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Autore: Neal C_    03/09/2011    3 recensioni
[POV Vari]
[BIKE]
Il loro segreto così ben custodito va amenamente a farsi benedire.
E di questo ne fa ne spese Joey, sconvolto fino al midollo, in periodo di ribellione contro l’invasività del padre, e il povero Billie che passa da un casino ad un altro.
Solo Mike rimane impermeabile all’accaduto, dimostrando un egoismo insospettabile oltre che la più totale incapacità di esprimere i propri sentimenti fino in fondo...
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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WARNING:
Lemon esplicita, linguaggio Scurrile

No Secrets Anymore



Novembre è un mese del cazzo.
Nuvole, nuvole, sempre nuvole, un cielo grigiastro, sembra che stia per piovere da un momento all’altro e poi non succede mai. Un momento prima fa freddo di quei freddi secchi che ti gelano, poi, quando fa capolino il sole e ti investe con i suoi raggi, grondi sudore come un colapasta gronda acqua.
Allora mi chiedo...che cazzo dovrei mettere a Novembre?!
Ormai ho un’età, cristo santo! C’ho quarant’anni e vorrei evitare raffreddori, influenze, sbalzi di voce che mi incasinerebbero la vita. E poi il gruppo non me lo perdonerebbe mai.
Grazie al cielo, siamo in un momento di tregua. Niente tournè in giro per il mondo, niente concerti, interviste, eventi, tappeto rosso o che so io.
Casa. Solo casa.
La mattina posso alzarmi alle otto, sentire Britney che si fa la doccia, infilarmi una di quelle canotte traspiranti, i pantaloncini sintetici da ginnastica, le mie scarpe da ginnastica con la suola molleggiata e tutte quelle stronzate tecniche che le rendono maledettamente comode, afferrare il mio zainetto con la barretta energetica ai cinque cereali e una bevanda energetica dentro, uscire con l’Ipod nelle orecchie, e andare a fare Jogging.
è cinquecento volte meglio che correre su un dannato tapis rouland in una di quelle merdose tende da campus che ti montano quando arrivi in un posto sperduto e devi suonare quel pomeriggio, quella sera, domani mattina o quando sarà.
Io la mattina ho bisogno di correre. Mi fa sentire bene, mi fa sentire giovane, mi tranquillizza, specie perché so che magari domani dovrò saltare con il mio basso da una parte all’altra del palco.
Ci vuole allenamento per cose del genere, altrimenti non riuscirei a fare nemmeno un passo.
E correre mi aiuta a caricarmi, ad incominciare bene la giornata.
Tanto so che poi tornerò a casa e troverò la colazione pronta, Brit sarà uscita, Estelle sarà andata a scuola e avrò tutto il tempo del mondo prima delle undici, orario in cui si va in studio.
Forse oggi potrei fare un’eccezione.
Sto correndo sul marciapiede, mi rompo di andare a correre nel parco.
Ieri ho fatto il percorso lungo il laghetto, l’altro ieri quello nel bosco.
Oggi correrò sull’asfalto, passando davanti a tanti bei cubi grigi di cemento immersi nel verde, ciascuno con il loro steccato, il tosaerba, il garage, la serra, la casetta degli attrezzi e roba varia.
In fondo la periferia di Los Angeles è piacevole per una corsetta.
è il tipico quartiere residenziale, non per ricchi ma comunque per benestanti, in genere vicini abbastanza simpatici anche se un po’ ficcanaso che vanno in chiesa la domenica mattina presto, poi invitano mezza chiesa per una grigliata di mezzogiorno nel loro giardino: Normale amministrazione.
Imbocco una nuova strada, a me fin troppo familiare.
La terza casa, alla mia destra è quella di Billie Joe.
Potrei decidere di presentarmi senza nessun preavviso e fare colazione con il mio migliore amico.
In fondo oggi è domenica mattina, quindi ci sarà la famiglia al completo che starà ancora dormendo.
Potrei farmi prestare un accappatoio, farmi la doccia da lui, prendere in prestito qualcosa dal suo armadio...
Ok, quest’ultima è un po’ meno praticabile visto che i suoi pantaloni mi vanno un po’ cortini e le sue magliette sono troppo piccole di spalle.
Ho fatto due spalle enormi a furia di palestra.  Non ho mai visto Brit così contenta.
Me lo ripeteva da secoli che dovevo smaltire la pancetta e farmi un po’ di muscoli.
Eppure io li preferisco meno...scolpiti i muscoli. E qualche volta mi pesa il fatto di essere il classico tipo biondo e allampanato.

Tra me e Billie siamo una bella coppia. Lui si lamenta di essere tappo e io qualche volta vorrei non dover torreggiare sempre.
Solo Tré se ne sta buono buonino, nonostante sia monopalla. Ma Tré è Tré.
Un miracolo della natura. Un’altra storia.
E tra l’altro c’ha un tappetino da bagno che mi ha fatto innamorare.
Uno di quelli che si piazzano nella doccia per non scivolare. Lo voglio anche io.
Devo chiedergli dove lo ha comprato...

“DOVE CAZZO STAI ANDANDO?!?! TORNA SUBITO DENTRO!”

Mi blocco, mentre i peli mi si drizzano sulla nuca.
Mi guardo intorno, per vedere chi mi sta apostrofando così, e mi accorgo di essere praticamente arrivato a casa di Billie. La porta è aperta e Joey è sulla soglia mentre si infila un giubbotto di pelle nera e traffica con un grosso bagaglio che sembra stracolmo.
Posso sentirlo urlare, ostile:

“No papà! Non ne posso più!

Il figlio di Armstrong di qua, il figlio di Armstrong di là...per il mondo sono sempre e solo il figlio di Billie Joe Armstrong!
Uh! Guardate, quello è il figlio del cantante dei Green Day!
Mi sono rotto i coglioni!!!”
“Dio, Joseph, qual è il problema?!
Hai una band che adori, hai un contratto con una casa discografica che non ti creerà mai casini, hai un produttore e un manager che fanno i tuoi interessi e non sono tante sanguisughe che vogliono soldi e solo soldi. IO sono il tuo produttore, cristo santo, la mamma è il tuo manager! Ti stiamo aiutando in tutti i modi!”
“Punto primo: non chiamarmi così! Io sono Joey e basta.
 Punto secondo: Non voglio essere aiutato!”
“Allora vorresti che io fossi uno di quei padri che se ne frega dei figli?!
Tua madre dice sempre che come genitore sono un disastro! Vi faccio fare il cazzo che vi pare, a te e a tuo fratello! Non vi rompo più di tanto anche se sfoderate tutte le parolacce che conoscete! Se mi chiedete una cosa mi faccio in quattro per procurarvela!
Sto cercando di aiutarti! A-I-U-T-A-R-T-I!
Qualche volta mi sarebbe piaciuto che anche mio padre l’avesse fatto per me!”
“Il nonno era uno sconosciuto che come hobby suonava con gli amici al bar e giocava a carte!
Non era sempre fra i piedi, il suo volto su tutti i catelloni della città, il suo nome sulla bocca di tutti, la sua voce su ogni fottuto stereo da qui fino a Edimbrough!
Qualche volta vorrei aver avuto anche io un padre così!”

Queste parole per un attimo mi fanno trattenere il respiro.
Quello di Andy Armstrong l’ho sempre considerato un argomento off-limits.
Non c’ero all’epoca per consolare Billie e ancora oggi non me la sento per niente.
Tanto cosa avrei da dirgli? Le solite stronzate come “Si, ti capisco, so quanto è difficile..., passerà, adesso non soffrirà più, sarà in pace...”.
Meglio non parlarne. Quando vorrà ci penserà lui.
Improvvisamente mi sento un intruso che sta lì, con l’Ipod in pausa, a sentire i litigi del mio vicino, senza essere stato visto né autorizzato.
Posso vedere Joey che finalmente esce di casa mentre lo insegue un urlo rauco:

“Che cazzo ne sai tu, eh?! E ADESSO DOVE VAI?!”
“Me ne vado e basta. Non ti sopporto più. Parlerò con i ragazzi.
Voglio un produttore che non sia una star internazionale, tanto da farmi sentire una nullità e voglio un manager che non mi sgridi perché mi sveglio tardi la mattina, grazie!”

Lo vedo camminare velocemente fino alla sua Nissan Micra, nuova di zecca, regalata per il suo scorso compleanno e arrivata solo qualche settimana fa.
Fa appena in tempo a lanciarmi un frettoloso “Ehi, Mike”, accelerando il passo a testa bassa.
Si infila in macchina, chiudendo dietro il suo borsone, mette in moto e parte.
Billie si precipita fuori dalla casa, nel giardino, a piedi nudi, in jeans stravecchi pieni di buchi, e una magliettona  del Monty Day, la fiera del vitello tonnato, taglia XL, sbraitando a squarciagola, furioso e rosso in viso:

“JOEY?! TORNA SUBITO QUI! CAZZO, JOEY, TORNA IMMEDIATAMENTE!!!
JOEEEEEEEY!!!”

Ma il figlio è lontano, anzi, la sua auto è sparita dietro l’angolo.
Billie, in preda alla rabbia, si accanisce contro lo steccato di legno che circonda il giardino di casa sua e prende a dargli calci, sempre più forti finchè non sembra fargli male il piede e prende a saltellare su un piede solo, biascicando, a denti stretti:

“Cazzocazzocazzocazzocazzocaaaaazzooooo!!!”
“Ehi, Billie?! È tutto ok...adesso stai calmo, d’accordo? Calmo...”
“PORCA PUTTANA, MICHAEL, NO CHE NON STO CALMO!
PERCHE’ CAZZO NON LO HAI FERMATO?!?!”

Spalanco gli occhi, stranito da questa sua reazione.
Ok, sei un pochino incazzato.
Ok, stavi litigando con tuo figlio adolescente che ti ha scaricato portandosi via le valige e promettendo di non tornare a casa.
Ma adesso vorresti dire che è colpa mia?!
Scuoto la testa, e prendo un bel respiro, pazientemente.

“Non ho avuto nemmeno un secondo per dire bah!
Se ti calmassi un attimo potremmo parlarne! Non lo hai perso per sempre!
Dimostrami che hai un fottuto cervello e calmati!”

Il mio migliore amico sembra osservare ancora per un po’ il punto in cui è sparita la macchina di Joey mentre non abbandona uno stato di trance che lo rende più simile ad un pesce rosso sottovetro che altro. È distrutto, sembra terribilmente abbattuto.
Controllo se ha occhiaie. Non mi sembrano più grigie del solito. Anzi, mi pare che abbia dormito abbastanza stanotte. Si vede un po’ di matita secca che ha sbavato, in parte si è sbiadita, in parte deve essersi strofinata contro il cuscino o cose del genere.
Vorrei riscuoterlo. Vederlo in questo stato mi addolora.

“Billie, che ne dici adesso di entrare in casa? Fa un freddo cane e io pensavo di passare la mattinata a correre! Se sapevo che dovevo venire a consolarti allora certo non mi mettevo in costume.”

Lo vedo annuire lentamente, con le capacità di reazione di un bradipo.
Poi prende a camminare lungo il vialetto di qualche metro che lo separa dalla soglia di casa.
Io lo seguo mentre lui riprende a parlare, la voce più roca di prima, stavolta molto più fievole di quanto ricordassi, quasi piagnucolosa.

“Mike, è colpa mia?! non lo so... Io...
Era da giorni che Joey mi chiedeva di parlare, seriamente, ma io rimandavo continuamente, perché...insomma pensavo volesse parlarmi della band. Avevano nuovi progetti? Se si, allora dovevo anticiparlo, pensare qualcosa di nuovo per un altro video, un logo, una trovata pubblicitaria. Insomma volevo trasformarlo in un progetto, magari in una tourné, anche in un singolo concerto...
Pensavo in grande, capito?
E poi...arriva e...scopro di essere un padre di merda e un produttore di merda.
Non lo so, Mike, sono confuso. Ho cercato davvero in tutti modi di aiutarlo, facilitargli la strada e...”
“Billie, non lo hai sentito? Lui non vuole sentirsi facilitato, vuole sentirsi sostenuto psicologicamente, certo, ma vuole farcela da solo. Sei ossessivo Billie. Hai passato più di un mese sul progetto del loro primo video. Lo hai assillato, indicevi una riunione con la loro band un giorno si e uno no, ti sentivi libero di dare consigli a destra e manca.
E poi lui si sente dire che la musica degli Emily’s Army è tale a quale a quella dei Green Day e tutto questo perché lui è il figlio di Billie Joe Armstrong.
Cristo, cerca di capirlo no?”

Ormai siamo arrivati in salotto e io sento il bisogno di sedermi sul divano e strofinarmi le gambe intirizzite dal freddo.
Ho rinunciato a correre. Adesso il mio migliore amico è nei casini e ha bisogno di me.
Quindi concentrati Mike. Focalizza sul punto.
Purtroppo non riesco a pensare che Joey dica solo puttanate.
Ha ragione, per lui è dieci volte più facile la vita ma cinquecento volte più difficile diventare qualcuno che non sia “il figlio di...”.

“è colpa mia. Sono un pessimo padre. Lo ha ammesso lui stesso.
I miei figli...ho la sensazione che si vergognino di me!
E perché, poi? Perché non vesto in gessato, non metto mocassini italiani, non spendo il mio patrimonio in viaggi e costosi ristoranti francesi ma me ne sto qui, in questo buco della California, con la mia famiglia?
Perché a quant’anni mi tingo i capelli, metto il gel e metto la matita nera sotto gli occhi?!
Perché sono ignorante come una capra e riuscivo ad aiutarli a fare i compiti finchè erano alla scuola primaria? Già alle superiori i miei ricordi erano sbiaditi. Adesso non ci provano nemmeno più perché io mi limito a cercare tutto su google, anche se poi magari sono incapace di spiegarglielo.
Si vergognano?! Dimmelo tu, Mike, non so cosa pensare...”

La sua voce è rabbiosa mentre stringe i pugni e non ha il coraggio di guardarmi negli occhi. Forse non vuole che io colga il luccichio in quelle due palle da biliardo verdi, semi socchiuse.
I suoi occhi sono lucidi e ogni tanto rotola sulle guancie infuocate una lacrima.
In questo momento sento nascere tutto il mio spirito protettivo.
Vorrei abbracciarlo, fargli sentire che sono lì, cullarlo, fra le mie braccia, come un bambino.
Questo mi sembra, un bambino troppo cresciuto.  Ma devo trattenermi.
Devo prendere il respiro, pensare a mia moglie, a mia figlia, ad Adrienne, a Joey e Jake e soprattutto a Billie.
è proprio in questi momenti di debolezza che vorrei rivelargli quanto mi senta male nel vederlo così rabbioso, abbattuto, stressato, sull’orlo delle lacrime. E non voglio immaginare ancora.
è un anno e mezzo che non scopiamo.
Ci dicemmo che era il caso di prendersi una pausa. Lui si sentiva in veramente in colpa e voleva dedicarsi solo e unicamente a lei, tua moglie, alla tua famiglia, soprattutto alla carriera di suo figlio.
E io avevo acconsentito con grandi sofferenze all’inizio. Ero male abituato:
mi svegliavo con lui accanto che dormiva con la bocca semi aperta, la faccia premuta contro il cuscino sporco di nero, dopo che si era dimenticato di struccarsi.

“E adesso?! Dove cazzo è andato?! Dove passerà la notte?! Che mangerà a cena?!”
“Billie, per piacere, sembri mia madre. Lo so che adesso ti preoccupi come un pazzo, sei terrorizzato all’idea che succeda qualcosa a Joey, che possa avere qualche problema, ma fidati...quando succederà lui tornerà immediatamente a casa!
Devi fidarti di lui, ok? E poi anche tu te ne sei andato di casa alla sua età!”
“Non dire stronzate Mike, io avevo diciassette anni!”

“Beh, siamo lì, no?!
Ed è inutile che ti senti in colpa e continui a ripeterti che sei un pessimo genitore e cose così!
Tu fai quel che puoi per fare il genitore e Joey fa di tutto per sfuggirti e passarla liscia qualunque cosa faccia!
Anche io ho cercato inutilmente di vietare a Estelle-Desidere di farsi tatuaggi benché io avessi fatto il mio che avevo tre anni in meno di lei!
Adesso possibile che io meriti una condanna a morte e l’eterna nomea del pessimo genitore solo perché lei se l’è fatto lo stesso?!”

Ma il suo umore non sembra migliorare. Si limita a fissare il vuoto, con occhi assenti, ogni tanto tira su con il naso e si passa il dorso della mano sugli occhi, strofinandoli fino ad arrossarli.
Io continuo imperterrito a parlare e poi, per attirare la sua attenzione, gli poso gentilmente la mano sulla spalla sinistra.

“Mi hai capito, Billie?”
“Eh? Cosa?”
“Hai bisogno di distrarti, diamine!
Andiamo...che ti va? Vuoi che chiami Tré? Facciamo una cosa di gruppo...che ne so, suoniamo, ci guardiamo un film, ci beviamo una birra, ci facciamo una canna, un giro in centro oppure una cosa più tranquilla...tipo un film. Ti va?”

Tira un lungo sospiro e scuote il capo, cupamente.

Ma continua a non guardarmi, a perdersi nei suoi pensieri, a non dedicarmi nemmeno un briciolo di attenzione.

“Cazzo, Billie, guardami! Allora?!”

Non contento, lo aggiro e mi ritrovo faccia a faccia con lui. Lo afferro per le palle e lo scrollo per un po’ mentre lui lascia fare, come una bambola di pezza.
Nel frattempo io continuo a cercare i suoi occhi verdi e ben presto finisco per urlargli addosso:

“Billie Joe, non puoi stare così male per una stronzata simile! Ma che diavolo ti prende oggi?!?!”
“Non lo so, Mike. Non avevo mai litigato così con Joey...è destabilizzante...perchè se ne andato?!
Ho qualcosa che non va?! Non sono forse suo padre...non...non mi...vuole...”

“Non dirlo nemmeno per scherzo ok?! È tuo figlio!”

Non risponde subito, ma almeno finalmente alza lo sguardo su di me e posso vedere lo sguardo cupo nei suoi occhi verdi, intenso, adesso anche rossi a furia di lacrime represse e strofinamenti vari. Io lo tengo ancora per le spalle mentre cerco di apparire convincente.

“Abbracciami, Mike.”

Una scarica elettrica. Un corto circuito.
Devo stare calmo benché mi senta sudare come un quindicenne che si masturba in bagno, nascondendosi ai genitori.
Obbedisco, all’inizio quasi meccanicamente e poi man mano comincio ad accarezzargli la nuca.

Senti i corti capelli forse un po’ secchi a causa del gel che si appiccicano alle mie mani man mano che le passo sul collo e poi sul mento.
La barba è rasata male ed è quasi divertente accarezzarlo in contro pelo.
Per un attimo mi sembra di fargli il solletico perché si illumina in un sorriso seguito da una risatina
Seguo la linea delle labbra carnose con il dito e poi con la lingua, inumidendole con la mia saliva.
Poi penetro la sua bocca e accarezzo con la lingua le sue guance dall’interno incontrando la sua, di lingua che sfugge, ripetutamente ai miei tentativi di acchiapparla. Finalmente si intrecciano e per poco lui non morde la mia con i denti sporchi di caffè.
Lui ha già fatto colazione al contrario di me, ma non si deve essere lavato i denti; puzza di fumo e di caffè, io di dentifricio.
Lo sospingo indietro, costringendolo ad indietreggiare man mano contro la terribile carta da pareti a fiori che ci fissa dal muro e non mi fermo finchè non sento le sue spalle che aderiscono alla parete.
Adesso posso continuare a palparlo, le mani sotto la maglietta, e, mentre giochiamo di lingua, ben presto arrivo ai bottoni del jeans.
Almeno in casa non indossa quella benedetta cintura che mi ci vuole un anno per sfilare.

Anche le sue mani mi carezzano il petto, anche se timidamente, e poi si infilano fino alla schiena, massaggiandomela, lentamente.
È chiaro che anche stavolta sono io a condurre il nostro gioco.
Gli sbottono i Jeans e lascio che cadano ai suoi piedi. Lo stesso accade ai boxer e libero così la sua virilità eccitata che mi scivola nella mano, già bagnata.
Inizio a massaggiarla prima lentamente e poi con gesti più rapidi che fanno aumentare il ritmo dei suoi gemiti. Inarca la schiena contro la carta da parati e si aggrappa alle mie costole per poi graffiarmi la schiena, le mani umide di sudore a contatto con il mio petto che ormai ne gronda litri.
E tra i gemiti nessuno dei due sembra sentire lo scorrere della chiave nella serratura della porta di casa.

“Papà, non pensare che sia tornato...ho solo dimenticato il cell...”

Improvvisamente ci ritroviamo davanti Joey che ci guarda, impietrito, a bocca aperta come se non credesse ai suoi occhi.
Nel salotto di casa sua ci sono suo padre, mezzo nudo, e il suo migliore amico avvinghiati l’uno all’altro. Non me ne accorgo subito, nel frattempo Billie mi sta abbassando i pantaloncini e mi distrae. Poi vedo Joey che ci guarda orripilato.
Mi tiro su i pantaloncini in fretta e mi paro davanti a Billie, per nascondere al figlio la vista.
Il mio migliore amico non sembra aver capito un bel niente, perché ridacchia pensando ad un nuovo gioco e cerca di impedirmi di tirargli su i boxer. Sono costretto a schiaffeggiargli le mani.
Quello le ritrae, con un mugolio e sembra accigliarsi.
Poi arriva il richiamo, sconvolto, quasi una preghiera di Joey:

“Papà...cosa stai...cosa state facendo?!?!”

Prega che questo sia uno strano sogno perverso, prega che tutto questo non è successo, che adesso si svegli nel bel mezzo della notte, sudato e con la sensazione di aver fatto un orrido incubo.
E invece qua siamo tutti sveglissimi, tranne Billie che riprende coscienza quando finalmente inquadra la faccia sconvolta, disgustata, amareggiata, confusa e non si sa che altro del figlio.

“Joey...tu cosa...Oddio...no, è...”
“Papà...è un incubo vero? Quando cazzo mi sveglio?”
“Ascoltami...io non...noi non...merda...”
“QUANDO CAZZO MI SVEGLIO?!?!”

Vedo il mio migliore amico coprirsi il volto con le mani, sconvolto anche lui.
Solo io mi mantengo maledettamente calmo.
Ho la sensazione che sia caduto un velo. Una sensazione di libertà che non sentivo da così tanto tempo... adesso lo sanno. Certo lo hanno saputo nel peggiore dei modi ma quel che mi fa sentire così tranquillo è che non è più un segreto, uno sporco perverso segreto fra me e Billie.

“Papà...tu e Mike...stavate scopando contro il muro?!”
“Joey, ti prego...io non volevo assolutamente...io vi amo. Amo te, tuo fratello, tua madre.
Siete la mia vita...”
“TU E MIKE STAVATE SCOPANDO CONTRO QUEL FOTTUTO MURO! VI HO VISTI! NON PUOI NEGARLO!”
“Hai ragione Joey, non c’è niente da negare.
Io e tuo padre stavamo scopando.”
“No! Cioè...Joseph...”
“NON CHIAMARMI COSI’!!!
SEI UNO STRONZO! LA MAMMA TI AMA, SI FIDA DI TE! E IO...
ANCHE IO MI FIDAVO DI TE!!!”

Non riesco a fare a meno di stringere la sua mano, per rassicurarlo, ma serve a poco.
Ha i nervi a pezzi e non riesce a trattenersi dallo scoppiare in singhiozzi, violenti.
Chiama il nome di Joey, si asciuga le lacrime che continuano a cadere, inesorabili, si sporge verso il figlio che non fa altro che indietreggiare, per mettere quanti più passi possibili fra sé e suo padre.

“Io lo dirò alla mamma. Glielo dirò. Gli racconterò ogni singolo particolare.
Deve sapere con che razza di porco ha a che fare. E deve cacciarti di casa.
Non ti voglio più vedere. Mi fai schifo!”
“Joey...in parte è colpa mia...”
“Stai zitto, Mike! Tu vattene! Fate schifo! Due quarantenni, sposati, con figli, che si fottono come conigli!”

E così mi zittisce. Mi rimette a posto in un attimo e fugge via, lasciando la porta di casa spalancata.
Billie continua a piangere e singhiozzare, in uno stato quasi isterico.
Lo costringo a sedersi, ad appoggiare la testa allo schienale del divano, mentre sento mancargli il respiro. Affanna, in modo quasi compulsivo e spaventerebbe chiunque non lo conosca così bene.
è un attacco di panico.
Adesso deve solo stare tranquillo, fermo, mantenere stretta la mia mano ed evitare di soffocare, respirando così velocemente.
Lo costringo a stare fermo, gli passo una mano sulla fronte e sento che scotta come se fosse in preda alla febbre. Ma la mia mano sembra opprimerlo quindi mi limito ad appoggiarla alla spalla, almeno per fargli sentire che ci sono.
Dopo un momento di apnea sembra tornare a respirare, faticosamente, anche se abbastanza normalmente.

“Billie, mi senti? Tutto bene.”

Non risponde. Si appoggia, annientato al divano e chiude gli occhi, abbandonandosi completamente.
Non so se lasciarlo o no. Sono preoccupato per lui e non vorrei gli tornasse il panico, ma dall’altro lato sento che a questo punto vuole stare da solo.
Abbandono lentamente la sua spalla e cerco un telefono.
Lo trovo a pochi metri, su un cassettone, alzo la cornetta e digito il numero di Adrienne, segnato sul foglio attaccato alla parete.

-Pronto? Billie?
-Ciao, Adrienne, sono Mike.
-Mike! Ciao! Billie è con te?
-Si...ha appena avuto un attacco di panico.
-COSA?!
-Calma. Adesso sta dormicchiando sul divano.
Non mi fido di lasciarlo da solo anche se non sembra avere niente.
-Non ti preoccupare, sto arrivando. Ero al supermercato e a fare servizi in centro ma adesso ho finito e dovrei essere là in un quarto d’ora.
-Va bene. Sei sicura che posso lasciarlo?
-Si, sto arrivando.
Grazie mille, Mike.
-Fallo stare tranquillo, mi raccomando.
-Va bene, ciao.
-Ciao.

 

Abbasso la cornetta e do’ un ultimo sguardo a Billie Joe.
Respira tranquillamente e sembra star dormendo, messo lì, ad occhi chiusi, la testa che scivola leggermente giù. Con un ultimo sforzo gli sollevo la testa e il busto e lo metto steso, appoggiando sul divano anche le gambe.

Dopodiché mi avvio, lanciando occhiate frequenti dietro di me, cominciando finalmente a sentire l’inquietudine per tutto quello che è accaduto.
In fondo è tutta colpa mia.
Sono stato io, per l’ennesima volta, a provocarlo, a toccarlo per primo, ad iniziare.
E lui è stato al gioco, ci sta sempre e si diverte: perché non dovrebbe?
E invece tu, stupido di un Mike, non trovi mai il coraggio di dirglielo.

Tell me when it’s time to say I love you.

Ma ormai lo sanno. Lo sa Joey.
Lo sapranno tutti e lui sarà costretto a scegliere.
E sceglierà la sua famiglia.
Questo lo sai, Mike.


Alle 5.33 non ho nessuna voglia di scrivere commenti di sorta.
Spero che vi possa piacere, è un po’ troppo drammatica per il mio solito genere, ma oggi mi sentivo ispirata...che vi devo dire, “Perfect day” di Lou Reed mi fa quest’effetto.
Poi assieme alla colonna sonora di American Idiot Brodway, questo è il risultato rovinoso.
Vi annuncio che potrebbe esserci un altro capitolo di chiarimenti.
E avevo detto che non avrei più scritto una Slash...
Oyasumi Nasai*,

Misa

*Buonanotte (Jap.)

  
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