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Autore: _JiMmY_    24/04/2006    5 recensioni
Un'adolescente e suo fratello che si trasferiscono a Toronto. Una nuova scuola, una nuova casa, nuove amicizie. E tra queste, il gruppo dei Sum 41. Quattro ragazzi non poi così diversi dagli altri...(mi è venuta di getto questa fic, siate buoni u.u)
Genere: Generale, Romantico, Commedia, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“ Stai dicendo un sacco di stronzate Lou…” dico esattamente queste parole a mio fratello mentre il paesaggio ci scorre di fianco, oltre i finestrini

Just Another Day in L.A.

(Christopher Franke)

 

 

 

 

“All of me, why not take all of me
Can't you see I'm no good without you?
Take these arms, I want to lose them
Take these lips, I'll never use them
Your goodbye, left me with eyes to cry
How can I go on dear without
You took the part that once was my heart
Why not take all of me?”

 

 

 

24 Agosto 2000

 

 

Stai dicendo un sacco di stronzate Lou…” dico esattamente queste parole a mio fratello mentre il paesaggio ci scorre di fianco, oltre i finestrini. “Modera il linguaggio Damien, almeno davanti a me” la voce di mio padre proveniente dal sedile anteriore dell’auto mi distrae, dando tempo a Lou di tirarmi un pugno dritto al fianco sinistro. Nonostante le apparenze siamo molto legati io e lui. Sarà per il fatto che siamo gemelli forse, anche se fisicamente ci assomigliamo poco. Lui ha un colore di occhi che ho sempre adorato, neri come la pece, mentre io mi sono dovuta accontentare di una strana via di mezzo fra il verde e l’azzurro. Alex, mia madre, quando ero bambina prima di mettermi a letto mi diceva sempre che anche gli angeli avevano occhi belli come i miei. Questo naturalmente prima di abbandonare me, e la mia famiglia, all’età di dodici anni per andare a vivere con un altro uomo. Papà non si è mai veramente ripreso del tutto e adesso, a cinque anni dall’accaduto, ha deciso di prendere in mano la nostra bella situazione, fare armi e bagagli e trasferirci. Per questo al momento ci troviamo in macchina, diretti da Boston a Toronto, Canada. Un bel, fottuto, cambiamento, non c’è che dire “Ok pà…” gli rispondo, mollando subito dopo un ceffone a mio fratello, prendendolo in pieno all’altezza della scapola destra. Mi afferra una ciocca di capelli con una mossa fulminea, biondi esattamente come i suoi, avvicinandosi al mio orecchio, come a non volersi fare sentire da terzi “Ben ti sta…e comunque io non dico cazzate, lo sai benissimo che ho ragione…” e mentre mi lascia andare, riportando lo sguardo sul filare di alberi che ci sfreccia accanto, ripenso a come è nata la nostra discussione, circa un’ora fa. Si è cominciato semplicemente parlando delle nuove amicizie che ci faremo a Toronto e poi il tutto è degenerato. Sì perché Lou non crede che avrò modo di avere molti amici.. dice che ho un carattere di merda. E che lì non saremo a Boston, specialmente nel nostro quartiere, dove solitamente in genere le ragazze non hanno atteggiamenti molto femminili. Ma io sono così, ok? Cosa ci posso fare.. odio andare in giro per negozi a fare shopping, a meno che non si tratti di musica, strumenti musicali o quei negozietti dove vendono ogni tipo di maglietta delle band e vari aggeggi come spille, polsini, cappelli e varie. Odio i film romantici, odio la danza, odio le frivolezze, il rosa, truccarmi come se dovessi andare ogni giorno ad un matrimonio. I matrimoni naturalmente, visto come è finito quello tra mio padre e mia madre. Invece adoro lo skate.. suonare la chitarra, il punk, vestirmi come i ragazzi. E mio fratello pensa che nessuno capirà queste mie esigenze. Dio, manco stessimo andando a Lourdes. O invece ha davvero ragione lui? Non sopporterei di ritrovarmi in mezzo ad un gruppo di adolescenti menose che la sera tenta di portarmi in discoteca per rimorchiare qualche ragazzo senza un briciolo di cervello. Ah, ma Lou invece non avrà problemi. E’ un bel ragazzo lui e sotto il punto di vista “ragazze-cotte-di-me” non credo che troverà difficoltà. Per quanto riguarda gli amici, non è particolarmente interessato a conoscere qualcuno, è sempre stato un tipo sulle sue. Introverso fino al midollo, forse addirittura autorespingente. Sì, questa cosa gliela dico ogni giorno, e fa ancora il suo effetto. Esco dai miei pensieri, che so già non mi porteranno ad una conclusione, e osservo per un attimo quel ragazzo diciassettenne che mi sta seduto accanto. Lui è quello che ha preso peggio di tutti l’abbandono di nostra madre, forse perché è sempre stato un mammone sin da quando è venuto al mondo, quindici minuti dopo di me. Io sono quella che ha sempre cercato l’indipendenza per ogni cosa, lui No. Anche se poi ha sempre fatto di testa sua ogni volta…perché Alex le dava a lui tutte vinte. Già…io avevo papà dalla mia parte, è sempre stata una lotta di potere fino all’ultimo. Ma alla fine era divertente, ci guadagnavamo sempre qualcosa entrambi. Poi chiaramente non è stato più così. Mi accorgo che lo sto fissando da almeno dieci minuti solo quando Jack ferma la macchina, inchiodando come se fossimo ad una gara di rally, un sorriso smagliante sul volto non appena si volta a guardare noi due sul sedile posteriore “Ragazzi miei, siamo arrivati…” Abbasso il finestrino alla velocità della luce, sporgendomi poi fuori dallo stesso per vedere meglio. Diavolo strabecco! Questa sì che è una maledetta, bellissima casa! Una villetta, con giardino proprio, un piccolo portico. Non sono abituata ad una cosa del genere.. fino a ieri abitavamo in un piccolo appartamento all’ottavo piano di un palazzo nel pieno centro di Boston. Affitto carissimo, traffico intenso ad ogni ora del giorno e della notte, impossibilità a muoversi con l’auto all’ora di punta. Ne a tutte le altre. Qui invece sembra tutto così tranquillo che appare surreale. Poche macchine, strade larghe, alcune persone che curano i loro giardini o fanno grigliate per il pranzo. Ed è sentendo il profumino proveniente da una di queste che mi rendo conto di quanto tempo abbiamo passato in macchina. Saranno almeno quarantotto ore, due giorni ininterrotti. Se non per qualche pausa riposino o un boccone veloce. Apro la portiera e quando metto i piedi a terra per poco non perdo l’equilibrio tanto mi sono diventate insensibili le gambe. Lou mi regge per un braccio, senza staccare gli occhi da quella che è ufficialmente la nostra nuova casa “Per la miseria Jack, questo sì che è un bel posticino…” Anche questa è una cosa che ha sempre accomunato me e mio fratello, allontanandoci allo stesso tempo. Entrambi abbiamo l’abitudine di chiamare per nome uno dei nostri genitori. Per me mia madre è sempre stata Alex, per lui nostro padre è sempre stato Jack. E nessuno a mai avuto da ridire..

Nostro padre chiude la macchina, raggiungendoci di fronte al cancelletto che da sul sentiero piastrellato che porta direttamente alla porta di Casa Nostra “Effettivamente è una bellezza…” e ci sorride. Mi fa sempre piacere vederlo allegro, ultimamente non è capitato molto spesso. Se abbiamo accettato di fare questo sacrificio, abbandonare la nostra scuola, le nostre amicizie, i nostri affetti, è stato solo ed esclusivamente per lui. Che ne ha passate fin troppe forse. Li osservo entrambi rendendomi conto, come se non lo avessi già fatto in precedenza, da chi abbiamo preso. In tutti i sensi. E mi va più che bene così, sinceramente.. Penso che lui non ci abbandonerà mai, ecco la verità. Non farà come Alex. Lei forse non ci amava abbastanza.. per cinque anni non abbiamo più avuto sue notizie, non è mai venuta a trovarci, non ci ha mai scritto. Per quanto mi riguarda l’ho cancellata dalla mia vita…

 

 

9 Settembre 2000

 

Cavolo, oggi è il mio primo giorno di scuola. A dir la verità lo è anche per Lou, ma lui sembra agitato la metà di me. Per casa siamo ancora pieni di scatoloni per metà imballati e i miei vestiti sono sparsi dappertutto, per lo più alla rinfusa nell’armadio e sul letto. C’è qualche maglietta sul pavimento, ma penso di poterci chiudere un occhio. Mi fermo di fronte allo specchio nell’anta interna dell’armadio a muro, girando su me stessa un paio di volte, prima di convincermi che il giallo e il verde della mia maglietta non mi fanno assomigliare ad un pagliaccio come continua a ripetermi mio fratello da questa mattina quando mi sono svegliata. Un paio di jeans trovati a caso, la mia maglietta preferita e naturalmente le mie scarpe del cuore. Sì ok, si possono avere le scarpe del cuore, no? Le mie sono loro, le sorelle bonbon. Un paio di Converse All Star vecchie di cinque anni, viola con dei piccoli teschi bianchi, disegnati da me, e stringhe verde brillante. Le adoro. Sono un po’ il mio portafortuna e si può anche notare dallo stato semi pietoso in cui si ritrovano…un buco all’altezza del tallone, suola che minaccia di scollarsi da un momento all’altro, stringhe sfilacciate. Ma continuo testardamente ad indossarle, come una specie di talismano che non deve allontanarsi da me, ecco. Raccolgo velocemente i capelli in una coda, infilandomi in testa il mio cappellino degli All Black, per poi dirigermi in cucina con la velocità di un missile nucleare. Lou è già lì che mi aspetta, con lo zaino sulle spalle e l’aria spazientita di chi ha finito di prepararsi da un’ora e non ne può più “con calma Miss Emo Girl, tanto siamo in ritardo di soli venti minuti…”  Gli lancio addosso una frittella, mentre ne mastico una seconda a grandi bocconi. Papà è già uscito, doveva andare a lavoro molto presto. Quando ha fatto il colloquio per questo posto un mese fa, non avrei immaginato che l’avrebbero preso. Invece è successo ed è soprattutto grazie a questa novità che ci siamo trasferiti. Meglio così, sinceramente. Mando giù un intero succo di frutta, prima di afferrare la mia borsa, praticamente vuota. Essendo il primo giorno non ho la più pallida idea di quali libri scolastici portare, quindi mi sono armata di un diario e un paio di biro colorate, giusto per annotarmi quello che c’è da annotare, per avere un’idea chiara dei miei compagni e dei professori. Lo faccio sempre, tutti gli anni, non vedo motivo perchè questa volta dovrebbe essere diverso. Mio fratello lancia un’occhiata alla borsa, nello stesso momento in cui apre la porta di casa, chiavi alla mano “guarda che manca la spilla dei Rancid…” Mi riprendo del tutto dal torpore mattutino a quella notizia, abbassando velocemente la testa per vedere se una delle mie preziose spille si è realmente staccata dalla stoffa della borsa oppure No. E il suo scherzo va a segno, perché non appena chino la testa, mi tira uno schiaffo sulla fronte con il palmo aperto “ma ci caschi sempre Dam, con te non c’è gusto…” Gli rispondo con un gesto poco elegante, mentre mi chiudo la porta alle spalle, avviandomi lungo il sentiero cementato che porta fino alla strada. Ok, il momento fatidico si avvicina, piano e sangue freddo Dam. Sì, così mi chiama sempre mio fratello, anche se la maggior parte delle persone quando lo sente dire, lo scambia per un’altra cosa. Fortunatamente la fermata del nostro autobus è a cinquanta metri oltre il nostro giardino, perciò è lì che ci dirigiamo, prendendo posto sulla banchina d’attesa assieme ad una vecchietta che avrà si e no una settantina d’anni. E’ una nostra vicina, la signora Barry e ogni volta che mi vede mi chiede se ho visto il suo gatto in giro. Ormai, come mi ha detto mio padre, ho rinunciato a risponderle che il suo gatto è morto due giorni dopo che siamo arrivati qui, steso da una macchina. Ma sembra così convinta che sia ancora vivo che fa quasi pena povera donna.. assecondarla tanto non mi costa niente. Le regalo un sorriso poco convinto proprio nel momento in cui arriva il nostro autobus. Salgo prima di mio fratello, avendo visto un posto libero a sedere, e mi ci fiondo, quasi distruggendo la spalla della ragazza che si ritrova accanto a me “Ehm, scusa…”  abbasso la visiera del cappellino, lasciando cadere la borsa ai miei piedi, mentre Lou se la ride di gusto. In piedi comunque. La ragazza accanto a me invece di prendersela mi sorride e prende a fissarmi con una curiosità negli occhi che mi mette non poco a disagio. Prima però che io possa aprire bocca, mi sorpassa, portandosi un dito sotto il mento “Stai andando alla Season?” chiede e, quando sento il nome della mia scuola, annuisco, voltandomi del tutto verso di lei per osservarla meglio. Decisamente non sembra una di quelle ragazzette fashion che avevo tanto paura di conoscere… Porta i capelli castani tagliati corti, non vedo una sola ciocca della stessa misura dell’altra. Ha grandi occhi verde scuro, niente trucco se non una traccia di Eyeliner, una maglia blu a maniche corte e un paio di jeans che le arrivano appena sotto le ginocchia. Quello che più mi colpisce, come mio solito, sono le scarpe. Anche lei porta le All Stars, completamente nere, tranne la parte della punta che probabilmente lei stessa ha colorato di fucsia. Come le stringhe. E mi viene improvvisamente da sorridere…ho una fortuna sfacciata. “Sì, è il mio primo giorno…” e già mentre lo dico mi accorgo che è il primo giorno di scuola per tutti. Mio fratello, vicino alle porte di salita, sente tutto e se la ghigna sotto i baffi. Ma cerco di non dargli corda, continuando ad osservare la ragazza seduta accanto a me “Capisco…non mi sembrava di averti mai vista in effetti…”  Così ci va anche lei. Ok, adesso spera. Comunque io sono Andrea…” mi tende la mano e io gliela stringo senza farmi eccessivi problemi. E’ un’occasione troppo ghiotta per fare la sostenuta. La prima ragazza che incontro e conosco sembra essere simile a me in tutto e per tutto e, cosa importante, frequenta anche la mia nuova scuola “Damien…” Già immaginavo che mi avrebbe fatto domande su un nome così strano e invece si limita ad annuire, tornando per un attimo a guardare fuori dal finestrino “La prossima è la nostra…” dice, ed effettivamente noto con la coda dell’occhio Lou che preme il bottone per prenotare la fermata. Così mi alzo, recuperando la mia borsa e mettendomela a tracolla, tenendomi per non cadere alla brusca frenata del conducente. Scendo dall’autobus dando una spallata a mio fratello, che borbotta qualcosa sottovoce, seguendomi a ruota. E’ solo adesso che Andrea lo nota, fermandosi accanto a me sul marciapiede. Si guardano per qualche secondo in silenzio, poi capisco “ah scusa, vero…questo è mio fratello, Lou…” Mi sistemo alla bel e meglio il cappellino degli All Black mentre loro si stringono la mano come abbiamo fatto poco prima io e la mia nuova conoscente. Alzo lo sguardo per dare un’occhiata nei dintorni e finalmente la vedo, la nostra scuola…una palazzina color arancione chiaro, di mattoni, dall’aria decisamente moderna. Un giardino dalla parte dell’entrata, pieno zeppo di studenti dai quindici ai diciannove anni in media, in attesa di poter entrare per le lezioni. “Non ti spaventare per la quantità di gente…tre quarti di quelli non meritano nemmeno di essere conosciuti…” Mi volto verso Andrea giusto il tempo di vederla mentre mi fa l’occhiolino. Accenno un sorriso. A quanto apre la pensa anche come me. Alzo appena le spalle, girando la visiera del cappellino di lato, ma solo per qualche centimetro, in modo da vedere bene dove metto i piedi, senza rischiare di prendere dentro qualcuno. Rischiare una rissa già il primo giorno di scuola mi sembra la cosa meno appropriata, papà non gradirebbe un richiamo dal preside già oggi. Credo che dovrà aspettare almeno una settimana sì, poi potrà anche cominciare a mettersi le mani nei capelli. Alla fine ci avviamo insieme lungo il viale che porta all’ingresso, credo di aver capito che ormai è lei la nostra guida ufficiale all’interno della scuola.

Tiro fuori dalla borsa la lettera che ci è arrivata la settimana scorsa dalla Season, con indicati il piano delle lezioni e la mia classe a grandi lettere arrotondate. La firma del preside in fondo alla pagina non era stata timbrata.. strano. Piano Secondo, classe 4 D. Come l’iniziale del mio nome. Lancio un’occhiata verso Lou, che invece deve dirigersi al primo piano. Sapevamo fin dall’inizio che non ci avrebbero mai messi nella stessa classe, non capita facilmente che mettano assieme due fratelli o due sorelle. Neanche misti bi. “Vedi di non farti cacciare in presidenza già da oggi…” mi da una pacca sulla spalla, dandomi poi un bacio sull’orecchio, ben sapendo quanto io lo odi “Lo stesso vale per te sapientone…non vorrei doverti trovare per i corridoi…” Alzo una mano per salutarlo e lo stesso fa Andrea, poi quando mio fratello sparisce alla nostra vista quasi travolto da una trentina di altri ragazzi, ci incamminiamo verso le scale che portano al secondo piano. Anche lei è nella mia classe, un altro colpo di fortuna. Cavolo, arrivano proprio uno dopo l’altro, incredibile. Che sia davvero il posto a portarmi bene? Sarà…chissà perché ma ho come l’impressione che non sia finita qua…quella sensazione in fondo allo stomaco che ti fa dire “Ehi, qui deve succedere qualcosa da un momento all’altro” – Ragione, perfettamente ragione -.

 

 

 

  
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