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Autore: Morea    22/08/2011    5 recensioni
Credeva di essere Sally Brown, eppure amava scrivere.
Scoprì di essere Lucy Van Pelt, eppure non amava Schroeder.
Forse era semplicemente Amelia, ma ci mise un po' a capirlo: del resto, Lucy non amava ricevere umidi baci da un bracchetto.
...O forse sì?
§Five:
Sapeva benissimo cosa fare anche in quella situazione: l'aveva appena deciso, dopo sette buste gialle e settanta pagine d'agonia.
Avrebbe trovato l'oceano, così come l'oceano aveva trovato lei.
L'aveva sempre saputo, che bisognava dare un nome alle cose per affrontarle e risolverle. E lei avrebbe battezzato quegli abissi, dritta e penetrante come le linee di luce che illuminavano qualche murena uscita dal suo anfratto per cacciar seppie.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Amelia'
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Amelia amava i treni 7

A
melia amava i treni

§Seven: Vampiri e Camicie

* A chi sarà sempre nel mio Oceano Mare.






Quando il sette e nove di quella mattina divenne un sette e trentadue, Amelia maledì Trenitalia, i quindici minuti di ritardo taroccati che segnalava e tutti quelli che riuscirono a precederla sul primo vagone.

Si gettò sul primo sedile che le capitò a tiro, appoggiò la testa contro il finestrino ed alzò il volume del suo i-pod finchè la musica non fu talmente alta da impedire l'accesso ai suoi timpani a ogni altra voce, rumore, perfino al respiro di chiunque avrebbe di lì a poco preso posto accanto a lei. Per fortuna, nessuno ebbe per cinque minuti l'ardire di farlo.

Cinque minuti dopo, intravide l'Avvocato nella folla che premeva per salire sul treno. Le venne automaticamente da chiudere gli occhi, strizzando le palpebre fino a sigillarle.

« Si vede che fai finta » sentì poco dopo, da una voce che conosceva fin troppo bene.

« Non è aria » rispose stancamente, senza neanche voltarsi.

« Lo vedo. Non ti sei accorta neanche del... »

« AMELIA! » squittì un'altra voce, questa volta di donna.

Alzò gli occhi al cielo, infastidita. « Dio santo, Sara, lo sai quanto sia fastidioso sentir urlare qualcuno alle sette... »

Sara non la prese neanche in considerazione. « Ma tu non... tu non... » Si scostò per far passare un uomo nel corridoio, senza però distrarsi neanche un secondo dalla visione che l'aveva sconvolta.

Fu allora che Amelia si rese conto di aver scaraventato la borsa su un sedile che neanche esisteva, quando era salita sul treno.

Perchè quello era l'unico sedile disaccoppiato in tutto il vagone.

« Avete intenzione di gridare al miracolo? O di strapparvi i capelli come preficae? »

« Taci! » urlarono in due. « Dov'é? » sbraitarono insieme.

« L'avrà ucciso un raggio di sole » sentenziò l'Avvocato, prima di scuotere la testa, scocciato. « Dovrò anche stare in piedi, per colpa vostra, maledette. »

« Oh, quanto mi dispiace » bofonchiò Amelia, mentre tentava, inutilmente, di far riprendere Sara dallo shock.

« Oh, fai bene a non dolertene troppo, perchè non resterò in piedi. » Scostò delicatamente Sara, fino a sospingerla verso Nilla. « Ti ha tenuto un posto. »

Poi, guardò Amelia sogghignando. « Strega, spero tu conosca un sortilegio che renda i corpi più leggeri... »

« Non ti... »

Prima che finisse la frase, si ritrovò l'Avvocato seduto sulle cosce. « Dovremo proporli a Trenitalia, questi sedili. Non ho mai provato niente di più comodo. »

« Che cazzo...? »

« Taci, tesoro. »

In quell'istante, Amelia si ritrovò talmente incazzata da non saper neanche da che insulto cominciare. Tacque davvero, appoggiandosi a sua volta contro la schiena dell'Avvocato e chiudendo gli occhi. Si stupì non poco, quando si rese conto di non aver nemmeno voglia di conficcargli le unghie nella schiena, o di fargli il solletico, o di strangolarlo. 

E si addormentò in quella posizione, mentre il treno si fermava ancora, meravigliandosi non poco di quanto riuscisse a rilassare le membra, abbandonando il nervosismo di quella mattina. 

Quando lui la svegliò prima di scendere, lo ripagò con un saluto veloce e con il solito cipiglio arrabbiato e infastidito: si chiese se fosse stata abbastanza da abile da dissimulare tutto quello che le frullava per la testa, per poi scacciare da sola quei pensieri, rapita dalla visione di qualche goccia di pioggia che si stava abbattendo sui vetri.

Anche la busta gialla era bagnata, quella mattina. C'erano dei polpastrelli umidi sulla carta, e nei fogli al suo interno c'erano delle sbavature imprecise, come se l'autore fosse andato troppo di fretta perfino per trattare la sua opera con cura.

Forse anche quell'uomo misterioso si era svegliato troppo tardi, inciampando nei suoi passi. Forse aveva perso il treno.

« Come sei pallida stamattina, tesoro. »

« Come sei fastidioso stamani, sembri Marelli. »

« Simpatica, pallida ma simpatica come un calcio nelle palle » fece Marelli, entrando. « Qualche manoscritto interessante, Vampira? »

Forse aveva perso il treno.

« Niente per cui valga la pena investire. »

« Li avrai cestinati tutti, gentile come sei. Sei una succhiasangue, spremi quella povera gente e poi... »

Forse aveva perso il treno.

« Se vogliono pubblicare boiate adolescenziali, hanno sbagliato casa editrice. Abbiamo già troppi Babi e Step in circolazione, non fomentiamo l'idiozia. »

« Quanto mi arrapi quando fai così... »

« Fuori, Marelli. »

« Se non fossi accondiscendente e affettuosa come una donna mestruata, ti controllerei i canini. Sicura di non aver morso qualcuno? »

Il Vampiro aveva perso il treno.

E Amelia sbiancò per davvero. « Fuori! » urlò, scagliando un portapenne contro la porta, per poi lanciarsi sul telefono.

« Fréd... ce l'ho. »

« Cosa, il mio stinco? E' da quando me lo hai amputato stamani che... »

« No, cretino. L'autore! » strillò eccitata.

Fréd imprecò in quattro o cinque lingue diverse. « Sarebbe? » scandì piano, con un filo di voce.

« Te lo dico dopo. Vengo da te appena torno, aspettami! »

« Non mi volevi morto, stamani? »

« Mi serve un testimone per le mie nozze, Fréd. E tu sei l'unico che non si scomporrà quando mi sposerò in reggiseno e mutande. Di seta bianca, ovviamente, sono così... pura » sghignazzò.

« Sul serio ne sei ancora convinta? Amelia, sei da rinchiudere. »

« Ci tengo a semplificare le pratiche, lo sai. »

« Lucy, non esci con un uomo da... »

Da quel momento in poi, Fréd sentì solo il tu tu tu con cui la cornetta si era premurata di salutarlo. La cornetta, non di certo Lucy, che l'aveva maledetto dall'altro capo del telefono con parole talmente educate da far impallidire anche Marelli, tre uffici più in là.

« Tesoro, hai bisogno di qualcosa? Una camomilla, della cioccolata, un assorbente, sesso? »

« Vattene. Sono talmente eccitata che... »

« Perfetto, cominciamo? »

Questa volta la spillatrice lo colpì in pieno viso. E se ne andò, davvero.


Quando Amelia arrivò da Fréd, la porta era già aperta e un odore irresistibile volteggiava nell'aria, tanto che le pareva di vederlo. Seguì quella scia di piacere, mentre varcava la soglia, andò avanti col naso all'insù finchè non fu di fronte al forno, ad occhieggiare con desiderio ciò che c'era al suo interno. Fréd la trovò inginocchiata di fronte al vetro, con lo sguardo adorante e le narici tese.

« E' lei? » chiese semplicemente.

« Lì c'è la crema, lì le fragole. E' lei, sì. »

« Hai un favore da chiedermi? Devo comprarti i preservativi, un test di gravidanza, una pomatina per la favina, qualunque cosa di cui ti vergogni? Devo rigare una macchina, fare un colpo in banca, uccidere qualc...? »

« Amelia, sei talmente fuori di testa che le opzioni sono due: o sei sicura di aver trovato l'Autore con la A maiuscola, o hai fatto sesso » rispose a malincuore.

« La prima, Frééééééééd! E' lui! E comunque, dove l'avresti trovata quella camicia da giocatore di briscola? »

« Lui chi? » sputò astioso, ignorando volutamente l'ultima parte del discorso.

« Fréd, tu di certo non hai fatto sesso nè hai bisogno di preservativi. Perché quella faccia? Hai perso 61 a 59? »

« Mi sono svegliato così. Anzi, mi hai svegliato così. » Si strinse nelle spalle, cercando di capire cosa diamine avesse di sbagliato quella camicia.

« Pronto per lo scoop? O stai ancora pensando che avresti fatto meglio a giocare il re di picche? » Tirò fuori la pastafrolla dal forno, attenta a non distruggerla. « E' il Vampiro! »

Per la prima volta, Fréd si sentì più felice di lei. Scoppiò a ridere incontrollatamente, lasciò che i suoi lineamenti tirati si allargassero in smorfie di puro piacere, perse ogni contegno di fronte alla faccia sempre più sconvolta della sua Lucy.

« E, di grazia, qual è stato l'indizio fondamentale che ti ha convinto? » domandò senza riuscire a smettere di ridere.

« Beh, Marelli mi... oh, che diamine, che cazzo hai da ridere? Una mano fortunata? Hai mangiato tutti i carichi del tuo vicino di casa? »

« Lucy, il Vampiro ogni mattina prende il tuo treno » rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo. E anche la più liberante. Quasi salvifica. « Oh certo, se poi è Marelli a darti questi indizi... »

Il sorriso di Amelia si spense in un istante, come tutte le volte in cui qualcun altro aveva ragione, e quella ragione non la rendeva felice. E lo stesso fece anche il suo - per quei dannati effetti collaterali che dovevano per forza scaturire dall'amore non ricambiato. Dipendeva anche emotivamente da lei, adesso. Avrebbe sbattuto la testa contro il muro fino a romperlo.

« Dai, Lucy... vieni qui... »

Lei non si mosse, evidentemente incazzata come una iena per essersi illusa troppo. E Fréd diventò se possibile ancora più triste, sapendo di aver sfigurato quel sorriso che amava più del suo pianoforte. E allora fu lui ad andarle incontro, ad abbracciarla, sentendosi in colpa per non sapere chi fosse quel cazzo di Autore maledetto. Glielo voleva presentare lui, voleva renderla felice, voleva... cazzate. Lui la voleva per sè, e basta. Al massimo, le avrebbe concesso una notte di fuoco con lui, così, per essere magnanimo. O no, a ripensarci nemmeno quella.

Amelia si staccò senza provare nemmeno a dissimulare la tensione con una risata. « Hai una faccia atroce, Fréd. Si intona alla camicia. E comunque, sembra sia colpa tua. »

Lo è, si disse lui, senza riuscire a pentirsi per non averla svegliata. 

« Voglio dire, era così ovvio... Come farebbe ad arrivare lì prima di me, se neanche scende alla mia fermata? Quanto sono stupida... » realizzò, contrariata.

« Può capitare anche a te, a quanto pare. »

« Non ti ci abituare. » Si interruppe un secondo, per poi riprendere un altro discorso senza neanche avvertire. « E ripensandoci, ce l'hai sempre. Non la camicia, per fortuna, la faccia. E no, non sei brutto, non fare quella smorfia. Hai la faccia da... scontento, ecco. » Provò a smuovergli un labbro con il dito, per vedere se acquistava un aspetto migliore. Poi, la ritirò come scottata. « E comunque sei uno stronzo! »

« Solo perché il mio fiuto da investigatore è lievemente più sviluppato del tuo? »

« Di certo non il gusto nel vestire. » Non era mai stata così arrabbiata, mentre ricopriva di crema la pastafrolla, aggredendola con cucchiaiate sempre più violente. Anche perché Fréd gliel'aveva detto: i dolci vanno fatti con cura, altrimenti vengono brutti. Oh, in realtà gliel'aveva detto tipo vent'anni prima, quando ancora 'brutti' si diceva 'butti' e sua madre non sapeva che scuse inventarsi per tenerlo fuori dai piedi, mentre armeggiava ai fornelli. Ma ad Amelia piaceva crederci ancora, soprattutto perché la rilassava, mentre cucinava per non pianificare omicidi e pensare agli ingredienti di una torta piuttosto che ai componenti di una bomba artigianale. Poi, si fermò di nuovo.

« Certo che sei proprio un artista » sputò di punto in bianco, dopo averlo fissato in cagnesco per una manciata di minuti.

« Lo dici come se fosse un'atrocità. »

« Lo è » rispose senza battere ciglio.

« Ma sentila. E perché mai, di grazia? »

Non ci pensò neanche un attimo. « Voi artisti siete così... incompleti. » Fréd perse un battito. « Pessimisti, perennemente insoddisfatti... gorgoglianti, sì. Siete pentole a pressione, tanto borbottate. Mai niente che vi vada bene, sempre alla ricerca di quel qualcosa in più.. cazzo, neanche Schroeder era così fanatico con Beethoven. »

« Eppure Lucy lo amava » sibilò con una punta di risentimento - e una di speranza per la risposta che sarebbe arrivata.

« Lucy amava la sua Nemesi, mi pare ovvio. Lo amava perché erano complementari, lo amava perché voleva sentirsi completa. »

« Solo tu puoi arrivare a concepire una cosa simile... »

« Pensaci, Fréd. Nell'arte non c'è niente di determinato, si è necessariamente insoddisfatti. Chi farebbe musica, se la perfezione fosse già stata raggiunta? Chi dipingerebbe, se una fotografia potesse davvero cogliere l'essenza delle cose, o un quadro impressionista essere davvero quanto di più vicino alla realtà possa esistere? Per un artista, tutto manca di qualcosa. »

« Non capisco dove tu voglia arrivare. »

« Ti manca qualcosa, Fréd. »

« A me non... »

Ridacchiò. « Ma non lo vedi? Hai sempre qualcosa da ridire! »

« Dovevo nascere ingegnere, per essere felice? Secondo il tuo ragionamento non dovrebbe esistere neanche il progresso, Lucy. » 

« Sei l'unico artista scemo che conosco. Sei anche l'unico artista che conosco, a dire il vero, ma poco importa. Chi si affida ai numeri sa di rasentare la perfezione. Sa di avvicinarsi il più possibile al miglior risultato, e sa anche che ci sarà sempre qualcuno disposto a proseguire il suo lavoro, a limarlo, a renderlo più buono. Chi crea e progetta non può non sentirsi bene, se lavora nel modo giusto, non come chi si rifa a qualcosa che già esiste, e che teme di rovinare. »

« Tu selezioni manoscritti per una casa editrice, Amelia! Che diamine ne sai di come funzionano i numeri e chi li usa? »

« Fréd, hai idea di quanti bei lavori abbia dovuto cestinare, facendo calcoli sulla quantità di persone interessata dall'argomento, sulla difficoltà del linguaggio e dei temi trattati, e su chissà quante altre variabili? »

Fréd scosse ripetutamente la testa. « Continuo a non capire cosa c'entri questo con me. »

« Ti manca una donna » sparò lei con il tatto di un elefante. « Ti stai inacidendo come yogurt avariato, e tocca a me sopportarti ogni volta che ti lamenti di questo o di quello. E tocca a me bocciarti le camicie inguardabili, per inciso. »

« Ma io non... »

« Taci, artista » lo rimbrottò lei, mentre si incastrava con il braccio nella fodera rotta del cappotto.

« E a te non manca un uomo? » Fréd alzò la voce, nel tentativo di bloccarla nella sua corsa verso la porta. E fu in quell'esatto istante che si sentì quasi morire, realizzando quanto poco disinteressato fosse stato in quell'uscita disperata.

E Amelia in effetti si fermò, ad un passo dall'attaccapanni. « Io sono una donna, Fréd » esordì con una naturalezza capace quasi di far spavento. « Ho un cervello funzionante, del sano istinto di sopravvivenza ed una non trascurabile capacità di adattamento alla presenza di saltuarie teste di cazzo nella mia imprevedibile esistenza. Ah, e anche un paio di tette. »

« Cosa c'entrano le tue tette? » chiese lui allibito, fermando per un momento il flusso di pensieri imbizzarriti che lo logoravano.

Amelia scrollò le spalle, fissandosi il seno. « Il giorno in cui scoprirò cosa voi uomini ci trovate di così tanto stupefacente sarà un gran giorno: imparerò a vivere col sorriso idiota che avete ogni volta in cui un paio di capezzoli vi sfiora il naso. Pretendo di rinascere uomo, un giorno o l'altro, se basta così poco per essere felici. »

Richiuse la porta dietro di sè, e lui non poté fare a meno che cercarla in strada non appena fu scesa al piano terra ed uscita dall'edificio. « Sei un'artista anche tu, Amelia! » urlò con quanto fiato aveva in corpo.

Lei lo guardò sorridendo. Mosse appena le labbra, e lui non capì alcunché.

La vide sparire dietro l'angolo, nel passo svelto che aveva sempre e che mai avrebbe abbandonato - la infastidiva camminare lentamente, gliel'aveva ripetuto un'infinità di volte. Il suo sguardo vagò poi su una madre esasperata da un bambino urlante, su un cane e poi sull'uomo che lo teneva al guinzaglio, su un gatto sinuosamente furtivo e sulla ragazza che lo fissava sovrappensiero.

E poi, li chiuse tutti fuori da casa sua. Li lasciò esplodere in una bolla effimera, relegandoli allo status di ricordo impalpabile e passeggero.

Si ritrovò ad insistere quasi violentemente sulla maniglia di ottone, si ritrovò perfino ad imprecarle contro, eppure quella dannata finestra non ne voleva sapere di sigillarsi per bene. Quel
vetro cacofonico e traballante l'aveva sempre lasciato, quell'angusto
spiraglio aperto per lei.

Per lei che gli inviò un messaggio, un attimo dopo.

Non credere che mi sia dimenticata della torta: portala da me, che ceniamo insieme. Vieni alle otto, e sii puntuale come me.
Ah,
ho sillabato 'quella camicia fa schifo', mentre me ne andavo. E poi te l'ho sempre detto, che non sai giocare a briscola.





*





Mi trovate QUI, se volete.
  
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