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Autore: _Betty_    23/08/2011    1 recensioni
Genere: | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Manipolazioni'
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Ciaoooooooooooooooo

è appena passata la mezzanotte, ma visto che domattina non so se avrò tempo, preferisco postarvi ora il capitolo visto che sono 15 gg che aspettate

Sebbene non voglia farvi perdere tempo, non posso non ringraziarvi per il record di commenti, ben 32! 

Adesso veramente non vi tedio oltre e vi lascio al capitolo successivo al patatrac

Buona lettura 

 

 

 

orrevo per cercare di sfuggire al mio dolore, al mio senso di sconfitta, al tormento di aver lasciato mio marito distrutto ma soprattutto cercando di lasciare dietro di me quelle figure che si intrecciavano, nitidamente impresse nella mia mente come un tatuaggio permanente.

Mi ero fermata dopo poche ore per riattaccarmi la mano ma poi continuai a correre per giorni; vidi il sole alzarsi più di una volta, vidi la mia pelle risplendere nella mia solitudine mentre mi dirigevo a nord e mi fermai solo quando davanti mi ritrovai il mare: un mare gelido, quello del nord del Canada che la luna mi restituiva leggermente mosso e nero come un incubo. L’ultima indicazione incontrata per caso alcune ore prima recava un nome che da umana non avrei mai potuto ricordare: Kangiqsujuaq. Lo sapevo rammentare ma non pronunciare. Mi ritrovai a chiedermi che lingua parlassero da quelle parti, per avere una cittadina con quello scherzo di nome.

Mi guardai per la prima volta gli abiti: erano ancora quelli della corsa con Alice per arrivare all’albero ad U, quelli dell’attentato suo e di mio marito… e avevano fatto anche circa 3000 chilometri dalla cittadina del New Hampshire al punto in cui ero. Non erano a brandelli ma diciamo che avevano conosciuti giorni migliori.

Strappai i jeans a metà coscia per levare i vari squarci delle parti inferiori mentre per la maglietta aderente non potei far altro che staccare di netto le maniche che oramai erano ridotte a striscioline di stoffa. Allo strappo sulla schiena e sulla pancia non potevo porre rimedio, dovevano rimanere al loro posto. Ma tanto non avrei incontrato nessuno, me ne sarei stata per conto mio, errando, vagabondando, cercando una soluzione, cercando un pretesto, cercando una gomma o una scolorina che sbiadisse il mio tormento, sperando di riuscirci, pretendendo di riuscirci, perché non volevo considerare l’idea di stare troppo lontano da Edward, dalla nostra bambina, dalla mia famiglia…

Ma non era facile…

Fermarmi su una collinetta di fronte al mare, dare riposo alle mie gambe che parevano intorpidite da quella lunghissima corsa, scrutare il panorama e non avere nulla da fare… nulla se non pensare… e come la goccia del rubinetto che fa impazzire durante le notti insonni, arrivò prepotente e gigantesca quella scena ed io mi sforzai di guardarla con occhi oggettivi, ripetendomi che non era lui, non lo aveva fatto lui, gli era stato imposto, ma il mio corpo reagiva rabbrividendo, non voleva accettare quella soluzione. Mi costrinsi a pensare all’ultima volta che IO avevo fatto l’amore con lui, sembrava passata un’eternità e quello era il ricordo che sbiadiva… fui terrorizzata da quella consapevolezza: il tormento era così grande che stava cancellando tutto il buono che avevo condiviso con Edward?

Non potevo permetterlo: io volevo tornare dalla mia famiglia, un modo doveva esserci, un modo per tornare ad essere sua moglie, senza rabbrividire al suo tocco, anzi, volendo che lui mi toccasse... ma non ricordavo il sapore di quel desiderio... e improvvisamente mi mancò l’appoggio, mi sentii cadere, un cratere buio dove non avevo appigli. Le mie gambe si mossero da sole e mi portarono in acqua, senza farmi fermare sulla riva, continuarono a muoversi, sprofondando nel mare scuro, andando avanti mentre i piedi incontravano il fondale sempre più in profondità e seguitando la corsa anche quando fui sommersa completamente dall’acqua. La mia super-vista dopo una decina di secondi di discesa mi abbandonò, nel buio più scuro non poteva niente nemmeno lei e continuai ad arrancare, incespicando in sporgenze del fondo, cadendo rotolando e rialzandomi, andando alla ricerca di qualcosa che non era dove stavo andando, era solo dentro di me, anche se confinata in qualche luogo al momento inaccessibile.

“EDWARDDDDDDDDD” urlai inginocchiata tra quelli che al tatto sembravano sassi. Mi sentivo tanto un’aliena, un essere fuori posto, no! Ero una persona che aveva perso la memoria. E solamente le cose più recenti pareva avessero valore. Le situazioni precedenti alla perdita di memoria risultavano sfuocate... dovevo trovare il modo di renderle nitide, ma dove vendevano quel prodotto?

Improvvisamente pensai a Alice. Mi resi conto che mi stava tenendo d’occhio e che mi aveva visto buttarmi in acqua; ma aveva anche visto la mia angoscia, forse... mi misi a nuotare e sbucai in superficie: la debole luce della luna che era riapparsa da dietro le nuvole  mi accecò, ormai abituata all’oscurità del fondale.

Mi resi conto che solo muovendomi riuscivo ad avere un po’ di tranquillità, quindi presi a nuotare velocemente verso est e stavo ancora nuotando quando l’alba mi venne a salutare. Intorno a me il niente... era la giusta prospettiva, io mi sentivo persa, il niente era il luogo che più mi si addiceva. Mi tuffai e rimasi a nuotare sott’acqua, cercando di cogliere qualcosa nel buio del fondo, ma era troppo profondo perché la luce vi arrivasse. Tornai in superficie giusto per vedere cosa mi circondava e c’era solo acqua. La logica doveva dirmi di tornare indietro, ma l’avevo persa quando ero sbucata davanti all’albero ad U... proseguii un po’ in superficie e in lontananza sentii dei rumori strani, non erano quelli del mare. Il sole che brillava sulla mia pelle era l’unico testimone di un’altra presenza oltre a me. Incuriosita, mi mossi verso la fonte del rumore e improvvisamente un’enorme coda sbucò dall’acqua a 50 metri da me e a rallentatore si rituffò: una balena! Stavo sorridendo, il primo sorriso dopo l’ultimo fatto a mio marito 3 o 4 gg prima... con ulteriore sorpresa una seconda coda, leggermente più piccola, affiorò e fece un tuffo molto più contenuto... non resistetti, mi misi a nuotare per avvicinarmi, non volevo disturbare i 2 cetacei ma era uno spettacolo che non potevo perdermi. Mi immersi per capire quanto erano grandi e li vidi ventre contro ventre... si stavano facendo delle coccole e li seguii non troppo vicino, non li avrei interrotti ma volevo assolutamente toccarli.

Quando vidi che si separarono accelerai il ritmo delle bracciate ed arrivai vicino alla pinna gigantesca del mammifero più grande: non pensai potesse avere paura di me come gli altri animali, era 2000 volte più grande della sottoscritta, non doveva temermi.

Mi aggrappai alla sua pinna che muoveva lentamente e la sua pelle era liscia e calda. Desiderai che mi vedesse. Lasciai la pinna e mi spinsi avanti, verso il muso, alcuni metri più avanti. Arrivai emozionata davanti al suo occhio ed era dolce e non impaurita. Come i bambini piccoli, la salutai con la mano. Mi avvicinai esitante e le sfiorai il labbro, giusto lì vicino all’occhio. Un’onda mi spostò, quasi risucchiò mentre apriva l’enorme bocca ed emetteva un suono che faceva vibrare qualsiasi cosa. Mi aggrappai al labbro senza ferirla e tutto tornò normale quando richiuse la bocca. Rimasi ad accarezzarla, era lei che mi conduceva in avanti e non aveva paura. Il suono che aveva emesso non so cosa poteva significare ma per il tempo che le rimasi accanto non lo ripeté ed il suo occhio pareva profondo e tranquillo.

Non sapevo quanto mi aveva portato lontano quindi con rammarico decisi di lasciarla andare. Mi staccai e le agitai la mano nuovamente davanti all’occhio, smettendo di seguire la sua rotta e pochi secondi dopo la vidi salire in superficie: mi affrettai a riemergere e feci in tempo a vederla che giusto sopra il pelo dell’acqua espirava rilasciando il classico spruzzo che avevo visto in diversi documentari. La pioggerellina non mi investì, era già lontano alcuni metri e la sentii emettere un altro suono identico a quello di 10 minuti prima mentre agitava la coda in aria.

Sorridevo mentre la vedevo spostarsi, sorridevo perché non aveva avuto paura di me, non mi aveva cacciato con un colpo di coda o pinna, si era lasciata toccare e mi aveva portato a spasso per un po’.

Il mio peregrinare da sola sulla terra una cosa buona l’aveva portata: la balena che non temeva la vampira...

Ormai lontana la lasciai al suo viaggio e mi voltai esattamente nella direzione opposta a dove lei stava andando, non proprio sicura di dove sarei approdata, ma non me ne importava molto... ora che la balena mi aveva salutato, ero tornata ad essere sola, sola coi miei fantasmi, sola perché i pesciolini che vedevo sott’acqua fuggivano. Mi chiesi se anche uno squalo o un’orca sarebbero scappati incontrandomi... sarebbe stato interessante, magari i loro denti si sarebbero spuntati nel tentativo di assaggiarmi o loro avrebbero fatto male a me...

Nuotai in superficie e quando sentii il rumore di un aereo mi inabissai: il sole era fortissimo ed io risplendevo come quella volta sulla barca...

“Edward, risplendi tutto... proprio tutto tutto!”

“Sì, vediamo se risplende anche quando è dentro di te...”

Ricordare la seconda luna di miele mi fece perdere il ritmo delle bracciate e qualcosa cozzò contro la mia schiena: mi voltai, era una tartaruga! Cosa ci faceva una tartaruga in acque così fredde?? Vidi che aveva una pinna avvolta in una rete da pesca e la fermai dal suo incedere, assolutamente disinteressata a me: per fortuna non era ferita - per fortuna davvero! – e la liberai dalla rete così che ripartì col suo nuoto lento e tranquillo. Pareva andassimo nella stessa direzione, quindi mi rimisi a nuotare vicino a lei, io la guardavo, lei nemmeno sapeva se esistevo, poi accadde tutto velocemente: come un tir fui tamponata e spinta violentemente in avanti. Come potei mi girai e vidi proprio uno squalo! Aveva in bocca la MIA tartaruga! Perché non aveva attaccato me?! 1/120° di secondo e gli afferrai la bocca e l’aprii senza troppo sforzo. Ma la tartaruga era ferita... la lasciai dietro di me e affrontai il mammifero. Tentò di azzannarmi il braccio sinistro, dove la benda che copriva la cicatrice era finita chissà dove e chissà quando, gli diedi un pugno sul muso con la mano destra e lo feci precipitare verso il fondo di alcuni metri. Tornò alla carica e quasi per curiosità gli lasciai afferrare una mia gamba: i suoi denti stridettero così mi abbassai, gli riaprii nuovamente la bocca per liberare il mio piede e istintivamente gli mostrai i miei denti. Forse più spaventato dall’incapacità di azzannarmi che dai miei canini velenosi, fece dietrofront e sparì nel buio della profondità oceanica.

Mi voltai: sapevo che la tartaruga era ferita ma non potevo lasciarla lì, sarebbe stata uccisa dal primo predatore che fosse passato, sempre che riuscissi a non ucciderla io. Vidi la scia di sangue e sentii il mostro risvegliarsi dentro di me. Mi obbligai a seguire la scia verso il fondo pensando che fosse inchiostro...

Trovai la tarta che ancora affondava, la presi nella semioscurità e senza controllarla me la appiattii sul petto e cominciai a nuotare verso la superficie. Emersi e non vidi altro che acqua intorno a me. Proseguii nella stessa direzione di prima, pregando di non andare verso l’Europa ma verso l’America e quando la luna prese il posto del sole vidi delle luci in lontananza.

“Dio sia lodato, magari troviamo qualcuno che ti cura...”

Le mie prime parole dopo quell’Edward urlato sul fondo del mare... e le dicevo a una tartaruga...

Velocemente giunsi sulla terraferma e mi sentii quasi stremata: quanto tempo avevo passato in acqua? Non sapevo nemmeno che giorno fosse e dove fossi. Guardai finalmente la tartaruga, senza respirare: aveva 3 buchi nella corazza ma gli occhi erano aperti. Mi affrettai verso la prima casa che vidi illuminata: mi avrebbero preso per una pazza, ma mi interessava solo che salvassero quel mezzo metro di rettile.

Bussai un paio di volte e una voce maschile disse qualcosa che non capii.

“Mi scusi, ho bisogno di aiuto, ho trovato una tartaruga ferita!”

Ancora da dietro la porta quello parlò in una lingua che non conoscevo, mai sentito niente del genere.

“MI ASCOLTI, HO BISOGNO DI AIUTO!”

Finalmente il chiavistello fu tolto e la porta si aprì. L’uomo sulla quarantina prima delle presentazioni decise di mandare in avanscoperta un fucile a 2 canne, che teneva precisamente puntato verso il mio petto. Rimasi di sasso... capii immediatamente che non avrebbe potuto farmi nulla, ma non mi aspettavo un’accoglienza così calorosa. Incapace di proferire verbo, e tanto non mi avrebbe capito, sollevai la tartaruga indicando i buchi sulla corazza. Il tizio alzò il mento e controllò l’animale: senza perdermi di vista si sporse verso l’interno e disse qualcosa, forse chiamò qualcuno perché arrivarono una donna e una ragazza. La donna prese con circospezione la tartaruga dalle mie mani e sparì in casa, la ragazza si fece avanti. Solo in quel momento vidi che l’uomo continuava a far scorrere lo sguardo sul mio corpo: mi resi conto che dovevo essere un disastro... guardai velocemente i miei piedi che erano scalzi, per nuotare le scarpe erano diventate fastidiose e le avevo lasciate nel mare; la gamba non recava segni dell’attacco dello squalo ma i jeans strappati asimmetricamente non facevano bella impressione; la maglietta... e da quando c’era quello squarcio che metteva in risalto il mio reggiseno?!?! Incrociai le braccia sul petto e mi schiarii la voce: stavo pure gocciolando copiosamente sul loro ingresso.

“Potete farla curare?” mi uscì spontaneamente.

“C-chi sei?” disse la ragazza dopo aver confabulato sottovoce con quello che forse era suo padre.

“Oh, parli la mia lingua, bene! Mi chiamo... Isabella Cullen.”

“Io parlo poco tua lingua, capito tu Isabella Cullen, sì?”

“Sì, sono americana... sono... caduta dalla barca dei miei amici... che posto è questo?”

“Qui? Questa è Nuuk, capitale Groenlandia!”

 

Ero finita in Groenlandia... era talmente assurda quella situazione che mi ritrovavo a ripetermi ‘sei nella terra della groviera’ che era totalmente errato, ma coerente con l’assurdità del resto...

Mi avevano praticamente costretto ad entrare, vedendo che ero tutta bagnata e gelida al tatto. Poi la scusa che avevo inventato di essere caduta dalla barca, supportata dai vestiti a brandelli, li aveva commossi e la ragazza mi aveva supplicato e poi costretto a fare un bagno bollente. Io non ne avevo bisogno per scaldarmi, ma la mia pelle e soprattutto i miei capelli, necessitavano proprio di acqua dolce, dopo svariate ore di sale marino.

“Tu sei molto bella!” esclamò la ragazza entrando nella camera dove stavo indossando i pantaloni della tuta che mi aveva prestato.

“Ehm... grazie...” dissi imbarazzata e mi affrettai a infilare la felpa, mi fissava in modo strano.

“Ooohhh...”

“Che c’è?” mi voltai repentinamente.

“Tu sposata...” e indicò il mio anulare.

“Sì... è un problema?”

“Credo sì... io pensato tu regalo per me...”

Iniziai a sudare nonostante non potessi. “Scusa, in che senso?”

“Io piace te. Mio padre spedito qui da zio perché vergogna di me. Io no piace uomini...”

ODDIO MA CI SONO 20 CASE IN QUESTO POSTO SPERDUTO, PROPRIO DOVE C’É UNA LESBICA SONO FINITA?!?!

“Aahhhh ma guarda... eh, tuo padre non è stato tanto gentile, però sì, io sono sposata, a me piacciono gli uomini...” le sorrisi sempre più imbarazzata.

“Peccato...” mormorò ma io non potevo dirle ‘E sì...’ quindi le chiesi come si chiamava perché non lo sapevo ancora.

“Ainik... dunque Isabella, stanotte tu dorme lì, domani come aiuta te?”

“Ainik non c’è bisogno davvero, mi devi dire solo se c’è una nave che mi può portare in Canada...”

“Nave sì ma meglio aereo.”

“Ainik, devo chiederti un favore... come hai visto non ho soldi, non ho niente... avete internet qui? Dovrei comunicare con mia sorella, per farle sapere cosa mi è successo...”

Sparì nell’altra stanza e tornò con un portatile. Mentre mi spiegava che era vecchio ma funzionava, io pensai intensamente a Alice, sperando che vedesse che doveva accendere il computer...

“É pronto. Io aiuta zia con...” e indicò un cerchio con le mani.

“Tartaruga?” e lei annuì “...poi domani dottore...”

“Grazie Ainik...” e le sorrisi.

“Tu non sorride me così... tu piace molto me...” e mi immobilizzai mentre il suo sorriso furbetto si chiudeva oltre la porta.

Era una situazione atomica: lei non poteva farmi niente, l’avrei respinta cercando di non farle male, ma non era semplice, era così gentile ma non sapevo come comportarmi, era la prima volta che mi capitava una cosa del genere...

Vidi il collegamento attivo e vidi che una video chat non era possibile data la connessione scarsa, ma Alice mi stava già chiamando in una chat normale.

“Sorellina....... come stai?”

“Avrai già visto tutto Alice, saltiamo i convenevoli. Dimmi come sta lui...”

“Lui non vive... finge con Renesmee poi quando lei non c’è mostra il suo dolore...”

Le mani mi tremavano.

“Continua a stargli vicino anche se mi rendo conto che deve essere complicato... non fargli vedere niente di quello che mi accade...”

“No... ma spiegami quella dello squalo, non ho capito cosa ti è saltato in mente...”

“Alice lascia stare, non è importante. Senti, forse lo sai già, sono a Nuuk in Groenlandia...”

“CAVOLO! Avevo visto neve ma pensavo un’isola del nord Canada...”

“No... seguendo la balena e lottando con lo squalo ho perso l’orientamento, che poi non è che ne ho mai avuto molto... senti, qui sono molto gentili, cioè la ragazza, è l’unica che sa l’inglese... mi dice che è meglio l’aereo per tornare in Canada...”

“FERMATI SUBITO! Ma scusa, ti faccio venire a prendere da Jasper no?!”

“No Alice... nessuno deve sapere cosa sto combinando... tu r

   
 
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