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Autore: loonaty    02/09/2011    6 recensioni
"Eleanor Lizbeth Desdemona Engels.
Diciassette anni.
Italo – germanica, giapponese.
Orfana.
[...]
Si dice che il tre sia il numero perfetto, è composto da tre cifre ognuna delle quali è identica all’altra. Noi tre non eravamo identici, ma ci compensavano a creare il perfetto equilibrio. Ora, da sola sulla bilancia, credo proprio che questo equilibrio si sia spezzato. Ho bisogno di qualcuno che posi un dito sull’altro piatto prima che precipiti nel regno degli inferi. "
Genere: Commedia, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kyoya Ohtori, Nuovo personaggio, Tamaki Suoh, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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TORMENTO

Come Eleanor Lizbeth Desdemona Engels preferisce accoltellarsi la milza con un compasso piuttosto che passare un solo istante assieme alle iene ridens.
E come cambi idea all’arrivo di un vampiro.

 
-Giammai.-
-Nee Nora-Hime …
-Quanto sei noiosa!-
-Ve lo scordate-
Un coro di mugolii delusi da parte delle viziate principessine, scosse i miei timpani facendomi odiare le due pesti sosia davanti a me, le rispettive frange e sculture di gel e capelli coperte da un berretto verde.
-Perché non prova a indovinare Eleanor-sama?- Fece una di quelle ragazze zuccherine fissandomi con grandi occhioni supplichevoli.  Ingollai una tazza di caffè senza zucchero, che per la cronaca faceva davvero schifo, ed accavallai le gambe sospirando drammaticamente. –Perché non vedo cosa ci sia di divertente o complicato. Sono due persone non due carte da gioco, è ovvio che a modo loro siano diversi – Sbottai.
Uno dei due, non so precisamente quale. Si chinò davanti a me. –Cosa? Ha paura di sbagliare Nora-hime?-
-Tremo.-  Dissi sollevando un sopracciglio.
 
Cosa poteva succedermi di peggio?
Kyoya mi aveva incenerita, il nano chiamato Honey mi aveva costretta a mangiare la torta e ad imboccare il suo coniglio, Tamaki, quell’essere scintillante, aveva decantato lodi ai miei lineamenti, alla mia parlata, ai miei capelli, ai miei vestiti, ai miei modi di fare e all’anidride carbonica che espellevo nel respirare.
Haruhi si era semplicemente limitato a scrollare le spalle quando ero strisciata ai suoi piedi per chiedere aiuto. –Sono sempre così. Poi uno ci si abitua.-
Se avesse detto “Possono ucciderti, non mi importa” forse l’avrei presa meglio.
Infine era arrivato lui. Alto, bruno, figo e inquietante.
Un gigante di un metro e novanta che mi squadrò dall’alto in basso per poi sedersi a mangiare torta con il moccioso.
Mai stata più a disagio in vita mia e quando sono a disagio me ne frego e parlo. Avrò raccontato almeno dodici volte i miei film preferiti e l’ordine esatto dei libri sugli scaffali di camera mia.
Solo una frase però parve accendere il saybor.
-E così, dopo l’ultimo giorno che passai nella palestra di kendo per imparare quel briciolo di auto difesa che conosco, mio padre mi regalò un cucciolo di pantera nero
Biiiiiiiip. Gli occhi si accendono. Niente lucette rosse, solo profonde iridi grigio scuro, il piattino poggiato su un ginocchio ed Honey poggiato sulle spalle. Mi osserva. Mi sta degnando della sua attenzione. A meno che non abbia qualcosa di strano in faccia ...
-Quando mi è stato portato era più o meno piccolo così … - Disegnai una misura con le mani. –Con il pelo molto … Molto fluffoso, come i capelli del citrul … ehm, di Tamaki per intenderci- Ammiccai verso il lord e miracolosamente il ragazzo sorrise della mia non-tanto-gaffe. Anche se sorrise è un’esagerazione … diciamo che gli angoli della sua bocca deviarono la loro andatura stabile verso nord.
-Sai Nora-chan, Takashi frequenta il club di kendo, potresti venire ogni tanto.-
No.
Negativo. Ci ho messo quasi dieci anni a convincere i miei che era un altro tipo di bastone quello che attirava la mia attenzione e che, tanto per non creare fraintendimenti, si chiamava matita.
Non mi farò mai più rinchiudere in una palestra in cui, causa costituzione e salute (non molta) frequenterò solo un paio di lezioni e resterò piccola e stolta così come sono arrivata. So a stento dare un calcio nel basso ventre, potete farvi un idea.
L’unica risposta possibile però fu –Verrò a vedere qualche volta magari. – Sorriso stordente e via! Dileguata.
In compenso so sparare. So sparare benissimo, tanto bene che per un certo periodo in cui il mio dentro e fuori dagli ospedali era condito da lunghe pause, insegnavo alle reclute dell’esercito. Sono stata anche al pentagono. Più di una volta. L’unica cosa che amo di me: la mia mira. Superba, perfetta, in grado di separare le ali dal corpo di una mosca con un solo proiettile a più di venti metri di distanza. Mi amo.
Dopo questo, non so come,
mi ritrovai davanti ad un branco di Yaoiste senza pudore che strillavano indemoniate. Davanti a loro un siparietto sdolcinato tra due ragazzi dai capelli rosso ramato che si abbracciavano giurandosi reciprocamente di non abbandonarsi mai. Probabilmente fu la goccia che fece traboccare il vaso.
-Basta, me ne vado. – Sbottai voltandomi verso la porta e scatenando una serie di reazioni a catena.
-Principessa! Ci onori ancora un po’ con la sua presenza!- Lo sguardo luccicante del lord stupido.
Lo avrei onorato, preferibilmente, con un cerotto sulla bocca.
-Uh, vengo anche io- Haruhi. Caro ragazzo.
-Nooooora-chan! Ma abbiamo altra torta!- No coccolotto dei miei stivali. Non mi piace la torta.
-…- Il discorso illuminante provenne da quel gigante di Takashi che diede un leggero sguardo alla porta e poi di nuovo a me. Mi stava sfidando ad uscire? O più probabilmente mi stava indicando la direzione da prendere. O forse mi chiedeva di restare …
Oh, sentite, chi se ne importa, come se avessi dato ascolto alle sue parole … Se ce ne fossero state.
-Ehi Nora – Hime … -
-Ti lasciamo andare solo se prima giochi con noi … -
Tò, pinco panco e panco pinco, uno appoggiato alla mia spalla destra e l’altro alla sinistra, si lanciavano tra loro occhiate d’intesa. –Io non gioco proprio con nessuno. Io esco di qui e me ne vado. Penso ci sia uno stupendo club di letteratura da qualche parte. Con permesso … -
Tentai di sgattaiolare via ma la reincarnazione di Jack lo squartatore mi trattenne.
Con sole poche parole.
-Il piatto Engels. Il piatto.-
Un’ombra scura si proiettò su di me. Mi voltai trovandomi alle spalle Kyoya.  Il cognome faccio troppa fatica a pensarlo quindi mi rifiuto. Il fatto che al momento cosplayasse un angelo Gabriel dalle nobili fattezze non mitigava le ombre che gli strisciavano attorno alle caviglie come fidi serpenti.
Tornai di mia spontanea volontà dai gemelli.
-Di che gioco si tratta?- Domandai.
Non l’avessi mai fatto.
Iniziò la mia tortura.
I due si scambiarono un sorriso volpino.
-Chi di noi è Hikaru-kun?- Dissero all’unisono calcandosi degli stupidi berretti in testa.
 
Ecco. È così che è cominciata. Non mi lasceranno uscire finché non avrò indovinato.
 
-Allora puoi tirare a indovinare … - Era Hikaru. O forse Kaoru … Ma si chiamavano Hikaru e Kaoru? Dopotutto era la prima volta che li vedevo. A stento ricordavo i nomi.
- … Anche se non ci riuscirai mai!-
Mi fecero la linguaccia continuando a scambiarsi di posizione.
-Visto che non ci riuscirò mai … Perché volete tanto che ci provi?- Dissi acida incrociando le braccia al petto.
-Ovviamente … -
-… Per umiliarti-
Un incudine mi cadde in testa.
-Perché l’ho chiesto?-
 
**
 
-Haaaaruhi! Bambina mia! Quel vestito da angioletto ti dona tantissimo! Vieni qui da papà!-
-Uh, scordatelo- La ragazza si allontanò dirigendosi verso le sue clienti e snobbando il suo "Paparino" molto palesemente.
-Tama-chan, Tama-chan! Non essere triste, ecco ti presto un po’ Usa-chan vuoi?-
Il lord si strofinò gli occhi nel suo angolino buio.
-Grazie Honey, tu si che sei gentile … -
In questa allegra atmosfera familiare Kyoya se ne stava relegato nel suo mondo con la schiena appoggiata alla parete ed un palmare, ultima novità del momento, fra le mani, intento a compiere delle ricerche catalogate in:
tutto ciò che riguarda la Engels.
Come sfruttarla al meglio.
Come estorcerle il pagamento per il piatto e, possibilmente, di un nuovo servizio da tè intero.
-Mammina! La nostra bambina è nel periodo della ribellione!-
Kyoya lo fissò dall’alto della sua onniscienza. Innervosito per essere stato interrotto nel pieno dei suoi piani malvagi. – Comincio a chiedermi quando abbia avuto una figlia. – Sbuffò cambiando scheda ed infiltrandosi nei documenti delle industrie elettroniche più famose di tutto l’occidente … ed abbastanza anche in Giappone.
Tamaki, straziato da questa mancanza di attenzione, si avvinghiò alla gamba della consorte frignando come un bambino in fasce. –Mamma, il papà è taaaanto triste!-
Kyoya sospirò rassegnato. Perché, perché solo a lui gli idioti ?
-A Natale ti regalerò un cervello … - Mugugnò tra i denti tentando di scrostarselo di dosso.
-Kyoyaaaaaa … -
Santa pace. Era impossibile fare qualcosa senza essere interrotti da biondi fosforescenti o gemelli sincronizzati.
-Hikaru. Kaoru. Che succede?- Disse con tutta la calma che aveva a disposizione.
- … La prigioniera non collabora!- Fecero all’unisono.
Kyoya inarcò un sopracciglio. A quanto pareva la straniera era passata da giocattolo, a vittima per finire con prigioniera. Di lì a poco i gemelli si sarebbero scocciati e dimenticati di lei. A meno che non facesse qualcosa di irrimediabilmente stupido … Come dar loro corda …
-QUELLO A DESTRA E’ HIKARU E QUELLO A SINISTRA KAORU!-
Sbucò alle loro spalle digrignando i denti e puntando un dito verso i due.
Il demone occhialuto sospirò. Non sarebbe mai più uscita di lì. Aveva firmato la sua condanna.
I gemelli pestiferi si voltarono lentamente.
Sogghignarono.
-SBA – GLIA –TO – Sillabarono, ombre scure sugli occhi dorati.
-Allora al contrario!-
-No, così non vale Nora-chan … -
-Devi dare una spiegazione … -
-M-ma avete detto … Che potevo tirare a indovinare …! –
Con sincronia perfetta si passarono l’uno un braccio attorno alla vita dell’altro piegandosi in avanti ghignando, i cappellini verdi che scendevano sulla fronte e la tunica da angelo frusciante.
-Sì,  ma … -
-… Non è più divertente!-

La ragazza si guardò intorno disperata. Incrociò lo sguardo di Haruhi e fece per dirigersi nella sua direzione quando un fascio luminoso e vagamente inquietante la attraversò paralizzandola sul posto.
Kyoya le stava puntando contro un flash malvagio proveniente dei suoi occhiali/lampade da abbronzatura.


**

Si era rivelato un vero Ootori alla fine.
Riuscii ad uscire da lì solo alla fine delle attività con il corpo perforato da occhiate assassine made – in –stronzo e i nervi tesi come corde del banjo che gli adorabili gemelli si erano divertiti a suonare tutto il giorno allegramente e spensieratamente, con il risultato che ora le altre clienti mi odiavano.
Odiavano ME.
Perché IO avevo monopolizzato i loro idoli.
Al solo pensiero mi venne l’improvvisa voglia di costituirmi a Kyoya già legata e con una mela in bocca pronta ad essere gettata negli inferi, cotta e divorata.
Come se tutto ciò già non bastasse i due siamesi mi si affiancarono sollevandomi di peso in maniera perfettamente simmetrica.
Lanciai uno strillo acuto presa di sorpresa. –V-voi! Hikaru! Togli quella mano da lì! Kaoru,  lascia la mia borsa! Mettetemi giù! Che fate?!?- 
Con la mano libera si coprirono un orecchio.
-Gridi proprio come una cornacchia. Non sei per niente femminile.-
Ed ecco il secondo incudine della giornata! Mi appiattì il cranio mettendomi a tacere.
-E comunque … -
-E’ stato Kyoya – sempai a dirci di rapirti.-



**
 
Kaoru gettò un’occhiata alla ragazza che teneva sollevata.
-Hai tirato ad indovinare anche questa volta?- Le domandò.  Non vedeva l’ora di schernirla un altro po’. Aveva indovinato al primo colpo, non era da tutti ed era apparsa anche dannatamente sicura di sé …
-CERTO! SECONDO VOI MI METTO A PRESTARE ATTENZIONE A COME TENETE IL CIUFFO MENTRE MI RAPITE?- Urlò assordandoli entrambi, una volta giunti davanti ad una sfavillante limousine nera una mano candida ed elegante aprì la portiera e lei venne brutalmente lanciata all’interno per poi finire accartocciata sul tappetino nello spazio tra sedili anteriori e posteriori, causa la brusca partenza.


Kaoru scrollò le spalle guardando l’auto di Kyoya allontanarsi.
-Dici che ha indovinato per caso, Hikaru?-
Il gemello gli prende la mano sorridendo e lo guarda con i suoi grandi occhi dorati.
-Ne sono sicuro, Kaoru.-
Entrambi i ragazzi si dirigono verso l’auto che li attende sospirando.
-E se fosse come Haruhi?-
La mano di Hikaru stringe la presa sulla sua.
-Nessuna è come Haruhi!- Sbotta innervosito.

-Quindi ha tirato a indovinare.-
-L’hai sentita anche tu no?-
-E perché durante il gioco non ha mai sbagliato?-


**

Ero stata sequestrata.
Contro la mia volontà.
Da un paio di iene ridens sotto l’ordine di un furer dal pugno di ferro e il cuore a forma di calcolatrice.

Mi sollevai arrampicandomi sul sedile posteriore a fatica, nemmeno stessi risalendo un parete del gran Canion. La mia chioma fulva fece capolino seguita dal mio sguardo truce ed assassino quando una voce vibrante e ad alto tasso corrosivo raggiunse le mie orecchie facendomi voltare di scatto alla mia destra, trovandoci appunto il direttore d’orchestra di questo bello spettacolino.
-Tu … - Soffocai una ringhio pronta a balzargli al collo per azzannarlo a morte.
Kyoya si limitò ad aggiustarsi gli occhiali sorridendomi in modo tale che fui arcisicura che quell’auto fosse diretta in un posto alquanto spiacevole. Tipo una fabbrica di carne in scatola. Mi avrebbero triturata e ingelatinata e poi imbarattolata, non mangerò mai più Simmental in tutta la mia vita!
-Questo è un rapimento! Sporgerò denuncia!- Gridai ancora inginocchiata tra i due sedili sventolandogli contro un dito con fare minaccioso. Lui sollevò un sopracciglio. –Quello di prelevarti da scuola è stato un diretto ordine del tuo tutore, non sono certo così disperato da sobbarcarmi una … - Mi fissò  come se stesse tentando di trovare un termine adatto. Lo vidi gettare un’occhiata alle pagine della sua agenda e sistemarsi gli occhiali.
Una che? Cosa vorresti insinuare stupido damerino?
-Comunque sia, il suo tutore ci ha contattati chiedendoci gentilmente di prenderci cura della signorina Engels, poiché la povera- sbaglio o c’era ironia nelle sue parole?- Eleanor si ritrova a vivere da sola senza il supporto di nessuno. – Appuntò qualcosa sovrappensiero. –Questo è il motivo per cui ti trovi qui.- Continuò a fissare l’agenda.
-Quindi, nonostante io trovi tutto ciò estremamente seccante, vivrai nella nostra residenza. Capisci?-
Mi trattava, di nuovo, come un’inetta?
Lo fissai per un momento sbigottita.
-No!- Sbottai d’un fiato.
Alzò un sopracciglio.
-Mi era giunta voce che non brillassi di intelligenza, ma non mi sembra un concetto così difficile da realizzare.- Fece, piuttosto acido, scendendo dall’auto ormai ferma. Nonostante fosse stato educato a rispettare le giovani principessine, non si sognò minimamente di aprirmi la portiera per aiutarmi ad uscire a mia volta.
-No, nel senso di NO, io non ci vivo in questa casa!- Saltai giù dalla vettura rischiando la vita della mia caviglia sinistra scivolando sulla brecciolina del vialetto per poi inciampare in un sasso più grande,  ribaltarmi molto poco elegantemente e veder avvicinarsi il suolo ad una velocità supersonica non consigliabile ai malati di cuore. Qualcuno mi afferrò per il gomito rimettendomi in piedi.
-Dove credi di andare?- Domandò Kyoya, ancora fermo accanto all'auto. No, non era stato lui a salvare il mio bel nasino. Figuriamoci se quello si metteva a soccorrere le donzelle in pericolo. No. Avevo davanti l'intera squadra dei men in black. Indietreggiai di un paio di passi schiarendomi la voce. -Lasciatemi passare.- Tentai leggermente insicura.
-Ci è stato ordinato di non lasciarla fuggire.-
Ovvio, ma me ne sarei pentita se non ci avessi provato.
Tornai a voltarmi verso Satana indicando con il pollice i tizi dietro di me. -Senti, tu li conosci?-
-Sono le mie guardie del corpo.-
-Ti fai proteggere dalla CIA? Sei un alieno? Hai mai visto l'area cinquantuno?- Il mio livello di sopportazione mi stava portando al gradino dopo lo sbroccare tipico da chi, come me, è condannato dall'avere i capelli rossi ed un carattere tremendamente irascibile.
Curioso come queste cose vadano a braccetto, non trovate?
Ignorando la trementina nella mia voce, il ragazzo si voltò facendomi strada verso l'ingresso il quale non era cambiato di una virgola da come lo ricordavo. Io rimasi al mio posto.
-Signorina Engels, non vorrei dare l'ordine che lei venga trascinata dentro a forza ... -
Dì la verità, dì che non aspetti altro che tramortirmi legarmi e trascinarmi all'interno in una cella umida dopo avermi spillato ogni minima goccia di sangue ed aver rivenduto i miei organi al mercato nero. Rabbrividii.
Ripiegai sulla logica. Ahrg, i miei neuroni non si erano mai nemmeno conosciuti di persona, figuriamoci se riuscivano a connettersi per tirare fuori qualcosa di decente!
-Uhmm ... I miei vestiti? E le mie cose?- Ero sulla buona strada. -Dovrei andarli a prendere ... -
Il sorriso che il moro mi rivolse mi fece venire in mente che avevo un golfino nella borsa... Un momento, quello era un pinguino?
-Abbiamo già portato tutto nella sua stanza, Hime, la prego di entrare.-
C-Cosa? Già portato tutto? Le mie cose nella casa degli orrori?
Dietro di me gli agenti segreti formavano una specie di muraglia cinese bracciuta, pronta ad afferrarmi qualunque scatto facessi, fosse anche quello di grattarmi il sedere. Non avevo scampo.
-Spero almeno di non scivolare su una lastra di ghiaccio ... - Mugugnai salendo i gradini mentre il vampiro si faceva da parte per farmi passare ignorando le mie parole con una vena in rilievo sulla tempia. Ancora una volta mi chiesi dove fosse questo ragazzo quando io passavo le mie giornate d'infanzia in questa residenza. Non avevo il minimo ricordo di lui. Forse furono questi pensieri a rallentare il mio passo, mentre inconsciamente fissavo il conte Vladimir e questi mi scherniva da dietro le lenti cangianti, una voce purtroppo ben nota mi fece rizzare i capelli sulla nuca.
-Alla fine sei di nuovo qui.-
-Kyoya, sicuro di non voler rivendere i miei organi al mercato nero? Ci faresti su un bel gruzzolo! Ti prego, pensaci!- Per poco non mi avvinghiai alla manica della sua giacca implorando pietà, mentre l'uomo biondo che aveva parlato mi si avvicinava con passo posato, simile ad un avvoltoio che cala sulla carcassa.
 
   
 
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