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Autore: Emrys_____    23/08/2011    6 recensioni
Non udivo un tremito. Nè un respiro. Nessun rumore e quel silenzio, negli anni, lo avrei ricordato come il più dolce e malvagio della mia esistenza.
Non aveva pietà, forse perchè era troppo impalpabile, e fragile, per poter trascinare con sè alcunchè.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prigionia




 

- Tè, Mr. Holmes?-
Non potei impedire alle mie labbra di incresparsi in un ghigno.
Per un attimo, la lancinante angoscia che mi divorava fu sfocata dall’immagine di Mrs. Hudson che con un sopracciglio inarcato e un vassoio grondante ironica esasperazione, si presentava davanti a lui, le speranze come sempre, mal riposte nei biscotti fatti in casa e l’animo pronto a sopportare stoicamente le battutine taglienti del suo più irriverente inquilino.
Mi sarebbe mancata. Lei e le sue scenette. Erano un binomio perfetto. Entrambi sarcastici, indisponenti e non disposti ad ammettere che in fondo, si erano affezionati l’uno all’altro.
E niente avrebbe potuto cambiare questo.
-C’è del veleno nonnina?-
Rumore di argento sbattuto con misurata calma.
Forse qualcosa sì, in effetti.
Lui e la sua indisponenza. Dio solo sapeva quanta pazienza avevo avuto in quegli anni di convivenza.
Trascorrere ogni sacrosanta giornata cercando, nell’ordine, di ritrovare vestiti, proteggere l’incolumità di Gladstone e caricare rivoltelle per eventuali missioni suicide, si era rivelato più snervante di quanto mi sarei aspettato.
Ma mi sarebbe mancato.
Come l’aria dopo una corsa folle, quando la gola riarsa annaspa alla ricerca di una frescura che sembra non giungere mai.
Non mancava moltissimo all’alba e fra poco avrei calpestato per l’ultima volta quella dannata asse cigolante. Avrei afferrato la maniglia arrugginita e non mi sarei voltato, perchè di certo non lo avrei trovato a lanciarmi un’occhiata d’addio.
Non era tipo da fare cose del genere. La tendenza al melodramma non era esattamente una delle sue caratteristiche. Se anche gli fosse importato qualcosa e sapevo che era così, non lo avrebbe ammesso.
La voce non si sarebbe incrinata nel tentativo strozzato di pronunciare qualche ironica parola di commiato e le mani non avrebbero tremato neppure per un istante, neppure per concedermi il sollievo di uno sguardo velato, di due labbra serrate per trattenere parole sbagliate, con una testardaggine giustificata solo da una consapevolezza devastante.
Lui non era tipo, no.
Ma io sì.
Per questo dopo aver mangiucchiato con poco entusiasmo una delle squisite focacce di Mrs. Hudson, mi ero congedato e non avendo cuore di farle credere che non apprezzassi, avevo portato teatralmente una mano alla fronte per simulare una tremenda emicrania.
Con la coda dell’occhio avevo intravisto Holmes lanciarmi una veloce occhiata indagatrice, condita da quello che mi era parso un sorrisetto, subito svanito fra le nebbie di un’espressione interessata, le iridi scure che solcavano ogni intarsio della propria posata da dolce.
-Non starà meditando di sgraffignarla per qualcuno dei suoi strambi esperimenti, spero! – aveva esclamato la voce profetizzante della padrona di casa, impegnata a tagliare in fette esattamente uguali un profumato ciambellone alla cannella. – Fa parte di un servizio estremamente antico, sa? – aveva sussurrato con enfasi, assottigliando gli occhi, di certo nella speranza di non dover ripetere l’esperienza di frugrare fra le cianfrsaglie di Holmes alla ricerca di un proprio oggetto personale, nell’ultima occasione, il ferretto di una giarrettiera di pizzo.
Più volte avevo pensato di proporre la beatificazione di quella donna per la sua fervente santità e proprio mentre mi accingevo a chiudere la porta della mia stanza, mi ero abbandonato ad un sorriso nostalgico, ripercorrendo con la velocità propria solo dei ricordi, molte altre occasioni in cui avevo assistito a simili tentativi di salvataggio.
Avevo appoggiato la schiena al legno, avvertendo lo sgradevole rumore dell’intonaco un tempo bianco che in alcuni punti sfioriva, come un debole petalo toccato con poca cura.
Mi ero disteso sul letto e sbottonato il colletto della camicia ed ero rimasto in quella posizione per non so quanto tempo, declinando la cena, incapace di ingoiare nient’altro che non fossero nodi alla gola.
Con le mani dietro la testa, ero rimasto a fissare il soffitto per ore, percorrendo senza vederle le scie scure impresse dall’umidità, raccolte in pericolanti goccioline nell’angolo a destra, sopra lo scrittoio, dove tenevo poggiata per abitudine una ciotola con un fazzoletto, in modo da poter convivere pacificamente con il fastidioso ticchiettio dell’acqua che precipitava inesorabile sul metallo.
La nuova abitazione che avevo acquistato era completamente diversa.
Stanze linde, arredo nuovo e prezioso, un confortante focolare per scaldare le pagine dei miei diari durante le rigide sere di neve e il dolce sorriso di Mary, ad accompagnare i miei giorni. Per sempre.
Niente più avventure, niente spedizioni folli o macchie sul soffitto.
Addio al tè di Mrs. Hudson e alle sue ironiche sopracciglia, al suo famoso ciambellone al limone e alle sue intrepide scorribande nelle chincaglierie di Holmes. Una vita tranquilla.
Inoltre il povero Gladstone alla sua ormai veneranda età, meritava una vecchiaia senza deliberati attentati alla sua salute.
Avrei avuto quel tanto agognato silenzio.
Niente più stridulo suono di violino in piena notte.
Basta con archetti e oggetti contundenti pericolosamente vicini al mio viso e basta anche con l’offrire rinforzi a Mrs. Hudson durante le sue scorribande, nel tentativo di ricavare da quella ormai non proprio segreta collaborazione, qualche bottone dei miei gilet.
Il bastone da passeggio sarebbe stato solo un appoggio e sarebbe stato nuovo.
Ne avevo ordinato uno, di ottima fattura.
La lama d’acciaio sarebbe rimasta celata in soffitta per sempre.
Sorrisi, con un velo di disprezzo per le mie sciocche azioni, conseguenza di ancora più sciocchi pensieri.
Come se la possibilità di vederlo non esistesse più.
Ero sempre il suo medico, questo non sarebbe cambiato.
Avrei ancora potuto ridere delle sue proposte di pace dopo un litigio, guardare il Don Giovanni con lui dall’alto di un palchetto, gettargli occhiate senza poter credere di vederlo per una volta in ordine e in un completo nero stirato come Dio comandava.
Avrei ancora potuto sorridere ed esasperarmi e poi sorridere ancora, dei suoi capelli spettinati e del modo in cui mi sussurrava regolarmente nel religioso silenzio del teatro: “Watson, devo scusarmi con lei. Sappia che perdere la sua cintura non era nelle mie intenzioni”, cambiando indumento o accessorio ogni volta.
Non avrei più alzato occhi al cielo, nè mi sarei soffermato a guardare le sue dita che giocherellavano con le corde tese, mentre a labbra incurvate e occhi chiusi fintamente rapiti, ignorava i colpi al muro della padrona di casa, stanca di quell’anonimo strimpellare a ogni ora del giorno e della notte.
Non lo avrei più visto togliersi o mettersi il cappello, in un modo che soltanto a lui avevo visto fare, nè mi sarei più accodato alla sua voce nel dire “Dio è con Enrico, l'Inghilterra e San Giorgio! ”.
Un’infinità di dettagli, che non avrei più potuto dimenticare.
Un’infinità di pensieri, a cui non avevo più la possiblità di dare voce, perchè quella possibilità l’avevo negata a me stesso molto tempo prima.
Serrai gli occhi, stringendo le labbra, combattendo con un’ombra di rimorso che mi tormentava senza posa da giorni.
Non sarebbe accaduto. Mai. Non sarei rimasto. Il contratto era reciso e una nuova firma sarebbe stata presto in calce, a siglare una nuova vita, una finalmente tranquilla dopo anni di guerra e di avventure spericolate.
- Mr. Holmes insomma! Vuole o no restituirmi la mia sottogonna di raso? Immagino sappia il motivo per cui non mi sono mai adirata con lei: so per certo che non si tratta delle abitudini di un depravato, ma solo delle strane usanze di un uomo dalla comprovata intelligenza e dalla scarsa volontà di ammettere i propri limiti!-
- In fede mia non so di cosa stia cianciando -
Silenzio.
Gli angoli delle labbra mi s’incurvarono automaticamente.
Ancora un attimo.
-Del fatto piuttosto evidente che lei è disturbato! E non è neppure portato per la scienza, dato che ogni suo esperimento, Dio solo sa perchè sempre imperniato su qualche accessorio delle mie gonne, si è rivelato un totale fallimento! –
Risi di gusto. Anche di quelle conversazioni senza mura avrei sentito la mancanza.
-Ora da bravo, smetta di fare capricci e beva questo dannato tè...-
Il sussurro della donna giunse appena udibile attraverso la parete. Potevo quasi vederne il ghigno satanico mentre allungava la tazza decorata verso di lui.
-Mi sono permessa di correggerlo con del cordiale... oh avanti non faccia il timorato di Dio non è da lei! Beva su! Una nottata insonne non le ha giovato sa -
Mi ero alzato per osservare i tetti di Baker street cospargersi d’oro, ma mentre accarezzavo il vetro, le mie dita si erano bloccate: ipotesi tanto insperate quanto stupide si susseguirono a velocità improponibile davanti ai miei occhi sgranati.
Automaticamente mi voltai verso il muro.
- Oh per l’amor del cielo! Che il diavolo mi porti se ho idea di dove ha intezione di andare a quest’ora del mattino!-
Seguì il tonfo di una porta sbattuta.
Rimasi interdetto per un attimo, fino a che un colpo secco non mi riportò alla realtà.
La voce di Mrs. Hudson mi raggiunse in un battito di ciglia, informandomi che da basso c’era il cocchiere, in attesa che scendessi, mentre un garzone stava già sistemando in carrozza le mie valigie.
Mi concessi solo un istante per ricompormi e andai ad aprire.
Un paio di occhi gentili e velati di lacrime fu la sola che vidi, prima che la punta del naso fosse solleticata da un colletto di pizzo e le narici invase dal profumo francese di Mrs. Hudson, che mi abbracciava forte, sussurandomi che non avrebbe mai dimenticato la mia compagnia e che potevo andare a trovarla con la mia dolce consorte quando più ritenevo opportuno.
Mormorai qualche parola, con sguardo basso. L’abbracciai ancora e poi la osservai richiudere la porta, probabilmente per darmi il tempo di dire adeguatamente addio alla mia stanza spoglia.
Percorsi ogni cosa con gli occhi, mentre qualunque angolo sui cui posavo lo sguardo mi riportava indietro e vedevo ogni oggetto nuovamente al suo posto, rischiarato appena dai pallidi raggi del sole incipiente, che in quel lieve buio disegnavano ghirigori di luce danzando fra gli intarsi delle macchie sui vetri.
Abbassai lo sguardo, deluso.
Non si era degnato neppure di salutare. Me l’ero aspettato, del resto sapevo com’era fatto.
Probabilmente l’avrei visto presentarsi davanti alla soglia di casa di lì a qualche mese, con gli stivali infangati e un sorrisetto beffardo. E qualche altro assurdo esperimento sugli effetti che la teoria musicale poteva avere, magari sul comportamento di un branco di gatti spelacchiati stavolta.
Non sarebbe accaduto. Lo sapevo.
Ma l’avrei sognato, senza poterlo evitare. Sapevo anche questo.
Un rumore sordo mi fece sobbalzare, costringendomi a gettare un’occhiata preoccupata alla finestra.
Mi avvicinai circospetto e aprì le ante.
-In nome di Dio Holmes che sta facendo?-
Sgranai gli occhi, sbracciandomi per aiutarlo a entrare mentre quel pazzoide si teneva saldamente ancorato alla grondaia accanto al davanzale, noncurante dell’infausto scricchiolio che di certo non era da ritenersi un buon presagio.
Lo tirai per un braccio e con un tonfo cadde carponi a terra trascinandomi assieme a lui.
-Holmes è forse impazzito? – domandai recuperando il bastone senza scompormi troppo, alzandomi poi con la medesima grazia che avrei usato se fossi stato a un tè con sua maestà.
Come se fossi perfettamente abituato a vedere il mio coinquilino scalare due piani arrampicandosi a grondaie pericolanti per bussare alla mia finestra.
Uno dei vantaggi che si ottiene dalla convivenza con Sherlock Holmes è che le situazioni più strambe diventano pura normalità.
Intanto lui si spazzolava i pantaloni e la camicia con le mani aperte, gettandomi un’occhiata angelica.
- Ho pensato che non potevo lasciarla andare senza salutarla, caro Watson –
- E non poteva farlo attraversando il corridoio come tutte le persone normali? –
Agitò una mano con noncuranza.
- Sa bene che la nonnina mi avrebbe seguito per origliare ogni parola. Adesso è in strada a dire al cocchiere di tornare fra un’ora –
Spalancai la bocca indignato.
- Cosa? Lo sa che mi attendono i genitori di Mary alla stazione? Lo sa questo vero? –
- Se l’avessi saputo davvero pensa che avrei sabotato la sua partenza in questo modo? – esclamò sbattendo le ciglia con la sua migliore espressione di sorpresa.
Mi portai le mani al viso, accasciandomi sul letto.
-Oh avanti mio caro Watson, un’avventura prima di chiudere col passato! Ho voluto coinvolgerla in un’ultima situazione spericolata prima di abbandonarla alla tediosa vita di campagna!-
Lo sguardo che gli lanciai avrebbe potuto incenerirlo all’istante e probabilmente su qualunque altro avrebbe avuto almeno un effetto intimidatorio.
-Mi tolga una curiosità – esordì, sedendosi accanto a me e lasciandosi andare sul materasso, con le braccia dietro la nuca. –Sua moglie sa che è così permaloso? In fede mia non capisco come qualcuno eccetto me, possa sopportarla! –
Avrei voluto ucciderlo.
-Che cosa?- sussurrai.
Cadde un’istante di silenzio, durante il quale Holmes continuò a fissare il soffitto con aria svagata.
Ad un certo punto mi sovvene il dubbio che non mi avesse sentito.
-Mi ha sentito –
Certo che sì.

Mi alzai in preda all’angoscia, con il solo desiderio di rompere qualcosa.
Potevo accettare tutto. Qualunque battuta, qualunque commento sarcastico, perfino un velato insulto nei confronti di Mary, ma non potevo accettare quell’ironia. Non in quel momento.
Scossi la testa ridendo, sull’orlo di una vera e propria crisi.
-Posso farle notare che negli ultimi due giorni mi ha deliberatamente ignorato? – sussurrai lanciandogli un’occhiata di sbieco per osservare le sue reazioni e adirandomi ancora di più nel non vederne alcuna.
-Rispondeva a malapena alle mie domande, si comportava come se la poltrona accanto alla sua fosse occupata solo dal velluto e adesso osa dirmi che io sarei insopportabile? –
Nel parlare mi ero avvicinato sempre più, puntandogli un dito contro ed enfatizzando ogni parola.
Nel tempo di un soffio era in piedi, con le mani ai fianchi, così vicino che avrei potuto sfiorarlo senza neppure muovermi.
Impressi un’ultima volta quei lineamenti nella mia memoria: sottili, delicati come quelli di una donna ma affascinanti nei loro mutamenti come solo in un uomo maturo può accadere.
Labbra seriche circondate da un velo di barba, e sopracciglia scure corrugate sulla curva di un naso sottile che non potevano tuttavia celare il buio pesto di quelle iridi scure.
Lo sguardo profondo, della mente più intelligente al mondo.
Mi chiesi il perchè. Perchè sentissi il bruciante desiderio di toccarlo, fosse stato anche per schiaffeggiarlo. Perchè il calore di quella pelle fosse sotto le mie dita, perchè per una sola, maledetta volta, fosse quel corpo a reagire a me e non il contrario.
Mi resi conto con orrore che lo stavo fissando, spostando lo sguardo lungo il collo, le spalle, il torace ampio, teso sotto la stoffa bianca della camicia stropicciata.
Vidi le sue ciglia stringersi attorno l’iride e imprecando a mezza voce spostai lo sguardo di lato.
Tanto per spezzare quell’insopportabile imbarazzo mi gettai nuovamente sul materasso, sollevando le maniche della camicia sui gomiti e abbandonando le braccia lungo le tempie.
-Almeno per oggi potremmo evitare di discutere? – riuscì a biascicare, la lingua annodata in fondo alla gola secca.
Holmes era rimasto immobile, le braccia lungo i fianchi, i pugni così serrati che potevo vedere le nocche diventare velocemente cadaveriche.
Senza preavviso si spostò, dirigedosi verso la finestra, incrociando le braccia e dandomi le spalle.
- Ha ragione Watson. Direi che la data della sua dipartita può essere considerata quella di un armistizio –
Sorrisi, sentendo l’aria riempirsi anche della sua risata sottile.
-Guardi che non sto per morire ma per unirmi in matrimonio–
-Vedo che per una volta parliamo della stessa cosa!-
-Come vuole...- l’assecondai con un ghigno.
Rimasi ad occhi chiusi, rilassandomi un pò di più.
L’attimo di silenzio che seguì avrei potuto trascinarlo con le dita tanto era pesante.
-Le mancherò? –
Ebbi l’istinto di portare una mano alla bocca ma riuscì solo a serrare le labbra, maledicendo la mia abitudine di dar voce alle emozioni, come sempre, senza pensare.
Presi a far vagare lo sguardo per la stanza, in qualunque punto tranne alla mia sinistra e deglutii a vuoto.
-Anch’io ho una domanda per lei -
Mi stava fissando, poggiato contro il vetro, coprendo la luce e creando ombre deformi sulle vecchie assi impolverate.
-L’ha trovato? –
Rimasi interdetto, sbattendo le palpebre e mi sollevai sui gomiti.
-Di che sta parlando? –
-Di un sostituto, ovvio. E mi raccomando Watson: che abbia la medesima intelligenza, anche se - disse avvicinandosi inesorabilmente fino a circondarmi con le braccia poggiando le mani sulle lenzuola -...dubito che esista qualcuno con la sua medesima stupidità - concluse, sussurrandomi praticamente sulle labbra.
Potevo specchiarmi, nelle viscere di quegli occhi sgranati. Avrei potuto scivolare su quel mento ruvido se solo avessi permesso ad un respiro meno spezzato di scuotermi.
Sollevò un dito, togliendomi un granello di polvere dal colletto immacolato e sfiorandomi appena.
Risalì lungo il collo, celando tanta lascivia in quel gesto lento, da farmi desiderare di ucciderlo con le mie mani.
Manipolatore doppiogiochista.
Si fermò appena sotto il lobo: nei suoi occhi vidi l’assenza che precede una riflessione.
Le pupille vagavano, senza meta.
Infine le riportò su di me.
-Possibilmente che sia anche meno debole di cuore...-
Sorrise, con così tanta sfacciataggine che sentii l’ira invadermi, veloce almeno quanto il rossore che avvertivo al viso per l’indignazione.
Spostai lo sguardo di lato.
-Se non mi lascia andare l’avverto che fra qualche secondo si ritroverà scaraventato per terra -
La frase che pronunciai era carica di amarezza, più che di rabbia.
Detestavo il modo in cui si prendeva gioco di me. Anche quando era la cosa meno appropriata.
Il suo sorriso si spense, mentre incatenavo i miei occhi ai suoi, con fierezza, come un ferito guarda il proprio carnefice mentre infligge lentamente e a sangue, la stoccata finale.
Il suo suardo era insondabile. Definirlo andava oltre le mie possiblità e soprattutto oltre la mia lucidità che si sbriciolava come pietra porosa, fra le dita di un dio.
Spostò gli occhi ovunque. Vagarono nei miei, mi attraversarono il volto, fino ad arenarsi sulle labbra; poi ancora mi trafissero, e ancora percorsero la curva della mia bocca. E mi sembrò che non fosse capace di impedirlo. E mi parve di intravedere quel tremito ingovernabile che tante volte avevo desiderato scatenargli quando nelle nostre solite discussioni finivo per assecondarlo e accogliere il torto.
Si alzò lentamente e rimase immobile, mentre mi sistemavo dandogli le spalle.
Potevo sentire il suo sguardo intelligente scandagliarmi da parte a parte. Potevo sentirlo bruciare, fra le grinze della cicatrice sulla spalla. Nemmeno fosse riaperta. Nemmeno fosse fresca e sanguinante, come tutto il resto.
-Lei non ha mai voluto che mi trasferissi - sibilai, sistemando le maniche della camicia e richiudendo i bottoni del colletto, sempre senza voltarmi.
I miei sussurri malvagi lo colpirono a tradimento ed era ciò che volevo.
Volevo che colpissero l’obbiettivo, perchè era quello che pensavo. E allo stesso tempo era la tremenda verità che ne ero certo, si sarebbe tramutata in un ricordo triste, uno di quelli da tenere in collezioni segrete, sotto teche di vetro per impedirne la fuga.
Per impedire di essere trascinati via, su sentieri vecchi e in vicoli bui,la cui fine si poteva intuire facilmente cosa fosse.
-Sono mesi che preparo questa partenza e non una volta ha avuto il coraggio di dirmelo! Non ha fatto altro che sabotare la mia relazione e rifiutarsi di incontrarla per puro puntiglio, senza avere il benchè minimo riguardo nei miei confronti e comportandosi come un ragazzino! Perchè in fondo lo è... la mente più brillante del mondo non è stata capace di intuire che se solo me l’avesse chiesto... se solo me l’avesse chiesto la mia scelta sarebbe stata diversa! –
Quelle ultime parole le avevo urlate, senza rendermene conto e nell’impeto mi ero voltato, per sputarle una ad una sul suo viso impassibile.
Ora avevo gli occhi lucidi e ne ero consapevole ma sarebbe stata l’ultima volta che gli permettevo di ferirmi.
All’ultimo secondo però un briciolo d'orgoglio mi costrinse ad abbassare lo sguardo, per confidare nella bontà di quella lacrima e sperare che non mi mi umiliasse, disegnando una scia brillante nella penombra delle mie guance.
Mi voltai e girai la maniglia ma non feci neppure in tempo a rendermene conto che lo spiraglio che avevo aperto si richiuse di botto, sotto il colpo di una mano forte, che vi si abbattè sopra a palmo aperto, mentre l’altra si insinuava fra il mio viso e la spalla, contro il muro, per non darmi vie di fuga.
Non mi voltai. Ebbi solo il coraggio di gettare qualche occhiata spaventata al braccio teso alla mia destra, ai muscoli e alle vene pulsanti sotto la stoffa arrotolata sopra i gomiti.
Potevo sentire il suo calore. Ma non potevo pregare perchè si allontanasse.
Dio non mi avrebbe perdonato preghiere piene di menzogne.
Appoggiò la fronte sul mio collo.
Non udivo un tremito. Nè un respiro. Nessun rumore e quel silenzio, negli anni, lo avrei ricordato come il più dolce e malvagio della mia esistenza.
Non aveva pietà, forse perchè era troppo impalpabile e fragile, per poter tarscinare con sè alcunchè.
-Allora resta...-
Il suo sussurro mi trafisse il petto.
Con quel minuscolo cambiamento che mi spezzò da parte a parte.
E non mi concesse respiro, come se neppure lo meritassi ma si incastrò lì, sotto le ciglia sgranate e fra le labbra dischiuse.
-Mr. Watson?-
La voce di Mrs. Hudson mi scosse all’improvviso, e sobbalzai, mentre pezzi di una cruda realtà si risistemavano a dovere, riportandomi su dall’abisso di follia in cui ero precipitato.
- Fra qualche minuto il cocchiere sarà di ritorno... Mr.Watson?-
Ero incapace di pensare. Riuscivo solo a fissare i decori della carta da parati, incapace di vederli davvero, il ricordo di com’erano fatti, relegato in un recesso insignificante della mente.
La mano sinistra ancora stretta attorno al pomello, quasi insensibile per la forza con cui mi aggrappavo, come ad un’ultima ancora nel mezzo di una tempesta che scardina ogni cosa e cancella ogni proposito, sbiadisce ogni decisione e spazza via senza sforzo, briciole di propositi e certezze, lasciando solo quiete.
La quiete di una paura, diventata in pochi attimi la mia signora.
Crollai il capo e chiusi gli occhi.
La voce che mi chiamava un suono sordo e senza peso.
Mi abbandonai ad un sospiro, lasciando cadere la mano.
Così avevo gettato al vento la chiave del mio carceriere.
Ma non avevo mai desiderato così tanto, marcire in una calda prigionia senza uscita.

FINE



 

   
 
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