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Autore: _camus_    04/09/2011    8 recensioni
Sembri ancora lontana ed estranea, Sorella Morte, sovrasti come stella gelida al mio destino.
[Il viandante alla morte, Hermann Hesse]

Solitudini che si intrecciano all'ombra del Grande Tempio di Atene: il "prima" e il "dopo" la battaglia delle Dodici Case raccontati attraverso quattro diversi – ma collegati – punti di vista.
Storia completamente revisionata
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo, Virgo Shaka
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sorella Morte

 

 

 

 

Sembri ancora lontana ed estranea,

sorella morte,

sovrasti come stella gelida

al mio destino

Il viandante alla morte, Hermann Hesse

 

 

 

 

 

Prologo I: quattordici anni prima (1972)

 

 

Un altro dì stava lentamente volgendo al termine, al Santuario di Atene; i raggi del sole calante illuminavano l’intera vallata, donando ai Templi e alle cose una vaga sfumatura dorata.

Maia, seduta su un muretto di mattoni, ammirava rapita tale spettacolo, gli occhi non ancora abituati a osservare tanta bellezza concentrata tutta insieme.

«Vedrai, ti piacerà!» erano state le parole di sua nonna, il giorno in cui l’aveva condotta al Grande Tempio per la prima volta «Sarà come entrare in un luogo incantato. Un luogo delle fiabe».

Ma, nonostante fosse passato solo poco tempo da allora, lei già pensava che l’universo di cui era entrata a far parte fosse migliore di una fiaba – perché, a differenza di questa, era reale.

«Maia! Maiaaaaa!»

Il richiamo sguaiato la colse di sorpresa, facendola sobbalzare; quando vide Milo comparire in cima al sentiero, sorrise di gioia.

«Maia! Finalmente ti ho trovato! Ti sto cercando da un’eternità!» esclamò il bambino biondo in tono quasi scandalizzato, una volta percorsa con velocità sorprendente la distanza che li separava.

«Da un’eternità… esagerato! Saranno neanche dieci minuti che hai finito gli allenamenti!»

«Ti dico che è vero! Oggi abbiamo terminato prima» rispose lui, indispettito dall’accondiscendenza dell’amichetta.

«Devi venire con me, subito!» riprese poi, fattosi nuovamente gaio «Alzati, dai!»

Maia sospirò, spazientita: a volte l’entusiasmo di Milo era davvero duro da sopportare.

«Non posso: mia nonna mi ha detto di attenderla qui. E poi, dov’è che vuoi andare? E a fare cosa?»

«All’Arena: Aiolia ci sta aspettando là. Spicciati, è una sorpresa!»

Giusto, Aiolia. Come aveva fatto a dimenticarsi di lui? Qualunque cosa riguardasse l’uno, in qualche modo includeva anche l’altro.

Alla fine, vinta dalla curiosità, la bambina cedette alle insistenze dell’amico e si lasciò letteralmente trascinare da questo lungo tutta la strada che portava all’Arena dei Tornei.

«M-milo, non correre così!» ansimò a metà tragitto, incapace di competere con la resistenza innata del futuro cavaliere di nonsiricordavacosa «Non riesco a starti dietro!»

Richiesta che, ovviamente, fu del tutto ignorata.

«Cosa diamine sarà mai questa sorpresa che pare eccitarlo tanto?» si chiese Maia, arrancando per la salita «Speriamo che ne valga la pena, almeno…»

«Milo! Perché ci hai messo tanto?! Il tuo amico qui non ne vuol sapere di spiccicare parola, e io mi sto annoiando!»

La voce irritata di Aiolia si levò da un piccolo spiazzo erboso adiacente la loro meta; il ragazzino stava seduto sul prato, accanto a un bambino che Maia non aveva mai visto.

Al loro arrivo lo sconosciuto non alzò nemmeno gli occhi, limitandosi a raddrizzare la schiena – già dritta in modo inverosimile – e a scostarsi un sottile ciuffo di capelli rossi dal viso, senza degnarli di uno sguardo. Come se non esistessero.

«Che maleducato».

«É perché non parla bene la nostra lingua, stupido!» abbaiò Milo ad Aiolia il quale, in risposta, gli spedì una sonora linguaccia.

«Maia,» riprese quindi il biondo «ti presento Didier. È arrivato da poche ore dalla Francia, ed è il predestinato all’armatura dell’Acquario. Adesso siamo al completo!» esclamò felice, facendo una piroetta.

Una gioia che nessuno dei suoi due compagni sembrò condividere, men che meno Maia; a essere sincera, era anzi piuttosto delusa.

Si era aspettata un’incursione nei Templi sacri a cui solo i cavalieri già ordinati avevano accesso, oppure un duello fra i santi dorati più grandi; un qualcosa di divertente, insomma.

Invece si trattava solo di una nuova recluta, forse meno interessante di tutte quelle che i suoi amici gli avevano fatto conoscere nel corso delle precedenti settimane, e per giunta antipatica: quando Milo li aveva presentati, lui aveva continuato ostinatamente a fissare l’erba, in silenzio.

E poi, che razza di nome era Didier?!

«Ma che razza di nome è Didier?» esordì quindi, dando voce al proprio pensiero «Sembra il nome di un gatto da compagnia».

«Si dice “Didiér”, non “Didièr”».

La frase, pronunciata con buffo accento in un greco stentato, lasciò tutti quanti a bocca aperta: finalmente l’oggetto di tanta attenzione aveva parlato.

«Ah, ma questo cambia tutto!» sbuffò stizzito Aiolia, più a se stesso che al resto del gruppo.

«Non mi interessa come si pronuncia il tuo nome. Sempre un gran maleducato rimani» decretò Maia, le braccia incrociate a sottolineare l’affermazione «Ti pare questo il modo di comportarsi? Non mi hai nemmeno salutata!»

Sentendosi rivolgere quelle parole dure, Didier sollevò la testa e lanciò a Maia un’occhiata penetrante, che la trapassò da parte a parte.

Incredibile come degli occhi di quel colore – «dorato. Mai visti, occhi del genere» – così caldo risultassero invece tanto freddi. Per non parlare dei capelli: ora che li guardava meglio, la loro particolare sfumatura fiammeggiante le appariva meravigliosa.

Poteva il loro possessore, al contrario, essere talmente gelido?

«Je suis désolé, j’ai été impoli» disse allora lui, sorridendo appena «Donc, tu t'appelles comment?»

L’evidente presa in giro infastidì la bambina fino all’inverosimile, soprattutto perché non aveva capito un accidente di ciò che le era stato chiesto.

Milo, che fino a quel momento era rimasto incredibilmente silenzioso, si sporse per sussurrarle all’orecchio: «Credo che ti abbia domandato come ti chiami».  

«Mi chiamo Maia. Comunque, casomai non te ne fossi accorto, siamo in Grecia. E in Grecia si parla greco, non francese!»

«Maia? Trés joli» commentò Didier, lasciando cadere la provocazione; poi, sempre con lo stesso irritante sorrisetto sulle labbra, si alzò in piedi e iniziò ad allontanarsi.

«Sai cosa sei, tu? Sei la persona più cafona, antipatica e arrogante che abbia mai avuto il dispiacere di incontrare! Dove stai andando? Torna subito qui!» gli urlò dietro Maia, paonazza in viso per la rabbia «Non te la caverai così facilmente! Un giorno te la farò pagare!»

«Alors, j'attendrai ce jour là avec trépidation!» gridò egli di rimando senza voltarsi, mentre il vento gli scompigliava i corti capelli rossi che sembravano confondersi con gli ultimi riflessi del sole ormai giunto al tramonto.

 


 

Note dell'autore 

Salve a tutti! Per chi già seguiva Sorella Morte: il presente prologo è rimasto pressoché inalterato – salvo, come specificato appena sotto, il nome di Camus. Per coloro i quali, invece, si approcciano a questa storia per la prima volta (benvenuti, a proposito!): gli avvenimenti qui narrati sono ambientati in un ipotetico"pre-reclutamento" dei futuri cavalieri d'oro.

Esso dura circa 6 mesi e ha lo scopo di fornire loro i primi rudimenti, in attesa che raggiungano il definitivo luogo di addestramento. Al momento dei fatti Milo, Aiolia, Maia e Camus/Didier hanno più o meno 7 anni.

Come avrete certamente intuito, ho deciso di battezzare Camus col nome"Didier" – che, in francese, letteralmente significa "Senza astri"; di converso, può essere anche letto come"Protetto, favorito dalle stelle" –; nei capitoli successivi verranno spiegati tutti i dettagli inerenti questo aspetto.

- "Je suis desolé. J'ai été impoli. Donc, tu t'appelles comment?" : "Mi dispiace, sono stato maleducato. Dunque, com'è che ti chiami?". La formula "Tu t'appelles comment?" è più informale rispetto allo scolastico "Comment t'appelles tu?";

- "Maia? Trés joli" : "Maia? Molto carino";

- “Alors, j'attendrai ce jour là avec trépidation!" : "Allora attenderò quel giorno con impazienza!

 

 

 

***

 

 

 

Avvertenze: il prologo sottostante, in termini temporali, si colloca a metà strada fra il precedente e il primo capitolo; è dunque ambientato 7 anni prima degli eventi che poi sfoceranno nella battaglia delle Dodici Case. Devo avvisarvi che sull’età dei singoli personaggi, sugli anni di inizio e fine dell'addestramento e sui meccanismi che presiedono l'assegnazione delle armature mi sono presa qualche licenza poetica utile a rendere la trama più lineare e verosimile possibile: del resto, ritengo che la confusione tuttora esistente in materia legittimi l'adozione di simili accorgimenti.

A tal proposito, segnalo altresì che, nello scrivere, mi rifarò solamente alla serie classica – perlopiù all'anime, ma con qualche elemento del manga –, non prendendo dunque in considerazione gli eventuali spin-off, missing moments et similia che negli anni sono stati pubblicati dagli autori della serie.

Orbene, a voi. Per ulteriori chiarimenti, ci vediamo dabbasso! 

 

 

 

Prologo II: sette anni prima (1979)

 

 

«Questo sarà un anno fantastico!» decretò Milo, infilzando quel che rimaneva della sua patata al vapore «Ma ci pensate? Fra qualche mese verremo ordinati cavalieri. Cavalieri di Atena!»

«Sì, splendido. Davvero splendido» commentò Aiolia con una smorfia, mentre si toglieva dalla guancia lo schizzo di salsa che il troppo entusiasmo del suo amico aveva spedito sin lì «Spero solo che, da qui all’otto di novembre, ti darai una calmata. Non credo che sopravvivrei, altrimenti».

Maia sorrise del suo finto sarcasmo: nonostante facesse di tutto per dissimularlo, anche Aiolia era emozionato all’idea di ricevere la tanto agognata armatura. Glielo si leggeva nel portamento, nel modo tutto nuovo che aveva di camminare a testa alta, come se già si preparasse a calpestare quei marmi in veste di Aiolia di Leo; a differenza di Milo, tuttavia, la cosa, oltre a eccitarlo, lo spaventava a morte – e il perché era facilmente intuibile per chi, come Maia, lo conosceva da sempre.

La ragazzina si mise a fissare i due, troppo occupati a tirarsi addosso briciole di pita per badare ad altro.

Nei rari momenti come quello parevano proprio dei tredicenni, in tutto e per tutto uguali ai compagni che lei frequentava sui banchi di scuola, fuori di ; ma bastava abbassare appena lo sguardo sui loro bicipiti troppo sviluppati per spezzare l’illusione di avere dinanzi due normali adolescenti.

Da quando era stata introdotta in quel mondo, aveva notato che la maggior parte dei cavalieri a servizio di Atena, oltre a non essere greci di nascita, spendevano la propria attività in luoghi molto distanti da Atene, tornandovi solo saltuariamente.

Questo riguardava soprattutto i Bronze e i Silver saints, ma anche il grosso della schiera dei futuri custodi dorati aveva svolto l’addestramento in altri Paesi; persino i Gold saints attualmente già in carica erano stati tutti iniziati nella loro terra natia, che avevano lasciato solo per il periodo di preparazione previsto prima dell’inizio della formazione vera e propria.

Milo e Aiolia, nati entrambi in Grecia – a Milos il primo, a Rodorio il secondo –, erano invece stati assegnati a maestri operanti dentro il Santuario, dove quindi avevano sempre vissuto. Per anni li aveva guardati correre nella polvere, abbattere pareti di roccia, sputare sangue ed esplodere in uno sfolgorio di stelle; era su di loro che, sotto la guida di sua nonna Franda e del dottor Savasta, aveva applicato le prime fasciature, nell’attesa di diventare medico e poter, un giorno, essergli maggiormente d’aiuto. Li aveva imboccati quando erano troppo malconci per fare qualsiasi movimento e spesso, alla sera, gli si era seduta accanto ad ascoltare le lezioni degli anziani che parlavano di Kósmos, guerre mitologiche antiche come il mondo e galassie distanti anni luce dalla Terra.

Li aveva, insomma, affiancati in quel percorso straordinario, senza mai riuscire a capire davvero come fosse possibile essere bambini e, al contempo, allenarsi tutti i giorni per imparare ad uccidere.

Dal canto loro, i due l’avevano sempre considerata come una sorellina un po’ avventata da proteggere e, se qualche volta gli era capitato di trattarla con sufficienza, per il resto del tempo avevano – fin dove possibile – tentato di includerla nella loro vita, meravigliandosi che appena fuori i confini di Rodorio si potesse condurre un’esistenza tanto diversa da quella di Santo; uno stupore che era andato stemperandosi coll’avanzare dell’età, ma la cui ombra gli si riaffacciava negli occhi ogni volta che riuscivano a trascorrere qualche misera ora lontani dal Tempio.

Le faceva quasi impressione pensarli ammantati d’oro, belli e letali come gli eroi dei canti epici; per loro l’investitura avrebbe rappresentato il definitivo passaggio dalla giovinezza alla maturità, e Maia temeva che, in seguito a essa, nulla sarebbe stato più come prima.

Eccezion fatta per Shaka di Virgo – la cui peculiarità era stata evidente sin dal primo istante –, gli altri cavalieri d’oro presenti al Santuario le incutevano una soggezione assolutamente incompatibile col rapporto intercorrente fra lei e i futuri Leo e Scorpio.

Non avrebbe sopportato di scorgere in Milo la stessa gravità che leggeva nello sguardo di Shura di Capricorn, così come non poteva pensare che Aiolia, una volta ottenuta l’armatura, prendesse le stesse bieche abitudini di Death Mask di Cancer, al cospetto del quale non c’era sottoposto che non chinasse intimorito la testa; lo stesso Aphrodite, nonostante accostasse alla sua sfolgorante beltà dei modi altrettanto garbati, le trasmetteva una sgradevole sensazione di artifizio che non avrebbe affatto voluto riconoscere nei propri amici.

Piuttosto, sarebbe stata ben felice di ritrovare in loro il calore e la grazia che, da piccola, aveva scorto nel fratello maggiore di Aiolia; benché fossero passati tanti anni, ricordava perfettamente il senso di pace e sicurezza che emanava la figura di Aiolos di Sagitter. A differenza del suo compagno Saga – splendido come una lontanissima stella incastonata nel blu siderale –, Aiolos sapeva di sole: aveva sempre una parola e un gesto affettuosi per tutti, grandi o piccoli, saint o non saint.

Dopo quanto accaduto, tuttavia, forse non era un bene augurarsi che Milo ed Aiolia assomigliassero a un soggetto accusato di tradimento… anzi, riflettendoci meglio, era decisamente una pessima idea.

«A che stai pensando, Maia? Ti vedo assente».

Al repentino richiamo di Aiolia, Maia trasalì colpevolmente, quasi che il ragazzino avesse indovinato la natura delle sue cogitazioni e gliene stesse chiedendo conto; per fortuna non ebbe il tempo materiale di rispondere, giacché un lembo di conversazione altrui catturò inesorabilmente l’attenzione di tutti e tre.

«Ancora non capisco il motivo per cui mangiare in questo tugurio ti piaccia tanto. È sporco, sovraffollato, maleodorante di cibo e sentori umani… fa passare la fame».

«Primo: perché il vitto della mensa è molto più buono e abbondante dei tuoi fottuti toast al salmone affumicato – quelli sì che puzzano, tra parentesi. Secondo: perché salire dall’Arena fino alla Dodicesima è sempre una scocciatura, figurarsi poi a stomaco vuoto. E, da qui in avanti, lo sarà ancora di più, vista l’imminente invasione dei marmocchi dorati; il tuo vicino di Tempio è arrivato proprio stamani, no?»

Se le schermaglie sulla qualità della mensa del Santuario fra il cavaliere dei Pesci e quello del Cancro erano all’ordine del giorno, l’ultima frase pronunciata da Death Mask rappresentava invece un’assoluta novità.

«Ehi, Death!» berciò Milo, chiamando a gran voce il proprio futuro camerata «Ho sentito bene? Stamani è arrivato il pretendente all’armatura dell’Acquario?!»

Il maggiore, interdetto dall’uso di quell’appellativo un po’ troppo familiare, tornò rapidamente sui propri passi, per poi piazzarsi a due centimetri dal naso del più giovane.

«Stammi a sentire, Milo quasidiScorpio:» scandì, fissando il suo interlocutore dritto negli occhi «per te, al momento, sono Death Mask. Non “Death”. Assolutamente, non “Death”. Intesi?»

«Guarda che non mi fai paura» rispose l’altro, sostenendo il suo sguardo rosso – lo stesso che le vecchie di Rodorio sussurravano fosse dovuto alla cattiveria, più che all’albinismo. «Non sono più un bambino, ma un tuo pari».

Di fronte alla sfrontatezza di Milo, Cancer non poté che scoppiare a ridere.

«Non ancora, piccolo aracnide. Non ancora. E non lo sarai nemmeno con l’armatura indosso, fidati di me: ne hai, di sangue da sputare» ghignò, le braccia incrociate dietro la testa.

«Comunque, riguardo la tua domanda: sì, Rosso Malpelo è arrivato questa mattina. Ma non mi chiedere dove sia andato a nascondersi: non lo so, e neppure mi interessa» concluse, allontanandosi nuovamente indirezione di Aphrodite.

«Quello è pazzo, lo sostengo da sempre. Eravamo rimasti ad Aquarius; chi sarebbe questo Rosso Malpelo?» domandò Aiolia contrito, una volta che Death Mask fu uscito dal suo campo visivo. Non si aspettava veramente che qualcuno rispondesse, per cui Maia lo colse di sorpresa: «È un personaggio di una novella italiana. Death Mask è siciliano come l’autore; anche se non ce lo vedo con un libro in mano, magari ha avuto occasione di leggerla durante gli anni di addestramento».

«Eh? E tu che ne sai, di letteratura italiana?»

«I parenti di mio padre vengono dalla Sicilia, non ti ricordi? Ci sono anche sta-»

«Oh, insomma!» sbottò Milo, al quale la piega che stava prendendo la conversazione non interessava affatto «Sappiamo bene quanto tu sia secchiona, Maia, non c’è bisogno che lo sottolinei. Piuttost-»

«Non sono una secchiona! Sei tu che non tocchi mai libro, neppure quando dovresti!»

«Piuttosto,» continuò quello, ignorando platealmente le – fondate – proteste dell’amica «non è pazzesco? Didier è qui! È tornato al Santuario!»

Aiolia lo guardò dubbioso, non capendo l’origine di tanta allegria.

«A dire il vero, non ci trovo nulla di pazzesco. Siamo a metà gennaio, e stiamo per entrare nel segno dell’Acquario. È più che logico che il suo cavaliere si stia preparando a ricevere l’investitura».

Così come Leo pareva non comprendere la reazione del compagno, allo stesso modo questi appariva del tutto ignaro del motivo per cui entrambi i suoi commensali stessero mostrando così poco entusiasmo.

«M-ma lui non è uno qualsiasi! Lui è Didier

«E allora?» intervenne Maia, sprezzante «Didier non è forse quel damerino con l’accento francese e la puzza sotto il naso che non parlava quasi mai? Tuttora non mi spiego il perché tu ci fossi tanto attaccato, Milo. Io lo vedevo di rado, ma ricordo bene che, quando accadeva, la sola cosa che mi veniva voglia di fare era prenderlo a schiaffi».

Rammentava alla perfezione quel ragazzino dai capelli di un rosso impossibile e l’espressione eternamente corrucciata, che l’aveva presa in giro non appena si erano conosciuti. In realtà, dopo quell’episodio, l’apparente atteggiamento scanzonato di Didier – se mai era esistito – sembrava si fosse del tutto volatilizzato; nei mesi successivi ben raramente l’aveva sorpreso a ridere, e men che meno a fare battute.

Sì, dopo gli allenamenti partecipava sovente ai giochi dei suoi compagni, ma ne rimaneva sempre un po’ in disparte, come se non riuscisse mai a farsi coinvolgere davvero; pareva interagire volentieri soltanto con Milo, e qualche volta neppure con lui, giacché spesso gli preferiva il silenzio della biblioteca del Santuario – piena di libri che all’epoca non era neanche in grado di leggere bene.

Maia non sapeva dire il perché, ma nello sguardo serio di Didier ci aveva sempre letto un qualcosa di così simile al disprezzo da renderglielo irrimediabilmente antipatico.

«E adesso, dopo tanti anni in mezzo ai ghiacci della Siberia e la promessa di un’armatura d’oro alle porte, la cosa non potrà che essersi acuita».

«Nah… all’inizio la pensavo come te, ma poi mi sono dovuto ricredere: a conoscerlo meglio, quel tipetto con le lentiggini non era poi tanto male» ammise Aiolia, passandosi una mano fra i ricci spettinati.

«Tuttavia,» continuò poi, rivolto a Milo «questo non giustifica tutta la tua esaltazione. Io sarò molto più contento di rivedere Paulo e Ariun… anche se presumo che non potrò più chiamarli così».

In quel momento la Meridiana dello Zodiaco, il cui rintocco si poteva udire distintamente all’interno di ogni parte del Santuario, batté le due del pomeriggio.

«Accidenti, sono già le due!» esclamò Maia, abbandonando di colpo il dolcetto che stava sbocconcellando da più di mezz’ora «Scusatemi, ma ho un sacco di cose da fare prima di rientrare a Rodorio. Devo prepararmi per una ricerca da esporre a scuola, e-»

Milo la interruppe con un gesto annoiato della mano: «Torno a ripetere quello che ho detto prima: sappiamo che sei una secchiona. Vai pure, tanto anche noi abbiamo da fare. L’aver concluso l’addestramento non significa che non dobbiamo continuare ad allenarci».

«E la cosa mi sta benissimo!» esclamò Aiolia, saltando su dalla panca in modo fulmineo «Avanti, Scorpio, muovi le chiappe: ti sfido ad arrivare all’Arena prima del sottoscritto! Ci vediamo, Maia!»

«Ehi, ma così non vale!» protestò l’altro, mentre guardava il compagno guadagnare l’uscita della mensa in un battibaleno.

«Ti saluto, Maia: c’è qualcuno a cui devo far mangiare la polvere!»

Maia non fece in tempo a replicare, che già quello era sparito al di là dell’androne; probabilmente adesso si stava scapicollando su per i gradini a una velocità impensabile per qualsiasi altro essere umano “normale”.

Rimasta sola, a lei non restò che ripulire il proprio vassoio – nonché quelli di Milo e Aiolia – e avviarsi nella zona antistante la scalinata delle Dodici Case, ove sorgeva l’antica e immensa biblioteca del Grande Tempio.

Benché Maia amasse incondizionatamente qualunque luogo contenente un agglomerato di libri più o meno ampio, la biblioteca del Santuario esercitava su di lei un’attrattiva impareggiabile: edificata quasi contestualmente alla realizzazione di quest’ultimo, in origine era servita soprattutto come spazio di raccolta e consultazione dei testi sacri relativi al culto di Atena; in seguito, essa era stata arricchita di opere di stampo naturalistico, filosofico ed epico.

Si vociferava persino che Omero, servitore del Grande Tempio, avesse lavorato proprio lì alla stesura dell’Odissea, ispirandosi alle gesta di un cavaliere legato alla Dea. Si trattava soltanto di leggende, certo, ma pensare che avessero un seppur minimo fondo di verità a lei faceva quasi girare la testa.

Attualmente l’imponente edificio ospitava diverse aree, adibite a differenti scopi: mentre all’ala più antica potevano accedere solo il Gran Sacerdote e i suoi stretti collaboratori, la maggior parte delle restanti sale era invece aperta a chiunque avesse necessità di consultare il materiale ivi custodito, essendo persino presenti delle apposite zone adibite a studio e lettura.

Fu proprio in direzione di una di esse che Maia si incamminò, immergendosi nel quieto silenzio degli scaffali colmi di libri e nell’odore di polvere e carta stampata che le piaceva respirare apieni polmoni.

Giacché l’anziano bibliotecario Xanthippe era momentaneamente assente, procedette da sola alla ricerca del manuale di storia greca che le serviva; non era la prima volta che le capitava, per cui possedeva una certa dimestichezza nell’individuare ciò di cui aveva bisogno. Anzi, pensava che, se non le fosse riuscito di diventare medico, avrebbe accettato volentieri un impiego come addetta in biblioteca… e, perché no, magari proprio lì, in quella del Santuario.

Stava girovagando fra i ripiani col naso per aria, quando si accorse di non essere sola; in fondo al corridoio del settore in cui si trovava c’era qualcuno seduto a terra, che pareva immerso nella lettura di un grosso tomo.

Essendo la zona leggermente in penombra, non riusciva a capire bene di chi si trattasse; neppure l’abbigliamento era troppo indicativo, poiché consisteva nella classica tenuta da viaggio in uso fra gli accoliti del Grande Tempio.

Non appena mosse un passo nella sua direzione, il tizio alzò lo sguardo dal libro, per poi fissarlo repentinamente su di lei.

Il colore dei suoi occhi – «dorato. Mai visti, occhi del genere. Eccetto una volta» – fu la prima cosa che Maia notò, rimanendone come folgorata: gli anni e la fatica non ne avevano alterato minimamente i toni, che erano rimasti intessuti d’oro esattamente come allora.

«Ero sicura che li avrei trovati ancora più freddi. E invece… »

«Didier… ?»

«Non mi chiamo più così da molto tempo» disse lui, mentre si faceva scivolare il cappuccio dalla testa e i capelli, divenuti lunghissimi, gli ricadevano sulle spalle «Adesso sono Camus».

 


 

 

Note dell'autore

Con la storia ferma da anni, c'era davvero bisogno di aggiungere un ulteriore prologo?

Bella domanda. Per chi approdasse su Sorella Morte solo adesso: dovete sapere che da tempo immemore avevo il fermo proposito di sottoporre la stessa a pesante revisione. I primi capitoli specialmente, oltre a essere scritti in maniera imbarazzante, erano impostati in un modo assolutamente inconciliabile col tono che ha progressivamente assunto la trama; in sostanza, la prima parte della storia risultava completamente a-contestuale rispetto al suo prosieguo.

Così, ho deciso di rimetterci le mani, collocando eventi e personaggi in una dimensione più seria, dettagliata e strutturata. Più consona, insomma, al mio modo di scrivere – non certo “leggero”, come ben sa chi mi seguiva più assiduamente.

Per ciò che concerne il prologo sovrastante, lo stesso ha la funzione di presentare un po' il rapporto intercorrente fra Maia, Milo ed Aiolia, nonché quella di introdurre il lettore alla mia personale concezione del "sistema Santuario". Andando per punti:

- come anticipato nelle Avvertenze, le età sono abbastanza arbitrarie. Nel mio immaginario, infatti:

a) Milo, Aiolia, Camus, Aldebaran, Shaka, Mu (e Maia) al momento della battaglia delle Dodici Case hanno circa 21 anni; dunque, nel prologo in questione, Milo, Aiolia, Maia e Camus hanno 13 anni – età in cui ho immaginato abbia luogo l'investitura a Gold saint (che, sempre nel mio immaginario, avviene nel giorno del compleanno del singolo soggetto). Shaka, in quanto supposto "Illuminato", fa eccezione, giacché ho ipotizzato sia diventato cavaliere due anni prima dei suoi coetanei;

b) Death Mask ed Aphoridite sono più grandi e qui hanno 17 anni;

c) Shura e Saga sono ancora maggiori, come verrà specificato meglio più avanti.

- Arbitraria è, altresì, la scelta di far addestrare Milo all'interno del Santuario, e non a Milos: me ne dispiaccio un po', ma un tale cambio risultava fondamentale alle esigenze di copione.

- Come forse avrete intuito, "Paulo" e "Ariun" altri non sono che Aldebaran e Mu; tranquilli, la faccenda dei nomi verrà spiegata nel capitolo I!

- So che la Meridiana dello Zodiaco ha ben altra funzione, rispetto a quella di segnare l'ora; diciamo che, in questo contesto, le ho assegnato anche dei compiti un po' più laici.   

 

 

 

   
 
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