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Autore: Lovely Grace    16/08/2011    1 recensioni
Un sogno-ricordo recente che doveva essere scritto.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Falling Slowly

 

Questa notte ho fatto un sogno.
Tutti noi sogniamo, è vero.  È una delle cose che accomuna noi esseri umani.
Possiamo sognare giallo, nero, bianco.
Possiamo sognare il mare, il sole, la montagna, ma è pur sempre un sogno.
Ciò che però distingue i sogni tra di loro, sono le emozioni.
Attraverso i sogni percepisci emozioni, stati d’animo, paure.
I sogni fanno parte di te, e non puoi fermarli.
Ma a volte, ciò che sogni non è solo un sogno, qualcosa di fantastico, di irreale. A volte, sogni avvenimenti passati. Quelli sono i sogni-ricordo.
Questa notte ho fatto un sogno-ricordo.
Ti ho sognato.
Ancora una volta.
Eravamo insieme.
Stavamo sdraiati su una grande coperta rosa, le tue braccia intorno al mio corpo, le tue dita sulla mia pelle, a solleticarmi avanti e indietro.
La mia testa era sul tuo petto, ascoltavo i battiti del tuo cuore.
La tua voce calda canticchiava, la sentivo ovunque intorno a noi.
Continuavi a muovere le dita sulla mia pelle, a canticchiare, mentre io intrecciavo le dita alla tua t-shirt, quella nera con le scritte blu.
Nelle nostre orecchie c’era una di quelle stupide cuffiette rotte del mio I-Pod.
Stavamo ascoltando la nostra canzone.
Come ogni stupido telefilm americano, avevo insistito per volere una nostra canzone, e tu come al solito mi avevi accontentato.
C’era così tanta dolcezza intorno a noi… La percepivo nell’aria, era qualcosa di magico.
Non eravamo intonati, sembravamo due pecore con il mal di pancia, ma non importava.
Era bello stare così, senza pensare a niente.
Le persone vicine ci guardavano ridacchiando, forse infastidite dalle nostre voci, forse felici di vedere qualcuno volersi così bene.
Cantavamo, ancora e ancora, bisbigliavamo al vento quelle bellissime parole che quasi non capivamo, con un bruttissimo accento inglese.
Chiudevo gli occhi, ed esplodevo di felicità.
Sembrava un sogno, finalmente stavo bene, mi sentivo amata, bella, femminile.
Mi sentivo importante, e so che per te lo ero.
Avevo te al mio fianco, e non potevo sentirmi meglio.
< Sai a cosa stavo pensando?> Esordivi tu ad un tratto.
Ti osservavo con gli occhi socchiusi a causa della luce nemmeno troppo forte, il sorriso sulle labbra, e scuotevo la testa.
Ti avvicinavi, posavi le labbra sul mio orecchio e vi soffiavi dentro: < Vorrei essere in camera con te, per poterti accarezzare e baciare per ore ed ore>.
Ed io… io arrossivo, ridacchiavo sentendo le farfalline nello stomaco e distogliendo lo sguardo dai tuoi occhi.
Allora tu ti voltavi verso di me, e facendo attenzione a non schiacciarmi, sovrastavi il mio corpo con il tuo, fregandotene delle persone vicino.
< Andre, c’è gente> Ti intimavo allungando il collo per vedere se qualcuno ci stava osservando.
< Non hanno mai visto due persone che si amano?> Rispondevi iniziando a baciarmi il viso.
Ridacchiavo, come sempre quando ero con te, e osservavo i tuoi occhi marroni, limpidi e dolcissimi.
Le tue labbra si muovevano qua e la, prima sulla mia fronte, poi sul naso, sul mento, ed infine sul collo, facendomi rabbrividire.
Ti lasciavo fare, il cuore che batteva forte, il sorriso ebete sulle mie labbra.
E presto ti sentivo su di esse. Sentivo le tue labbra, morbide e calde, coprire le mie, dolcemente, senza voler altro.
Non c’era la musica di sottofondo, non c’era un raggio del sole che ci illuminava.
C’erano i bambini che gridavano ed imprecavano malamente dietro di noi, il vento che ci faceva rabbrividire, ma in fondo, era come se ci fossimo solo io e te.
Sentivo la tua lingua giocare con la mia, assaporarmi, leccarmi il palato, passare sui miei denti.
Sentivo i tuoi denti mordicchiare le mie labbra, ma non era niente di doloroso, tutt’altro.
Alla fine ti staccavi, ci guardavamo negli occhi, e ridevamo.
Ridevamo perché ci sentivamo bene; ridevamo perché eravamo giovani, felici, senza preoccupazioni.
Ridevamo perché anche se eravamo due ragazzini, ci amavamo.
Ti sdraiavi di nuovo accanto a me, facendo una delle tue smorfie assurde, facendomi ridere.
Mi accarezzavi i capelli, toglievi i fili d’erba che vi erano incastrati e mi osservavi con i tuoi occhi pieni d’amore.
C’era calma tra di noi, nei nostri movimenti, nei nostri sguardi.
Credevamo di avere tutto il tempo del mondo.
< Appena sarai maggiorenne, ti porterò in Spagna con me> Dicevi sicuro.
Ridevo, giocherellando con la tua t-shirt. < Perché proprio la Spagna? Non sarebbe meglio la Francia? Parigi, la città dell’amore>.
Ti facevi pensieroso, poi scuotevi le spalle.
< Allora ti porterò in Francia. Prenderemo un aereo e faremo il nostro primo viaggio da soli> Promettevi.
Ed io ti credevo.
Sapevo che sarebbe successo, immaginavo già il bacio che ci saremo scambiati sotto la torre Eiffel, come tutte le coppie innamorate che vanno lì.
< Perché mancano ancora tre anni?> Sbuffavo facendoti ridere.
< Il tempo passa presto, lo sai anche tu. E noi abbiamo un’intera vita davanti, anche se io sono un po’ più vecchio> Dicevi iniziando a farmi il solletico alla vita, facendomi contorcere e gridare forte.
< Quando io sarò maggiorenne tu sarai un vecchietto paralitico> Ti prendevo in giro, dimenandomi sotto di te.
Ridevamo, gridavamo, ci accarezzavamo lentamente.
< Ti amo> Dicevi alla fine, baciandomi di nuovo.
< Non ti credo> Rispondevo prendendoti in giro, anche se in realtà ero quasi sicura dell’esatto contrario.
< E allora un giorno ci crederai>.
Un giorno.
Una vita.
Il tempo.
Perché adesso, a distanza di 11 mesi, il nostro tempo è finito.
Eravamo sicuri di avere una vita davanti, insieme. E in pochi secondi è finito tutto.
Eri con me, e poco dopo non c’eri più.
Non avevo più un futuro: il nostro viaggio, i nostri piani per quando avrei compiuto diciotto anni erano sfumati nel nulla.
La coperta è ancora lì, nel mio armadio, rimasta ferma per mesi e mesi.
La tua t-shirt è nel mio cassetto.
La nostra canzone è su YouTube, centinaia di persone l’ascoltano ogni giorno, ignari di te che non ci sei più, ignari di ciò che eravamo.
Ed io non riesco più ad ascoltarla.
Ci provo, la cerco, premo play, ma prima ancora di sentire la prima nota devo fermarmi.
Fa troppo male ascoltarla da sola, troppo.
Ed io sono troppo debole, troppo stanca di sforzarmi di stare bene quando invece non è così.
Sono passati sette mesi, e ancora non riesco a crederci.
Non riesco ad andare avanti, non riesco ad essere come prima.
Sono stanca di dover piangere in un armadio, in uno squallido bagno o con gli occhiali da sole.
Sono stanca di dover rendere conto a qualcuno di come sto, di dovermi fingere felice e tranquilla quando invece non lo sono.
Sono stanca di me stessa, di quella che sono. Stanca di vivere.
Piango, ancora e ancora. Da quando ho iniziato a scrivere non sono riuscita a fermarmi.
Dicono che mi aiuterà scrivere, che potrò sentirmi meglio, ma è difficile crederci.
Vedo le tue foto, vedo la tua maglietta, e non riesco ad impedirmi di piangere, non riesco a fermare il dolore che provo appena ti penso.
Perché scrivere questo, è come perderti di nuovo: ogni volta la consapevolezza si fa strada in me, lasciandomi senza fiato.
Perché so che non ci sei più, sei lontano da me, da tutti noi, e che probabilmente non esisti più.
Mi dicono che l’amore non muore mai, ed è vero, ma ciò fa ancora più male.
Tutto ciò che mi rimane di te, oltre ai ricordi che pian piano svaniranno, sono gli oggetti ed i miei sogni.
Perché ancora una volta ti ho sognato.
Ancora una volta, era un sogno-ricordo.
E ancora una volta, sono qui a piangere perché non ci sei più.
   
 
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