… Non ve l'aspettavate vero? L’ho
scritta in mezz’ora e non è assolutamente curata, ma c’è un qualche
buono spunto, credo… Non volevo pubblicarla, ma ormai l’ho scritta (… logica
ferrea…)
Ero
decisamente di pessimo umore quel giorno, credo si possa notare.
Tra l’altro,
in questa storia mi sono autocitata –ehm- come forse potrete notare.
Vabbè…
Auguri…
Suni
Nel labirintico silenzio di una stanza troppo vuota resto seduto in compagnia di Rimorso, Rimpianto, Nostalgia e una bottiglia di Scotch
Il ticchettio del vecchio orologio in quercia rende questa solitudine, se possibile, ancor più monotona e snervante. Come se mille anni fossero passati da quando sono seduto qui, e milioni ne dovessero ancora trascorrere senza che voce umana raggiunga il mio orecchio.
Nel mondo esterno, un sole appannato e latteo d’inverno tramonta su una città stanca e lacerata, da troppo tempo asfissiata dal tanfo del terrore. Non c’è bisogno di uscire per sapere che la gente cammina velocemente, tira dritto con lo sguardo fisso a terra davanti ai propri piedi, e sussulta al sopraggiungere di ogni inatteso rumore. Non c’è bisogno di uscire neanche per vagabondare: la mente ha corridoi e sentieri infinitamente più ampi di qualsiasi spazio materiale.
Brucia la gola, ad ogni sorso, ma basta poco ad abituarsi, e quasi non te ne accorgi quando arrivi in quel momento in cui la realtà comincia un po’ ad annebbiarsi e piano piano ti accorgi che non sei più solo da un pezzo.
Il primo ospite che mi raggiunge, è il più terribile e maligno.
“Allora, d’accordo? Nessun
altro vorrei al tuo posto, di nessun altro mi fiderei altrettanto. Lo farai tu,
non è vero?”
Non è vero?
Occhi nocciola aggrappati ad
occhi grigi, venati di blu.
Non è vero?
“Bisogna valutare
attentamente.”
Si abbassano a terra, gli
occhi nocciola.
“Ah. Ho capito. Hai cambiato
idea. Lo capisco, è un rischio troppo grosso”
“Non ho cambiato idea. Ieri ti
ho detto che lo avrei fatto, che avrei fatto qualunque cosa, ed è così, ma
bisogna pensarci bene, James. Lui penserà subito a me. Lo sanno tutti che sono
il tuo migliore amico.”
James mi guarda confuso.
“Non voglio sottoporti a
rischi inutili…”
Un mormorio preoccupato e
mesto.
“Non è questo. Ma potrebbero
anche riuscire a farmi parlare”
Gli occhi nocciola sono sempre
più confusi. James non parla, aspetta che continui io.
“Ho avuto un’idea”
“Quale idea?”
Note di speranza nella voce
appena più acuta, sguardo proteso verso gli occhi grigi.
Quale idea?
“Se lo facesse qualcuno…
Qualcuno a cui Lui non penserebbe mai… Potrebbe nascondersi, fingere di
partire, qualcuno da cui non ci si aspetterebbe tanta temerità, qualcuno
fidato…”
James corruga la fronte,
aspettando di sapere dove voglio arrivare.
“… Qualcuno come Peter”
Rimorso mi tiene compagnia quando la casa si svuota. E’ implacabile e feroce, e sempre ripete le stesse parole come una litania persecutrice che non si può far tacere.
Qualcuno come Peter.
Qualcuno come Peter.
Qualcuno come Peter.
Quante volte si può maledire una semplice frase? Infinite. Quanto si può odiare se stessi per una sola parola? Troppo. Tanto che non rimangono le energie neanche per piangere, o urlare, sprofondo nella poltrona, sopraffatto dalla colpa.
Rimorso arde di sete, e allora di
nuovo la gola brucia e il Whiskey scende a placarla, mentre lui inneggia al
proprio trionfo e ancora senza tregua colpisce.
“Peter?”
Sorpresa, sbigottimento nella
voce di James.
“Ti aspetteresti mai da lui
tanto coraggio?”
James in silenzio riflette. Si
morde un’unghia, ansiosamente, poi di nuovo cerca gli occhi amici con più
fermezza.
“No. Nessuno ci penserebbe
mai”
Accenna vagamente un sorriso,
quasi soddisfatto.
“Già”
“E’ perfetto.”
Perfetto.
“Non lo diremo a nessuno.
Penseranno che sia io, cercheranno me.”
“E intanto Peter sarà al
sicuro da qualche parte”
James è eccitato all’idea,
l’accetta con convinzione.
“Allora va bene, Jim?”
Annuisce. Sorride.
“Sì, hai ragione”
Ho ragione.
Come vorrei una Giratempo adesso. Poter tornare indietro un momento, un momento soltanto, e cancellare l’errore maledetto e involontario, assassino e beffardo. Poter annullare quelle parole dannate e il loro carico di tragedia.
Io l’ho ucciso. Sorridendo, ho puntato la bacchetta che avrebbe segnato la sua fine.
Com’è superbamente, raffinatamente crudele Rimorso. Sempre batte sul medesimo chiodo e comprime i polmoni e lo stomaco e le membra stesse fino ad annientare ogni alito di vitalità in essi, fino a portare alle labbra un muto urlo che non troverà sfogo.
Con il nuovo bicchiere pieno che lentamente inizia a svuotarsi, sale la marea, e porta un’altra amica con sé.
“Peter sarà qui da un momento all’altro”
Nervosismo, ansia nella voce di James.
“Andrà tutto bene”
Tutto il conforto possibile, lo riverso nella mia, di
voce.
Andrà tutto bene.
“Sì. Ma tu, fai attenzione là fuori.”
Mi regala un triste, spaventato sorriso.
“Sì, stai tranquillo. Sarò prudente”
“Promesso?”
Angoscia che trilla nella sua voce.
“Promesso”
Suona il campanello. I passi leggeri di Lily, la
porta, di là, che si apre, due voci che si salutano.
“E’ ora che io vada”
James mi guarda e non dice niente.
Ricambio.
“Allora… Allora ci vediamo presto…?”
Tristezza nella voce incupita, tristezza negli occhi nocciola
dietro le lenti tanto familiari.
Presto.
“Certo. Ce ne libereremo in un batter d’occhio”
La mia testa scrollata lo fa sorridere con amarezza.
“Ma prudentemente”
Appoggiature tristemente scherzosa sulla precisazione
di James.
Sospira mentre prendo la giacca.
“Allora, non muoverti e occupati della tua famiglia.
Al resto, ci pensiamo noi”
Annuisce, poco convinto.
“Ho paura per te”
Cristallina sincerità spaventata.
“Non devi. Andrà bene. E quando ci rivedremo, andrà
tutto meglio” insisto.
Sospira di nuovo. Ci guardiamo senza dire niente. In
sottofondo, le voci di Lily e Peter.
“Ok… Allora… Ciao, James”
La sua faccia si contorce leggermente, le labbra si
serrano. Lotta contro le lacrime, mentre ci stringiamo forte la mano;
all’istante mi succede lo stesso.
“Ciao, Sirius. –tira su col naso- Ti… Ti voglio bene”
“Io…” comincio
Chiudo gli occhi per non piangere, lui riceve un
abbraccio talmente veloce che quasi non se ne accorge, e già sto fuggendo dalla
stanza.
“A presto”
Le mie ultime parole.
A presto.
Io anche, James. Ti voglio bene.
Rimpianto è seduto sul divano proprio accanto a Rimorso, e mi ricorda in ogni istante le parole che non ho detto. Tutto quello che avrei voluto sapesse, e che mi sono vergognato a rivelare. Orgoglioso, chiuso erede dei Black, abituato ad espormi solo a me stesso.
Ti voglio bene, James. Anche se dovessimo stare lontani un solo giorno, mi mancherà tutto di te; la tua voce e la sua modulazione, il tuo accento tutto londinese, la cadenza della tua camminata un po’ rigida, da spaccone. Mi mancheranno tutte le piccole cose di te che tanto bene conosco. Il modo puntiglioso in cui pulisci le lenti degli occhiali quando sei nervoso, il gesto impacciato con cui tenti di sistemare quella zazzera –quanto mi mancheranno quei capelli dritti come i raggi di un sole nero- quando vuoi fare buona impressione, il sogghigno storto che mi rivolgi quando Remus attacca a parlare di uno dei suoi studi, il modo genuino e sicuro con cui mi appoggi, tanto spesso, il braccio sulla spalla quando camminiamo per strada fianco a fianco. La rigidezza sporgente della tua mascella che contorce il tuo viso in una smorfia quando litighiamo e la maniera in cui tieni il mento sollevato quando sei offeso con me. E il modo in cui ridacchiando sbuffi al momento delle mie scuse, e il tremolio supplice delle tue labbra se a scusarti sei tu. E quell’abitudine di dondolarti indietro sulla sedia quando hai mangiato troppo –cioè sempre- battendoti le mani sulla pancia. La ruga profonda sulla tua fronte quando sei molto concentrato, la tua buffa scrollata di spalle quando dici una scemenza. E la tua risata squillante e larga –oh, quanto vorrei poterla sentire ancora una volta, per un solo momento, appena un istante, solo per ricordare il significato dell’allegria- con la testa reclinata indietro. Ma soprattutto, mi mancherà il conforto della tua vicinanza, la consapevolezza del tuo appoggio affettuoso e la complicità di ogni nostro momento. La quotidianità di sapere di non essere solo mai, e di dare altrettanto a te. La gioiosa familiarità delle nostre conversazioni, e la pienezza avvolgente dei nostri silenzi.
Ti voglio bene anch’io, James.
Perché non ho detto nulla di tutto questo? Perché non ho parlato, quando potevo? Adesso, darei tutto ciò che ho, e ancor più, per poterlo fare.
Rimpianto mi osserva, e ride mentre di nuovo il bicchiere mi invade le labbra.
Ultima, Nostalgia mi dà il colpo di grazia. Sempre segue Rimpianto di un passo appena, e prima ancora che possa risollevarmi dal suo colpo, vi aggiunge il proprio, annientandomi. Fantasiosa, ogni volta mi consegna un ricordo da piangere senza rimedio.
“… Io ci voglio credere, Felpato. Voglio credere che realizzeremo qualcosa… Che… Non lo so. Che saremo felici.” Scrolla le spalle.
“Ma noi siamo felici, Jim. Non è già molto questo? C’è un sacco di
gente che non è felice mai in tutta la vita” replico con un sorriso.
“Siamo felici e siamo liberi e siamo insieme… Abbiamo talento,
speranze, affetto vero, abbiamo l’un l’altro, Remus, Peter…” elenca James
allegramente.
“Esatto. Dov’è il problema?” chiedo vivacemente, aprendo una
burrobirra.
“Il problema è il futuro, Sis! Per di più con questa guerra alle porte!
Quanto credi che durerà tutto questo che abbiamo ora?” insiste James serio.
“Non lo so! –allargo le braccia- Ma non è già molto sapere che c’è,
questo? Sangue di Spinato, non è già molto pensare che un giorno potrai
voltarti indietro e dirti che per sette fottuti anni sei stato FELICE, cazzo,
veramente felice?” chiedo gesticolando animatamente.
“Certo che sì!! –tace, e ci
culla il silenzio- Sis?” chiama dopo un po’.
“Cosa?” sussurro.
“… Neanche io so quanto durerà tutto questo… Tranne una cosa…”
bisbiglia con convinzione.
“Cioè?” chiedo aggrottando le sopracciglia.
“…Io e te, Felpato. Io e te siamo per sempre, non è vero?” lo dice con
serenità, con sicurezza.
Sorrido raggiante, buffo ragazzino.
“Fino alla fine dell’eternità racconteranno la storia Di Felpato,
Ramoso e dei Malandrini… Di James e Sirius. Degli amici perfetti.” Annuncio
solennemente.
Ci guardiamo negli occhi.
E ci abbracciamo.
Nostalgia è
benevola matrigna, colpisce e dà sollievo insieme, perché finalmente gli occhi
piangono alleggerendo un poco appena il peso da addosso. Regala un debole e
sofferente sorriso insieme ai felici ricordi. Comici, esagerati a volte, ma momenti
sereni e colmi di speranza. Scendono le lacrime e si mischiano sulle labbra con
il sapore del whiskey che di nuovo scivola lungo l’esofago. E’ lui il vero
benefattore, che dona l’oblio e li fa tacere, tutti e tre, finalmente, mentre
appoggio la testa ormai troppo pesante allo schienale morbido, ormai troppo sbronzo per riuscire ancora a pensare coerentemente. Tutto si confonde,
diventa vago e lontano. Giunge, tanto invocato, il momento della tregua,
esalato dai vapori della bottiglia ora vuota.
“Sirius?”
Sobbalzando con
un sussulto rumoroso, mi volto verso la voce incerta e dubbiosa.
Remus che mi
guarda dalla porta del salone. Non l’ho sentito entrare in casa; niente di
strano, in effetti.
Scoppio
stupidamente a ridere.
“Uff… Chissa
chi… Credevo che fosse…”
La mia voce è
diversa da come vorrei, le parole biascicate.
“Hai bevuto?”
Ha la voce colma
di rimprovero.
“Io? Nooo… Solo
un bicchiere –scuoto la bottiglia- Solo un bicchie-re”
E ridacchio,
senza volere.
Sospira
profondamente, avvicinandosi. Ha la faccia di un vecchio, povero Remus, grigia
e stanca. Mi guarda, con una tristezza che… Una tale tristezza, veramente… Ma
non importa. Tra un istante me ne sarò dimenticato.
“Dai, ti
accompagno su a dormire” mormora, tendendomi la mano.
La afferro con
uno sbuffo e prendo lo slancio, alzandomi. Qualcosa non va, mi sbilancio in
avanti; ma Remus in qualche modo mi sorregge.
“Aaaa
nannaaaa!!” rido, iniziando a camminare. E’ particolarmente impegnativo, le
gambe e i piedi vanno ciascuno per conto proprio, e le scale sono ancora più
complicate.
“Su, ormai ci
siamo, dai”
Mi sono fermato,
appoggiato al muro, faccio una sosta. Remus mi guarda, e io non bado alla sua
espressione, se sia triste, risentita o quant’altro.
“Sono stanco”
protesto, caparbio, e ridacchio.
“Uno sforzo, su”
Adesso è
palesemente seccato.
“Sono stanco…”
ripeto piano, e adesso non ho più voglia di ridere, perché sono stanco davvero,
sfinito, non ne posso più.
Senza più
parlare mi fa riprendere a camminare, ma ormai quasi mi trascina, la testa mi
ciondola.
Prima di capire
sono già sdraiato, poi sento tirare i piedi, sono scalzo, e subito dopo il
calore, le coperte addosso.
“Buonanotte,
Sirius”
Desolata, la sua
voce.
Cerco di
rispondere, ma è inintelligibile il suono che emetto.
La luce si
spegne, e la porta si chiude.
Sono stanco. Ma
prima o poi, finirà questo tormento.
Finirà.
Spero.
THE END