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Autore: Shira    04/09/2011    3 recensioni
Una notte di pioggia una ragazza trova ospitalità in una casa abitata da una numerosa famiglia ricchissima, viziatissima e tremendamente snob. Lei è cresciuta in un orfanotrofio, sa cosa sia la povertà e detesta le persone che si credono superiori agli altri solo perchè hanno un conto con più di venti zeri.
E se proprio in questa famiglia trovasse la persona pronta a sconvolgerle e cambiarle la vita?
A volte basta guardare oltre le apparenze per trasformare l'odio in amore.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Shoujo-ai, Slash, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il buio avvolgeva ogni cosa, inglobava i suoni, i colori, ovattava persino le emozioni, e la pioggia scorreva senza sosta, avvelenando gli animi, lavando via la speranza...e inzuppando una povera ragazza che non aveva nemmeno i soldi per pagarsi un ombrellino. Certo, avrebbe potuto aggredire qualcuno e impadronirsene, c'era solo un piccolo problema. Non c'era nessuno. Ma proprio nessuno. Sembrava che l'intera popolazione di quella misera città spersa nel nulla avesse cospirato per impedirle di rubare un ombrello. A dire il vero, dovette ammettere a se stessa che se anche qualcuno munito di ombrello le fosse passato a dieci centimetri non l'avrebbe visto, il buio la avvolgeva come una dura coperta, offuscandole tutti i sensi. Maledetto il suo stupido meccanico che si credeva un genio e non era neanche capace di riparare una moto di modo che non si disintegrasse dopo nemmeno due ore! Ma dove aveva la testa, quell'essere? Non lo sapeva, ma una fitta che le aveva provocato molta irritazione e anche un po' di dolore le diede un'inequivocabile risposta circa dove si trovasse la sua, di testa. Aveva appena sbattuto contro un palo della luce. Spento. Ovviamente. La giovane sentì il sangue ribollire nelle vene e lanciandosi in una serie di spergiuri che avrebbero fatto arrossire di imbarazzo persino un camionista cominciò a prendere a calci il povero lampione indifeso, urlando sempre più forte. Pochi secondi dopo due cose colpirono la sua attenzione. Primo: dopo un calcio particolarmente forte il palo si era sradicato e le era caduto addosso. E questo più che colpire la sua attenzione aveva colpito la sua testa. Di nuovo. Secondo: un rettangolo di luce aveva appena illuminato quelle scure tenebre. La ragazza osservò in direzione di quell'improvvisa fonte luminosa, una porta era stata aperta, e un uomo ora la stava osservando. Un uomo alto, distinto, con folti baffoni bianchi e capelli anch'essi sbiaditi dal tempo, indossava uno smoking e nel complesso aveva l'aria di un domestico.

“Signorina, potrebbe cercare di fare meno confusione? I miei padroni stanno dormendo”.

Per l'appunto, un domestico. La ragazza strinse i denti cercando di non ringhiare e non perdere la pazienza, ma fu più forte di lei

“Non me ne frega un cazzo dei tuoi padroni!”

urla con quanta voce ha in corpo, piena di rabbia per quei tipi con una villa immensa -grazie alla debole luce della porta riusciva a distinguerne la sagoma- e quel maggiordomo così distinto. Lei non aveva neanche i soldi per un ombrello e quella gentaglia snob aveva una villa e un maggiordomo!

Improvvisamente una seconda figura si aggiunse al variopinto -si fa per dire, era buio- quadretto.

Un uomo alto circa quanto il domestico, con un vestito elegante e di taglio fine, due baffi marroni ben curati, dei capelli freschi di parrucchiere e un bastone da passeggio che teneva con insolita fermezza. La giovane ebbe la certezza che prima o poi si sarebbe abbattuto sul suo capo. Non si poteva dire che avesse torto, in breve il nuovo arrivato la raggiunse e la colpì proprio con quel bastone, dalla parte del pomo. La poveretta si massaggio la parte lesa della testa, osservando quell'uomo, senza riuscire a insultarlo dopo quel colpo così doloroso. Era un signore che incuteva timore e rispetto anche dopo una sola occhiata. I suoi occhi marroni la scrutavano come se volessero leggere fin dentro la sua anima.

“Come ti chiami?”

Di nuovo la giovane non riuscì a formulare una risposta sdegnosa, ma dovette abbassarsi a rispondere.

“Belle Davis”

L'uomo continuò a scrutarla, osservando i suoi vestiti logori.

“Ce l'hai una casa dove andare”

“No”

A meno che una rientranza sotto un ponte non potesse essere definita casa.

Gli occhi dell'uomo continuavano a leggerle dentro, e il bastone si abbatte nuovamente sul suo capo, questa volta con meno forza.

“Non puoi stare qui fuori con questo tempaccio. Vieni dentro, e domani decideremo cosa farne di te”

Belle si chiese per quale motivo dovesse essere lui a decidere, neanche stesse parlando di una bambola vecchia che si poteva vendere per due soldi o portare alla discarica. Ma ancora una volta si sentì quasi in obbligo di non contraddirlo, e senza una parola lo seguì fin dentro la casa e lasciò che il maggiordomo chiudesse la porta dietro di lei.

“Ives, illustrale la situazione domestica e mostrale la sua camera, io vado a dormire”

Senza neanche degnare di uno sguardo l'ospite, l'uomo salì le scale diretto verso il piano superiore, lasciando Belle in balia di Ives, il maggiordomo. Non prima di averle indicato con un vago cenno della mano un divano, su cui lei prontamente si sedette, quasi temendo di essere sgridata se non eseguiva l'ordine alla svelta. O di essere nuovamente bastonata. Non riusciva a capire perchè quell'uomo incutesse così timore e rispetto, ma non poteva farci niente, si sentiva tremendamente piccola e indifesa di fronte a lui.

Ives le sorrise, come se le avesse letto nell'anima.

“Ha fame, signorina?”

La ragazza preferì non dire nulla, ma proprio in quel momento il suo stomaco iniziò a brontolare, rispondendo al suo posto. Con imbarazzo mosse i corti capelli biondi, sistemando alcune ciocche ribelli dietro i capelli, mentre il maggiordomo spariva in cucina per poi tornare con pane tostato, marmellata e quelli che sembravano gli avanzi di una cena sontuosa. Rapidamente sistemò tutto sul tavolo di fronte a Belle, mentre iniziava a spiegare la composizione della famiglia.

“L'uomo che l'ha accolta è John Claverton. Sua moglie è Elizabeth Claverton. La famiglia è poi composta dalla figlia più grande, Stefany Claverton, quindi da Vera Claverton, la secondogenita, e da Robin Claverton, la figlia più piccola...che dovrebbe avere la sua età, almeno ad occhio...lei quanti anni ha, se mi permette la domanda?”

Belle spalancò gli occhi, sbigottita. Una famiglia numerosa! Lei era orfana, cresciuta in un orfanotrofio che odiava da cui era scappata appena compiuti sedici anni. Mossa azzardata, considerando che da quel momento era stata costretta a vivere compiendo dei vari furtarelli. Non sapeva neanche cosa significasse avere dei genitori, figuriamoci trovarsi in mezzo a tutta quella gente!

“Diciotto”

rispose quindi, osservandolo sorridere.

“Allora ho ragione, avete la stessa età. Invece la signorina Vera ha vent'anni, mentre la signorina Stefany ne ha venticinque. Ma ora torniamo alla composizione della famiglia...”

Belle continuò a fissarlo...ma perchè, non era ancora finita, la famiglia?

“Il piccolo di casa è il signorino Icàr Claverton, ultimo figlio dei signori Claverton”

Accipicchia, i suoi due anfitrioni avevano quattro figli? Si erano dati da fare!

“Il piccolo Icàr ha sei anni”

Sì, ma a lei che cosa poteva importare dell'età di tutti i componenti?

“Per concludere, c'è la servitù. Composta da me, dalla cuoca Adeline e dalla cameriera Constance”

Ah, pure!

“Vi è infine il medico di famiglia, il signor Arthur Gordon, ma ovviamente lui non abita qui”

E per fortuna! Iniziava a sembrarle un hotel più che un casa! Ma una domanda incessante le martellava in testa...a che pro darle tutte quelle informazioni se con ogni probabilità il giorno dopo se ne sarebbe andata per non rivederli mai più? Preferì non chiederlo, temendo di essere scortese, inoltre aveva la bocca piena degli avanzi della cena.

“La signorina Robin Claverton era fuori con il fidanzato e non è ancora tornata. Vuole aspettarla o preferisce che le mostri la camera?”

Nuovamente Belle si stupì. Per quale razza di motivo avrebbe dovuto desiderare di aspettare una sconosciuta? Per dirle cosa, poi? “Salve, mi chiamo Belle, tuo padre mi ha accolto in casa dopo avermi bastonato. Ah, e ho la tua età. E probabilmente tu prendi in una settimana di paghetta quello che io non metterò insieme in tutta la vita, comunque è un vero piacere conoscere una principessina snob. Se magari crepi fammelo sapere, potrei voler ballare sulla tua tomba”.
Ok, forse era troppo cattiva, considerando che neanche la conosceva. Magari era simpatica e per niente snob. I suoi occhi vagarono per la stanza nella quale si trovava, un salotto arredato con mobili costosi -si vedeva anche senza bisogno di chiedere il prezzo- e con tappeti che sicuramente non erano stati comprati al mercato, impreziosito da soprammobili in oro e cristalli svaroski..ah, e come dimenticare il lampadario in oro con gocce di diamante che scendevano come una morbida cascata? No, se era cresciuta in quella casa era sicuramente una snob. Punto. Tuttavia nuovamente intuì che esternare il suo pensiero sarebbe stato scortese.

“La aspetterò con piacere”

rispose quindi con un falso sorriso. Il maggiordomo sorrise a sua volta.

“Bene, io vado a ripulire le brocche d'argento, se ha bisogno basta che chiami”

La giovane annuì, sospirando appena quando l'uomo sparì dalla sua vista. Bene, adesso non le restava che attendere l'arrivo di una principessina snob...e magari anche fingersi contenta di conoscerla. Ma in fondo si era fatta ospitare, si era riparata dalla pioggia, aveva mangiato fino a scoppiare e avrebbe dormito in un vero letto morbido invece che su un rigido materasso bucato in più punti. Il minimo per ringraziare i padroni di casa per la loro ospitalità era cercare di mostrarsi gentile.

 

 

  
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