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Autore: Edward    27/08/2011    6 recensioni
»Capitolo II - Facer:
Yorick Wellington ansimò, sentendo il fiato grattargli contro la gola secca, e un istante dopo deglutì silenzioso nell’arricciare le labbra. Si muoveva circospetto, in quel pezzo di campo erboso che era la sua area, sentendo il cuore pulsare con forza a ritmo dell’adrenalina che gli scorreva nelle vene.
Il vampiro che gli stava davanti, quell’ammasso di carne morta che portava il nome di Donald Lancaster e si rifiutava di sbandierarne le origini, lo fissava a pochi metri di distanza con un sorriso ad illuminargli il viso e le vesti rovinate a testimoniarne la fatica.
« Allora » stava dicendo in quel momento il non-morto, indietreggiando distrattamente di un passo. « Come pensi di risolverla questa storia, cavaliere? »
Genere: Generale, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
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Titolo: English Summer Rain

Titolo: English Summer Rain
Fandom: COW-T!Verse ( Original )
Pair: William, Donald Lancaster, Yorick Wellington 
Genere: Generale, Sovrannaturale, Guerra
Rating: Arancione 
Avvertimenti: Prologo, What If, Raccolta
Note: Ora, vorrei spendere un paio di parole sul fandom scelto. Non mi appartiene, nonostante si potrebbe dire che sia un’original. Il COW-T appartiene a maridichallange e fiumidiparole, così come i gruppi generali - quali la Veggente, i cavalieri, i vampiri, i maghi e gli angeli. Mi sono presa delle libertà di creare dei personaggi e qualche nome, oltre che sull’ambientazione, ma va da se che non siano per niente ufficiali.

Per spiegare brevemente, c’è una guerra in corso tra i vari gruppi, e la Veggente ne decidere le regole, i vincitori e cose del genere. La nomino solo ogni tanto, quindi non è essenziale.

 

Infine, questa è una raccolta di one-shot, essenzialmente.  
Il titolo è preso dall’omonima canzone dei Placebo.

 

 

 

English Summer Rain

 

 

 

Quello che stavano attraversando era un corridoio poco illuminato e sudicio, lungo quanto l’esistenza stessa dell’umanità. Dalle pareti scure e il soffitto così alto da risultare irraggiungibile, lasciava risuonare i passi svogliati come dita di legno su note di piano.
Era malridotto e antico, umido quanto le fogne di Londra e non per questo meno frequentato, illuminato di rosso e arancio dalle lanterne ad olio appese più lontano delle stelle stesse.
Brillavano, quelle luci così irraggiungibili, di pacata rassegnazione e orgogliosa passione.
« Non mi piace. » disse qualcuno, dalla voce bassa ma acuta, un po’ squillante. Avrebbe potuto appartenere ad una ragazza quanto ad un adolescente vittima del destino, e dal tono che aveva appena assunto sembrava essere terribilmente annoiata.

Nonostante avesse settant’anni e più esperienza di quanta ne avesse mai voluta realmente, Donald il vampiro era ancora impaziente quanto il giorno del suo sedicesimo compleanno. Un tempo il cognome della sua famiglia era Lancaster, e per i primi due decenni da non-morto aveva tentato di convincere chiunque lo incontrasse e poi l’intera comunità vampirica a chiamarlo Donald il Terribile, senza però sortire l’effetto desiderato. Era quindi passato ad un -secondo lui- più sobrio Donald Dai-denti-aguzzi non particolarmente apprezzato, finendo con il proporre quasi con disperazione Donald Lancaster, il Terrore di Londra – ma alla fine nessuno gli aveva badato più di tanto e divenne Donnie il Rompipalle, Tutta Colpa di William fino alla fine dell’anno mille, e quello sarebbe rimasto per sempre.

« Non mi piace per niente. » disse quindi ancora una volta Donnie il Rompipalle, Tutta Colpa di William, facendo schioccare la lingua in mezzo ai denti appuntiti. Scosse la testa e sospirò, si infilò una mano nella tasca dei calzoni e prese a giocherellare con un vecchio penny che aveva rubato anni addietro ad un ricco signore. « Non potremmo semplicemente sgozzarli tutti? » 
I suoi passi risuonarono con un po’ più forza, mentre quelli del vampiro al suo fianco continuarono ad essere pacati ma sicuri, dettati dall’esperienza e dalla personalità differente.
William neanche si voltò a guardando, limitandosi a sollevare lo sguardo verso l’alto –sembrò spuntargli un tic all’occhio particolarmente fastidioso, alla luce di quelle lanterne così pallide- mentre avanzava per la propria strada.
« Non è quello che vuole la Veggente. » rispose infine dopo un po’ di tempo, gli occhi ancora distanti dalla realtà che lo attendeva di lì a pochi istanti, oltre quella porta di legno antico alla fine del corridoio. Non era quello che pensava realmente, e per questo Donald mostrò i denti in uno sbuffo seccato, arricciando le labbra sottili con annoiato risentimento. Fece schioccare il penny e lo lanciò in aria, bofonchiò un « Quella stupida vecchia » e lo riprese al volo. Gli mancava un dito, il mignolo della mano sinistra, ma non per questo mancò la presa.
William quella volta si voltò a guardarlo, ma solo perché avevano raggiunto la fine del corridoio. « Può sentirti, lo sai. » rispose con una punta di divertimento nel tono della voce. Avevano passato insieme poco meno di un secolo, i due, e William ancora non si era abituato a quell’infantile modo di esprimersi. 
« Mai trasformare un uomo sotto i vent’anni. » gli avevano sempre detto, nonostante lui non l’avesse certo fatto apposta quella volta. « Potranno anche maturare con il tempo, ma nel profondo resteranno sempre dei maledetti mocciosi viziati e irriconoscenti – per non parlare dei brufoli. »
Donald –che sembrava essersi miracolosamente salvato della piaga dell’acne giovanile- si strinse nelle spalle come se la cosa non gli importasse e si guardò attorno – prima a destra e poi a sinistra. 
« Tanto meglio » disse quando fu sicuro di non essere udito da orecchie indiscrete, o comunque vendicative. « Potrebbe farsene una ragione. » 
« Ne dubito. E’ più antica di Cristo e più cocciuta delle fondamenta d’Inghilterra. »
Il vampiro più giovane si strinse nelle spalle, come a dubitarne a propria volta –credendosi il padrone del mondo come ogni adolescente e come ogni novello vampiro che si rispetti- lanciando un’occhiata sospettosa alla porta che gli stava davanti.
Era larga e spessa, alta ma non quanto il soffitto, ed era così lucida che se non fosse stata per la pesante oscurità avrebbe potuto sembrare uno specchio.
« Piuttosto. Che ci facciamo qui? » 
William non badò all’enorme porta, continuando invece a fissare l’altro. « Saliamo in superficie » replicò noncurante, inclinando lievemente il viso di lato. Era tornato serio e pensieroso, il sorriso che però ancora gli incurvava le labbra in una smorfia spenta. Aveva i denti bianchi e ritti, i canini che sporgevano in modo innaturale ma del tutto armonico, affascinante quanto la vista di una tigre siberiana ed in egual modo mortale. « Diamo una svolta a questa dannata guerra. »
Negli occhi del più giovane passò qualcosa, un guizzo di eccitata aspettativa, e non riuscì a nascondere un sorriso di pura soddisfazione nel tornare a fissare la porta. Non badò al proprio riflesso così snaturato, perché ormai era troppo tempo che vi era abituato.
« Davvero? » domandò quindi, le mani che gli fremevano al solo pensiero. 
« Davvero » confermò l’altro. Si godette per un istante quello sguardo così infantile, non potendo far a meno di provare un senso di rassegnato divertimento, e allungando una mano verso la porta strinse le dita attorno alla maniglia di freddo ottone. « Andiamo a trovare Yorick. » 





Non era altro che un’unica enorme stanza fatta di legno e pietra, eppure l’Ammazza Draghi era la locanda più frequentata e più chiassosa dell’intera città. Frequentata per lo più da cittadini molesti e donzelle dalla dubbia reputazione, non era raro trovarla talvolta invasa da armature lucenti e voci così profonde da scuotere l’anima stessa dell’edificio.

Lì scorrevano fiumi di birra e portate di cibo abbondanti, la povertà sembrava un lontano ricordo e le risate erano così grasse e forti da risuonare da parte a parte.
Sir Wellington non era il più chiassoso e neanche il più grosso di quei cavalieri che stanchi della battaglia passavano la notte a far baldoria, non era il più divertente e sicuramente non il più intelligente. Ma aveva onore, e coraggio, e di quei tempi sebbene non portasse il pane nelle case portava orgoglio, e prestigio. Aveva una spada antica regalatagli dal padre in punto di morte e una bella dama a casa ad aspettarlo, uno sguardo fiero e un animo gentile, anche se forse troppo impetuoso. 
Il sole era calato da poco, e il fuoco ardeva tra i mattoni del camino così intenso da dar sollievo alle stanche membra dei soldati sopravvissuti. 
« Lascia parlare me » stava dicendo all’esterno della locanda qualcuno, e lo si poteva quasi vedere perdere la speranza negli occhi alla risposta dell’altro. 
« Sicuro » disse infatti quello. « Sarò muto come un pesce. » e in realtà non ci credette neanche lui. Per questo sorrise, entusiasta come lo era stato nel lasciare la propria dimora, poggiando una mano contro il manico della porta. Poi spinse con forza ed entrò a grandi falcate, sollevando le braccia al cielo per urlare con forza: « CAVALIERE! » 
Poi rise per un breve istante, avanzando con sicurezza, ogni suono ed ogni attività che cessava di esprimersi a quella manifestazione di particolare sprezzo del pericolo – quanto di stupidità e malcelato desiderio di porre fine alla propria vita.
Ma la vita era qualcosa che un vampiro non possiede più da tempo, al contrario della stupidità, e Donald il Rompipalle, Tutta colpa di William sembrava esserne il più fiero dei portabandiera. C’era una guerra in corso, una guerra che avrebbe deciso le sorti dell’umanità e quelle del pianeta stesso, scatenata dai Cavalieri e dai Vampiri, e allo stesso modo erano coinvolti i Maghi e gli Angeli.
Le spade furono sguainate e il clangore delle armature cozzò con quello dei boccali sbattuti contro il legno dei tavoli e il marcio del pavimento, mentre il vampiro fermava il proprio avanzare per abbassare le braccia, guardandosi attorno incurante del pericolo.
Lasciò vagare lo sguardo eccitato da soldato a cavaliere, da prostituta a cameriera, fino a quando non incrociò quello di Sir Wellington e mostrò i denti in un sorriso più soddisfatto del precedente. « Cavaliere! » disse ancora, una mano sul fianco e diverse lame taglienti puntate tra petto e gola. « Sei più grasso e vecchio di quanto ti ricordassi! »
Il cavaliere in questione si corrucciò, non apprezzando né l’intrusione né l’insulto, e serrando la presa sull’elsa della propria spada mosse un passo in avanti con aria contrariata. Alcuni degli altri soldati si fecero da parte per lasciarlo avanzare, ma nessuno di loro abbassò per questo la guardia.
« Stai cercando di provocarmi, figlio del diavolo? » si accanì il cavaliere, che in realtà non era né grasso né vecchio. Era un giovane uomo, abbastanza grande da non essere una recluta ma troppo giovane per essere considerato un veterano, con una sola spanna a dividerlo dai due metri d’altezza e il fisico muscoloso, segnato da ferite di guerra e duro allenamento. 
« Assolutamente no, cavaliere. » rispose il vampiro, lo sguardo fisso e dritto a fronteggiare quello dell’umano. La differenza d’altezza era notevole, tanto che Donald doveva tenere il mento ben alzato per non perdere quel gioco di potere che era ora il loro fissarsi. « Cerco solo compagnia » insistette, e nel dirlo mostrò i canini sporgenti. « Magari qualcosa da mangiare, sai com’è, è ora di cena anche per me. »
Qualcuno sembrò muoversi, tra le truppe degli esseri umani, e Sir Wellington avanzò così bruscamente che tendendo la mano libera la strinse attorno al bavero della maglia del vampiro, spintonandolo con così tanta forza da premerlo contro la parete di legno e sollevarlo per aria. 
« Questo sarà anche territorio neutro, vampiro, ma non sei in egual modo il benvenuto. » sibilò a voce più bassa, in un ringhio contrariato quanto offeso. 
Si sentì un sospiro, proprio affianco ai due. 
« E’ per questo che ti ho detto di lasciar parlare me » disse William, ora lì in mezzo al principio della rissa senza che nessuno l’avesse visto avvicinarsi. L’intera locanda sembrò trattenere il fiato, tanto che le fiamme nel camino guizzarono a loro volta di agitazione, e metà dell’armata presente puntò le lame contro la nuova minaccia. Ma quello neanche li guardò, troppo preso dal proprio seccante sconforto interiore, e allungò una mano per stringerla attorno al braccio del vampiro più giovane – quindi strinse senza troppa forza e l’osso si spezzò come un fuscello piegato dal vento. « Sai fare solo danni. »
Donald sgranò gli occhi, e così fece Sir Wellington. Il primo si lasciò andare in un lamento soffocato e il secondo indietreggiò sorpreso, mollando la presa, lasciando che il vampiro cadesse a terra in un ansito risentito quanto sofferente. Lo fissò tenersi il braccio rotto con una mano e serrare i denti, gemere e imprecare. 
Quindi la voce del secondo vampiro lo riportò alla realtà della situazione, la spada ancora stretta tra le dita ora sudate e irrigidite. « Ti chiedo scusa per il suo comportamento. » riprese, e gli rivolse uno sguardo così penetrante da costringerlo a distogliere il proprio - con la scusa di osservare il disumano processo di guarigione del braccio di Donald, che per un istante quasi lo affascinò.
Nessuno si muoveva attorno a loro, come spettatori muti di qualcosa che non comprendevano del tutto, le spade sguainate che lentamente perdevano la foga della lotta non più così imminente e gli sguardi che si facevano incerti, talvolta persino seccati. 
Sir Wellington si guardò attorno, nel rendersene conto, e strinse silenziosamente le labbra in una smorfia di risentito disappunto. 
« D’accordo » disse quindi, muovendo un passo indietro per rinfoderare l’arma. « Ma tieni il tuo subordinato a bada d’ora in avanti, o sarò costretto a venir meno al patto. » Lanciò un’occhiata verso il basso, lì dove Donald poco prima si contorceva dal dolore e dove ora lo fissava con aria di infantile sfida. « L’ho già privato di una delle dita, la prossima volta non esiterò a prendermi tutta la mano. »
Scosse infine la testa, lasciandosi andare in un verso stizzito, e alzò una mano per far segno ai suoi uomini di riporre le spade. Mosse un passo di lato e si fermò, osservò i due vampiri e mostrò i denti in un ringhio esasperato. 
« Andiamo. Qualunque cosa vogliate, dovrete dirmela fuori di qui. »
Indicò la porta lì affianco, e non attese una risposta. Li condusse entrambi fuori, sotto lo sguardo severo dei suoi uomini e quello più apprensivo delle donne, il cuore che gli batteva forte nel petto.
Un forte vento li investì senza grazia, portandosi dietro l’odore del sangue che aveva bagnato le lande lontane nell’ultima delle battaglie, e la luce della luna fece risplendere con forza l’armatura pesante del cavaliere.
Sperò solo che la Veggente avesse previsto anche quello.

 

 

 

English Summer Rain

End

 

 

 

Note finali:

Il capitolo avrà una continuazione, ma non fin da subito, perciò non disperate e... beh, incrociate le dita, se vi interessa. La raccolta sarà caratterizzata da One-Shot diverse e slegate l'una dall'altra, a mo' di presentazione dei personaggi, perchè è possibile che tutto questo finisca in un'original più seria e compatta.

 

   
 
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