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Autore: Len IlseWitch    24/08/2011    10 recensioni
E' passato un anno da quando Kurapika ha affrontato la Brigata a York Shin City e i Ragni si fanno improvvisamente vivi 'invitandolo' ad incontrarli. Il ragazzo accetta ma lo attende una terribile sorpresa.
Genere: Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Genei Ryodan, Kurapika, Kuroro Lucifer
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NELLA TELA DEL RAGNO 

 
 

Kurapika camminava per le strade della città mentre qualche fiocco di neve cominciava a cadere dal cielo bianco. York Shin si preparava a festeggiare il capodanno, lo si capiva dalla frenesia della gente che affollava le strade. Sorrise lievemente pensando a quanto fossero fortunati, e che era bello sapere che nel mondo c’erano persone felici. E lui avrebbe fatto in modo che continuassero ad esserlo.

Camminava senza fretta verso la sua destinazione, con un senso di calma di cui lui stesso si stupiva. Da quando, una settimana prima, aveva ricevuto la lettera della Brigata Fantasma che lo invitava a York Shin, non aveva più pensato ad altro. Era conscio del fatto che lo aspettassero per combattere e la cosa non lo spaventava; sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento della resa dei conti. Tuttavia c’era qualcosa di strano, un senso d’inquietudine che lo avvertiva di non abbassare la guardia. Kuroro non si era ancora liberato dal suo Nen ma aveva lo stesso una bruttissima sensazione.
La missiva non gli lasciava possibilità di rifiuto, in quanto se non si fosse presentato, avrebbero distrutto l’intera città. E lui sapeva che non scherzavano.
Arrivò nel luogo stabilito con cinque minuti di anticipo. L’orologio del parco segnava le cinque meno cinque. Kurapika raggiunse la fontana come da istruzioni e attese. Ricordava come , in quello stesso parco, poco più di un anno prima aveva rincontrato Gon, Killua e Leorio. Di nuovo gli sfuggì un sorriso e si sentì confortato al pensiero dei suoi amici. Certamente si sarebbero infuriati se avessero scoperto che si era recato lì da solo…Una folata di vento gelido gli scompigliò i capelli sollevando del nevischio. Avvertì immediatamente il loro arrivo, un fremito attraversò l’aria e gli diede i brividi.
Si volse lentamente e i loro sguardi si incrociarono. Erano a dieci metri da lui e la loro aura era intrisa di una forza spaventosa. Erano solo due, il samurai e la donna. Si mossero istantaneamente a lui e si incontrarono a mezza strada. Quando furono separati da soli tre metri si fermarono.
«Sei solo», commentò Nobunaga.
«Come volevate», disse Kurapika.
«Hai davvero un bel fegato». L’uomo lo squadrò. «Finalmente ci incontriamo».
«Non perdiamo tempo. Dove volete combattere?».
Nobunaga sorrise. «Cos’ha che non va questo posto?».
Kurapika socchiuse gli occhi mentre l’ira cominciava a crescere. «Non intendo combattere qui. Nessuno deve essere coinvolto».
«Ma sentilo! Che nobiltà d’animo ha questo bastardo».
«Finiscila Nobunaga», disse Machi seccata. «E comincia a darti da fare».
Prima che  Kurapika avesse il tempo di prepararsi, i due scomparvero dalla sua visuale. Il ragazzo si scansò appena in tempo per evitare un fendente della spada; fece un balzo indietro e scorse un movimento alla sua sinistra. La catena partì fulminea dalla sua mano, avvolgendosi attorno ad un sottile filo di Nen, ed entrambi si tesero per la pressione esercitata dei rispettivi evocatori. Machi fece un sorrisetto e accorciò il filo così rapidamente che il ragazzo rischiò di esserle trascinato addosso. Disattivò la catena appena in tempo e balzò sul ramo di un grosso albero mentre la spada di Nobunaga lo mancava di un soffio e andava a conficcarsi nel tronco.
«Sei bravo», commentò la donna.
«Sai solo schivare?», lo schernì l’altro estraendo la lama dal legno.
«Detesto le persone impazienti », disse Kurapika togliendosi cappotto e sciarpa. «Così va meglio». Saltò a terra e la catena imprigionante partì verso la donna che la schivò zigzagando. Si bloccò a qualche metro da lui e parve studiarlo un istante. «Non te ne sei accorto?».
Kurapika si guardò attorno e istantaneamente tutti gli alberi e i lampioni del parco caddero come i tasselli di un domino. La gente fuggiva e gridava, rischiando di essere travolta. Una ragazza si coprì la testa terrorizzata, mentre il grosso tronco di un abete stava per abbattersi su di lei.
Kurapika si gettò verso di lei e la spinse via appena in tempo. Si rialzò subito, mentre la ragazza lo guardava allibita. «Grazie… », sussurrò.
«Muoviti, scappa!», gridò lui, mentre Nobunaga caricava un attacco.
Catena e spada si scontrarono in un duello furioso, mentre Machi li guardava incerta.
«Ti decidi a bloccarlo?», gridò all’indirizzo del compagno. «Così non posso attaccare!».
Nobunaga non le rispose. I suoi occhi erano fissi su Kurapika in uno scintillio omicida. Il ragazzo parava e attaccava con precisione, ma per ora il suo obiettivo era uno solo: portarli lontano dal parco e dalla gente. Schivò agilmente un nuovo attacco e superò il suo avversario cominciando a correre. I due lo seguirono all’istante. Kurapika corse più veloce che poteva per le vie innevate del centro, fino a raggiungere la periferia. I membri del Ragno gli erano alle costole e pregò di essere abbastanza veloce da riuscire a mantenere le distanze.
Giunse ad un vecchio palazzo in disuso e si gettò sulle scale anti incendio, diretto verso il tetto dell’edificio. Arrivarono contemporaneamente e si fissarono per qualche istante. Kurapika ansimava, loro invece sembravano freschi come quando si erano incontrati.
«Ma che t’importa di quella gente?», chiese Machi.
Kurapika la guardò con disprezzo. «Una come te non potrà mai capire».
«Pakunoda aveva visto giusto su di te. Hai un punto debole evidente».
«Ciò che tu chiami punto debole, potrebbe invece essere un punto di forza», ribatté il ragazzo.
«Vediamo chi ha ragione».
Machi partì fulminea verso di lui. Kurapika si preparò a riceverla ma all’ultimo momento lei si scansò e comparve Nobunaga. Il ragazzo si scansò ma non fu abbastanza rapido. La spada gli trapassò la spalla sinistra. Nobunaga sorrise e strappò la lama dal corpo dell’avversario, che cadde in ginocchio.
«Sei stato bravo. Intendevo infilzarti il cuore ma i tuoi riflessi ti hanno salvato. Comunque ti ho distrutto la spalla… ».
Si interruppe osservando il ragazzo davanti a lui. Kurapika teneva la testa bassa e si stava rialzando. Una catena diversa, che non avevano mai visto, si era attivata e si era avvolta attorno alla spalla ferita. Quando il ragazzo rialzò il capo i suoi occhi erano scarlatti. Machi e Nobunaga rimasero increduli per la prima volta dopo molto tempo: la spalla del ragazzo era guarita.
«Che diavolo… », cominciò Nobunaga.
«Tutta qui la vostra abilità?», chiese Kurapika. «Finora la Brigata Fantasma si è rivelata essere una vera delusione. Speravo che voi avreste potuto smentirmi, ma evidentemente sbagliavo. Mi domando come abbiate potuto uccidere il clan Kuruta alla vostra attuale potenza».
«Come osi, maledetto!», gridò Nobunaga.
«Ci ho riflettuto molto», continuò il ragazzo come se non lo avesse sentito «e sono giunto alla conclusione che l’effetto sorpresa sia stato determinante. Altrimenti non sareste mai riusciti a sopraffare la mia gente».
«Chiudi quella bocca! Pronuncia solo un’altra sillaba… ».
«Sta zitto e combatti», disse Kurapika sprezzante.
Nobunaga e Machi si mossero all’unisono. Kurapika infuse tutto il suo Nen nella catena  e attese. Quando i due gli furono addosso la catena del giudizio guizzò rapida e letale come un serpente. Colpì Machi di striscio ad un fianco e puntò dritta su Nobunaga. Lui la schivò, ma essa roteò alle sue spalle conficcandosi nella sua schiena. Il volto del samurai fu attraversato da un lampo d’incredulità. Kurapika aumentò la concentrazione e comandò la catena di colpire il cuore del suo bersaglio. Si accorse un secondo troppo tardi del filo di Nen, che si avvolse attorno al suo collo a al suo polso destro. La voce di Machi gli arrivò alle spalle. «Ti ho preso».
Il ragazzo mosse il braccio destro e si rese conto immediatamente che quel filo non si sarebbe mai spezzato. Si stringeva come un serpente levandogli il fiato. Cercò di allentare la morsa attorno al collo con la mano libera. Nobunaga si avvicinò a lui, ancora con la catena conficcata nella schiena, come se non avvertisse dolore. Kurapika si mosse e Machi accorciò il filo soffocandolo.
«Come diceva quella richiesta? Ah, si: l’ideale sarebbe una testa con gli occhi stabilizzati sul cremisi. Adesso che il clan Kuruta è stato sterminato esiste soltanto un ultimo esemplare che può soddisfare i clienti».
Kurapika si divincolò, stordito per via della mancanza di ossigeno, con la mente che si affannava per schiarirsi e cercare di uscire da quella situazione.
«Trattienilo così», disse Nobunaga alzando la spada.
Facendo ricorso a tutta la sua concentrazione, il ragazzo mosse appena la mano bloccata dal filo, sperando che funzionasse. La catena uscì dal corpo di Nobunaga frustò l’aria con la rapidità del fulmine e gli strappò la spada; roteò all’indietro e finì precisa contro Machi. La lama le tagliò di netto il braccio destro e istantaneamente Kurapika fu libero. Non appena i fili di Nen si indebolirono si spostò indietro ansante.
Guardò i suoi avversari: Machi si reggeva ciò che restava del braccio tagliato, Nobunaga perdeva sangue. Era in netto vantaggio. Ora poteva catturarli con la sua catena.
Mentre preparava l’attacco definitivo, che avrebbe messo fine alla battaglia, una voce giunse dall’alto. «Basta così. Non siete alla sua altezza, è evidente».
Kurapika rimase immobile per qualche secondo al suono di quella voce. Non può essere, pensò mentre un sudore gelido gli imperlava la fronte. Non può essere lui, lo avrei saputo…
Continuava a ripeterselo ma sapeva di sbagliare; perché non avrebbe mai potuto dimenticare quella voce, ne confonderla con altre.
Kuroro atterrò tra lui e i membri del Ragno, dandogli le spalle. «Tutto a posto?», domandò.
«Niente di grave», disse Machi raccogliendo da terra il proprio arto. «Me lo riattacco in un secondo».
«Capo», cominciò Nobunaga. «Non mi serve aiuto. Non so che razza di trucco usi, ma posso continuare».
«No, non puoi. E’ fortissimo. Niente a che vedere con colui che mi ha imposto il divieto un anno fa». Si volse e finalmente guardò Kurapika. «Non sei cambiato», commentò scrutandolo.
Kurapika era ancora paralizzato. Cercò di riprendersi in fretta, accantonando le domande che gli affollavano la mente.
«Fatevi da parte», ordinò Kuroro. «Ora ci penso io».
Machi fece un gesto brusco al quale Nobunaga rispose con una scrollata di spalle. I due si spostarono contro la parete del sottotetto, lasciando libero il campo di battaglia.
Kuroro aprì il libro che teneva in mano. «Sei pronto? Questa volta niente ti vieta di uccidermi».
«Non ho bisogno che sia tu a dirmelo».
«Bene». Kuroro sorrise. Un istante dopo era sparito.
Kurapika si guardò attorno confuso. Per qualche istante non accadde nulla, poi avvertì una presenza alle sue spalle. In meno di un secondo fu colpito da una forza portentosa che lo scaraventò a diversi metri di distanza. Cadde a terra dolorante, e cercò di rialzarsi, ma fu colpito di nuovo e sbalzato da terra. Tossì e sputò un getto di sangue.
 Kuroro torreggiò su di lui. «Ebbene? Hai intenzione di continuare ad incassare o vuoi anche rispondere?».
Ma che razza di trucco sta usando? si chiese il ragazzo. Kuroro non aveva neppure usato il suo libro.
Kurapika cercò di colpirlo con la catena ma lui schivò e attaccò. Questa volta il ragazzo evitò il colpo, ma il pugno di Kuroro gli passò a qualche centimetro dal viso e lo spostamento d’aria fu sufficiente a provocargli un taglio sulla guancia. Si scrutarono per qualche istante, l’uno aspettando un movimento da parte dell’altro. Dal cielo cominciò a scendere la prima, gelida pioggia.
Fu Kurapika ad attaccare per primo. Si mosse con una rapidità fulminea, schivò tre dei colpi dell’avversario e gli arrivò di fronte. Visibilmente colto alla sprovvista, Kuroro schivò il pugno, ma Kurapika lo aveva previsto. Quando si fermò, con la schiena contro quella del suo nemico, si concesse un sorriso. «Pare che tu non te ne sia accorto».
Kuroro abbassò lo sguardo. La catena imprigionante era avvolta attorno al suo braccio destro.
Nobunaga fece un passo avanti, ma Machi lo fermò, senza staccare gli occhi dalla battaglia.
Kurapika si volse e colpì il suo nemico con un calcio. L’altro cadde a terra, con il braccio che sanguinava.
«Preparati», disse Kurapika, gli occhi rossi che scintillavano. La catena del giudizio si sollevò e partì verso il suo bersaglio, rapida come un serpente, ma quando si trovò ad un millimetro da Kuroro cadde a terra.
Kurapika la osservò senza capire, in un istante di puro smarrimento. Fu la risata del nemico che lo richiamò alla realtà e una terribile sensazione si impadronì di lui.
«Sei davvero ingamba», commentò Kuroro rialzandosi. «Se non avessi preso le dovute precauzioni,  sarei morto. Tuttavia… ». Sollevò il braccio destro e guardò la catena che vi era avvolta. «…conoscere il potere dell’avversario può rivelarsi vincente».
 Gli sferrò un pugno allo stomaco che lo piegò in due. Kuroro lo risollevò e lo colpì sul viso. Kurapika cadde a terra, sul cemento bagnato del grattacielo. E finalmente capì: il suo Nen non rispondeva bene. Era come se si stesse esaurendo…Sollevò lo sguardo e lo vide. Kuroro assorbiva il suo Nen per mezzo della catena che li collegava. Cercò di ritirarla, ma non ci riuscì.
«E’ inutile», disse Kuroro e gli fu addosso afferrandogli i polsi e schiacciandolo a terra. «Occorreva che tutti e due fossimo feriti. Il sangue rende possibile l’inganno. Dopodiché, ho attivato la tecnica. Capisci? La tua catena questa volta ha imprigionato te. Tra poco non ti resterà nemmeno una goccia di Nen».
Kurapika si indeboliva progressivamente. Ormai non poteva più ricorrere al suo potere. Non poteva più fare nulla. Cercò di liberarsi, ma l’altro lo spinse saldamente a terra. I suoi occhi ripresero il consueto color verde acqua. Prima di rimanere totalmente senza forze doveva fuggire. Era la sola possibilità che gli restava.
Kuroro gli afferrò il mento e lo osservò attentamente. «Sei esattamente come ti ricordavo», sussurrò. «Se la tua forza eguaglia la tua bellezza, ho molto di cui preoccuparmi». Si chinò su di lui, inebriandosi del profumo del ragazzo e poggiò le labbra al suo orecchio. «Sai, credo che io e te ci divertiremo molto insieme».
Raccogliendo le sue ultime energie, Kurapika mosse la mano libera e sferrò un colpo preciso alla gola di Kuroro, il quale, momentaneamente senza fiato, allentò la presa.
La catena era scomparsa, poteva scappare. Si alzò e corse verso la ringhiera. Gli mancavano pochi metri quando il mondo si ribaltò. Non riuscì a capire se era stato lui a spostarsi, oppure il grattacielo. Kuroro lo raggiunse e lo spinse a terra, rigirandogli un braccio dietro la schiena e premendogli la testa sul cemento.
«Non opporre resistenza. E’ inutile». Rifletté per un istante, mentre Kurapika cercava ancora di toglierselo di dosso. «Ci darà dei problemi. Machi, potresti… ».
Kurapika sentì dei passi avvicinarsi e anche il braccio sinistro gli fu girato dietro la schiena. Sentì qualcosa stringergli i polsi e capì che erano i fili di Nen.
«Molto bene», sentenziò Kuroro. Lo afferrò per i capelli e lo mise in piedi. «Gli ci vorrà un giorno per tornare in possesso del suo Nen. Meglio muoversi».
Prese il ragazzo per la vita e lo trascinò verso la porta che dal tetto portava ai piani inferiori.
 
Quando uscirono all’esterno del palazzo, la pioggia era aumentata. Il gruppo si diresse verso una macchina scura, parcheggiata sul ciglio della strada.
«Sali», ordinò Kuroro gettando senza troppe cerimonie Kurapika sul sedile posteriore e prendendo posto accanto a lui. Machi, di nuovo con entrambe le braccia al loro posto, si sistemò accanto al guidatore e Nobunaga mise in moto.
Kurapika si sollevò a sedere. Non riusciva a capire perché Kuroro non lo avesse ucciso; comunque la situazione aveva preso una piega inaspettata. La brutta sensazione che aveva avuto per tutta la giornata si acuì. Il Ragno lo aveva catturato. Poteva essere la sua fine. Inoltre, non gli piaceva affatto il modo in cui Kuroro lo guardava: con lo stesso interesse di un predatore. Diede qualche strattone ai fili di Nen che lo legavano. Sembravano incredibilmente robusti ed erano collegati alle mani di Machi.
«Puoi agitarti quanto vuoi», disse Kuroro, osservando fisso davanti a sé. «Non spezzerai mai quei fili. Piuttosto, non ti pare che questa situazione sia esattamente speculare a quella che abbiamo vissuto un anno fa? Certo, ora le nostre posizioni si sono scambiate».
«Che vuoi da me?», domandò Kurapika guardandolo con la coda dell’occhio. «Perché non mi uccidi?».
Kuroro lo guardò. «Tu non sai niente. Perciò tieni la bocca chiusa». Senza alcun preavviso lo colpì violentemente con uno schiaffo.
Kurapika sbatté la testa contro il finestrino e Kuroro lo afferrò per il collo della camicia. «Quante volte mi hai colpito quella volta? Erano dieci? O forse venti?». Lo lasciò e gli strinse la gola spingendolo contro la portiera. I suoi occhi neri si fissarono in quelli del ragazzo, che provò un brivido incontrollato alla vista della luce sinistra che li animava. «Non preoccuparti, intendo restituirti tutto e con gli interessi».
Nobunaga rise, osservando dallo specchietto retrovisore. «Non fa più l’arrogante adesso».
«Non ti illudere, non ha la minima intenzione di arrendersi», disse Kuroro. Strinse la gola di Kurapika fino al limite. «Il viaggio è lungo e potrei finire per fargli più male di quanto vorrei. Meglio metterlo a dormire».
Lo lasciò e il ragazzo tra i colpi di tosse e la vista annebbiata lo vide estrarre una pistola.
«Tranquillo, non ti ucciderò. Qui dentro c’è l’ultimo ricordo estratto da Pakunoda. Riguarda il nostro lavoro più importante: la Brigata Fantasma mentre stermina il clan Kuruta…e si impossessa dei loro preziosi occhi».
 Kurapika sbarrò gli occhi.
«L’abilità di Pakunoda era questa: poter far vedere agli altri le sue memorie. Penso che volesse tenere questa per te».
«No», disse il ragazzo senza volerlo. Era terrorizzato.
Kuroro, con un movimento fulmineo, gli premette l’arma contro la fronte, schiacciandolo contro il lato dell’auto. «Questo è da parte sua. Cerca di godertelo».
Kurapika cercò di ritrarsi ma non poteva muoversi, né fuggire.
«E’ ora di pagare».
Kuroro premette il grilletto e istantaneamente Kurapika sprofondò negli abissi dei suoi incubi più oscuri.
 
Quando si risvegliò gli ci vollero alcuni minuti per ricordare cosa fosse successo e per capire dove si trovava. La testa gli faceva un male da impazzire e si sentiva malissimo, come se avesse la febbre. Cercò di sollevare il capo dolorante e si ritrovò a guardare fuori dal finestrino. Era buio, pioveva a dirotto e da quello che riusciva a vedere, il paesaggio era cambiato radicalmente: l’auto si avviava in tortuosi sentieri circondati su due lati da fitti alberi che sembravano volerli inghiottire. Non riusciva a capire dove fossero né dove stessero andando.
«Ti sei svegliato? Come ti senti?».
Kurapika volse appena il capo e vide Kuroro che lo fissava.
«Ti è piaciuto lo spettacolo? Ti sei agitato parecchio».
Il ragazzo non rispose e rivolse di nuovo lo sguardo all’esterno. Cercò di respirare profondamente per calmare la nausea. Le immagini del massacro della sua gente erano ancora davanti ai suoi occhi, rinnovando rabbia e dolore.
«Quanto sei silenzioso», commentò Kuroro sarcastico.
«Non ho nulla da dirti», ribatté Kurapika.
«Peccato. Non abbiamo mai fatto una vera conversazione e avremmo molto di cui parlare. Sono certo che non siamo poi così diversi io e te».
Il ragazzo rifiutò la provocazione, anche se non era del tutto certo che lo fosse, deciso a non peggiorare le pulsazioni dolorose della sua testa.
«Dove stiamo andando?», riuscì a domandare.
Dopo un attimo di silenzio, Kuroro rispose. «Nella mia terra. Alla città delle Stelle Cadenti».
Per la prima volta Kurapika ebbe paura.
No…gridò incontrollata la sua mente.Mio Dio, dovunque ma non in quel posto! Questo non sta succedendo è uno dei miei incubi…
 Fortunatamente era ancora voltato verso il finestrino, così che nessuno poteva vedere il suo volto. Cercò di respirare con calma. Forza, adesso riprenditi. Mantieni la calma  e rifletti. Se ti lasci sopraffare al panico sei già morto.
Di tutti i posti possibili, quello era l’ultimo che si sarebbe aspettato. Quella città era conosciuta per la sua fama terribile e la sua storia, simile ad un racconto del terrore, era terribilmente vera.
«Non sarebbe meglio bendarlo?», chiese Nobunaga gettando un’occhiata a Kurapika.
«Perché?», fece Kuroro incurante. «Non è un segreto l’ubicazione della nostra patria. E comunque non credo che saprà raccontarlo…e non ne avrà la possibilità».
«Capisco», disse Kurapika e questa volta voltò la testa e lo guardò. «Vuoi uccidermi una volta che saremo arrivati. Magari organizzerai un bello spettacolo». Fece una risata amara. «E’ così che gli assassini si divertono, vero?».
«Dimmelo tu». Kuroro lo fissava con una strana luce negli occhi. «Ti dai arie e ti atteggi ad eroe, ma anche tu se un assassino. Ubor e Pakunoda sono entrambi morti per mano tua. Cos’hai provato a togliere la vita? Eri soddisfatto? Sconvolto?».
Kurapika cercò di controllare il tremito che lo percorreva. Gli girava la testa. «Non ho provato nulla».
«Bugiardo. Sei ancora perseguitato dai volti di coloro che hai ucciso? Hai avuto un crollo nervoso forse, quando tutto è finito?».
Il ragazzo rammentò gli incubi dei giorni in cui era posseduto dalla febbre. «Non ricordo i loro volti».
«Stai mentendo. Avrai modo di rifletterci sopra». Kuroro fece un sorriso freddo. «Sei pallido. Dovresti dormire».
Kurapika si appoggiò di nuovo al finestrino freddo e dopo qualche minuto si addormentò.
 
Si svegliò che il sole era sorto. Quando riaprì gli occhi si rese conto di sentirsi meglio. Aveva solo un lieve cerchio alla testa e un senso di pesantezza agli occhi. Cercò istintivamente di attivare il Nen, ma non ci riuscì. Doveva avere pazienza.
Dopo una mezz’ora, l’auto si fermò davanti ad un enorme muro di cinta con un gigantesco portone. Il paesaggio era di nuovo cambiato: la foresta era una macchia scura in lontananza e sulla linea dell’orizzonte si vedeva il profilo di una catena montuosa. Attorno a loro c’erano solo rocce.
Machi e Nobunaga scesero dall’auto seguiti da Kuroro, che aprì la portiera dalla parte di Kurapika, afferrò il ragazzo per un braccio e lo fece scendere.
Lui guardò davanti a sé: una volta entrato li dentro sarebbe stato impossibile uscirne. Doveva fare qualcosa ora. Mise di nuovo alla prova i fili di Nen e li trovò più deboli. Probabilmente erano attivi da troppo tempo e si stavano allentando. La stretta di Kuroro era ferma ma non eccessivamente forte. La loro guardia si era abbassata. Non gli sarebbe capitata più una simile occasione. Senza pensare, si liberò con uno strattone e in un lampo sferrò un calcio sul fianco a Machi. I fili di Nen caddero e lui fu libero. Si volse rapidissimo verso l’auto e cominciò a correre. Qualcosa lo colpì alla nuca e cadde in avanti stordito. L’istante dopo, Nobunaga lo afferrava per i capelli traendolo in ginocchio, e gli inclinò la testa all’indietro scoprendogli la gola.
«Ordinamelo, capo», disse appoggiando il taglio della lama  sul collo del ragazzo. «Ordinami di ucciderlo, qui e subito». Esercitò una leggera pressione e Kurapika avvertì un bruciore improvviso.
«Lascialo. Avrai modo di divertirti più tardi», disse Kuroro avvicinandosi.
Nobunaga esitò, poi obbedì.
Kurapika  si rialzò e attese. Kuroro gli si parò di fronte e lo guardò a lungo. «Non sai proprio arrenderti», commentò.
Il ragazzo non abbassò lo sguardo e l’altro fece un cenno d’assenso. «Molto bene».
Machi si avvicinò a loro, come al solito sembrava non aver riportato danni.
«Riposati pure», le disse Kuroro. «A lui penso io». Estrasse una corda  dalla tasca del soprabito nero, voltò Kurapika e gli legò strettamente i polsi.
Quando  fu certo che il ragazzo non sarebbe riuscito a liberarsi lo prese per le spalle, facendogli posare la schiena contro il suo petto e abbassò la voce.
«Ora ascoltami bene. Stiamo per entrare in città: se cercherai di fare qualcosa ti darò alla mia gente  perché ti uccidano. Se cercherai di fuggire, ti ucciderò con le mie mani. Non costringermi a farlo, mi dispiacerebbe molto». Fece una risata sommessa e Kurapika sentì le sue dita attorno al collo. Il loro tocco era lieve, mentre si muovevano piano accarezzandogli la pelle.
Un’ondata di repulsione travolse il giovane che tentò istintivamente di scostarsi da lui.
In risposta, Kuroro strinse leggermente la presa. «Per un anno non ho fatto altro che pensare a te. Dovresti esserne lusingato, di solito le persone mi annoiano a morte; le loro vite non hanno alcun valore. Ma tu sei speciale».
«Toglimi le mani di dosso!», sibilò Kurapika. Avrebbe voluto voltarsi e massacrare quell’uomo, picchiarlo con tutta la forza che aveva.
Kuroro rise di nuovo. «Ti sei spinto là dove nessuno aveva mai osato. Sei riuscito in un’impresa in cui molti hanno fallito. Ho riflettuto molto durante il mio esilio, pensando  a quale modo avrei usato per ucciderti…a quello che ti avrei fatto. Ma ora che sei finalmente nelle mie mani credo che sarebbe un peccato. Ho altri progetti per te».
Kurapika sentì il fiato dell’uomo solleticargli il collo e subito dopo avvertì la sua lingua fredda percorrergli lentamente la gola, mentre lo costringeva ad inclinare leggermente il capo. Risalì verso l’orecchio del ragazzo e diede un piccolo morso al suo lobo.
 «Tu sei mio, Kurapika. Lo sei da quando i nostri sguardi si sono incrociati per la prima volta un anno fa, a York Shin City. Non so quale trucco tu abbia usato, ma da allora il tuo volto ha dominato la mia mente. Hai tormentato le mie giornate e ossessionato i miei sogni. Esattamente come io ho fatto con te».
Paralizzato da quelle parole assurde, il ragazzo cercò di muoversi e la sua voce risultò più tagliente di quanto avesse creduto. «E che cosa avresti in mente? Vuoi forse mettermi sotto vetro come un oggetto della tua collezione?».
«E se così fosse? Potresti diventarne il pezzo forte».
«Allora dovresti sempre guardarti le spalle. Perché io ti ucciderò, te lo posso assicurare».
Kuroro lo voltò bruscamente e gli sollevò il volto artigliandogli il mento con una mano, costringendolo a guardarlo negli occhi. «Hai avuto la tua occasione, dolcezza. Ma hai preferito gettarla alle ortiche per salvare i tuoi amici». Strinse la presa facendo forza, come se volesse staccargli la testa dal collo. «Da oggi sono io che comando. E ti consiglio di accettarlo o per te sarà peggio.  E ora cammina». Lo spinse davanti a sé e tornarono all’ingresso.
Kurapika cercò disperatamente di non abbandonarsi alla disperazione, di scacciare quella voce che insinuava parole di morte nella sua testa. Ma non poté. Si oppose disperatamente, cercando di allontanarsi, ma la forza soverchiante di Kuroro lo sopraffece. Fu trascinato inesorabilmente verso l’entrata della città, verso l’inferno, verso la morte…la sua morte.
No, non aveva intenzione di morire in quel modo, in quella città!
Non devo arrendermi! Se lo faccio sarà davvero la fine…ma quali possibilità ho? Questo è il covo dei Ragni…
Le parole di Kuroro rimbombarono nella sua mente come se fossero state urlate al suo orecchio.
 
Per un anno non ho fatto altro che pensare a te…
 
 (Tu sei mio, Kurapika...)
 
 Il tuo volto ha dominato la mia mente…
 
(Tu sei mio, Kurapika…)
 
Hai tormentato le mie giornate e ossessionato i miei sogni…
 Tu sei speciale…
 
TU SEI MIO KURAPIKA!
 
Serrò disperatamente le palpebre, scacciando quella voce odiata e temuta che sembrava penetrare in lui come un veleno letale.
Sono caduto nella sua trappola come uno stupido, pensò mentre i volti dei suoi cari comparivano davanti a lui richiamati dalla memoria. Padre, madre…gente dei Kuruta…perdonatemi se non sono riuscito a restituirvi ciò che vi è stato tolto.
Non riuscì a pensare ad altro. Davanti a lui il portone si apriva con un pesante cigolio.
 
 
Nota dell’autore: Ho scritto questa one-shot di getto…Si tratta di una specie di ‘episodio pilota’, ma non ho ancora ben sistemato la vera storia. Intanto fatemi sapere cosa ne pensate!
Ciao, ciao! Len.
  

  
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