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Autore: Univerd    31/08/2011    0 recensioni
Che qualcuno di noi possa imparare dall'albatros e dal leone che l'amicizia è uno dei beni più preziosi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ALBA DI FUOCO

Essere uno degli uccelli più grosso al mondo aveva i suoi vantaggi. Non avere predatori rende la vita molto più facile. Perfino gli uomini cercano di stare lontani da noi albatros. Passavo le mie giornate tuffandomi da altezze vertiginose per pescare, oppure sorvolando le coste del mio Madagascar. Si mio. Mi sentivo il re di tutto, padrone del cielo e del mare. Non avevo amici, come ogni re che si rispetti. Che te ne fai degli amici quando ogni femmina cade ai tuoi piedi? Niente. Ecco cosa pensavo degli amici: una totale e inutile perdita di tempo. Mi credevo invincibile e quindi, come tale, venni sconfitto.

Stavo volando alto, era una mattina presto, il sole non era ancora sorto. Passavo da una corrente d’aria all’altra, giocando come un cucciolo. Poi lo vidi arrivare, bianco e lucido, più delle miei piume appena lavate. Un aereo, di quelli piccoli che ogni tanto si vedevano da quelle parti. Però volava più basso del solito. Si dirigeva esattamente verso di me invadendo il mio territorio, il mio orgoglio da re indiscusso non lo poteva sopportare. Così lo sfidai andando dritto verso di lui, con nessuna intenzione di spostarmi. Ero io il più forte. Mancava poco allo scontro, questione di secondi, e neanche l’aereo accennava a voler cambiare traiettoria. A pochi centimetri da veicolo, quando ormai era chiaro che il mio avversario non me l’avrebbe data vinta, tutta la mia boria e la mia sicurezza sfumarono. Cercai invano di trovare una nuova corrente d’aria e di spostarmi, avrei perso la sfida, ma non la vita. Ovviamente non ci riuscii.

L’impatto fu violentissimo. Rimasi incollato alla cabina dalla forte pressione e poi rotolai per tutto il dorso dell’aereo, precipitando poi verso l’oceano. I pensieri mi si aggrovigliarono, la vista iniziò ad annebbiarsi. L’ultima cosa che vidi fu l’alba, poi mi sembrò di precipitare nel fuoco.

 

Non mi sarei dovuto risvegliare, eppure fu così. Mi ritrovai su una spiaggia fatta di minuscole conchiglie colorate, che la rendevano un arcobaleno permanente. A tutti i suoi margini si alzavano immense e ripide scogliere. Mi alzai a fatica, ero dolorante, ma tutto intero. Studiai l’orizzonte per diversi minuti ma non scorsi nulla. Solo due immense distese di blu che rendevano impossibile distinguere dove finisse una e dove iniziasse l’altra.

Il sole era ormai alto, non c’erano ombre, doveva essere mezzogiorno. Il mio stomaco iniziò a reclamare del cibo, così entrai in acqua e tentai di catturare qualche pesce. Provai innumerevoli volte, ci misi tutto me stesso, ma riuscirono tutti a sfuggirmi. Non ero fatto per pescare dal basso, la mia specialità era il tuffo a sorpresa. Sconfitto per la seconda volta nello stesso maledetto giorno mi ritirai nuovamente sulla spiaggia. Stavo rimuginando sulla mia sventura fissandomi le zampe quando un grosso pesce mi colpì dritto sul becco. Affamato ed avido com’ero non pensai a come fosse arrivato fino a me e lo divorai in un attimo. “Vedo che ti è piaciuto” disse una voce proveniente dal mare.

Poco dopo un grosso canguro a strisce gialle e nere uscì dall’acqua con un balzo. Era alto il doppio di un umano, confesso di aver avuto paura. Aveva il marsupio stracolmo di pesci, quasi tutti di specie diverse. Fece uno strano sorriso e me ne lasciò un altro, che io mi mangiai senza tanti complimenti. “Si può sapere dove sono e in compagnia di chi?” chiesi un po’ troppo sgarbatamente. “Ci sono tre modi in cui puoi chiamare questo posto: isola deserta; inferno; seconda opportunità” rispose disinvolto, come se ripetesse quella frase molto spesso. Pensai di aver battuto forte la testa e di avere le allucinazioni, ma il pesce era troppo reale. “Io sono un abitante di quest’isola; un demone; la tua guida” terminò.

Lo guardai prima perplesso, poi sconcertato e alla fine più dubbioso di prima. “Sono morto?” domandai tremante. “Se tu fossi morto come potresti mangiare questo squisito pesce del fondale?” scherzò noncurante del mio stato d’animo. “Allora spiegami una buona volta che accidenti ci faccio qui?” sbottai alla fine infuriato. “Rilassati, se non fai le domande giuste come puoi pretendere che io ti dica quello che vuoi sapere. Qui finiscono tutti quelli come te che hanno passato la vita credendosi superiori, denigrando i più deboli invece di aiutarli. Quelli che ritenevano di essere i più forti e i padroni di tutto. Ma che alla fine, poco prima di morire hanno avuto paura e si sono resi conto di essere solo un granello di sabbia perduto su una spiaggia infinita, una goccia d’acqua nell’oceano più vasto”.

Rimasi qualche istante a becco aperto. Quindi ero morto sul serio. “Dunque qui ti viene data una seconda occasione” aggiunse, forse per incoraggiarmi un po’. Vedendo che restavo muto riprese a parlare “Da adesso io non ti procurerò più da mangiare. Però fra poco sull’isola arriverà un altro animale nelle tue stesse condizioni, gli spiegherò la situazione come ho fatto con te. Dopodiché dovrete collaborare se volete sopravvivere”. Mezz’ora dopo si sentì un gran botto, molto simile allo scoppio di uno di quegli arnesi degli umani. Tappai le orecchie e chiusi gli occhi.

Quando li riaprii mi trovai davanti un leone dalla criniera vaporosa. Sembrava che dormisse, ma presto si svegliò e le scene seguenti mi ricordarono molto il mio risveglio. Osservai ogni momento, studiando il nuovo arrivato dall’aria pericolosa. Quando il canguro mi indicò, il leone emise un piccolo ringhi di dissenso, ma si diresse verso di me con passo regale. “A quanto pare siamo costretti a lavorare in coppia, amico” purtroppo il modo in cui disse -amico- non era per niente amichevole, comunque io non fui da meno. “Non vedo l’ora” dissi storcendo il becco.

Quando ci voltammo il canguro era scomparso. “Da dove si parte” chiesi ad un tratto fissando la distesa blu. “Sei tu il pescatore, io di solito preferisco qualcosa di meglio al pesce, e purtroppo il bicolore ha detto che tu non sei compreso nel menu” ringhiò con l’evidente desiderio di poter affondare i suoi artigli tra le mie piume. Non lo diedi a vedere ma le zampe ebbero un leggero tremolio. Decisi di ignorare il suo ultimo commento e di concentrarmi sulla ricerca di cibo “Allora iniziamo a darci da fare, prova a spaventarli e a dirigerli verso di me”. “Non puoi semplicemente decollare e prenderli da solo?” ribatté lui scocciato. “Noi albatros non riusciamo a decollare da terra! Altrimenti perché credi che sarei ancora qui a discutere con te?” risposi storcendo il becco.

Il leone allora andò contro voglia in acqua, si vedeva che non amava bagnarsi. Il suo ruggito fece increspare la superficie e benché i pesci siano sordi, sicuramente lo sentirono. Molti schizzarono verso di me in preda al panico, nuotando a zig zag ad una velocità impressionante. Immersi ripetutamente il becco in acqua nel tentativo di prenderne almeno uno, ma non riuscii nemmeno a sfiorarli. Il leone mi guardò carico di aspettative, ma quando vide che non ero riuscito a combinare niente di buono s’infuriò e corse come un pazzo verso di me creando un enorme spostamento d’aria, e fu allora che mi venne un’ idea. “Sei un buono a nulla! Li ho spinti tutti verso di te, ma te li sei fatti sfuggire lo stesso! Dovrei sbranarti per questo!” mi diede una zampata che mi scaraventò a pancia all’aria. Poco dopo iniziò ad inseguire i pesci e a menare fendenti con le fauci e con gli artigli. L’unico risultato che ottenne fu quello di irritare ancora di più il suo suscettibile carattere. “Trova una soluzione uccellaccio spelacchiato, altrimenti, regole o no, io ti sbrano. Ho fame!” mi minacciò ansimando per la fatica. “Dovresti essere un po’ più gentile con me, micetto. Dato che senza di me non riusciresti a prendere niente. Anche se devo ammettere che anche tu mi sei indispensabile per la strategia che mi è appena venuta in mente” avevo detto a qualcuno che mi era indispensabile, credetti di essere impazzito; non sapevo che quella era la base dell’amicizia.

Gli spiegai la mia idea, e ci vollero parecchi minuti per convincerlo. Alla fine cedette. Poco dopo mi ritrovavo sulla groppa del mio compare di sventura mentre correva senza freni verso il mare. Spiegai le ali e poco prima che il leone entrasse in acqua riuscii a sfruttare la corrente d’aria creata dalla velocità e spiccai il volo. Cambiai qualche corrente e mi alzai di quota. Mi guardai intorno, e seppure non scorsi niente, ebbi la forte tentazione di volare via. Poi rividi il leone che stranamente mi incitava dalla spiaggia, così scesi in picchiata come sapevo fare e presi due pesci. Gli lasciai cadere sulla spiaggia e ricominciai da capo.

Quando riatterrai sulla spiaggia il leone aveva già finito di mangiare, ma me ne aveva avanzati abbastanza per un soddisfacente cena. “Ottimo lavoro” si congratulò il mio socio togliendosi una lisca dai denti. “Grazie per non esserti mangiato anche la mia parte” gli dissi soffocando il mio orgoglio. Restammo seduti sulla spiaggia per un po’ a guardare le stelle. Di solito mi addormentavo prima che calasse la notte, ma qualcosa mi diceva che non dovevo dormire. “Perché non sei volato via?” domandò all’improvviso il leone piantando le pupille feline nelle mie. “Forse perché dopotutto non è così male avere qualcuno con cui collaborare, si insomma..” balbettai. “Qualcuno su cui poter contare.. un amico”terminò lui cercando di non dar troppo peso alle parole, ancora insicuro sul significato di quella giornata e di cosa rappresentasse il labile legame stabilito con il me. “Ho sempre pensato che gli amici fossero una perdita di tempo” dissi. “Anch’io” convenne il leone. “Ci sbagliavamo” conclusi. “Si, decisamente amico mio”.

 

  
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