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Autore: lispeth_    19/08/2011    5 recensioni
Guardava quegli occhi neri come la pece percorrere tutta la stanza. La stava cercando, sentiva il suo respiro ansioso di poterla toccare un'altra volta. Roxanne voleva urlare, ma facendo così avrebbe rivelato il suo nascondiglio all'assassino. La sua risata le fece gelare il sangue. "Ti troverò Roxanne Holmes, non puoi scappare" ringhiarono le sue labbra. Non era umano, era un mostro. E andava fermato, prima che fosse troppo tardi.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aveva riempito la pagina del quaderno con il suo nome senza nemmeno conoscerlo. Sapeva solo che era nuovo e che tutti lo stavano fissando mentre la professoressa continuava a parlare di un certo Shakespeare ormai morto da troppo tempo. I suoi capelli erano biondissimi quasi bianchi. I suoi occhi erano neri come la pece. Roxanne non aveva fatto altro che fissarlo per tutta la lezione  quasi come se non potesse farne a meno, forse era quell’alone di novità che lo ricopriva a suscitare la sua curiosità; altrimenti non ci sarebbero state altre spiegazioni plausibili a riguardo. Che cosa sapeva di lui? Veniva dal Texas e aveva la sua età. Le informazioni non erano passate oltre a questo, il mistero di quel ragazzo rimaneva ancora invalicabile perfino dalla lingua lunga di Cheryl che sapeva tutto di tutti, senza che nessuno le avesse mai parlato davvero.
Ciò che la attirava così tanto era la sua stravanganza in confronto al contorno degli studenti attorno a lui. Quel genere di stranezza Roxanne la conosceva molto bene. Lei stessa era considerata “strana” dalla società e da chiunque la vedesse per strada. A dare il loro contributo erano i vestiti che indossava, sicuramente nessuno si sarebbe mai vestito come lei. Quel giorno indossava una gonna lunga color cioccolato e una maglietta verde scuro quasi lunga quanto la gonna; unico elemento brillante nel suo vestiario era una lunga collana con un pendaglio a forma di piuma. Era color oro ed era l’unica cosa che sua madre le aveva regalato prima di andarsene per sempre, conservava quel cimelio gelosamente, non lo aveva mai prestato a nessuno. Scrisse ancora una volta “Adrian” sul suo quaderno pensando che fosse stupido inventarsi un nome di sana pianta invece di chiederglielo direttamente,  ma nessuno aveva il coraggio di parlare con quel ragazzo. Era così calmo eppure tutti avevano paura di lui. Quel giorno indossava una felpa troppo grande per il suo esile corpo e i jeans sembravano essere troppo strappati per essere stati acquistati in quello stato.
E se si fosse veramente chiamato Adrian? Roxanne aveva un sesto senso, riusciva sempre a intuire ogni cosa, ogni particolare nel carattere di una persona che stava analizzando.
Per quel ragazzo era stata la stessa cosa. Lo aveva guardato un secondo negli occhi e il nome Adrian le si era scritto praticamente davanti agli occhi, come un’insegna luminosa. I suoi occhi urlavano quel nome ogni volta che il suo sguardo viaggiava per la stanza incontrando inevitalbilmente quello di Roxanne.
Quegli occhi le gelavano il sangue. Sembrava che in un attimo potessero graffiarti dentro come piccoli pezzi di vetro impossibili da rimuovere. Ti ferivano per poi fuggire ancora dall’altra parte dell’aula senza nemmeno preoccuparsi del danno commesso. Gli occhi del serial killer.

La campanella la fece sobbalzare, nemmeno si era accorta che fosse passato tutto quel tempo. Si alzò lentamente aspettando che Renee la raggiungesse; era la sua amica di sempre, si conoscevano dalle elementari per poi essersi incontrate ancora una volta al liceo. Ed ora erano all’ultimo anno. Tanto studio, diploma, ballo di fine anno e infine futuro. Quel futuro ancora troppo lontano eppure così vicino che le faceva pulsare le vene delle gambe ogni volta che ne sentiva parlare.
Roxanne non aveva mai avuto un buon rapporto con il futuro. Aveva sempre sognato di diventare come Lara Croft da piccola. Sognava di indossare pantaloncini corti e una canottiera striminzita e viaggiare per il mondo, in luoghi che nessuno mai aveva osato passarvici. Sognava di essere coraggiosa come la sua eroina ma probabilmente non era mai uscita dal suo guscio protettivo diventato ormai con gli anni troppo spesso. Invalicabile perfino dai sogni.
E così aveva smesso di sognare, di desiderare e perfino di piangere. In un attimo si era trasformata nel cadavere di sua madre senza effettivamente essere morta.
“Certo che sei l’allegria a persona questa mattina, il tuo sorriso illumina la stanza” disse Renee avvicinandosi quasi saltellando su se stessa. Roxanne ammirava la spontaneità di Renee, era sempre felice qualunque cosa le capitasse e non si lasciava attaccare dai problemi. Che grande fortuna sarebbe stata avere quel lato di Renee, almeno Roxanne non avrebbe dovuto gestire la sua vita in mezzo alle preoccupazioni.
“Mi sono svegliata dalla parte sbagliata del letto questa mattina...può capitare” rispose Roxanne raccogliendo i suoi libri sotto braccio. Si voltò verso il suo banco e lui non c’era. “E’ sparito” esclamò quasi come se ne fosse davvero stupita, in fondo non poteva certo pretendere che stesse lì per tutto il giorno ad aspettarla.
“Chi è sparito?”
“Il ragazzo che era seduto all’ultimo banco, quello con i capelli biondissimi...”
“Ah Adrian Kain dici? Bè effettivamente si muove quasi come uno spettro, non lo noti nemmeno quando arriva in classe” disse Renee sorridendo mentre Roxanne  fissò incredula l’ultimo banco vuoto.
Non era possibile.Era successo di nuovo. Roxanne era riuscita ad intuire il suo nome senza nemmeno chiederglielo. A volte era spaventata da quel suo strano potere. Anche se non sapeva se era un vero e proprio potere o semplicemente coincidenza.
La prima volta le era successo quando era ancora piccola. Aveva quattro anni quando era amica di Ginevrè Johnson, la ragazza più adorabile del quartiere. Era conosciuta da tutti come la bambina dai capelli rossi. I suoi capelli sembravano dipinti da un pittore che aveva esagerato con le pennellate. Illuminati dal sole sembrano proprio fatti di fuoco, eleganti fiamme che ballavano a tempo del vento primaverile. Roxanne adorava quella bambina, era gentile con tutti e le portava sempre del buon pane con la marmellata di pesche. Non aveva mai mangiato così tanto come in quel periodo. Era colpa di sua madre che sotto farmaci non riusciva nemmeno ad alzarsi dal letto. Così Roxanne era sempre insieme a Ginevrè e lei la considerava quasi come fosse sua sorella maggiore.
Era bastata una gita in montagna e una piccola frana a distruggere quella fata dai capelli rossi. In un attimo scomparve nel vuoto quasi come stesse volando. Ma fu perduta per sempre. Il brutto di quella vicenda fu il fatto che Roxanne sapesse già tutto. Aveva sognato quell’evento la notte prima, ma non ci aveva dato peso. Un corvo stava inseguendo Ginevrè nel bosco, furiosamente strappava pezzi di capelli rossi. Ginevrè urlava di dolore e tentava invano di liberarsi. Ad un certo punto il corvo riuscì a prenderla per il collo e la trascinò in un dirupo facendole perdere l’equilibrio. Roxanne si era svegliata sudata ma non aveva dato peso a quel sogno, fino al giorno dopo. Il giorno della scomparsa di Ginevrè.
Da quel momento Roxanne capì di non essere una ragazza normale, come i suoi genitori lo avevano capito ancora ai suoi primi anni di vita.

 
******
 
“Hai intenzione di tornare sulla terra, Roxi?” le chiese Renee riportandola alla realtà. La figura di Ginevrè ingoiata dal vuoto scomparve nel nulla e ritornarono i colori ingialliti dell’aula.
“Scusa mi capita spesso in questi giorni”
“Diciamo che ti capita da quando ti conosco” disse Renee alzando gli occhi al cielo. Conosceva Roxanne dalla prima elementare e non era mai cambiata. Capelli castano scuro e due ciocche rosa. Non aveva mai capito il perchè di quelle ciocche rosa quando Roxanne odiava quel colore, ma le donavano  ancora a diciotto anni.
“Oggi non posso fermarmi a pranzo, devo tornare a casa... c’è Noah” disse Roxanne dicordandosi del suo odioso fratellino piccolo non ancora del tutto autosufficiente. Da quando sua madre era morta, Roxanne aveva preso il suo posto poichè il padre James, avvocato, non era quasi mai in casa e lavorava tutto il giorno. Quindi il compito di accudire il fratellino Noah di sette anni spettava sempre alla povera Roxanne che aveva rinunciato a regolare la sua vita per aiutare gli altri.
Dopo aver lasciato Renee all’entrata della scuola, Roxanne si diresse verso casa a passo svelto quasi come se qualcuno la stesse seguendo. Arrivò davanti alla porta d’entrata in cinque minuti con il fiatone, si appoggiò allo stipite della porta appena pensando a quanto fosse stupida ad avere paura. Di che cosa aveva paura poi? Chi poteva mai seguirla?
“Che ci fai appoggiata alla porta?” chiese Noah con la sua solita curiostià da bambino, a volte Roxanne non sopportava le sue continue domande. Alla sua età Roxanne non era così curiosa di conoscere il mondo, preferiva rimanere nell’ombra con le proprie certezze.
“Niente, perchè non ti fai gli affari tuoi?” chiese Roxanne entrando in casa e dirigendosi immediatamente in cucina. Voleva preparare velocemente il pranzo. Non vedeva l’ora di chiudersi in camera ed immergersi nel suo mondo. Osservò rosolare due hamburger nella padella per poi servirli a tavola. Noah si accontentava sempre dei miseri pranzi preparati dalla sorella, si accontetava di tutto e non pretendeva mai di più. Roxanne pensava che Noah fosse l’unica persona al mondo soddisfatta della propria vita. Pensandoci tutti desideravano qualcosa in più per arrivare a una perfezione di vita irraggiungibile. Questo desiderio sembrava essere assente in Noah. Ma forse era il fatto che avesse ancora sette anni.
“Papà cena con noi questa sera?” chiese Noah con i suoi suoi innocenti occhi azzurri.
“No lavora fino a tardi”
“Anche questa sera?”
“Lavora fino a tardi ormai da tre anni Noah” disse Roxanne quasi scocciata nel rispondere a quelle semplici domande. Lei non odiava suo padre, ma odiava il suo modo di reagire alla morte della madre. Anzichè stare con la sua famiglia, si era buttato a capofitto nel lavoro senza darsi un attimo di respiro. Tutto per dimenticare. Perchè voleva dimenticarla? La sua morte non era certo stato un dispetto.
Eileen Mills era morta circa tre anni prima a causa di un cancro al seno. Lentamente quella macchiolina nera all’interno del suo corpo aveva spento  tutto il suo entusiasmo, la sua generosità e il suo buon profumo di cocco tra i capelli. Si era portata via il suo sorriso. Perfino la luce che brillava negli occhi ogni volta che raccontava una storia.
Roxanne amava sua madre, come Eileen amava sua figlia. Era l’unica a pensare che sua figlia fosse del tutto normale e che non avesse alcun difetto. Con lei accanto Roxanne sperava di poter raggiungere quella normalità tanto desiderata. Invece la vita le aveva teso quel tranello portandosela via con se, disperderla nell’aria e cancellarne l’esistenza.
Roxanne si era accorta anche di come fosse cambiato suo padre dopo quel giorno. Perfino lui aveva smesso di credere nei sogni e nei desideri. Aveva versato tutte le sue lacrime all’ospedale prosciugando tutta la sua riserva. Da quel giorno non aveva più pianto, quasi come se niente fosse così profondo da toccare il suo nuovo ego bello, pulito e inattaccabile.


 
******
 
Il pranzo finì nel completo silenzio, si sentiva tichettare solamente i piatti che venivano riposti nella lavastoviglie. Noah corse fuori dalla stanza per andare ad esercitarsi al pianoforte, mentre Roxanne raggiunse la sua camera sotto le note di “Moonlight” di Beethoven.
Distesa nel letto, Roxanne Holmes cominciò a pensare a quanto fosse triste la sua vita. Reclamava in continuazione la normalità senza mai riceverla. Avrebbe preferito essere parte di una di quelle famiglie che non avevano nulla da chiedere siccome avevano già tutto. No, non stava desiderando di essere ricca. Stava semplicemente desiderando una famiglia normale, con problemi normali. Ciò che le era stato dato invece non aveva assolutamente niente di normale: un padre troppo assente, un fratello chiacchierone e troppo intelligente, una madre morta per una malattia che veniva curato quasi ogni giorno e una continua oppressione nel cuore di Roxanne che non tardava a raggiungerla ogni volta che varcava la soglia di casa. Si sentiva perennemente sospesa su un filo. Barcollava a causa del vento di parole che le ronzavano nella testa senza che lei riuscisse a decifrarle. Sarebbe caduta? O un giorno avrebbe raggiunto quell’equilibrio tanto desiderato? Era strano, ma si sentiva terribilmente sola a diciotto anni. Ogni volta che raggiungeva il suo letto e cominciava a fissare il soffitto troppo bianco pensava a quanto fosse infelice,nonostante avesse una migliore amica, un padre che non rompeva troppo le scatole e un fratellino che nonostante fosse troppo logorroico a volte le dava dei consigli davvero intelligenti. Era sola perchè? Che cosa mai poteva mancarle nella sua vita?
Chiuse gli occhi oscurandosi dal mondo sotto le note del suo cantante preferito. Si trovava in una foresta. Gli alberi erano talmente  fitti da coprire interamente il cielo ma una strana luce le faceva da guida. Era bianca e invogliava Roxanne a seguirla. Gli alberi si spostavano al suo passaggio ma quella luce era sempre troppo lontana per essere raggiunta. Roxanne era accaldata e stanca, era stufa di camminare invano. Ma un rumore alle sue spalle la fece proseguire. Era sicura che qualcuno la stesse seguendo così accellerò il passo fino quasi a correre. La luce era sempre troppo lontana e il suo inseguitore sembrava essere sempre più vicino, riusciva perfino a sentire il suo respiro caldo sul collo. Nel momento in cui si sentì afferare il braccio Roxanne pensò di essere finita per sempre. Ma quando si girò rimase immersa in quegli occhi neri,come gli abissi più profondi del mare. Adrian Kain stava scalfendo i suoi occhi e lei non aveva alcuna intenzione di fuggire. Nonostante provasse dolore Roxanne non voleva abbassare lo sguardo. I suoi occhi gocciolavano sangue. Avrebbe potuto resistere per mesi nonostante stesse soffrendo, ma Adrian scomparve, proprio come aveva fatto quella mattina a scuola.
Roxanne si svegliò improvvisamente notando di star piangendo, le lacrime sostituivano le gocce di sangue del sogno.

 
 
******

“Ho bisogno di te” quelle poche parole riuscirono a convincere Sawyer Levine a raggiungere casa Holmes in meno di tre minuti. Nonostante fossero passati tre anni e mezzo, Sawyer amava Roxanne come il primo giorno, peccato che per Roxanne non fosse la stessa cosa. Suonò il campanello in preda al panico, non era solito ricevere messaggi del genere da parte di Roxanne. Aveva paura che le fosse successo qualcosa di grave.
Fu lei ad aprire immediatamente la porta.
“Ehi che cosa è successo?” le chiese immediatamente in preda al panico, sperava tanto che Roxanne non avesse deciso di rinunciare alla loro relazione. Pensare a Sawyer senza Roxanne, era come pensare a un uccello senza ali.
“Ho fatto un brutto sogno e avevo bisogno di parlarne con qualcuno” Roxanne si stupiva delle sue stesse parole. Aveva davvero chiamato Sawyer per uno stupido sogno? Effettivamente quegli occhi erano stati capaci di gelarle il sangue nonostante Roxanne si sentisse ardere in ogni parte del corpo. Sawyer rimase spiazzato per qualche secondo e accolse tra le braccia il corpo esile di Roxanne senza dire assolutamente niente. Sentiva il suo respiro contro il suo petto e le lacrime che le scorrevano dagli occhi attraverso la sua felpa.
“Andiamo in camera tua dai” disse improvvisamente prendendole la mano  e raggiungendo la camera di Roxanne. Chiuse la porta alle sue spalle e guardò negli occhi la ragazza che amava più di ogni altra cosa al mondo. Si stava chiedendo il perchè lei non provasse la stessa cosa per lui? Che cosa avrebbe dovuto fare?
Vedere però quegli occhi nocciola inumiditi dalla paura gli fecero cambiare completamente idea, lei aveva bisogno di lui e lui avrebbe fatto di tutto per aiutarla.
Roxanne si distese nel letto a pancia in su riprendendo a fissare il soffitto.
“Potresti venire qui?” gli chiese voltandosi verso di lui ancora in piedi davanti alla porta chiusa. Lui lentamente si sedette sul letto per poi stendersi accanto a lei. Roxanne si sentiva al sicuro ogni volta che Sawyer la teneva tra le sue braccia. Sawyer era un porto sicuro. Sawyer era ciò che la vita le aveva regalato per buona condotta, anche se non era abbastanza da farle esplodere il cuore. Quello che provava per Sawyer purtroppo non era quell’amore che Roxanne desiderava tanto trovare. Le sue dita le attraversarono i capelli cancellando ancora una volta quei pensieri indesiderati. Erano in crisi, ma lui era venuto lì per lei. Senza alcuna esitazione. Perchè Sawyer non poteva entrarle nel cuore?
-Sarebbe stato tutto più facile- pensava Roxanne mentre chiudeva ancora una volta gli occhi.
Si pentì di averlo fatto. Non appena chiuse le palpebre rivide ancora una volta quegli occhi predatori che le toglievano il fiato. Volevano ucciderla. Ma lei era accanto al suo angelo dai capelli neri quella volta. Finchè era tra le braccia di Sawyer quel demone bianco non avrebbe potuto farle del male.
“Sono contenta che tu sia qui” sussurrò all’orecchio destro di Sawyer sorridendo appena,sentendo che quelle parole esprimevano realmente il suo stato d’animo.
“Anche io” rispose Sawyer voltandosi verso quella pelle lattea troppo fragile appoggiando lentamente le sue labbra per paura di farle male. Quel piccolo bacio sulla sua fronte fece scomparire gli occhi di Adrian Kain e finalmente Roxanne si addormentò  in un sonno senza sogni.
  
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