo capitolo di Bianca. Ma, onestamente, mi sarei sentita come se stessi prendendo in giro chi segue quella storia. Magari avreste pensato di ritrovare, dopo sei mesi, la Confraternita e tutto ciò che ho lasciato in sospeso, invece si tratta di questa parentesi...che tra l'altro non è ancora molto comprensibile, perché legata a futuri personaggi e a questioni che si presenteranno nei prossimi capitoli. Per questo, siccome nella storia di Biancarè appariranno altri momenti simili narrati in terza persona e a cui lei non ha assistito, ho pensato di inaugurare questa raccolta. In futuro inserirò anche brani interi del carteggio Gemma - Dante e qualcosa di Beatrice Portinari, almeno queste sono le mie intenzioni per ora :) 
Non voglio promettere nulla sui tempi di pubblicazione, ma sto lavorando al prossimo capitolo di Bianca. Il titolo provvisorio è "Bambole"...torneranno in ballo Dante, Beatrice e Gemma, entreremo in Santa Croce e forse, dico forse, Bianca potrebbe scoprire l'utilizzo di un sesto senso tipico della discendenza di Altair...

Terminata questa premessa, vi parlo un po' del capitolo in sé. E' nato per rispondere sostanzialmente a una domanda che in "Cicatrici" si era posta anche Bianca: "Che ci è andato a fare, Ezio, a Bologna?" Io in realtà ho avuto bisogno di scrivere questo pezzo per aiutarmi a strutturare l'intrigo che sta occupando i capitoli più recenti. Non sapevo se pubblicarlo fino all'ultimo, ma poi mi sono detta che era parte della storia di BCP dopo tutto...e poi era un modo per rinfrescarmi i ricordi sui Bentivoglio, che torneranno prepotentemente in scena tra non molto. Senza contare che, naturalmente, vorrei sapere cosa ne pensate ^_^
I personaggi che mi sono permessa di trattare sono tutti storici, a partire da Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna, per arrivare a suo figlio Ermes, alla consorte Ginevra Sforza (del ramo di Pesaro, cugina di non ricordo quale grado della nostra Caterina) e a Gentile. La mia cara Gentile!  
Se a qualcuno è capitato di passare per la paginetta Facebook di BCP, avrete notato che sono praticamente ossessionata da questa Gentile Budrioli. Fu una donna di lettere, studiosa dell'Università di Bologna e guaritrice, realmente esistita e bruciata al rogo nel 1498: da quando ho saputo della sua esistenza non ho resistito all'idea di inserirla nella storia. 
Per i dettagli sui terremoti che devastarono Bologna mi sono ispirata alla cronaca che ne fece lo storico Fileno della Tuata nel suo Istoria di Bologna (edito da Costa Editore).
Tengo infine a precisare che in "Cicatrici" avevo fatto un grandissimo sbaglio storico, dando i Bentivoglio già fuggiti da Bologna nel febbraio del 1506. Non è così, l'attacco delle truppe papali si ebbe a Novembre di quello stesso anno. Ho corretto lo sbaglio appena me ne sono accorta, chiedo venia!

E...grazie di essere arrivati a leggere fin qui! :D

Laura.

   
 
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