Mi sentivo un po’ stanca. Avevo studiato un intero pomeriggio e adesso mi toccava pure mettermi a cucinare. Ma dopo tutto era stata Kim a chiedermelo, e per quanto avessi voluto dirle di no alla fine avevo ceduto, forse perché non avrei ancora voluto sentirmi in colpa. E poi trovavo che lei si stesse comportando nel migliore dei modi con me, nonostante il mio atteggiamento freddo e strafottente, perciò in qualche modo dovevo ripagarla, no? Anche se non ne ero molto entusiasta.
Stavamo lì tutt’e due, in piedi a lavorare davanti al ripiano della cucina, avvolte dal silenzio più assoluto. E la cosa non mi dispiaceva. Presi a tagliuzzare un’altra carota in piccoli cubetti mentre Kim mischiava l’insalata nella ciotola. Neanche l’idea di questa cena mi rendeva piuttosto entusiasta a dire il vero: mia cugina aveva deciso di invitare i tre fratelli Jonas, più il loro amico Lucas e una certa Danielle, che da quanto mi aveva spiegato era la fidanzata del più grande dei tre.
«Delilah, mi passi il sale?» Kim mi distolse dai miei pensieri. Annuii impercettibilmente e glielo porsi, sebbene avesse potuto arrivarci benissimo da sola. La sentii sospirare sconsolata mentre smanettava sull’insalatiera. Si schiarì la gola una volta, e mentre sembrava alla ricerca delle parole da utilizzare presi un’altra carota e cominciai a sminuzzarla, con le orecchie ben tese. «Io… non ti ho ancora ringraziato per ieri» disse infine, mentre con un’estrema precisione sminuzzava anche lei una carota; i suoi pezzetti erano piccoli e accurati, mentre i miei erano grossi e disordinati. «Grazie» ribadì poi, con un sospiro e mi rivolse un sorriso.
Annuii piano accennando ad una smorfia. Non mi andava davvero di risponderle, mi bastava farle capire che era tutto okay e non c’erano problemi. Ma dovetti sforzarmi a pronunciare un «Non c’è di che» stentato quando vidi la delusione farsi largo nei suoi occhi. Abbassai lo sguardo e tornai alle mie carote, mentre udivo un altro suo sospiro stentato, come se volesse dire “io ci ho provato”.
«Non sei molto loquace» osservò lei, focalizzando la sua attenzione sui tagli netti che affliggeva alla carota.
No, infatti. risposi nella mia mente. Non che non fossi davvero loquace, ma più che altro non trovavo il motivo di sprecare le parole quando si poteva benissimo parlare con la gente a gesti o ad occhiate. Le parole sono preziose.
«Spero che… sia tutto a posto, ecco» mormorò lei incerta «ho fatto qualcosa di sbagliato?» continuò.
Sbuffai, stufa. Lei non aveva fatto niente di sbagliato. I miei non avevano fatto niente di sbagliato. Ero stufa di sentirmi dire queste parole più e più volte: la verità era che ero io quella sbagliata in quella situazione, la mia vita che era sotto sopra e il mio mondo che era diverso.
«No» dissi con voce un po’ roca e mi schiarii la gola, senza guardarla e concentrandomi sul ripiano di fronte a me. «Sono… sono io. Sono poco loquace. Ma è tutto a posto, sta’ tranquilla»
A quelle parole sembrò rilassarsi un po’, ma non sembrava essere completamente soddisfatta. «L’ho notato» mormorò con una smorfia lievemente sarcastica e annuì.
Sbuffai. Dopo tutto prima o poi avrei dovuto parlarle, non potevo restare muta all’infinito. «Piuttosto» dissi «non mi hai voluto raccontare cos’è successo ieri con le tre ochette» dissi mascherando la mia curiosità con un tono indifferente.
Lei sembrò irrigidirsi per un momento, poi scosse violentemente la testa. «Non è importante»
«Non è importante?» domandai scettica, inarcando un sopracciglio «ti ha chiuso nel cesso con la forza e non è importante?»
Lei sbuffò di nuovo e in quell’istante riuscì pure a tagliarsi il dito con il coltello. Una goccia di sangue fuoriuscì lenta dalla sua pelle, e lei imprecò. Mise il dito sotto il getto d’acqua del lavandino e mi guardò per la prima volta quel pomeriggio negli occhi: ma come da copione, distolse subito lo sguardo. «Te lo dirò, okay? Solo… non dirlo a nessuno» Incrociai le braccia al petto e la guardai, in attesa. Per chi mi aveva presa? Sembravo davvero una tipa che spiattellava le cose in giro? «Nick mi ha dato la sua dog tag: ci saremmo dovuti vedere nel pomeriggio. Britney l’ha vista ed è andata su tutte le furie. Mi ha seguito nel bagno e ha cominciato a sparare cazzate su come io sia gelosa di lei e Nick e sul fatto che lo debba lasciare in pace perché è il suo ragazzo. Si è presa la dog tag e mi ha chiusa in bagno» Ascoltai il suo discorso per filo e per segno, e più parlava e più mi convincevo della stronzaggine di questa Britney: non che non l’avessi capito da subito, il tipo che era. Mi chiedevo semplicemente perché Nick stesse con lei, che era il suo completo opposto.
«E’ una stronza» dissi freddamente abbassando lo sguardo, come se la cena fosse realmente la cosa più importante della mia vita in quel momento. Chissà perché, anche se in quell’istante Kim scelse di tacere, sapevo che si trovava d’accordo con me. «E tu perché non hai reagito?» domandai, anche se già immaginavo la sua risposta.
«Erano in tre» si giustificò «e tu mi hai vista? Non sono esattamente il tipo che farebbe a pugni e se la caverebbe contro tre cheerleader» spostai lo sguardo verso di lei: mia cugina aveva un colpo fragilino ed esile, sembrava potersi spezzare con un semplice spintone. Io dal mio canto avevo una costituzione diversa: ero più slanciata e avevo un po’ più di sostanza, pur essendo sempre magra come uno stecchino. Ma in ogni caso lei non sembrava per nulla una che poteva avere la meglio su tre ragazze come Britney, Tiffany e Jessica.
Scossi comunque piano la testa «L’hai detto a Nick?»
«Ma non ci penso nemmeno» sembrò allarmarsi, come se avesse paura che io ne potessi fare parola con lui: ma per quanto potessi interessarmi alle sue vicende erano comunque fatti suoi e non mi sarei impicciata.
«E perché no?» aggrottai le sopracciglia, incredula: Britney era tremenda, e questo era un valido motivo per indurre Nick a rendersi conto della sua vera natura. Perché mai non voleva risolvere le cose una volta per tutte?
«Non voglio intromettermi nella loro relazione» si giustificò lei scrollando le spalle, come se tutto ciò che era successo il giorno prima non fosse niente di che. Cose che capitano insomma, essere chiusi nel bagno dalla bulletta della scuola. Succede un giorno sì ed uno no.
«Scusa se te lo dico, ma a me sembra che lei si stia intromettendo nella tua amicizia con Nick» dissi convinta. Li avevo visti lei e Nick insieme, e quando non c’era Britney sembravano essere fatti l’uno per l’altra, e non solo come amici. Ma quando arrivava il terzo biondo incomodo e si aggrappava al collo di Nick come una sanguisuga, mia cugina faceva un passo indietro e quasi quasi non rivolgeva più parola a Nick, probabilmente per paura di una delle reazioni esagerate della biondona cotonata.
«E’… è diverso. Io e Nick siamo amici, lei e Nick stanno insieme. Conta di più la loro relazione»
Scossi di nuovo la testa finendo di sminuzzare un’altra carota e portai i pezzettini all’interno di una ciotola. «Io non credo proprio» replicai convinta, girandomi e appoggiando la schiena al ripiano della cucina, mentre incrociavo le braccia al petto. Kim e Nick erano veri amici, Britney e lui passavano tutto il tempo a pomiciare bellamente in pubblico, e in quelle rare eventualità in cui parlavano lui stava zitto e lei lo rimproverava per qualcosa. Ugh. Come faceva a vivere quel ragazzo? Specie quando c’era una ragazza meravigliosa come Kim che lo aspettava dietro l’angolo, chissà da quanto: doveva essere a dir poco cieco. «Non capisco perché non gli dici che ti piace» dissi di punto in bianco. Kim si voltò a guardarmi e poi scoppiò in una risata isterica e nervosa.
«Ma che stai dicendo?» disse tra le risate «Nick è il mio migliore amico!» continuò, mettendo una mano sull’addome, come a calmare le sue risate. Ha ha ha. Che grande divertimento. Rimasi seria a fissarla, e quando ebbe finito continuai.
«Da quant’è che glielo tieni nascosto?» domandai di nuovo, mantenendo il mio tono serioso.
Il suo sguardo sembrò affievolirsi, per poi assumere un’espressione che un po’ mi faceva pena, ecco. «E’ così evidente?» chiese poi, mordicchiandosi il labbro inferiore. Come dirle di no? Praticamente ogni volta che aveva il ricciolino davanti il suo sguardo proclamava amore da tutte le direzioni. Non era una cosa brutta, dopo tutto. Annuii semplicemente, fissandola. Lei sospirò e spostò lo sguardo verso il pavimento, poi di nuovo su di me. «Da due anni, circa. Ma lui non se ne è mai accorto e non è interessato a me» la vidi sospirare sconsolata.
«E tu come fai ad esserne certa?»
«Lo so e basta»
«Lo sai e basta?» domandai, scettica. Questo era il peggior atteggiamento possibile, a parer mio, che si poteva assumere in caso di avversità. Come sarebbe andato avanti il mondo se la gente avesse continuamente proclamato di “saperlo e basta”, se si fosse rifiutata di riconoscere i propri errori? Se la gente smettesse di imparare il mondo si bloccherebbe, basterebbe soltanto che tutti cominciassero ad essere testardi quanto Kim ed essere sicuri di sapere tutto di tutti. E io stessa lo avevo passato sulla mia pelle, che gli errori sono i nostri migliori maestri di vita: e Kim di certo errava nell’affrontare la situazione in questo modo, ma per quel poco che la conoscevo avevo capito che non era una persona che amava mettersi nei pasticci per poi risolverli, preferiva non crearli in partenza, pur dovendo rimanere scontenta da questa sua situazione. E io in questo non ci vedevo niente di giusto. «Non devi vederla così. Ci sono tante cose che non sai».
«Apro io!» Annunciò Kimberly alzandosi dal divano, presa da un improvviso scatto di energia. Eravamo sdraiate su quel divano quasi mezz'ora, e io continuavo a sentirmi a pezzi, anche se non avevo fatto particolari sforzi quella mattina.
Da un punto di vista fisico, ma da quello psicologico allora, decisamente ne avevo fatti: mi ero sforzata di apparire umana con Kim, e avevo scoperto che il fatto che io mi comportassi con meno indifferenza aveva giovato al nostro rapporto.
«Ciao ragazzi!» Sentii esclamare dall'ingresso.
Non mi scomodai ad alzarmi e rimasi comoda sul divano fissando il televisore spento come se stessi realmente seguendo la più interessante trasmissione di tutti tempi.
«Dan! come stai?» Kim si affrettò ad abbracciare una bella ragazza castana, che teneva la mano di uno dei ragazzi che non avevo ancora visto, ne dedussi che fosse Kevin.
Entrarono tutti in soggiorno e presero posto nei divani. Kim mi presentò Danielle e Kevin e mi sforzai di sorriderle stringendogli le mani, senza preoccuparmi troppo però di risultare euforica, come sembrava essere Kim.
Kim lo era sempre, quando si trattava di Nick.
E proposito di lui, il riccio mi sorrise e mi salutò cordialmente, e io non facevo che fissare la lastrina di ferro incisa che gli pendeva dal collo. L'oggetto della disputa, insomma.
Mi costrinsi a distogliere lo sguardo quando sentii qualcuno buttarsi a peso morto sul divano, da parte a me.
Girai la testa lentamente e vidi Joseph guardarmi, sorridendo.
Non potevo sopportare quel sorrisino arrogante, lo avrei preso a schiaffi così volentieri. Ma già che avevo fatto dei passi avanti con Kim, non volevo rovinare tutto e per quanto fossi impulsiva sospirai e girai la testa senza considerarlo, lui ne sembrò deluso ma non fece in tempo a dire nulla.
«Okay venite la cena si fredda» disse Kim sempre sorridendo, facendo strada.
Fui contenta di vedere che Joe non si sedette vicino a me, come mi ero immaginata facesse, era troppo occupato a chiacchierare con il suo amico Lucas, mentre Kim si punzecchiava con Nick e Kevin e Danielle erano una cosa come la coppia più bella del mondo. Ma non mi dispiaceva trovarmi da sola mentre tutti erano "accoppiati", figurarsi se a me dispiaceva di restare sola.
Meno stavo con la gente, meglio era.
Mangiammo chiacchierando del più e del meno - okay forse la frase più corretta sarebbe: mangiammo mentre loro chiacchieravano del più e del meno - e scoprì che Joe andava al College e studiava pubbliche relazioni, ma da come ne parlava le mie deduzioni erano le seguenti: non amava poi tanto studiare e faceva l'università solo per essere più indipendente dalla sua famiglia, vivere da solo eccetera, e che Kevin lavorava in un'autoconcessionaria, e non sembrava piacergli.
Fu Lucas, stavolta a incriminare il mio silenzio.
«Ti piace la nuova scuola Delilah?» Domandò Lucas e per tutta risposta mi cadde dalle mani la forchetta con cui stavo torturando il cibo nel piatto, che fece un rumore assordante all'impatto con la ceramica.
«Mi manca la mia.» dissi presa da un improvviso attacco di sincerità, sviando comunque la sua domanda.
«Già me lo immagino. Ti mancano i tuoi amici e la vita a San Francisco vero?» domandò con un sorriso. Le sue domande, rimanevano molto più sul vago di quelle dirette di Joseph e comunque non mi davano poi tutto questo fastidio.
Forse perché Lucas mi stava abbastanza simpatico, era l'unico a scuola che mi spronava si a parlare, ma che mi lasciava in pace se vedeva che non ero dell'umore.
«Già.» dissi per poi ricominciare a mangiare.
Il discorso scivolò via e il resto della serata passò velocemente, con mio grande stupore. Stavo lì zitta, ad ascoltare i loro discorsi mentre mangiavo. Parlavano di cose che appartenevano anche a me e mi sarei potuta tranquillamente inserire in una conversazione e dire la mia ma preferivo mangiare in silenzio e fu quello che feci.
Quando finalmente finimmo tutti aiutai Kim e sparecchiare e tornammo in soggiorno.
«Beh complimenti ragazze, ancora non c'è nessuna intossicazione alimentare in vista!» Disse Nick ridacchiando e ricevette un pugno in pieno petto da una divertita Kim, mentre prendevamo tutti posto in soggiorno.
«Non parlare troppo presto, potrei aver messo qualcosa nel tuo pia-»
«Che è successo?» Domandò quella che sembrava la voce di Kevin, che proveniva dalla mia destra.
Le luci si erano improvvisamente spente, la televisione accesa non faceva più da sottofondo e intorno a noi c'era il buio totale.
Sentii Kim sbuffare «E’ saltata la luce. Cavolo è la seconda volta in due settimane!» Disse scocciata. «Vado a prendere delle candele.» disse e riuscii a malapena a distinguere la sua sagoma alzarsi dal divano.
«No Kim, vado io.» Mi affrettai a dire alzandomi dal divano.
«Oh okay. Sai dove sono vero?» mi domandò un po' sorpresa.
«Certo, faccio in un attimo» dissi per poi avvicinarmi alle scale, e raggiunsi la mia camera. Tenevo un paio di candele nel cassetto del comodino, in caso fosse appunto saltata la luce e sapevo che anche Kim le teneva, quattro candele sarebbero bastate, speravo.
Entrai in camera mia tastando dappertutto con la speranza di non finire col sedere a terra e quando raggiunsi il comodino presi le due candele profumate e cercai nella tasca dei miei jeans stesi sul letto un accendino.
Lo estrassi e cominciai a maneggiare con la candela quando sentii una mano posarsi sulla mia spalla e istintivamente, tirai una gomitata dietro di me.
Sentii subito dopo un verso dolorante e mi girai allarmata,stavo proprio per chiedere scusa quando la luce della candela mi permise di vedere una smorfia di dolore sul volto di Joseph. «Ma sei stupido o cosa? Mi hai spaventata idiota!» Esclamai quasi urlando riprendendo a respirare normalmente.
Continuò a massaggiarsi il punto della pancia dove lo avevo colpito ma la sua faccia tornò ad un'espressione normale e non più dolorante.
«Davvero? Eppure le ultime parole che mi hai detto erano simili a "Non mi spaventerai mai nella vita"» Disse lui, quasi soddisfatto di se stesso.
«Che cosa vuoi?»
«Niente,sono venuto ad aiutarti» alzò le spalle con un mezzo sorriso.
«Ce la faccio anche da sola grazie.» Dissi per poi girarmi alla ricerca di altre candele anche se ero quasi certa che non ce ne fossero più.
«Da sola, ma non ti stanchi mai di stare da sola?» domandò lui incrociando le braccia sul petto.
«No. Grazie per l'interessamento. » Dissi cercando di superarlo per uscire ma lui mi bloccò prontamente il passaggio.
«Per la seconda volta, che cosa vuoi Joe?» Chiesi pronunciando per la prima volta il suo nome.
«Andiamo, esattamente che cosa ti ho fatto di male?» Chiese continuando a fissarmi fastidiosamente negli occhi.
Era l'unico che li guardava e basta senza dover distogliere lo sguardo.
«Ricordo di averti già detto che mi stai sulle palle.»
«Motivazioni?»
«Sei arrogante e non sai quando stare zitto.»
«E tu sei asociale e costantemente di malumore.»
Aggrottai la fronte, ferma sul posto. Non gli avevo chiesto di dirmi che ne pensava di me, era proprio l'ultima cosa di cui mi importava al mondo.
«Non mi conosci.» mi limitai a spiegargli.
«Ma neanche tu.» rispose lui testardamente. Ed era vero non lo conoscevo, infatti era tutta una questione di antipatia a pelle.
«Già e non ci tengo.» risposi con un sorriso arrogante.
«Sei una stronza» disse lui ridendo. Non era offeso, ma divertito. E neanche io mi offendevo a un'affermazione del genere, sapevo di esserlo. Con lui almeno.
«Si, hai scoperto l'acqua calda, mi fai uscire adesso?» chiesi evitando il suo sguardo.
«Perché sei così fredda? Sembri nutrire un odio esagerato per qualunque altro essere vivente.» Colpì lui continuando a guardarmi.
«Non sono affari tuoi.» tagliai corto. Non era il mio carattere e non volevo mentire dicendolo. Ero così per tutto quello che avevo passato nella vita ma di certo non mi sarei messa a raccontarlo a lui.
«No ma sto subendo il tuo fascino misterioso.» disse lui con un sorrisetto divertito. Mi faceva girare la testa come passava dall'insultarmi a farmi dei complimenti (sempre che si possano definire tali, certo).
«Sei veramente imp-»
«Dovresti davvero scioglierti. Non so perché tu sia così rigida, e se non me lo vuoi dire okay, anche se lo scoprirò, però pensa al mio consiglio.» Non mi fece finire la mia frase e prese a sputare i suoi consigli indesiderati.
Rimasi a guardarlo, non avendo idea di come difendermi. Perché aveva ragione, ero troppo fredda, i miei motivi li avevo.
«Questa la prendo io» disse rubandomi dalle mani la candela spenta, la accese e uscii dalla stanza. «Sta’ attenta a non cadere» disse prima di sparire nel buio.
Presi le altre due candele e mi avviai di nuovo di sotto, sistemandole per il soggiorno.
«Finalmente, come mai ci hai messo tanto?» Domandò Kim. Guardai istintivamente Joe che mi stava sorridendo seduto sulla sua poltrona.
«Scusami, non le trovavo.» Dissi frettolosamente. La luce tornò circa un quarto d'ora dopo, e un'oretta dopo tutti se ne andarono a casa propria mentre io Kim li accompagnavamo alla porta.
«Oh dimenticavo, ho intravisto il tuo tatuaggio. Dovrai mostrarmelo un giorno.» Mi sussurrò Joe all'orecchio prima di andarsene come tutti gli altri e io rimasi un secondo ferma, con gli troppo aperti. Come aveva fatto a vedere il mio tatuaggio? La maglia che indossavo mi lasciava scoperta una spalla ed evidentemente aveva visto i caratteri della scritta in corsivo sulla mia schiena. Ma c'era buio,come diavolo ci era riuscito? Sospirai e diedi la buonanotte a Kim, per poi andare a dormire.
***
buongiorno popolo di efp (Y) Come state? noi bene,anche se non ce lo avete chiesto u.u grazie grazie hahah,anywayy che dire su questo capitolo? Kim fa una sorta di ammissione a Delilah,e le dice di essere presa dal suo migliore amico. il loro rapporto ha gia fatto un passo avanti,ma ancora hanno molta strada da fare. Joe e Delilah si punzecchiano come sempre e nel prossimo capitolo per le due coppie ne vedrete delle belle! Grazie a tutti i recensori e a tutti quelli che inseriscono la fanfic nelle preferite/seguite/ricordate. Ovviamente nelle note delle autrici non puo' mancare l'incitamento a recensire! lol. ma quando recensite ci sentiamo talmente cariche che possiamo postarvi anche giorno per giorno,invece se non ci si caga ci passa la voglia D: haha quindi vi supplichiamo,lasciateci un commentino se avete letto dai çç al prossimo capitolo ragazze e grazie di tutto <3