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Autore: Adelhait    19/08/2011    6 recensioni
Il passato torna sempre sull’uscio della tua vita e prima o poi devi di nuovo affrontare i tuoi vecchi nemici.
Sequel di Presenze. Buona lettura.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rin, Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The fear of loss








Mi calmai, ma con fatica.
Rimasi sdraiata per molto tempo, mentre cercavo di scacciare dalla mente quell’immagine orribile di quello spettro. Di quella donna. Kagura.
Era tornata nella mia vita, ma la colpa era mia…solo mia.
Mi morsi le labbra, mentre mi maledivo per ciò che era accaduto.
“E’ solo colpa mia! Per via della mia incoscienza ho rischiato di far del male alla piccola”.
Lo feci per molto tempo, fino a che non sentii la porta aprirsi e chiudersi.
Lui era tornato.
Mi spaventai. No, non doveva vedermi in quelle condizioni. Veloce mi misi seduta e guardai in direzione del corridoio. Lo vidi.
“Sei rincasato presto”.
Dissi sorridendo. Un sorriso falso per mascherare quello che mi era accaduto.
Sesshoumaru, poggiò la ventiquattrore sulla poltrona e mi guardò interrogativo. Non rispose. Mi trovai a tremare. Quel suo modo di guardarmi mi faceva paura. Aveva forse capito tutto?
“Che…che…che c’è?”.
Balbettai, mentre lui si avvicinava. Indietreggiai, mentre tremavo.
“Sei uscita?”.
Mi domandò, intanto il suo viso era pochi centimetri dal mio.
“Beh, io…io…sarei…sono…no, sono…restata a casa”.
Stentai una risposta che non lo convinse, anzi assottigliò lo sguardo. Due lame lucenti dorate che mi perforavano l’animo.
“Non ti credo”.
Sibilò. Io mi mostrai offesa.
“Ma…ma che dici?!”.
Alzai il tono di voce, continuavo a mascherare la mia menzogna.
“Sono restata a casa. Qui, seduta sul divano a guardare la tivù”.
Lui mi afferrò con due dita il mento e mi guardò negli occhi.
“I tuoi occhi dicono il contrario”.
Sgranai gli occhi.
“Ha capito tutto!”.
Pensai allarmata, quando lui mi disse.
“L’ho capito anche da come hai parcheggiato la macchina nel vialetto”.
Trattenni il respiro, mentre lui si allontanava da me e si allentava la cravatta. Abbassai il viso.
“Scusami…sì, sono uscita a fare delle compere e poi sono tornata a casa”.
Sussurrai.
Bugiarda!
Mi sentivo in colpa, avevo rotto una nostra promessa. Un giuramento stipulato tre anni fa. Mai più gli avrei nascosto qualcosa, ma ora ero stata costretta.
Che cosa potevo fare? Se gli avessi detto tutto di sicuro mi avrebbe uccisa. Beh, sono un po’ catastrofica…non mi avrebbe più rivolto la parola. Mi avrebbe scacciata da casa. Lui non sopportava e non sopporta tutt’ora un tradimento del genere.
D’un tratto sentii le sue labbra sul mio orecchio destro.
“Ti perdono, ma non farlo mai più”.
Soffiò. Il mio cuore batté forte. Quel suo modo di fare mi faceva impazzire.
Annuii, mentre sentivo il mio viso avvampare.
Si allontanò da me e si diresse di là, nella camera da letto a cambiarsi.
Afferrai un cuscino sul divano e lo strinsi forte al petto, mentre cercavo di trattenere le lacrime.
“Perdonami Sesshoumaru”.
Sussurrai, mentre una lacrima rigava il mio volto. Lo avevo tradito. Asciugai veloce la lacrima e mi rialzai, anche se l’impresa riuscì un po’ faticosa. Infatti, le gambe erano un po’ indolenzite per via della corsa di qualche ora prima. Mi alzai e mi diressi verso la cucina. Dovevo preparare la cena, anche se non avevo molta fame.
Cucinai e cenammo. Evitammo di parlare della scena di prima. Parlammo del più del meno, anche se ero molto tesa…troppo tesa. Finimmo e rassettai la cucina, però quella sensazione non sparì. Mi sentivo sempre in colpa.
“Ora basta Rin! E’ successo e indietro non si può tornare. Quindi è meglio metterci una pietra sopra e far finta che non sia successo”.
Mi dissi, mentre rimettevo dei piatti nella mensola. Finii e andai da lui, che era nello studio a leggere alcuni documenti.
“Lavoro, sempre lavoro”.
Pensai, un po’ scocciata nel vederlo sempre dietro una scrivania. Mi poggiai alla porta e restai a guardarlo qualche minuto, ma poi decisi di andare a letto. Non volevo disturbarlo, anche se volevo che mi abbracciasse. Che mi consolasse.
Sospirai un.
“Buonanotte”.
Lui mi rispose, senza alzare il capo dai fogli.
“’Notte”.
Mi voltai e mi diressi in camera da letto. Mi sentivo stanca. Entrai nella camera e mi cambiai. Mi coricai e chiusi gli occhi, ma non riuscivo a prendere sonno. Ancora sentivo quel malessere opprimente. Quella paura.
Mi rialzai e entrai in bagno. Sapevo cosa volevo, ma ero anche consapevole che era pericoloso.
Aprii l’armadietto dei medicinali e afferrai un flaconcino.
Lo guardai ben, bene. Fissai il liquido trasparente dentro il vetro.
“Sì, sono folle a farlo ma ne ho bisogno”.
Presi il piccolo bicchierino di plastica e lo riempii con il medicinale. Ne versai solo dieci gocce, la metà di quelle che mi erano state prescritte.
Era un tranquillante. Guardai quel liquido, mentre mi dicevo che era una follia quell’azione. Strinsi gli occhi e lo bevvi tutto d’un fiato. Un sapore aspro e mi fece stringere i denti.
Riaprii gli occhi e ritornai a letto. Mi buttai a peso morto e chiusi gli occhi, sperando che la medicina mi aiutasse a dimenticare…a cadere nell’oblio. Ma non fu così.
Mi addormentai.
D’un tratto qualcosa mi svegliò…il pianto di neonato.
Mi alzai indolenzita. Mi sentivo come ubriaca. Poggiai la mano sulla fronte, ero intrisa di sudore. Scrollai il capo e mi diressi verso quel pianto.
“Dove sei?”.
Mi domandai, mentre camminavo nel corridoio. Ma in quell’istante mi sembrò diverso. Era lungo, stretto e decadente.
L’intonaco era scrostato in parecchi punti, vi erano anche tante macchie di umido. Non ero a casa mia, ma in quell’istante non m’importava…mi premeva sapere dove fosse quel neonato.
Camminai per quel corridoio, quando arrivai di fronte a una porta. Dietro ad essa sentii di nuovo quel pianto. Poggiai la mano sul pomello e lo girai. La porta cigolò. Un orribile rumore.
Si aprì e mi mostrò l’interno della stanza. Un’immensa stanza, ma priva di mobili vi era solo una sedia a dondolo al centro.
Sì, una sedia a dondolo e su di essa vi era seduta una persona. Una donna che cullava un neonato che piangeva.
Lo stringeva a sé, mentre canticchiava.
Era vestita di nero, i capelli erano legati, ma alcune ciocche scure mi evitavano di vederne il volto.
Ero curiosa, e poi il pianto di quel bambino era opprimente. Perciò le chiesi.
“Tutto bene?”.
Non rispose. Io le domandai di nuovo se era tutto apposto. Nessuna risposta, continuò a canticchiare quella snervante nenia. D’un tratto si fermò.
Smise di cantare e cullare il piccolo, che ora dormiva.
Sospirai un po’ sollevata, ma restai sempre ferma sull’uscio.
“Voglio vedere il bambino”.
Mi dissi. L’istinto di madre si faceva sentire prepotente. Volevo vederlo, ma qualcosa m’impedì di farlo. Infatti, non riuscivo a muovermi…ero come immobilizzata. Cercai in tutti i modi, ma ci riuscii, quando sentii una risata…una risata beffarda.
“Non riesci a muoverti…mia cara Rin”.
Sibilò, mentre io la guardavo stranita. Conosceva il mio nome.
“Chi sei?”.
Domandai, con una punta di paura.
Lei rise, mentre stringeva a sé il piccolo. D'un tratto smise di ridere e cominciò a lamentarsi.  Scuoteva il capo. I suoi capelli si slegarono e caddero scomposti sulle spalle.
Rabbrividii.
“La tua mamma è una sciocca”.
Piagnucolava, mentre io cominciavo a tremare.
“Oh, povera creatura…la tua mamma si è scordata di me...si è scordata di te…”.
Sgranai gli occhi, mentre diceva queste parole, che mi trafiggevano l’animo come la lama di una spada.
“Chi…chi..sei?”.
Balbettai in preda al terrore. Lei rise.
“Colei che ti voleva, che agognava una vita umana…ma grazie a questa creatura la mia sete è stata appagata”.
Un dubbio mi sorse, infatti, le domandai con voce roca e carica di paura.
“A…cosa…ti…riferisci?”.
Lei lentamente voltò il capo verso di me. Io sbiancai.
“Ka…Ka…gura…”.
Balbettai, mentre sentivo le gambe molli.
Lei rise di gusto nel vedermi in quello stato.
“Sì, mia cara”.
Io scuotevo il capo, mentre mi dicevo che non era vero, quando lei mi disse.
“Mia cara, è dolce tenere tra le braccia la tua bambina”.
La guardai stupita e poi le urlai.
“Tu menti!”.
Lei rise di più. Il mio modo di fare la divertiva.
“No”.
“Non ti credo, lei è qui dentro di me!”.
Le urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. Kagura scosse il capo e con l’indice della mano destra, m’indicò.
“Guarda attentamente il tuo ventre”.
Io abbassai lo sguardo e urlai dall’orrore. La mia camicia da notte era macchiata di sangue. Sangue che colava veloce a terra.
Quel liquido rossastro mi teneva inchiodata al pavimento.
Poggiai le mani sul ventre, ormai vuoto del suo frutto. Urlai come una pazza.
“RIDAMMI MIA FIGLIA!”.
Lei rideva felice di avermi distrutto.
Di avermi tolto mia figlia…



Continua…



_________________
Mi fermo qua, perché sono sadica…ma pochino, pochino…
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Un bacio ^^.


   
 
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