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Autore: itsmorgana    30/08/2011    4 recensioni
Love and death; don't you mess with my heart.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Is a tragedy or a comedy?

La mia mente era altrove. Sentivo la gente che mi chiamava, che urlava il mio nome.
La mia vista era appannata e riusciva a vedere solamente quell’orribile immagine di noi due distesi a terra.
“Vivien! Vivien!”, mi chiamavano. Sentivo l’asfalto duro e umido sotto di me.
“Vivien!”.
Un terribile dolore si allargò in tutta la mia guancia sinistra. Subito dopo anche nell’altra.
“Vivien! Mi senti?”. Non riuscivo a rispondere.
“Per favore Vivien, rispondi, per favore. Non mi lasciare, Vivien!”.
E il silenzio regnò su di me.


Quando mi risvegliai ero sdraiata in un letto bianco, enorme. Ero sola, in una stanza che mi dava proprio l’idea di un ospedale.
Mi guardai intorno, spaventata. Era un posto sconosciuto.
Sommersa dal panico iniziai a chiamare il suo nome. Il nome della dell’unica persona che mi avrebbe salvato da quell’orrendo incubo.
“Tom! Tom!”. Ma non arrivava nessuno.
Testardamente, provai ad alzarmi dal letto. Ma non appena appoggiai il piede destro a terra, cedetti, cascando, e portando giù con me tutto ciò che era appoggiato sul comodino.
In quell’istante la porta si spalancò, facendomi sobbalzare.
“Vivi! Amore mio!”. Felix, mio fratello gemello, mi venne incontro con le lacrime che gli rigavano il suo dolce viso.
Mi prese in braccio e mi posò delicatamente sul letto.
Solo in quel momento mi accorsi delle varie ferite che ricoprivano il mio corpo e delle fasciature alla caviglia destra e al polso sinistro. Rimasi a fissarle, incredula. Come me le ero procurate?
“Felix ma…ma cosa è successo? D-dove mi torvo?” chiesi, guardandolo fissi negli occhi. Avevo una paura tremenda.
“Non ti ricordi nulla?” chiese, incredulo.
Io feci segno di no con la testa e lui se ne uscì con un’espressione strana. Sembrava altamente sollevato direi.
“Vivien, sei…ehm…sei…sei cascata da una rampa di scale con lo skate. E’ tipico di te! Ma ora è tutto apposto, sei…sei…sei in ospedale. Stai tranquilla.” sorrise.
Ma qualcosa non mi convinceva. Io lo conoscevo meglio di qualsiasi altra persona, e qualcosa mi diceva che non stava dicendo la verità. Sudava.
“Dov’è Tom? Lo voglio vedere!” dissi. Lui si guardò intorno, con aria più che impaurita. “Ehm…non c’è ora…è con…Andreas a...Monaco!”
“A Monaco?” chiesi sbalordita. “A fare che a Monaco?” Non ci stavo capendo più niente. Evidentemente avevo battuto forte la testa, e ora ne risentivo i postumi.
“…ehm…sono… dal cugino di Andreas.” Disse lui, con area confusa.
“Mmh ok,”. Non sapevo se credergli o no. “Dov’è il mio telefono? Lo voglio chiamare” Lui si allarmò sempre di più.
“NO! Ehm, volevo dire che…non ce l’ha…l’ha lasciato qua…guarda, ce l’ho io!” disse estraendo il telefono di Tom dal taschino della felpa.
“Ah, ok…” dissi, ma non ero affatto convinta di quel che mi diceva.
Mi distesi lentamente sul letto. Mentre guardavo il soffitto bianco cercavo di ricordare. Stavo per chiudere gli occhi quando un’infermiere entrò nella stanza.
Un ragazzo abbastanza giovane, 35 anni al massimo. Alto, abbastanza magro, capelli castani, labbra carnose, occhi verdi, rivolti verso di Felix, che gli andò in contro non appena entrò.
Mentre parlavano, silenziosamente cercai di capire cosa si dicevano seguendo i labiali. Scoprendo poi che era impossibile per me. Non l’ho mai saputo fare, perché impararlo a fare proprio adesso?
Mi sdraiai di nuovo, consapevole del fatto che non mi avrebbero detto quello che avevo in realtà.
Avevo paura che mi dicessero che non ce l’avrei fatta, che sarei morta di lì a poco. Non avevo paura della morte, anzi, è che ero ancora troppo giovane per farla finita.
Avevo tantissime esperienze da vivere, avevo già pianificato di passare tutta la vita con lui. Lui, il mio Tom; il mio tutto. La mia unica fonte di gioia. Il mio unico e grande amore.
Sin dal primo giorno in cui ci siamo parlati sono stata subito incantata da tale bellezza, da tale dolcezza, dalla sua personalità.
Lo amavo più di me stessa per lui. Avrei fatto di tutto per lui, persino morire.
Guardavo ancora il soffitto quando il dottore s’incamminò verso di me. Sentendo dei passi venirmi in contro, mi girai di scatto.
“Vivien venga, dobbiamo andare a fare degli accertamenti.” Mi sorrise.
Con cortesia ricambiai il sorriso, facendo attenzione a fare le mosse giuste per mettermi a sedere nella carrozzina.
Attraversammo tutta la stanza, per poi finire nel corridoio. Un corridoio stretto, tutto dipinto di un bianco latte. Quasi dava il voltastomaco.
Durante il tragitto trovai Bill, Kris, Din, Georg e Gustav che, tristi, vennero di corsa ad abbracciarmi. Bill, il mio migliore amico, aveva una faccia indescrivibile.
Era tutto rosso, gli occhi gonfissimi con le lacrime che stavano straboccando.
“Bill, che hai? Guarda che sto benissimo!” dissi, per rassicurarlo. Anche perché poi era la verità.
“Si, lo so, è che…ehm…m-mi fa star male vederti così…” disse, piangendo come un bambino.
Lo feci avvicinare a me, così che il suo volto era al pari del mio, che ero seduta nella carrozzina. E posai le mie labbra sulle sue, a stampo. Come era solito fare ogni giorno per salutarci.
Il dottore riprese a camminare verso l’ambulatorio dovrei avrei fatto gli accertamenti. Salutai tutti, e gli dissi che ci saremo visti dopo.
Durante il tragitto passammo attraverso un corridoio ancora più stretto del precedente. Tutte le porte erano spalancate.
Vedevo gente sdraiata nel lettino con respiratori, flebo, alcuni persino attaccati a delle macchine.
Gente che avevano perso un braccio o una gamba, alcuni che non riuscivano più a camminare.
Gente che piangeva, si strappava i capelli dalla disperazione, che tenevano la mano ai loro cari.
Alcune lacrime mi rigarono il viso. Non potevo pensare a tale dolore. Vedere una persona a te cara soffrire, vedertela morire sotto il naso.
E tu, consapevole di non poter far niente, rimani lì, immobile, a guardarlo, a stare accanto a lui fino alla fine.
Il dottore si fermò davanti ad una porta piccola, color grigio. Entrammo.
Era una stanza non tanto grande, il muro era completamente ricoperto da enormi librerie, contenenti libri sul corpo umano e sui vari farmaci.
Al centro della stanza c’erano solo un piccolo lettino, coperto con della carta, un tavolo e una sedia di legno.
Una volta dentro mi alzai e, zoppicando, andai a sedere sul lettino. Mi fecero distendere il braccio sul tavolino e stringere il pugno più che potevo.
Mentre il dottore preparava l’ago mi girai verso Felix, impaurita. Sin da piccola avevo il terrore degli aghi. Lui mi baciò delicatamente la fronte e mi strinse forte la mano.
Durante la puntura cercai di pensare ad altro. Giravo lo sguardo sui milioni di libri che erano presenti in quella stanza. Soffermai lo sguardo su uno scaffale vuoto, pieno di polvere.
Non so come mai, ma rimasi a guardarlo immobile.
Era vuoto, proprio come mi sentivo io in quel momento, senza saperne il motivo. Sentivo come se una parte di me se ne fosse andata, fosse sparita in un momento all’altro.
Sentii un forte dolore provenire dal braccio destro, una lacrima mi rigò il viso.
Aprii gli occhi e il dottore mi diede un po’ di cotone, da tenere sul piccolo buco nel mio braccio.
“Vivien” Mi chiamò il dottore. Alzai lo sguardo e lo guardai. “Ora segui la luce con gli occhi, ok?” Aveva in mano una piccola torcia che stava per accendere e puntarmi sugli occhi.
“Ok.” Dissi.
Appena accese la torcia, la luce mi accecò. Vedevo delle immagini offuscate, dei fatti che non stavano accadendo in quel preciso istante.
A dire la verità non mi sembrava nemmeno di averli vissute, però in quelle immagini c’ero io. Io, sommersa da una luce potentissima, così tanto da scaraventarmi per terra.
Era impossibile tutto ciò, mi ritenevo una pazza.
“Vivien, stai bene?” Mi domandò il dottore.
Lo guardai, con un’espressione strana. Non sapevo se dirgli o no quello che era appena accaduto.
“Sìsì, tutto bene. Può continuare.” Dissi, invitandolo a rincominciare.
Eccola di nuovo. Quell’abbaglio di luce non mi permetteva di vedere niente, solamente di una sagoma quadrata da cui proveniva questa luce.
Mi accorgevo che si stava facendo sempre più grande e vicina. Stava venendo sempre di più verso di me.
E solo quando mi fu a pochi metri mi accorsi che quell’abbaglio che mi accecava erano due luci rotonde. Proprio come i due fanali di un’auto.
Oh mio Dio! Mi hanno messo sotto! Pensai tra me e me mentre scattai immediatamente in piedi.
Ma la cosa strana è che io venivo scaraventata a terra, ma non nella direzione in cui andava la macchina, bensì a sinistra.
Come se ci fosse qualcuno che per salvarmi, mi avesse spinto scaraventandomi a terra.
Ero agitata; sudavo mentre guardavo tutte le ferite che ricoprivano il mio corpo. Non riuscivo a stare ferma.
“Vivien!” urlò il dottore. “Vivien, che ti succede?”
Felix mi guardava impaurito e l’altro dottore con un’espressione del tipo “Questa è pazza!”.
Ma io li ignorai tutti. Perché ora mi ricordavo tutto! Felix mi aveva mentito. Non capivo assolutamente il perché, che differenza faceva se mi diceva la verità?
Ora le immagini mi erano chiare. Quel giorno ero con…T-t…om.
Tom.
Rimasi immobile.
Dov’era Tom?
Perché non era qui con me?
Una lacrima rigò il mio impaurito viso.
Deve essere qui con me, per forza. No. No. No. Felix mi aveva detto che era a Monaco, ma…dovevo credergli?
Avrei voluto dire di si, con tutto il mio cuore, ma non ne ero affatto sicura. Un’altra lacrima. Un’altra ancora. No, per favore. No. No. No!
Mi girai lentamente verso Felix. Lui mi guardava con uno sguardo inspiegabile. Anche lui piangeva.
“F-felix” dissi. “D-dove è T-tom?” Lo guardai dritto negli occhi. Il suo silenzio mi faceva venire ansia. Con lo sguardo dritto sui miei occhi disse solo “Vivi…”.
Urlai più forte che mai. Urlai il suo nome. Scoppiai in un pianto senza fine. Non riuscivo a respirare. Tremavo dall’angoscia. La vita mi si era rivolta contro.
Zoppicando uscì a corsa dall’ambulatorio. Senza sapere dove, solamente lontana da tutti e da tutto, per soffrire da sola.
“Vivi!! Vivi! Aspetta!” Felix mi rincorreva. E siccome zoppicavo a causa della fasciatura alla caviglia mi raggiunse in un minuto.
Mi cinse la vita e per calmarmi mi strinse a sé. Cominciai a piangere più violentemente.
“Perché mi hai mentito?” gli chiesi, con voce debole.
“Per evitare tutto questo, amore. Non volevo che tu soffrissi così.” Rispose.
“Ma l’avrei scoperto comunque” Affondai la testa sulla sua spalla, bagnandola con le mie lacrime.
“Si è vero, ma ero nel panico. E’ la prima cosa che mi è venuta in mente, scusami.”
“Non ti scusare, tutto ciò che hai fatto, anche la cosa più sbagliata, l’hai fatto per me.”
Sciolsi l’abbraccio. Mi guardavo i piedi, vedendo le lacrime che cascavano a terra.
Mi lasciai cadere. Mi accovacciai in un angolo, e affondai la testa tra le mani. Piangevo, piagevo e piangevo. Non ce la facevo. La mia vita, il mio unico amore, svanito nel nulla, in un frammento di secondo.
E per cosa poi? Per salvare me! Non me lo sarei mai perdonata. Mai e poi mai. Non era la vita che volevo, quella che avevo pianificato.
Ma perché le tragedie succedono sempre alle persone buone?
“Felix” lo chiamai con voce tremolante. “Mi puoi raccontare come è andata?” dissi, sforzandomi.
“Vivi, non mi sembri in condizio…”
“Fallo!” lo obbligai.
Si accovacciò a terra accanto a me, mi strinse forte la mano. Cercavo di sorridergli, ma non ci riuscivo, era troppo per me.
“Tu e Tom eravate a Rose Garden quando Adam ti ha salutato dall’altra parte della strada. Tu hai corso per andare ad abbracciarlo, e visto che era un senso unico hai controllato se c’erano delle auto solo da una parte. Ma un ragazzo ubriaco era in contro mano e ti stava per mettere sotto. Tom l’ha visto, è per salvarti è…è…morto…”
Scoppiai di nuovo a piangere. E’ morto per salvare…me pensai.
“E’ una commedia o una tragedia?”. Era un dolore troppo forte per me. Io, che ero una persona fragile, non ce l’avrei mai fatta ad andare avanti senza la mia metà.
Non ce l’avrei mai fatta a camminare nelle stesse strade dove camminavamo sempre per la mano.
A dormire in quel letto, dove c’era stampato il ricordo della nostra prima volta.
Tutto ciò era troppo per me.
“Vivien.” Mi chiamò Felix.
Posai lo sguardo sui suoi occhi distrutti dal dolore, quasi quanto il mio.
“Ricordati che io per te ci sarò sempre. Ti aiuterò io ad andare avanti, farò tutto il possibile necessario per farti stare meglio, per far ritornare quel bel sorriso che solamente tu hai. Ti amo, non scordarlo mai.” Disse, guardandomi negli occhi e piangendo.
“Anche io Felix, anche io.” Lo abbracciai.

Una settimana dopo;

“Non avrei mai pensato che un giorno avrei parlato con una lastra di marmo.
Ma questa volta è diverso; perché io so che ci sei, Tom. Sei qui ad ascoltarmi, vero?
Non ho avuto nemmeno l’opportunità di parlarti prima che te ne andassi per sempre, di salutarti come si deve.
Dire che sono distrutta è dire poco. Non so se riuscirò ad andare avanti senza di te.
Senza il mio universo. Senza quella persona che è tutto, che rimarrà sempre nel mio cuore.
Quello che hai fatto mi ha fatto capire cosa vuol dire davvero la parola amore. Anche io avrei fatto lo stesso per te. Perché il legame che ci legava, e che ci lega ancora, è più forte di qualsiasi altro legame.
Vorrei esserci io ora al tuo posto, perché so che, dovunque sei, stai bene e non come me che sono invasa dal dolore. Dalla rabbia. Dal tuo ricordo che mi invade la mente.
Mi manchi troppo amore mio. Mi mancano il tuoi baci, le tue carezze, le tue parole. Mi manca il tuo sorriso, la tua voce, i tuoi occhi a mandorla. Tutte le volte che abbiamo fatto qualche pazzia, tutte le nostre notti insieme. Io ho bisogno di te, ne avrò bisogno per sempre.
So che tu sarai sempre con me; il mio angelo custode. In ogni mio gesto, in ogni mia parola; tu ci sarai.
Sai amore?! Ieri sera ho guardato il cielo, m’è venuto spontaneo, e finalmente ho visto dove ti trovi adesso. Mi è caduto lo sguardo sulla stella più luminosa. Continuava a brillare e non riuscivo a smettere di guardarla. Ho capito fin da subito che eri tu. E ogni volta che avrò bisogno di sentirti ancora vicino, alzerò gli occhi, e allora sentirò di nuovo il tuo calore. Perché, anche se c’è un immenso vuoto che ci divide, non smetterò mai di amarti. Di pensarti. Di considerarti mio.
Ti amerò per sempre Tom, non te lo dimenticare mai. Addio”
Mi alzai da terra, mi asciugai le lacrime, diedi un bacio alla sua foto e raggiunsi Bill, che si era fatto da parte per farmi parlare col mio angelo custode.

“All the pain that we've been trough
I've been dying to save you!
Feel the blood in my veins' flow
I've been dying to save you!”


Love and death - Tokio Hotel

   
 
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