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Autore: _Lethe    01/09/2011    2 recensioni
"Sono stata rapita dai miei stessi pensieri, ma ora, riportata nel grembo mio adottivo, posso rinascere da un'altra madre, conoscere un'altra vita, amare altri uomini e altre sensazioni.
Ora, per te, tornerò alla vita."
Le confessioni di Elettra, il suo grido alla luna, la sua danza frenetica, il suo amore
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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elettra

Per Lady Chiara Sommers

che continua a  proclamare la mia bravura nella narrativa... 

t'adoro tesora  xD

ASSENZA


I dolci colori della costa stanno svanendo velocemente, avvolti dal manto d’ombra della notte. C’è un sottile profumo di fiori nell’aria. Le scille marine sono fiorite presto quest’anno e così i narcisi. Le ancelle hanno riempito la casa di fiori dai morbidi contorni e dai tenui colori.
Ma nemmeno questi possono nascondere il rosso del sangue che scorre a fiumi nella tua casa. Sì, padre, il tuo sangue versato è stato vendicato con altro sangue.
La maledizione di Mirtilo si è conclusa. Oreste, il tuo unico figlio maschio, ha ucciso la madre indegna e il suo deplorevole amante.

Madre indegna di indegna prole.

Mi considero infatti una figlia indegna, non sono riuscita a salvarti, pur vedendo l’ascia pesante di Clitemnestra calare sul tuo collo, né a vendicarti, sono troppo vigliacca.
Le mie lacrime bagnano la terra sotto cui le tue ossa bianche riposano.

Ricordo come se fosse ieri il dolore che provai il giorno che ti vidi partire, tu e le tue concave navi, verso il sole nascente. Sapevo che non saresti tornato o se la Τύχη benigna ti avesse riportato a casa, saresti stato ucciso molto velocemente dalla famiglia o dai nemici, ma non ho fatto nulla per impedirti la partenza. Non mi sono gettata ai tuoi piedi nella polvere del cortile, mentre camminavi lentamente, appesantito dalla corazza di bronzo che indossavi per compiacere il tuo ego.
Non ho gettato alle ortiche l’orgoglio che fin da bambina, quando mi permettevi di arrampicarmi sulle tue ginocchia, mi insegnavi a difendere fino alla morte; è merce preziosa, una donna orgogliosa.
Non ho nascosto Ifigenia alla sorte, per accontentare la madre e per sfuggire la profezia del bianco Calcante. Ah, quel vecchio troiano ha predetto quello che gli faceva più comodo, ancora non capisco la tua assoluta certezza. Mi stupisco sempre nel poco riguardo che ho nei confronti dell’arte profetica. Forse tu ti fidavi di più del volo degli uccelli e della lettura delle viscere di tori e agnelli che della voce della ragione. In fondo, ti portasti a casa quella ragazza, la principessa troiana sacra ad Apollo.

Di lei ti fidavi? Ti saresti fidato? Forse no.

Sembro una statua di cera, pronta a sciogliersi al primo raggio di un sole superbo. Ecco, mi vedo volare fra le nubi, ma non mi accorgo di avere le ali in fiamme. Come Icaro, sono destinata ad affondare nel mare viola che mi guarda, in attesa.
Mi sento cadere, precipitare nell’Ade per arrivare il più velocemente possibile da te, alle porte del regno di Persefone. Sarei pronta anche ad affrontare le tre teste di Cerbero.
Non mi importa molto se nulla è più come prima e mai sarà. Ho imparato il vero dolore e non posso che esserti grata per questo. Anche sotto tre metri di calda terra sanguigna riesci ad impartirmi importanti lezioni. Anche se preferirei stare seduta in braccio a te. Non posso non sentirmi vile, non riesco a non venire soffocata dai rimpianti, dai miei innumerevoli errori, che condussero la mano della madre a impugnare la scure. La stessa bianca mano che mi carezzava il capo la sera, che mi asciugava le lacrime quando mi ferivo le ginocchia cadendo dagli alberi o inciampando nelle radici mentre facevo a gara con i cavalli, ridendo felice al vento che mi scompigliava i capelli.
La mia spensieratezza di bambina è partita con te per la terra straniera da conquistare col sangue e con il sudore dei nostri uomini, dei nostri fratelli, dei nostri padri. Mi sono arrampicata sull’albero più alto del promontorio, per salutarti con la mano, per vedere scomparire la vela della tua nave nel regno di Poseidone. Mi stracciai la veste migliore, rido ancora al ricordo della faccia di Crisotemi e del sorriso di nostra madre.

E il giorno dopo arrivò Egisto, a sottrarti il posto che era e doveva rimanere tuo. Rideva, sì, rideva mentre camminava con i sandali sporchi di fango nella sala del Consiglio. Mentre sputava sul tuo grande trono di legno, mentre bruciava i tuoi abiti, mentre vendeva i tuoi monili e mentre giocava con le armi che avevi lasciato nei forzieri. Gridava: “Fratello, chi è il re ora?”
E io mi rinchiudevo nella mia camera, in preda al pianto ogni giorno e ogni notte. Dopo che, una sera, gli morsi il polso che aveva osato avvicinarsi al mio viso, la madre non sorrise più a me. Per lei ero arrivata a contare meno dei maiali che si ruzzolano nel fango vicino alle stalle.

Da quel momento in poi io fui sola, padre. Sola.

Camminavo per Argo e venivo schivata dal popolo, dal nostro popolo. Sentivo come un ronzio di api alle mie spalle. “Pazza, folle” sussurrava la gente, mentre mi fermavo ai banchi del mercato per comprare erbe e spezie. E per chiedere notizia della guerra che infiammava l’Oriente.
Non indosso più gioielli, né tuniche preziose, i miei capelli, una volta lucidi come l’ala di un corvo, sembrano un cespuglio di rovi, ma non me ne curo, perché sento che non ci sarà ancora tanto tempo per me.
Sento di meritare la morte.
Sono qui ora, a battermi il petto e a parlare con un mucchio di terra bagnata dal mare e dalle mie lacrime. Forse ha ragione il popolo di Argo a chiamarmi pazza. Ma non riesco a pensare che la mia mente sia perduta nel Nulla. Finché riesco a pensare, finché vive il ricordo, anche io vivo e sento.

Una sottile brezza sale dal mare, spostando la sabbia che mi vola a piccoli grani negli occhi. Lo sento nell’aria, domani, forse perfino stanotte, Poseidone scatenerà la sua ira facendo infuriare il mare. Qualcuno dei tuoi soldati, padre, gli ha disobbedito.
Non conviene fare un torto al re delle acque.
Quanti sacrifici ho fatto al dio dal potente tridente, con la testa altrove a fantasticare su battaglie di eroi, di uomini, di dei. Ricordi quando venne Achille ad Argo, il grande, il possente, l’imbattibile Achille, che non riuscì a farsi tornare in mano uno yo-yo. Battuto da una bambina dalla risata squillante. Ti ricordi di lei? Io faccio fatica a tornare indietro con la memoria al tempo di quand’ero ancora felice.
Hanno deciso di abbandonare ai corvi il corpo di Clitemnestra, ma io so che non avresti voluto, sarei incorsa nell'ira di Zeus. Sono un figlia indegna, sì, ma irrispettosa mai.

Il cielo sta morendo, Elios ha caricato il sole sul suo carro dorato. I cavalli dell’Olimpo trottano lenti tra le nuvole sanguinanti, sembra che l’azzurro si tramuti lentamente, sempre più lentamente in rosso e infine in nero, accontentando con un sorriso la vecchia compagna luna, che addolcisce la notte col suo bianco sguardo.
Così faccio io, lentamente affondo nel nero del mio oblio personale, perdendomi in un bosco di grida e lacrime. La vista mi si annebbia, sto forse diventando simile ai ciechi veggenti che popolano l’Ellade? Mi renderanno gli occhi, per scrutare la verità, per guardare gli animi, per vedere le cause e gli effetti.
Ecco, questo era un bel gioco. Quest’oggi i ricordi mi scorrono fluidi nella mente, sai tu il perché padre?
Mi nascondevo tra le colonne dei templi, correndo nel bianco dell’antichità che trasudava saggezza e stanchezza. Le docili colonne si stagliavano mute nel cielo, creando slanciate ombre sul marmo del pavimento e sulla terra arida della strada. Mi aggiravo furtiva per il tempio di Atena, cercando la statua. Cercavo il fuoco sacro. E mi sono bruciata, sì. Ma sognavo in un sogno che non era mio, guardando con occhi diversi una tempesta che non sarebbe mai accaduta. Non pensavo a niente, dolci anni in cui il pensiero era un vezzo che non mi interessava, vivevo così bene ridendo e correndo. Finché non arrivò il momento, finché il cielo non si ruppe proprio sopra di me, mostrandomi cose che una bambina com'ero non avrebbe mai dovuto vedere.
Mai. Scoprì che gli dei a cui alzavo le braccia cantando, gli stessi dei che pregavo tutte le notti, gli stessi dei che avrebbero dovuto proteggermi, chi col fulmine, che con la spada, chi con il tridente, non erano che visoni. Sogni di un mondo migliore.
Per giorni mi sono rintanata tra le radici del grande fico che sovrastava il giardino della reggia, piangendo per un mondo che era solo una bugia, piangendo per te, che ancora confidavi nei vaticini. Piangendo per me. No, per me no.

Non ho mai pianto per me, io, la donna che ascolta ma non parla. È così, le persone possono essere comodamente divise in queste due categorie, senza ascoltare quello che i filosofi gridando nelle piazze al popolo impazzito. C'è chi ascolta e chi parla. Io ascolto, ascoltavo, ascolterò. Mai una parola potrà scapparmi dalle labbra, mai un sussurro leggero, mai una confidenza fatta ridendo all'amica che passava con me le notti buie dell'inverno, quando il mare rumoroso impediva a tutti il sonno.

Il canto delle sirene sembra giungere fino a qui, forse dovrei seguirle e inabissarmi nel verde che mi chiama, gridando tutto il suo amore per me. Ma prima devo finire di parlare, ora che ho cominciato, non mi fermerà più nessuno.
Correvo come il vento, cercando di fecondare il cielo con le mie lacrime, cercando di oscurare il sole con le mani, supplicando chiunque fosse in ascolto di far giungere la mia voce e le mie scoperte fino a Troia, da te, per farti spaventare, per farti prendere la nave e tornare, da me.

La madre questa cosa non me l'ha mai perdonata. Dovevi mancare solo a lei, dovevi essere solo suo. Non ho accettato questo, non ero più sua figlia. Forse fu spinta da questo odio la sua scelta, percorse la strada più facile, in fondo quanto ci voleva di notte, alla luce della torcia, arrivare fino alla camera di Egisto? Neanche il tempo di soffiare sulla fiamma della lampada. Come un'ombra scivolava nei corridoi, lasciando dietro di sé solo l'odore dolce dei suoi capelli. Quanto amavo affondarci il viso, prima di addormentarmi.
Sottile e penetrante, come la nota più alta di una lira, il suo profumo aveva la capacità di legarsi a te, di entrarti nell'anima e di non lasciarti andare più. Poteva accarezzarti e colpirti come una frusta. Era proprio lei, Clitemnestra.
Lei, la donna che ti ha ucciso, uccidendo anche me.

Ma ormai il cielo è diventato nero, inglobando in sé tutti i colori del promontorio. Ti devo lasciare padre, devo raccogliere da terra la madre, lasciata a marcire nel cortile.
Non posso, la legge di Zeus me lo proibisce, lasciarla nella polvere; anche lei ha diritto a una degna sepoltura. Ma non la riporrò vicino a te, no, le sue ossa bianche scompariranno nelle segrete della dolce casa, con quelle dei traditori, abbandonate nel buio senza fine.
È quello che si merita, per tutto il dolore che ha provocato, per l'ombra di ignominia che ha lasciato scivolare sulla famiglia di Atreo, perennemente sventurata, aiutata da quel figlio degenere, da quell'uomo indegno di respirare la tua stessa aria, che invece si godeva il letto di tua moglie, che rideva dissipando le tue ricchezze, gioendo delle notizie di sconfitta che arrivavano da Troia.

Ma ora è morto anche lui, sepolto tra le sterpaglie del giardino, assieme ai cani e ai maiali.

Sono stata rapita dai miei stessi pensieri, ma ora, riportata nel grembo mio adottivo, posso rinascere da un'altra madre, conoscere un'altra vita, amare altri uomini e altre sensazioni.
Aspetto paziente l'arrivo di Oreste, ma so che lo accoglierò vittorioso, accoglierò a braccia aperte il vendicatore di genti, colui che infranse l'infausta maledizione.
E ora, apro le danze alla cara luna, ora, assieme alle stelle, mie sorelle sanguinanti luce, ti renderò omaggio un ultima volta, ora, vendicherò con le mie membra stanche la tua assenza, ora, getterò le braccia al cielo per te, per onorarti come uomo pari agli dei, padre.

Ora, per te, nuoterò fra i flutti neri del cielo. Ora, per te, canterò tutto il mio dolore. Ora, per te, raggiungerò l'amara madre terra, in questa danza frenetica. Ora, per te, tornerò alla vita.

  
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