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Autore: LaU_U    19/08/2011    5 recensioni
«Ecco l'aeroporto!»
Castle era entusiasta come avrebbe potuto esserlo un bambino che si ritrova naso all’insù davanti ad un grosso treno a vapore. «Scendiamo!» disse premendo immediatamente il pulsante per prenotare la fermata.
«Papà, è un po' lontano, forse l'autobus arriva più vicino al terminal.» La ragazza sperava che la sua osservazione facesse cambiare idea al padre, ma era quasi certa che nulla di ciò che avrebbe detto in quel momento sarebbe stato in grado di ridurre l’euforia dell’uomo.
«No, no, fidati. Scendiamo qui»

Seguito di "In partenza". Castle e sua figlia stanno raggiungendo l'aeroporto per trascorrere un weekend fuori città. Lui è un pasticcione, come al solito.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alexis Castle, Richard Castle, Rick Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo del tempo libero'
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Questa è la prima fanfiction nata via Twitter da un aeroporto. O almeno credo.
L'ho scritta il 27 luglio per Katiebeckett555, dato che era un po' giù mi morale. Ho pensato che strapazzare Castle sarebbe stato un buon metodo di distrazione, quindi... ecco qui questa storia! I twit sono stati rivisti e corretti e l'avventura, rimasta in sospeso, completata.
È una sorta di continuazione di In partenza, che avevo scritto il giorno prima. Alexis e suo padre stanno partendo per un weekend e Rick è ovviamente un disastro nell'organizzazione.
Buona lettura!

 



«Ecco l'aeroporto!»
Castle era entusiasta come avrebbe potuto esserlo un bambino che si ritrova naso all’insù davanti ad un grosso treno a vapore. «Scendiamo!» disse premendo immediatamente il pulsante per prenotare la fermata.
«Papà, è un po' lontano, forse l'autobus arriva più vicino al terminal.» La ragazza sperava che la sua osservazione facesse cambiare idea al padre, ma era quasi certa che nulla di ciò che avrebbe detto in quel momento sarebbe stato in grado di ridurre l’euforia dell’uomo.
«No, no, fidati. Scendiamo qui» concluse lui lanciando i suoi due grossi borsoni fuori dalle porte non appena queste si aprirono e raggiungendoli un istante dopo con un balzo bisontico.
Alexis, al contrario, uscì con calma e senza goffaggine, dando un’occhiata amareggiata all’edificio che li attendeva e che si intravedeva piccolo in lontananza.
«Da quella parte!» disse lo scrittore puntando l’indice e l’intero braccio verso la destinazione con la sicurezza e l’espressione che egli immaginava potessero caratterizzare un esploratore nella giungla. Recuperò i bagagli da terra e s'incamminò con una figlia sconsolata alle spalle.
 
 
«Non per essere ripetitiva, ma sei sicuro che quella scorciatoia fosse una scorciatoia vera e non una delle tue solite idee brillanti con soluzioni non altrettanto brillanti?» chiese la giovane sarcasticamente.
Castle borbottò guardandosi attorno. Si era effettivamente perso, ma non l'avrebbe ammesso nemmeno a se stesso.
«Tranquilla, ormai manca poco.»
«Sono sicura che Cristoforo Colombo diceva la stessa cosa ai suoi marinai quando era in mezzo all'oceano» disse lei abbacchiata. Poco dopo notò un dettaglio che la fece esclamare a gran voce.
«Quel cerchione l'ho schivato già due volte!»
«L'avrà spostato il vento. Con tutta l'aria che muovono gli aerei» si giustificò l’uomo, senza troppa sicurezza.
«Le tue teorie sono sempre più pietose, papà.»
 
 
Il sole era ormai alto nel cielo e tra le foglie degli alberi che circondavano i due viaggiatori si intravedevano le sagome di un paio di uccelli simili a dei corvi che svolazzavano in cerchio a parecchi metri da terra.
«Non è che mi spiegheresti come è stato possibile che finissimo in un bosco? Di fianco ad un aeroporto?»
Castle, la fronte madida di sudore, aveva cominciato a camminare sempre più curvo sotto il peso dei suoi due enormi borsoni. Non ebbe la forza di rispondere alla domanda – retorica – della figlia.
«Papà, vuoi che ti aiuti a portare qualcosa?» si offrì con un sospiro la ragazza resasi conto che la stanchezza del padre superava di gran lunga la propria.
Al sentire quelle parole lui si raddrizzò, come se si fosse sentito punto nell’orgoglio. Non poteva esistere che sua figlia portasse i bagagli a lui. Al massimo sarebbe stato vero il contrario. Un padre deve sostenere una figlia esausta, non il contrario! Si girò per proporsi di aiutarla. Vide il trolley e lo zaino sulle sue spalle.
Beh, magari l’avrebbe fatto in un altro momento.
In fondo i bambini devono imparare a cavarsela da soli.
 
 
«Fra un quarto d’ora chiude il check-in!» disse la giovane con la voce agitata dal nervosismo.
«Lo so, tesoro, lo so.» Che altro poteva dire, ormai?
Fu su quelle parole che si ritrovarono nuovamente su un marciapiede di cemento grigio e furono travolti da una visione: l’edificio principale dell’aeroporto si stagliava a meno di duecento metri di distanza da loro. Lo fissarono sbigottiti qualche istante, contemplandolo in silenzio, ancora insicuri sul fatto che fosse realtà e non un’allucinazione da deserto caldo. Si scambiarono un occhiata commossa e con un sorriso si misero a correre verso l’ingresso, per raggiungere al più presto il bancone per prendere i biglietti e imbarcare le valigie. Le porte automatiche si aprirono appena in tempo per far passare l’uomo coi due borsoni senza che rimanesse impigliato. La coppia si mise a schivare tutte le persone che trovava sul proprio cammino, correndo il rischio di travolgere buona parte di esse e guadagnandosi diversi e coloriti insulti lungo il tortuoso percorso.


«Da che parte è?» chiese Rick, rallentando e cercando di studiare rapidamente i segnali con le frecce che pendevano dal soffitto.
«Di qua!» rispose con prontezza la ragazzina, continuando la sua corsa verso un corridoio alla sua destra. Alexis vide un tapis roulant al centro di esso e ci salì sopra così da poter procedere a velocità maggiore. Si accorse poi che il padre stava per rimanere fuori da esso.
«Sali qui!» gli gridò.
L’uomo si rese conto di quel che intendeva la figlia e si avvicinò al tappeto scorrevole, superando tuttavia l’area di ingresso. Continuò a procedervi sul fianco, osservando la balaustra che si muoveva con la pedana.
«Papà, non…»
La giovane non fece in tempo a parlare che Castle tentò un balzo per scavalcare e raggiungerla. Lei sapeva che suo padre ultimamente non si stava mantenendo particolarmente in forma e che in aggiunta quei due borsoni erano un fardello notevole. Le sue avverse previsioni si realizzarono. Rick non saltò abbastanza, batté la pancia sulla balaustra scorrevole e cadde di faccia sul tapis roulant sotto gli occhi sorpresi e divertiti di decine di persone. Alexis arrossì e fece per chinarsi, preoccupata, ma l’uomo si risollevò di scatto, cercando invano che le tracolle delle sacche non si attorcigliassero su di lui. Optò per levarsele di dosso con non pochi sforzi e movimenti sgraziati; si chinò verso il  basso tirando le valigie e scuotendo tutto il corpo, mentre la figlia era titubante sull’aiutare o meno il suo agitato genitore dai capelli scompigliati. Finalmente lo scrittore riuscì a liberarsi dei pesi così a ritrovare un contegno.
«Tutto bene?»
«Perfettamente. Dammi solo qualche…»
Sollevò un indice e chiuse gli occhi. Gli sarebbero bastati pochi secondi per riprendere fiato e ricercare un po’ di autostima.
 
«Questo è il banco del nostro check-in. Mancano sette minuti» annunciò Alexis, dopo aver controllato l’orologio che aveva al polso. La coda che si trovarono davanti avrebbe richiesto almeno un mezz’ora di tempo, ma la loro scadenza era molto più serrata.
«Che facciamo?» chiese la ragazza guardando speranzosa il padre negli occhi.
«Io…» Cosa si poteva fare? Non voleva farsi vedere debole. Le rispose con voce tranquilla:
«Non preoccuparti, sono sicuro che queste persone capiranno che siamo in difficoltà e ci aiuteranno. Mi scusi, signora?»
Castle toccò lievemente la spalla di una vecchina minuta coi capelli grigi che aveva davanti. Questa non rispose, né accennò alcun movimento. L’uomo si schiarì la voce e ritentò:
«Signora, mi scusi…»
La donna si voltò ondeggiando e lo fissò ad occhi sgranati, sorpresa da quel richiamo.
«Buongiorno» proseguì lui, sfoggiando un caldo sorriso e uno sguardo sornione, «Io e mia figlia abbiamo avuto qualche inconveniente e così siamo arrivati tardi. Il nostro check-in chiude fra cinque minuti. Non è che ci farebbe un favore, permettendoci di passare avanti? Le saremmo molto grati.»
L’altra continuò ad osservarlo, apparentemente confusa, poi si rivoltò dando loro la schiena.
«Forse non sente bene» ipotizzò Castle verso Alexis, decidendo così di alzare la voce.
«MI SCUSI. IO E MIA FIGLIA…»
«Ci sento benissimo!»
La donnina si girò, ma la sua espressione era completamente diversa da quella di pochi istanti prima. Lo fulminò.
«Troppo comodo fare così. Cosa crede, che sia nata ieri? Lei adesso sta qui e si fa la sua coda come tutti i cristiani. Cosa pensa di avere di speciale?»
Rick rimase senza parole per quell’inattesa ramanzina.
«E che bell’esempio che sta dando a questa signorina!»
Padre e figlia distolsero lo sguardo in preda ad un totale imbarazzo. Sì, quella coda sarebbe stata lunga. Molto lunga.
 
 
«Ehi, ma…» Lui lo sapeva. La metà delle volte iniziavano così quei momenti. Con un “Ehi, ma” detto ad alta voce da una donna. «Quello è Richard Castle!»
Al richiamo, diverse persone in fila si voltarono verso di lui, un po’ perché ne conoscevano la fama, un po’ per il modo in cui era stato nominato in quella maniera rumorosa. Nel mormorio della folla si potevano distinguere frasi come “Sembra proprio lui”, “Lo facevo più alto”, “Richard chi?”, “Dici che posso chiedergli un autografo?”, “Rick Castle non è così grasso”.
Un piccolo capannello di curiosi si avvicinò in cerca di una dedica o una foto. L’uomo non se la sentì di deluderli e accontentò i suoi fan con un sorriso e un atteggiamento estroverso, mentre vedeva allontanarsi la possibilità di riuscire a partire quella mattina.
«Signor Castle?»
«Dove lo vuoi?» chiese mentre si voltò con un pennarello nero in mano verso la voce femminile che l’aveva chiamato e da cui si aspettava la richiesta di un autografo. Si ritrovò davanti una donna in tailleur con un foulard rosso al collo. Richard Castle aveva sempre adorato le hostess.
«Se vuole seguirmi, l’accompagno al check-in» gli disse ammiccando.
L’uomo sorrise soddisfatto, mentre Alexis sospirò, nascondendo la sua riconoscenza per la fama del padre che li aveva appena salvati.
 
«Accomodatevi, questi sono i vostri posti. Ci vorrà ancora una mezz’oretta prima che tutti gli altri passeggeri siano saliti.»
L’hostess omaggiò lo scrittore con un sorriso intrigante e si allontanò ancheggiando lungo il corridoio del velivolo, così da avere la sicurezza che quella celebrità l’avrebbe seguita con lo sguardo ancora per un po’.
«Papà!» lo richiamò la figlia protestando per lo sguardo da pesce lesso dell’uomo, che immediatamente si ridestò.
Mezzo giro d’orologio più tardi Richard ed Alexis Castle rimanevano in attesa dell’imminente partenza su due poltrone di prima classe appena dietro la cabina di pilotaggio, un bicchiere di champagne in mano a lui, un succo all’albicocca per lei.
«Hai visto, tesoro. Tutto è andato alla perfezione!»
Alexis lo guardò storto, facendogli rammentare, senza bisogno di parole, quel paio di disavventure dall’inizio della mattinata.
«Beh» balbettò, «Forse ci sono state una o due difficoltà… Ma come vedi siamo giunti sull’aereo sani e salvi e pronti per partire. Ammettilo: il tuo vecchio non è così male nell’organizzare le partenze!»
«Perché tutto questo è merito tuo?»
«E di chi se no? Ho fatto un bel colpo!» si vantò alzando il flute per brindare a sé.
«Buongiorno a tutti, è il vostro comandante che vi parla.»
«Eccoci. Ora si vola!»
Rick si sistemò la cintura, eccitato per il decollo.
«Sono spiacente di annunciarvi che abbiamo riscontrato una piccola avaria al motore che non è possibile risolvere in tempi brevi.»
Lo scrittore deglutì.
«Dovremo quindi cambiare aeroplano, siamo già in attesa di un velivolo sostitutivo proveniente da Philadelphia. È previsto che sia pronto fra un paio d’ore. Vi chiediamo quindi di recuperare i vostri bagagli a mano e di ritornare sulle navette che vi riporteranno al terminal in attesa di essere nuovamente imbarcati. Ci scusiamo per il disagio. Grazie per la comprensione.»
Castle evitò di guardare la figlia negli occhi, concentrandosi sulle bollicine che salivano nel calice che aveva in mano. Alexis avvicinò il proprio volto al suo:
«Gran bel colpo, padre! Gran bel colpo!»




Assolutamente una scemenza disimpegnata, ma era il suo scopo. :)
Le disavventure sono ispirate alle mie del giorno in cui la storia è nata: scendere alla fermata prima dell'autobus e dover raggiungere il terminal a piedi e dover aspettare un volo sostitutivo (per cinque lunghe ore) perché il motore dell'aereo aveva un problema.
La vecchina in coda è probabilmente la Tiggle o una sua parente. Cutuletta, non so come sia finita in aeroporto, dovresti tenerla un po' d'occhio, data l'età... prima che ce la ritroviamo dispersa nel continente nero e Castle deve andare a salvarla col suo jet privato.
Grazie a lettori e commentatori!


ps: In un secondo capitolo metterò la versione originale di twitter (con le abbreviazioni e la riassuntività date dal mezzo).

   
 
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