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Autore: Dk86    21/08/2011    4 recensioni
“Sappiamo tutti perché siamo qui, no?”.
A quelle parole seguì un lungo silenzio.[...] Solo Kurt scattò in piedi a sua volta, una luce spiritata negli occhi. “Lycra!”, esclamò.
Altro imbarazzante momento di silenzio. “Che?”, domandò Finn, la fronte corrugata.
“Mi servirà della lycra. Tanta lycra. Ho già delle idee meravigliose per i costumi, e…”, rispose Kurt, prima di essere interrotto da Puck.
“Ehi, frena! La lycra è da gay!”, esclamò. “Io voglio qualcosa di molto più cazzuto, una cosa alla Ghost Rider!”.
“Certo, Puckerman, perché pelle nera e borchie non sono
per niente omosessuali…”, rispose Kurt con un ghigno.
“No, no, sentite!”, intervenne di nuovo Finn. “Non è questo il punto! Insomma, possibile che nessuno qui pensi che quello che ci è successo sia totalmente assurdo?”.
Puck fissò l’amico. “Certo che lo penso… Mi hai preso per uno stupido? Ma per quanto possa sembrare assurdo, è quello che ci è successo: quel fumo tossico di ieri ci ha dato dei superpoteri, bello”.

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WhatIf/AU ambientata dopo l'episodio 2x20. Come se la vita delle Nuove Direzioni non fosse già abbastanza bizzarra...
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO – SUBSTANCE ABUSE



Ripensandoci, l’inizio della storia era stato parecchio buffo.
Sue Sylvester quel pomeriggio si sentiva cattiva… beh, molto più cattiva del solito. E decisamente incazzata, per di più: non solo la banda di disadattati capitanati da quello sgorbio dalla testa unta di Will Schuester erano riusciti a qualificarsi alle nazionali, ma avevano perfino fatto in modo che la versione gay di Campanellino tornasse al McKinley. Senza contare che la Lega del Male si stava rivelando un fiasco per manifesta incompetenza dei suoi membri.
Perciò, come le aveva detto sua madre dopo aver catturato in solitaria due pronipoti di Goebbels che lavoravano come gelatai a Fresno, se vuoi che qualcosa sia fatto bene devi farlo da sola, Sue. Così la donna era entrata nel laboratorio di chimica, e – sotto gli sguardi inebetiti di due studenti dell’ultimo anno che si erano rifugiati nell’aula deserta per fumarsi in santa pace uno spinello – aveva mescolato tutte le sostanze che le erano capitate a tiro in una bottiglia vuota di Gatorade e aveva poi gettato l’arma chimica improvvisata nell’aula delle Nuove Direzioni, dove Schuester stava cercando di convincere senza troppo successo che sì, forse c’era davvero una canzone dei Journey che ancora non avevano cantato.
Sue, dal suo comodo nascondiglio dietro una fila di armadietti, assistette con un ghigno soddisfatto all’esplosione di denso fumo biancastro accompagnata da colpi di tosse e urla varie; qualche secondo dopo Will schizzò fuori dall’aula con la bottiglia fra le mani e l’aria di chi ha appena visto il fantasma della propria nonna, e corse nel bagno più vicino. In qualche modo riuscì a liberarsi dell’arma – probabilmente scaricandola in qualche gabinetto – prima di riemergere in corridoio con la faccia bianca come un lenzuolo, vomitare sui piedi di Azimio e accasciarsi sul pavimento.
Sue fece spallucce e si allontanò con nonchalance nella direzione opposta. Dovette trattenere con tutte le forze l’impulso di fischiettare: a volte bastava davvero poco per ritornare di buonumore.


Dopo che l’ambulanza ebbe trasportato Schuester in ospedale e uno dei paramedici ebbe accertato che nessuno dei membri del glee club avesse riportato danni al sistema respiratorio a causa dell’esposizione al misterioso fumo tossico, i ragazzi erano stati mandati a casa, a patto che qualcuno venisse a prenderli (lo zio di Santana assomigliava in modo impressionante al barbone che di solito stazionava nel retro del Breadstix, e puzzava anche allo stesso modo. Inoltre era stata la nipote ad allungargli cinque dollari di mancia e non il contrario).
Tranne per qualche sporadico colpo di tosse, tutti si sentivano perfettamente normali.
Le cose erano destinate a cambiare.


“Ehm”, disse Finn la mattina dopo alle altre undici persone sedute qua e là sui sedili dell’auditorium (l’aula di musica era stata sigillata fino a nuovo ordine, e Figgins si faceva il segno della croce ogni volta che era costretto a passarci davanti); persone che avrebbero dovuto essere a lezione, ma che si erano riunite lì ognuna per conto proprio, come se qualcosa le avesse chiamate. E c’era anche un coniglio, su uno dei sedili. Un grosso coniglio nero con una macchia bianca sul petto, tutto intento a rosicchiare qualcosa.
“Ehm”, ripeté Finn. Qui non c’è un elefante nella stanza, ce n’è un’intera mandria, pensò scoraggiato. E, ehm, c’è anche un coniglio. Il ragazzo spostò lo sguardo sui presenti con lentezza. “Sappiamo tutti perché siamo qui, no?”.
A quelle parole seguì un lungo silenzio. Tutti tenevano gli occhi bassi – soprattutto Rachel, che non aveva ancora aperto bocca e che non era mai sembrata tanto depressa da quando aveva scoperto che qualcuno voleva rimettere in scena il musical di Carrie – oppure parlottavano fra loro a bassa voce. Solo Kurt scattò in piedi a sua volta, una luce spiritata negli occhi. “Lycra!”, esclamò.
Altro imbarazzante momento di silenzio. “Che?”, domandò Finn, la fronte corrugata.
“Mi servirà della lycra. Tanta lycra. Ho già delle idee meravigliose per i costumi, e…”, rispose Kurt, prima di essere interrotto da Puck.
“Ehi, frena! La lycra è da gay!”, esclamò. “Io voglio qualcosa di molto più cazzuto, una cosa alla Ghost Rider!”.
“Certo, Puckerman, perché pelle nera e borchie non sono per niente omosessuali…”, rispose Kurt con un ghigno.
“No, no, sentite!”, intervenne di nuovo Finn. “Non è questo il punto! Insomma, possibile che nessuno qui pensi che quello che ci è successo sia totalmente assurdo?”.
Puck fissò l’amico. “Certo che lo penso… Mi hai preso per uno stupido? Ma per quanto possa sembrare assurdo, è quello che ci è successo: quel fumo tossico di ieri ci ha dato dei superpoteri, bello”.


Il primo sintomo di ciò che avrebbe cambiato la vita delle Nuove Direzioni era stata una notte agitata, popolata da sogni bizzarri e una pesantezza intestinale di solito ottenibile solo con l’ingestione di mezzo chilo di burritos. La giornata successiva al McKinley era iniziata con una dozzina di facce lunghe (e con Brittany che – felice come una pasqua – raccontava a una Santana mezza addormentata come avesse “fatto la giraffa” mentre era sotto la doccia). I successivi bizzarri avvenimenti, avvicendatisi nei corridoi del liceo – l’acqua della fontanella congelatasi dopo che Quinn si era chinata a bere, Finn che aveva sradicato l’anta del suo armadietto per sbaglio – erano apparsi come sinistri segnali di un’imminente catastrofe.
Catastrofe che aveva spinto i membri del glee club a saltare le lezioni e a rifugiarsi in massa nell’auditorium per cercare di dare un senso a quell’incomprensibile ammasso di assurdità… per poi finire a discutere di scelte per i costumi.
“Oh, andiamo!”, esclamò Finn. “Non puoi avere detto davvero ‘superpoteri’!”.
“Beh, e allora cosa sono? Tu hai la superforza, Quinn è diventata la regina dei ghiacci non soltanto da un punto di vista metaforico, e quanto a me…”. Puck si alzò dalla sedia… nel senso che si sollevò in aria e sotto gli sguardi sbalorditi dei presenti sfrecciò da un capo all’altro dell’auditorium, a pochi centimetri dal soffitto. “Sono come Superman. Però ebreo”. Il ragazzo ridiscese al suo posto. “Come la chiami una cosa così se non superpotere?”.
Finn sospirò. “D’accordo, ma non è questo il punto. Cioè, se li chiami così poi sembra che siamo diventati dei supereroi…”. Il ragazzo si bloccò, come fulminato da un orribile, improvvisa consapevolezza. “Vi prego, ditemi che nessuno di voi ha pensato una cosa simile”.
I ragazzi delle Nuove Direzioni si guardarono l’un l’altro con aria colpevole, poi quattro o cinque mani – fra cui quella di Kurt – si sollevarono. “Oh, andiamo, è ovvio che ci sia venuto in mente!”, esclamò Santana mentre riabbassava il braccio. “Insomma, avete idea di quanto famosi potremmo diventare grazie a capacità del genere?”.
Finn fece una smorfia contrariata. “Credo che dovremmo mettere la cosa hai voti…”, iniziò, ma Santana intervenne di nuovo, scattando in piedi con aria bellicosa. “E io credo proprio che te lo puoi scordare, mister Capezzoli Buffi. Il fatto che abbiamo ottenuto dei superpoteri durante una riunione del glee non vuol dire che io debba chiedere a te e alla nana il permesso per usare il mio”. Poi la ragazza si incamminò con passo sostenuto verso l’uscita dell’auditorium; dai punti in cui le sue scarpe calcavano sulla moquette si levavano sottili spire di fumo e un leggero odore di bruciato.
Pochi secondi dopo, anche il resto dei presenti – con l’eccezione di Rachel e del coniglio – sembrò voler seguire il suo esempio. “E-ehi, dove andate?”, domandò Finn in tono quasi disperato.
“Beh, senza offesa, Finn, ma Santana non ha tutti i torti”, rispose Mercedes, evitando però accuratamente di guardarlo negli occhi. “Insomma, non è una questione che riguarda le Nuove Direzioni… Non solo, almeno”.
“Credo che abbiamo tutti bisogno di un po’ di tempo per riflettere su ciò che ci è successo”, disse Mike Chang, annuendo con gravità.
Quinn si fermò sulla soglia dell’auditorium, le braccia conserte e un’espressione fredda sul viso. “Andiamo, Finn”.
Il ragazzo lanciò uno sguardo a Rachel, ancora seduta al suo posto. Aveva iniziato a piangere, e le lacrime le scorrevano lungo le guance in perfetto silenzio.
“Finn”, ripeté Quinn. Il ragazzo si sentì attraversare la schiena da un brivido, come se la temperatura nella sala fosse calata all’improvviso di una decina di gradi; si trattenne ancora per un attimo, incerto sul da farsi, poi si arrese ed abbandonò l’auditorium.
Nella stanza calò la quiete, quantomeno per qualche secondo. Poi i contorni del coniglio iniziarono a vibrare e farsi confusi… Finché un attimo dopo al suo posto non apparve Brittany, con un mozzicone di carota che le svettava fra i denti. “Mi sono persa qualcosa?”, domandò a Rachel. “Credo di essermi distratta…”.


“Ti prego, ti prego, posso rifarlo?”. Mercedes sembrava una bambina che aveva appena trovato un cagnolino sotto l’albero di Natale.
Sam abbassò la testa, sconfitto. “Però è l’ultima volta, ok?”, mormorò. La ragazza gli afferrò l’angolo sinistro della bocca e tirò. E tirò. E tirò.
“Chissà quanto puoi allungarti”, domandò Mercedes, mentre parte della guancia di Sam si trovava ormai a un metro buono dal resto della sua faccia.
“Non sono sicuro di volerlo sapere…”, rispose il diretto interessato, anche se a causa delle attuali condizioni della sua bocca tutto quello che ne uscì fu un biascichio confuso. Mercedes mollò la presa e la guancia di Sam tornò al suo posto con uno schiocco violento. “Ahia!”, gridò lui, massaggiandosi la faccia con aria sofferente. “Vacci piano, fa male!”.
“L’ho notato…”, borbottò lei, mentre si passava con aria distratta una mano nello stesso identico punto.
“Piuttosto, siamo sicuri che nessuno scopra che siamo qui dentro?”, domandò Lauren agli altri otto, riuniti intorno a uno dei banconi del laboratorio di chimica.
“Tranquilla, bambolona, conosco i turni di utilizzo di questo posto”, la rassicurò Puck. “Sono venuto a vendere erba ai fattoni del quarto anno per un paio di mesi…”. Lei gli gettò un’occhiata feroce. “Ehi, era prima che mi mettessi con te!”.
“Sarà meglio”, rispose Lauren, puntandogli contro un indice: a qualche centimetro dal polpastrello esplose per un attimo una minuscola scintilla azzurra.
“Piuttosto, non vi sembra strano che nonostante ci sia successo qualcosa di tanto incredibile non abbiamo avuto grossi problemi nell’accettarlo?”, domandò Tina.
Tutti si fissarono l’un altro (escluso Kurt, che canticchiava fra sé e stava disegnando qualcosa su un foglio di carta) e fecero spallucce. “Mah, siamo adolescenti del ventunesimo secolo”, tirò le somme Artie. “La televisione e Internet ci hanno desensibilizzato a tal punto che ormai nulla è più in grado di stupirci”. Il ragazzo sospirò, gli occhi levati al soffitto. “Quello che mi chiedo io è: fra tutti i poteri che potevano toccarmi, proprio la telecinesi?”. E, come a dimostrare la cosa, un set di provette si sollevò dal bancone e galleggiò pigro davanti agli occhi dei nove. “Cioè, non dico che non sia una figata, ma spero di non diventare pelato in futuro o la gente comincerà a chiamarmi Professor X”.
“A dire il vero è Jean Grey a possedere la telecinesi, Professor X è un telepate”. Tutti si voltarono come un sol uomo verso Sam. “Ehi, non guardatemi così! Avevo una collezione sterminata di fumetti, prima che me li pignorassero insieme alla casa…”. Mike gli allungò una fraterna pacca sulla spalla.
“Il che ci riporta a ciò che stavo dicendo prima”, intervenne Santana. “Grazie a questi poteri potremo diventare delle celebrità! Pensate a quanto pagherebbe la gente per vedere qualcuno fare qualcosa del genere!”. La ragazza sollevò una il palmo sinistro aperto verso il soffitto. Un paio di secondi dopo, e la pelle della mano venne avvolta dalle fiamme; fiamme che però non sembravano bruciarla. Santana chiuse le dita con un gesto drammatico e del fuoco non rimase che un sottile filo di fumo.
“Fammi capire, Lopez”, domandò Lauren, un sopracciglio sollevato. “Vuoi che diventiamo fenomeni da baraccone?”.
“Cos’è, l’idea non ti piace? Peccato che tu non abbia il mio potere, Zizes, altrimenti avrebbero potuto chiamarti ‘palla di fuoco’… Ma temo che dovrai accontentarti di ‘fulmine globulare’!”.
Lauren si sfilò gli occhiali con studiata lentezza e li passò ad un attonito Puck. “Ti ricordo che ti ho già pestata una volta. Cosa ti fa pensare che ora che ti posso friggere le extension le cose possano andare diversamente?”.
“Il fatto che adesso io ti posso cuocere la ciccia come se fosse pancetta mi sembra una ragione sufficiente, eh, chica?”, domandò Santana in risposta.
“Ok, ferme, ferme, ferme”. Mercedes era scattata in piedi, facendo strisciare il suo sgabello sul pavimento con un fastidioso stridore rugginoso. “Ci manca solo che dopo che ci hanno appestato l’aula di musica distruggiate anche il laboratorio di chimica, per giunta con noi dentro…”. Sul suo visto l’apprensione lasciò spazio alla rabbia da un attimo con l’altro. “E comunque non è giusto, a voi sono toccati dei poteri fighissimi e io mi ritrovo con questo cazzo di “sento cosa provano gli altri”… Ecco, non so nemmeno se abbia un nome!”.
“Empatia?”, suggerì Sam. La ragazza lo fissò come se volesse appiattirgli la faccia con un cazzotto, e lui si fece piccolo piccolo sullo sgabello.
“Chiedo scusa”, mormorò Mercedes dopo qualche secondo. “E’ che le emozioni altrui mi vanno alla testa, e perdio, se eravate incazzate voi due…”.
“In effetti prima di decidere cosa fare dei nostri poteri sarebbe meglio imparare a controllarli”, osservò Mike. “Stamattina ero in bagno a lavarmi i denti, a un certo punto ho starnutito e quando ho riaperto gli occhi ero sul tetto…”.








Ehm… Beh, ecco qui il primo capitolo. Si tratta più che altro di un esperimento: visto che Glee sa essere molto surreale, se ci si mette (d’altronde è l’erede spirituale di Popular, visto che sono tutti e due “figli” di Ryan Murphy), quindi ho pensato: “Che cosa succederebbe se le Nuove Direzioni si ritrovassero con dei superpoteri da un attimo con l’altro?”.
Si tratta perciò di una storia corale – tutti avranno il loro “momento di gloria” – e soprattutto un tentativo di rimanere il più IC possibile con tutti i personaggi che utilizzo. Spero di esserci riuscito già qui – anche se i personaggi non hanno ancora fatto molto – e che in generale l’idea vi sia piaciuta. La storia conterà dodici capitoli e sono già a più di metà della stesura, quindi ho pensato che fosse il caso di pubblicare almeno il primo capitolo per “tastare il terreno”, diciamo così!
Non mi resta altro da dire se non: attendo i vostri commenti!
Davide

  
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