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Autore: EternallyMissed92_    16/08/2011    12 recensioni
Shannon si era steso sul suo lettino a sdraio, sotto l’ombrellone che lo riparava dal sole cocente, sospirando felice nel vedere le curve poco celate delle ragazze che correvano sulla sabbia o giocavano a beach volley.
“Ecco cosa mi ci vuole dopo tutti questi anni di lavoro” pensò, chiudendo gli occhi. “Mare, sole, caldo, pace e tranquillità. Soprattutto pace e tranquillità.”
Ma il batterista non si immaginava nemmeno che per lui, di pace e tranquillità, quel pomeriggio, non ce ne sarebbe stata.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho cominciato a scrivere questa one-shot circa un mesetto fa, per divertirmi un po' usando il tema "estate": per un po' l'ho abbandonata sul desktop del mio portatile, ma ieri, in un impeto di ispirazione, ho deciso di continuarla e oggi sono finalmente riuscita a terminarla. Il titolo, in sé, non c'entra molto con la storia, magari un po' nel finale, ma dato che ieri notte, mentre scrivevo, su Virgin Radio è passato il video di "This Is War", ho pensato: "Questo è un segno del destino!" e così ne ho usufruito (lo so, sono scema, io e tutte le cose che penso riguardo al 'è stato il destino', ma voi non fateci caso lol). Vi lascio alla storia sperando che vi piaccia (anche se ne dubito)! -Martina-.

“This Is War!”

 
 
Finalmente era arrivata l’estate, la stagione delle vacanze, del riposo assoluto. Solo mare, sole, caldo, pace e tranquillità, proprio come amava pensare Shannon.
Il tour li aveva massacrati fin troppo, per quasi due anni, e adesso, a distanza di mesi dall’ultimo concerto che avevano tenuto, si erano presi una meritatissima pausa, riposandosi sulla spiaggia di Malibu.
Shannon si era steso sul suo lettino a sdraio, sotto l’ombrellone che lo riparava dal sole cocente, sospirando felice nel vedere le curve poco celate delle ragazze che correvano sulla sabbia o giocavano a beach volley.
“Ecco cosa mi ci vuole dopo tutti questi anni di lavoro” pensò, chiudendo gli occhi. “Mare, sole, caldo, pace e tranquillità. Soprattutto pace e tranquillità.”
Ma il batterista non si immaginava nemmeno che per lui, di pace e tranquillità, quel pomeriggio, non ce ne sarebbe stata.
“Shaaaan! Shaaaan!”
Eccolo, il suo tormento. Il tormento che non lo lasciava mai in pace. Mai. Nemmeno quando era tempo di vacanze, di riposo, di totale relax.
Un tormento che aveva gli occhi azzurri e che purtroppo portava il suo stesso identico cognome.
“Shaaaan! Shaaaan!”
Il batterista sbuffò, aprendo svogliatamente gli occhi, fissandoli in quelli del fratello che se ne stava davanti a lui con un’espressione piuttosto corrucciata.
“Che diavolo vuoi, Jared?” gli chiese, seccato.
“Mi sono scottato le spalle!”
“Cosa?” esclamò, strabuzzando gli occhi. “Jared, ma…? Come cavolo hai fatto a scottarti già adesso? Siamo qui da appena un quarto d’ora!”
Jared mise su il broncio, incrociando le braccia al petto.
“Ho la pelle delicatissima, io!”
“E cosa posso farci, io, se hai la pelle delicatissima e ti sei scottato?”
“Puoi mettermi la crema protettiva!” sentenziò il cantante, passandogli un tubetto di plastica bianca, senza alcuna marca o scritta.
Shannon inarcò un sopracciglio.
“Ma non puoi mettertela da solo, la crema?”
“Avanti, Shan, ragiona: come credi che possa spalmarmi per bene la crema sulla schiena e sul sedere se lo faccio da solo, eh?”
“Non lo so… con le mani, magari?” lo derise il fratello.
Jared lo fulminò con lo sguardo e battè i piedi.
“Shan, non sei per niente spiritoso!”
“Beh, io la crema non te la metto! Non sono il tuo servo!”
“Shan, giuro che se non me la metti, ti impedisco di suonare la batteria, ti sbatto fuori dalla band e ti faccio castrare, così non puoi più andare a letto con nessuna ragazza per il resto della tua vita!”
Shannon scattò immediatamente in piedi e fece stendere il fratello sul lettino a sdraio, a pancia in sotto. Sia mai che quella piattola di Jared fosse veramente capace di fare tutto quello che aveva detto!
“Stronzo ricattatore!” proruppe, schiacciando il tubetto, da cui uscì una strana crema rosata. “Jared? Ma dove hai preso questa crema?”
“Dal borsone che sta nella cabina di Tomo, perché?”
“Nulla. Solo che ha un colore piuttosto strano…” rispose, cominciando a spalmarla sopra la schiena del fratello, con una leggera pressione. “E ha anche un odore piuttosto strano...”
“Che odore ha, si può sapere?”
“Non lo so… sa quasi di salsa rosa.”
“Shan, ma è mai possibile che tu pensi sempre al cibo?” ridacchiò il cantante.
“Non è assolutamente vero!” ribattè subito Shannon. “Forza, alzati, che ho finito!”
Jared si alzò con uno sguardo furbo e malizioso, ridendo.
“Oh, sì che è vero, invece! Tu pensi solo al cibo, al sesso, al…”
“Stai zitto, Jared!” sbottò Shannon, ritornando a stendersi sul suo lettino. “Sparisci, adesso!”
“Agli ordini!” sghignazzò il cantante, saltellando via alla velocità della luce.
Shannon tirò un lungo sospiro di sollievo, poi sfregò le mani tra di loro, scoprendole terribilmente unte.
“Ma che razza di creme usa Tomo?” si chiese, annusandone l’odore che si era impregnato sulla pelle delle dita, poi fece spallucce e tirò fuori dal borsone che aveva vicino alla sdraio il suo amato Playboy, sperando di godersi quella giornata al mare mangiandosi con gli occhi sia le donne che comparivano sulle pagine della rivista che quelle che gironzolavano per la spiaggia.
Ma purtroppo, dato che la sfortuna aveva deciso di prendersela proprio con lui quel preciso giorno, non fece nemmeno in tempo a girare la terza pagina, che un uragano tornò ad abbattersi nuovamente su di lui sottoforma di un urlo disumano.
“Shaaaan, aiutoooo!!! Shaaaan, ti prego, vieni a salvarmiiii!!!”
Shannon cercò di non sentire quelle grida insopportabili, ci provò davvero, con tutte le forze psichiche di cui era in possesso, ma a nulla valsero i suoi vani tentativi di diventare sordo almeno per un paio d’ore.
“Shaaaan, lo so che mi senti!!! Aiutami, ti prego, sto annegandoooo!!!”
Il batterista sbuffò alla grande e abbassò la rivista in malo modo, sgranando immediatamente gli occhi alla vista di dove era posizionato il fratello. Dio,  di cosa non era capace pur di attirare l’attenzione su di sé!
“Jared, smettila di sparare stronzate, che non stai affatto annegando!” replicò, furibondo. “L’acqua ti arriva appena sotto le ginocchia, idiota! Non annegheresti nemmeno se io stesso lo volessi!”
Jared si mise a frignare e sporse in fuori il labbro inferiore, che cominciò subito a tremare.
“Shan, per favore, salvami! Ho paura!” strillò.
“Jared, esci dall’acqua, forza! Ci stanno guardando tutti!”
“Non posso!”
“Come sarebbe a dire che non puoi?”
“Un granchio mi ha afferrato con una chela la caviglia e non riesco a muovermi!” strillò di nuovo, cominciando a piangere come un bambino. “Per favore, Shan, tirami fuori di qui! Non voglio annegare proprio adesso! Sono troppo bello, troppo sexy, troppo bravo, troppo intelligente, troppo giovane, troppo… troppo IO per morire! Aiutami, ti pregoooo!!!”
Shannon serrò le mascelle, strinse i pugni e si alzò dalla sdraio, le vene che gli pulsavano sul collo e sulle tempie, innervosito come non mai. Che figure di merda che gli stava facendo fare quel fratello degenere e rompiballe che si ritrovava.
Partì come una furia verso Jared, che non la smetteva di piagnucolare, ma poi la sua attenzione venne catturata da un bambino, felice e sorridente, che galleggiava tranquillamente a pochi metri dalla riva, con la ciambella intorno alla vita che lo sosteneva sul pelo dell’acqua. Sorrise maliziosamente, cambiò direzione e si avviò verso il bambino.
Jared sgranò gli occhioni azzurri, in preda al panico.
“Shaaaan!? Shaaaan!? Dove stai andando? Io sono quiiii!!!” protestò. “Shaaaan! Torna indietroooo!!!”
Shannon nemmeno lo ascoltò, entrò in mare quel tanto che bastava per afferrare il bambino per un gamba, rivoltarlo a testa in giù e fregargli il salvagente. Si prese pure la briga di riportarlo a riva, al sicuro sul bagnasciuga, tanto per non farlo affogare.
“Scusa, piccolo, ma questo me lo prendo io” proruppe il batterista.
Il bambino lo guardò con le lacrime agli occhi, spaventato, il moccio al naso, il labbro tremolante. In una frazione di secondo, neanche a dirlo, scoppiò a piangere.
“Mammaaaa!!!” strillò.
Shannon sgranò gli occhi, facendogli segno con l’indice di stare zitto.
“No! Ti prego, piccolo, non piangere!”
“Mammaaaa!!!”
“Shh! Shh!”
“Mammaaaa!!!”
Shannon cominciò a guardarsi in giro, impaurito, e mise una mano sulla bocca del bambino.
“Shh! Silenzio, ho detto!”
Il bambino, però, con una prontezza degna di nota, aprì la bocca e gli morsicò la mano in modo atroce con i pochi denti che, data la tenera età, gli erano appena spuntati.
“Ahia!!!” strepitò il batterista, levando subito la mano e massaggiandosela con l’altra.
“Mammaaaaaaaa!!!” piagnucolò di nuovo il bambino, aumentando l’intensità delle urla. “Mammaaaaaaaa!!!”
Shannon strabuzzò nuovamente gli occhi: quel piccolo esserino piagnucolante era addirittura peggio di suo fratello in fatto di strilli. Capì che era meglio dileguarsi, prima che la madre del bambino si precipitasse verso di lui e lo picchiasse. Corse sulla sabbia come un forsennato, cercando comunque di non dare nell’occhio, e raggiunse il fratello, che subito fulminò con un’occhiataccia nera.
“Tieni!” sbottò, cacciandogli la ciambella in testa e facendogliela arrivare fino alla vita. “Con questa non anneghi di sicuro!”
“E con il granchio come faccio?” si lamentò Jared. “Non mi lascia andare!”
Il batterista si strinse nelle spalle, sorridendo malizioso.
“Ti arrangi!” esclamò, prima di ritornarsene indietro, al suo posto.
Si mise seduto sulla sua sdraio, sospirando, proprio nel momento in cui una donna, mora, avvenente e con tutte le curve al posto giusto, gli si piazzò davanti, le mani sui fianchi, lo sguardo omicida. Neanche a dirlo, il batterista, da animale rinomato quale era, la osservò da capo a piedi, malizioso, leccandosi le labbra, ormai deciso a provarci anche con lei.
“Ehi, dolcezza, cosa…?” ma non fece nemmeno in tempo a mettere in atto le sue celebri ed infallibili tattiche di seduzione, che la donna gli mollò un sonoro schiaffo sulla guancia destra.
“Questo è per aver trattato mio figlio come fosse un bambolotto e avergli rubato la ciambella!” sbottò, inviperita, tirandogli poi un secondo schiaffo, stavolta sulla guancia sinistra. “E questo è per avermi guardato il seno, brutto maniaco pervertito!” concluse, soddisfatta, sculettandosene via.
Jared, che aveva visto tutta la scena, scoppiò immancabilmente a ridere.
“Shan, stai perdendo i colpi!” urlò, per farsi sentire. “Ormai sei vecchio, non hai più fascino, fattene una rag…” provò a concludere la frase, ma un’onda piuttosto alta lo trascinò via, portandoselo lontano. Fortuna che aveva il salvagente, altrimenti sarebbe annegato davvero.
Shannon si massaggiò le guance, rosse e bollenti, ancora incredulo di quello che gli era appena successo.
“Le donne… valle a capire…” sussurrò a sé stesso, scuotendo il capo. “Se le guardi, ti danno del maniaco pervertito, se non le guardi, invece, ti dicono che non sei abbastanza romantico e iniziano a farsi le loro belle paranoie sul fatto che le si sta tradendo… si lamentano sempre, accidenti…” sospirò, stendendosi totalmente sulla sdraio e riprendendo a sfogliare il suo amato Playboy.
Ma ecco che quando spariva un tormento, ne arrivava subito un altro.
“Shan?”
Shannon roteò gli occhi e sbuffò, scocciato fino all’inverosimile.
“Che vuoi pure tu, Tomo?”
“Mi accompagneresti nella mia cabina, che devo cambiare il pannolino a mio figlio?”
“Tomo, non so se l’hai notato, ma siamo in estate, okay? Quella calda stagione in cui ci si riposa, ci si crogiola al sole e non si fa un cavolo dalla mattina alla sera!”
“E allora?”
Shannon abbassò di nuovo la rivista e sgranò gli occhi.
“E allora, vorrei anche io non fare un cavolo dalla mattina alla sera e godermi l’estate, chiaro?”
Tomo sporse il labbro inferiore in fuori, imbronciato.
“Shan, per favore, ci mettiamo solo qualche minuto!”
“No!”
“Ti prego!”
“No!” ribadì l’americano.
“Per favore, Shan! Ti prometto che dopo ti lascio stare!”
Il batterista inarcò un sopracciglio.
“Lo giuri?”
“Sì, lo giuro sulla mia stessa vita!”
“E va bene!” acconsentì Shannon, sbuffando ed alzandosi. “Andiamo a cambiare Stanislowsky!”
“Stanislao, Shan! Si chiama Stanislao!”
“E io che ho detto, scusa?”
I due percorsero tutta la spiaggia evitando pallonate, castelli di sabbia appena costruiti, bambini che correvano come dei dannati e trappole varie e, dopo parecchi minuti, entrarono nella cabina di Tomo.
Shannon aggrottò la fronte e fissò il croato con fare interrogativo.
“Posso sapere almeno il motivo del perché hai voluto che venissi anche io qui dentro?”
Il croato distese il suo bambino sul fasciatoio, lo svestì e gli tolse il pannolino completamente imbrattato.
“Perché così ti sorbisci pure tu la puzza!” ridacchiò.
“Ma non potevi portare qui Jared al posto mio a sorbirsi tutto questo olezzo, eh?”
“No, perché lui ormai ci è abituato, quindi non ci sarebbe stato nessun divertimento!”
“Ah, beh! Grazie del pensiero gentile, allora, bastardo di un croato!”
“Di niente! Anzi, prendi questo e buttalo nel cestino” gli disse, dandogli in mano il pannolino sporco. “Ah, e prendimene uno nuovo, lì, nel borsone.”
Shannon si tappò il naso con una mano, tenendo il pannolino incriminato a debita distanza, e fece tutto quello che Tomo gli aveva ordinato.
“Cristo, ma cosa diavolo gli dai da mangiare a questo bambino, si può sapere?”
Tomo se la rise di gusto, lavò il sederino del piccolo e glielo asciugò.
“Passami il borotalco, per favore.”
“Dove ce l’hai?”
“Sempre nel borsone, nella tasca esterna.”
Shannon sospirò e prese il borotalco, passandoglielo in mano.
“Tieni.”
“Grazie” gli rispose Tomo, mettendo una quantità industriale di quella polvere bianca sul suo bambino.
“Tomo, ma quanto gliene metti?”
“Il giusto.”
“Il giusto? Ma se lo stai imbiancando!”
“Io lo voglio tutto bello profumato, il mio piccolino!”
Shannon alzò gli occhi al cielo, poi annusò l’aria e storse il naso.
“Tomo?”
“Che c’è?”
“Ma non ti sembra che questo borotalco abbia un odore un po’… un po’ strano?”
“No, perché?”
“Perché odora tanto di… di formaggio grattugiato.”
Tomo inarcò un sopracciglio, poi, insospettito, prese il borotalco, ne scrollò un po’ sul palmo della mano e lo assaggiò con la punta della lingua, sgranando gli occhi.
“Oh, mio Dio!” esclamò, sbiancando. “Shan… hai ragione. Questo non è borotalco… è formaggio grattugiato. Devo… devo aver confuso i barattoli” concluse, con un fil di voce.
Shannon sgranò gli occhi a sua volta e gli mollò una manata sulla nuca.
“Idiota! Te e il tuo maledetto vizio di travasare le cose nei barattoli senza scriverci sopra il nome di quel che contengono!” sbraitò.
“Ma io…” tentò di difendersi il croato.
“Stai zitto!” lo interruppe il batterista. “Ti rendi conto che questo mezzogiorno abbiamo mangiato la pasta che hai cucinato tu condita con il borotalco al posto del formaggio grattugiato, eh? Dio, ma… ma che schifo!”
Tomo mise su il broncio, sinceramente dispiaciuto.
“Scusa… non era mia intenzione…”
“Sappi che se moriamo, mi resuscito, poi resuscito anche te e ti faccio morire un’altra volta, molto, molto lentamente!”
“Non ne saresti mai capace!”
“Vuoi vedere?”
Il chitarrista rabbrividì, ma poi ridacchiò.
“Oh, avanti, Shan! Non moriremo per aver mangiato un po’ di borotalco!” minimizzò, sorridendo. “Guarda il lato positivo!”
“Ah, perché pensi che ci sia pure un lato positivo in tutto questo?”
“Certo!”
“E quale sarebbe?”
“Beh, abbiamo stomaco ed intestino perfettamente profumati!”
Shannon strabuzzò gli occhi e gli rifilò l’ennesima manata.
“Piantala di sparare cavolate, Milicevic!”
Tomo si massaggiò la nuca e finì di mettere a posto il piccolo.
“Non è la prima volta che mi capita una cosa simile, sai?”
“Che vuoi dire?”
“Voglio dire che una volta, al posto di mettere del bicarbonato e del bagnoschiuma per fargli il bagnetto, ho messo dello zucchero e del miele. E me ne sono accorto soltanto quando api, calabroni, mosche e chi più ne ha più ne metta, hanno cominciato a ronzargli intorno non appena lo portavo fuori, all’aria aperta, attratti com’erano dall’odore dolce che emanava.”
Shannon lo fissò un secondo, poi scoppiò a ridere.
“Oh, santo cielo, Tomo!” esclamò, con le lacrime agli occhi. “Tu, prima o poi, lo ucciderai questo bambino! Ma come diavolo fa Vicki a fidarsi quando lo tieni tu?”
“Si fida perché mi ama.”
“No, si fida perché sa che ci sono sempre io con te in caso di bisogno, e su di me si può sempre contare!”
Tomo prese il bimbo in braccio, coccolandolo un po’, e fissò l’americano con sguardo assassino.
“Su di te si può sempre contare?! Stai scherzando, vero?” sbraitò. “Vogliamo forse parlare di quella volta che te l’ho lasciato per qualche ora visto che non potevo tenerlo e gli hai dato della birra perché aveva farfugliato di avere sete, eh?”
“Avevo solo della birra, in casa, cosa potevo farci?”
“Dargli l’acqua del rubinetto, per esempio! È stato male tutta notte, te ne rendi conto?”
“Oh, andiamo, non farla tragica! È stato solo un incidente!”
Il chitarrista serrò le mascelle, stringendo gli occhi in due fessure.
“Solo un incidente?! Solo un incidente?!” strillò. “È stato un incidente anche quella volta che gli hai cambiato il pannolino, gliel’hai messo all’incontrario e, dato che non attaccava, gliel’hai incollato addosso con l’attaccatutto, mh?”
“Ma io…”
“Tre ore! Tre ore ci abbiamo messo per staccargli quel maledetto pannolino dal sedere!”
Shannon sbuffò, irritato.
“Senti, la prossima volta che tu e Vicki decidete di fare vacanze separate, lascialo a lei Stanislowsky, okay?”
“Mio figlio si chiama Stanislao, non Stanislowsky!” gridò il croato, indignato. “Ficcatelo in testa una volta per tutte!”
“Non cambia niente, tanto! Che io lo chiami Stanislao o Stanislowsky, è uguale! Fanno pena tutti e due!”
Tomo lo fulminò con lo sguardo e posò di nuovo il suo piccolino sul fasciatoio, afferrando poi il suo zaino e tirandovi fuori qualcosa.
“Stanislao è un nome stupendo, invece!” replicò, svolgendo il panino al prosciutto che aveva appena preso dalla carta stagnola, aprendolo e infilandoci dentro anche un po’ di salsa rosa dal tubetto che stava spremendo.
Shannon aggrottò la fronte.
“Che diavolo è quella roba che stai mettendo nel panino?” gli chiese, curioso.
“È salsa rosa. La mia preferita.”
“E da quando la salsa rosa è bianca?”
Tomo alzò le spalle e ripose il tubetto nello zaino.
“Non lo so… magari col caldo che fa, avrà perso un po’ di colore” sentenziò, dando un morso al suo panino. “Si sarà un po’ sbiadita, tutto qui.”
Il batterista ridacchiò, divertito.
“Può darsi…” mormorò, non troppo convinto, poi, come un fulmine a ciel sereno, si ricordò che la crema che aveva spalmato sulla schiena di Jared era rosa e, ad un tratto, capì. “No, Tomo, fermo! Non mangiarlo!”
Il chitarrista lo guardò senza capire.
“Perché non dovrei mangiarlo?”
“Quella che ci hai spremuto dentro non è salsa rosa! È la crema protettiva!”
“Shan, mi stai prendendo in giro, per caso?”
“No che non ti sto prendendo in giro!” sbottò, serio. “Hai confuso anche questi tubetti, dannazione! Quella non è salsa rosa, Tomo, credimi!”
Tomo alzò un sopracciglio e continuò a mangiare il suo panino.
“Adesso ho capito: stai facendo in modo che io ti creda, così il panino non lo mangio io, ma tu!” proruppe, con la bocca piena. “Mi dispiace, Shan, ma questa volta non ci casco!”
Shannon strabuzzò gli occhi, offeso, poi li chiuse in due fessure, stizzito.
“Sai che ti dico? Spero che ti venga un bel mal di pancia, così un’altra volta impari a non fidarti di quel che ti dico!” e così dicendo, aprì la porta della cabina ed uscì.
Tirò un lungo e sonoro sospiro, poi guardò a destra e spalancò la bocca.
“Jared, che diavolo stai facendo lì sopra, si può sapere? Torna subito giù! Quello è il posto del bagnino!” urlò.
Jared, con la ciambella intorno al bacino e il granchio ancora attaccato alla caviglia, guardò il fratello con sguardo ebete.
“Shan, ho visto una…”
“Non mi interessa cosa hai visto, Jared!” lo interruppe il fratello. “Forza, scendi!”
“Shan, tu non capisci! Ho visto una sirena in fondo al mare!”
Shannon strabuzzò gli occhi, poi scosse la testa e si schiaffò una manata sulla fronte. Altro che aver mangiato il borotalco invece del formaggio grattugiato: quella era sicuramente cocaina pura che dava allucinazioni.
“Jared, piantala di dire sciocchezze e scendi da lì!” gli ordinò.
“No! Voglio rivedere quella magnifica creatura marina!” e così dicendo, riprese il binocolo, ricominciando a scrutare l’orizzonte.
Il batterista alzò gli occhi al cielo, sbuffando, e si diresse ancora una volta verso la sua sdraio, adagiandovisi sopra.
“Dio, ma avrò mai un po’ di pace, oggi?” si chiese, riprendendo in mano il suo Playboy.
La risposta alla sua domanda arrivò neanche un quarto d’ora dopo, quando qualcuno battè con una mano sulla rivista che stava guardando nemmeno fosse stata una porta.
“Shan?”
Quella voce. Ancora quella dannata voce. Che tormento. Che tortura. Che supplizio.
Shannon sbuffò pesantemente e, arrabbiato a livelli critici, strappò direttamente la rivista che aveva in mano a metà, in un gesto di stizza violenta. Tanto non sarebbe comunque riuscito a godersela tutta.
“Cosa diavolo vuoi ancora, Jared?” gli domandò, irritato.
“Mi andresti a prendere un gelato?”
“Cosa? No!”
Jared mise su l’ennesimo broncio della giornata.
“Shan, ti prego! C’è il gelataio ambulante a pochi metri da te!” gli disse, facendo gli occhi dolci. “Fai questo piccolo sforzo per il tuo fratellino!”
“Ho detto di no, Jared!” sbottò Shannon, incrociando le braccia al petto. “Perché non vai a prendertelo tu il gelato?”
“Perché non ho soldi!”
“Non mi interessa! Io non vado a comprarti il gelato, chiaro? Neanche per sogno!”
“Shan, se non vai a prendermi il gelato, giuro che vado a chiamare la madre del bambino che hai fatto piangere e ti faccio riempire di botte di nuovo dicendole che le stavi fissando il culo mentre se ne stava andando via!”
Il batterista sgranò gli occhi, prese il portafoglio dal borsone e balzò immediatamente in piedi.
“Come lo vuoi il gelato, razza di bastardo?” gli domandò, infuriato.
“Al cioccolato, nocciola, menta, crema, zuppa inglese, limone, tiramisù, fragola, fiordilatte, stracciatella, caffè, frutti di bosco e pistacchio!” esultò Jared.
“Mi sembri una donna incinta in preda alle voglie, lo sai?”
“Ah, e non dimenticarti il gianduia!”
Shannon si stampò una cinquina in fronte e scosse la testa. Faceva prima a comprargli l’intero carretto, a quel punto.
“Tempo di arrivare dal gelataio e mi dimentico tutti i gusti, ci scommetto…” mormorò tra sé e sé, attraversando la spiaggia e raggiungendo il gelataio ambulante con il suo carretto. “Salve.”
Il gelataio gli sorrise cordialmente.
“Buon pomeriggio. Cosa desidera?”
“Dunque, vorrei un cono al gusto di… ehm…” si picchiettò un indice sulla tempia, cercando di ricordarsi almeno un paio di gusti che gli aveva detto il fratello. “Cioccolato… menta… pistacchio, e… ehm… crema, caffè, tiramisù… sì, cioccolato, menta, pistacchio, crema, caffè e tiramisù, solo questi sei.”
Il gelataio sgranò un attimo gli occhi, poi prese una parigina, vi ammassò sopra le sei sfere fatte dei gusti prescelti dal batterista con velocità, ormai abituato al suo mestiere, e gli porse il cono bello che finito.
“Tenga.”
“Grazie” gli disse Shannon, allungando un braccio per prenderlo. “Quanto le devo?”
“Due dollari e cinquanta.”
Shannon non fece in tempo a prendere i soldi che qualcuno lo strattonò per i pantaloncini.
“Mi scusi, signore?” lo chiamò una bambina, sorridendogli dolcemente.
“Ehi, piccolina… dimmi.”
“Potrebbe prendere un gelato anche per me, per favore? Il carretto è troppo alto e io non arrivo nemmeno a vedere i gusti.”
Il batterista andò in brodo di giuggiole: per la prima volta in tutta la sua vita, si sentì alto per merito di quella dolce bambina.
“Certo, piccola. Come lo vuoi?”
“Al limone, menta e fragola.”
“Senta, mi dia un altro cono ai gusti di limone, menta e fragola, grazie” disse, rivolgendosi al gelataio.
Quando anche il cono per la bambina fu pronto, Shannon, che aveva entrambe le mani occupate, una dal portafoglio, l’altra dal cono per Jared, aggrottò la fronte.
“Dunque… senti, piccolina, tieni un secondo il mio gelato, che devo pagare…” le disse, dandoglielo con estrema lentezza prima che quel trionfo di calorie cadesse a terra, per poi prendere l’altro cono dalla mano del gelataio e dare anche quello alla bambina. “Ed ecco qui anche il tuo.”
“Grazie mille, signore.”
Il batterista le sorrise, intenerito, poi prese due dollari e cinquanta dal portafoglio e pagò. Quando riabbassò lo sguardo per sorridere alla bambina e riprendersi così il suo gelato, rimase a bocca aperta, di stucco. La bambina era sparita. Con tutti e due i gelati. Per di più gratis. Era stato beffato, raggirato, ingannato, preso in giro da una bambina che non aveva neanche la metà della metà dei suoi anni e che gli arrivava appena alle ginocchia. Una bambina che sembrava tanto dolce e buona, ma che in realtà era una perfida doppiogiochista.
Rimase in quella stessa posizione, con la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite, per degli attimi che parvero interminabili, fin quando il gelataio non gli toccò un braccio per risvegliarlo da quella sorta di catalessi in cui era piombato.
“Signore? Si sente bene?”
Shannon si riscosse all’improvviso.
“Cosa? Ah, sì… sì, sto bene.”
“Senta, dovrebbe pagarmi anche l’altro gelato che ha preso, se non le dispiace.”
“Io? Ma veramente…”
“Sì. Vede forse qualcun altro, oltre a lei?”
Il batterista maledisse sia il gelataio che la bambina. E, già che c’era, maledisse pure Jared, visto e considerato che, a pensarci bene, la colpa era tutta sua.
“D’accordo…” mormorò, prendendo tre dollari, gli unici spiccioli rimasti nel suo povero e ormai desolato portafoglio. “Tenga pure il resto” e così dicendo, scoraggiato oltre ogni dire, ripercorse la strada fatta in precedenza e tornò dal fratello che, dal canto suo, lo stava aspettando sulla sdraio, impaziente e affamato.
“Dov’è il mio gelato, Shan?” urlò subito, notando che il batterista aveva le mani libere.
“Non c’è nessun gelato, Jared!”
“Che significa che non c’è nessun gelato?!”
“Significa che… che me lo sono mangiato mentre ritornavo indietro, okay?” sbottò Shannon, nascondendo l’amara verità pur di non fare una figuraccia davanti a lui. “Avevo fame!”
Jared sgranò gli occhi e, per poco, non riprese a piangere.
“Ma non potevi prenderne un altro?”
“No, perché avevo finito tutti i soldi. Ho il portafoglio che è ancora più vuoto del tuo cervello.”
In quel preciso istante, Tomo corse alla velocità della luce verso di loro con il suo piccolino in braccio che frignava come un matto.
“Shan! Shan! Ho bisogno di te!” esclamò, il fiato corto. “Ho un mal di pancia da non vederci più, devo andare in bagno ma non posso lasciare Stanislao tutto solo! Me lo terresti un secondo, per piacere?”
“No che non te lo tiene!” si intromise Jared, isterico. “Prima deve andare a prendermi un altro gelato!”
“Mio figlio e il mio stomaco sono più importanti di uno stupido gelato!” replicò subito il croato.
“Non credo proprio! E poi, ci stavo parlando prima io con mio fratello!”
“E chi se ne frega? Prima fa quello che dico io!”
“No!” sbottò il cantante, alzandosi in piedi.
“Sì!”
“No!”
“Sì!”
“No!”
“E invece sì!” esclamò Tomo.
“E invece no!”
“E invece sì!”
“E invece no!”
“E invece sì!”
“BASTAAAAA!!!” urlò Shannon, sgolandosi completamente e strappandosi i capelli dal nervoso, ormai arrivato al limite dell’esasperazione. “Basta, maledizione, basta! Non vi sopporto più! Non sopporto più questo maledetto posto, questa spiaggia di merda, i bambini che si beffano di me, le madri che mi schiaffeggiano, i pannolini, i gelatai… non sopporto più nemmeno te, Tomo! Te, la confusione che fai con i barattoli, il borotalco, il formaggio grattugiato, la salsa rosa, tuo figlio… tuo figlio Stanislowsky, porca di quella miseria!” prese un attimo di fiato, poi fissò negli occhi Jared, iracondo. “E tu… tuuuu… fratello ingrato, rompiscatole, primadonna, piantagrane, vanitoso, superbo, presuntuoso, egocentrico, megalomane, arrogante, egoista, antipatico e bastardo che non sei altro! Non ti sopporto più! Non ti sopporto più, dannazione! Questa non è una vacanza! Questa è una tortura vera e propria! Questa… QUESTA E’ GUERRA!!!” concluse, senza più un solo filo di voce, afferrando il suo borsone.
Gli altri due lo fissarono a bocca spalancata, poi si guardarono l’un l’altro e, come se niente fosse successo, ripresero a battibeccare.
“Prima fa quello che dico io!”
“No, quello che dico io!”
Shannon strinse i denti, i tic nervosi che sembravano averlo lasciato finalmente in pace si rifecero sentire, poi si mise il borsone in spalla e se ne andò, appuntandosi mentalmente che quella era l’ultima volta che andava in vacanza con suo fratello e il suo chitarrista e che le prossime vacanze se le sarebbe fatte da solo, in completa solitudine. Dopotutto, si disse, meglio soli che mal accompagnati.

 

FINE 

   
 
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