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Autore: Dantalion    05/09/2011    0 recensioni
Breve storia ispirata alla canzone ''These Walls'' dei Dream Theater.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Entrò nella stanza quasi di soppiatto, spingendo appena la porta cigolante.
Tutto era diverso dall'ultima volta che l'aveva vista, eppure dannatamente familiare:
il letto era sfatto, le lenzuola color senape rivoltate all'aria, macchiate di uno scarlatto scuro e dall'odore stranamente inebriante; la scrivania era su un'altra parete, i cd ancora da risistemare e una miriade di ninnoli sparsi intorno al portatile bianco, con l'alimentatore ancora attaccato alla presa; anche i poster avevano cambiato posizione od erano stati rimossi, violentemente, in modo frenetico e casuale, come se le fosse servito soltanto di smuovere la conformazione di ciò che la circondava.
 
Aprì la porta della cabina armadio ed accese la luce, contemplando pile di vestiti su una mensola, vecchie consoles sull'altra, e ancora libri, giochi, quaderni, diari, coperte e gadgets vari. 
La vita non ribolliva più in quel calderone denso di ricordi, la fiamma si era spenta ormai quella mattina, inesorabile, fatale.
Prese un libro a caso dalla copertina senza nome, ma nel farlo fece cadere un minuscolo dizionario bilingue, vecchio ed impolverato, preparato dall'università di Oxford.
 
Un lampo gli accecò la mente di dolore:
 
''Perché usi quel vecchio grumo di sporcizia? Hai di meglio nella tua libreria!''
''Lo uso perché ci sono affezionata, perché sa di vecchio ma è sempre molto utile. Lo uso perché viene da Oxford, in un altro paese, un'altra terra...non è forte?''  sorrise.
 
 
La sua mente vomitò fiamme sul suo cuore, senza pietà.
 ''Facile morire. Ma si può soffrire più di così?''
 
Senza accorgersene si era accasciato a terra. Tentò di rialzarsi aggrappandosi alla maniglia della porta, ma questa non resse il peso e gli rimase in mano, sotto il suo sguardo sbigottito.
''Maldestro, maldestro''...un sorriso dall'aria scherzosamente riprovevole.
 
 ''Perché...te ne sei...andata...senza di me...''
Sussurrò così piano da lasciare che la sua voce si perdesse nel tremolio delle tende mosse dal vento.
Si alzò, tornò alla scrivania, e smosse con la mano le cianfrusaglie che vi giacevano...chissà cosa cercava...
Urtò il mouse, risvegliando così lo schermo del portatile dalla modalità stand-by e facendo apparire una pagina di Words scritta a piccoli caratteri, ma con grandi spazi tra le righe.
Impallidì tremendamente, dal suo viso sembrò sparire ogni goccia di vita in un istante.
Senza sedersi, con la mano innaturalmente ferma, afferrò il mouse e fece scorrere la pagina verso l'alto, quindi lesse:
 
''Il tuo calore è più dolce di qualunque cosa io abbia mai pensato di chiamare casa, per un motivo, o per un altro.
 
 
Cosa rende le tue mani così ruvide e così forti, così grandi e buone che mi verrebbe voglia di aggrapparmici per esser sollevata fino al cielo?
 
 
Sei entrato in questa stanza come colorandola, hai riempito questa odiata tela biancastra di fuoco e ghiaccio, di vita.
 
 
Non solo, hai trovato il mio cuore sepolto nello sporco e nella rabbia, e lo hai raccolto, mi hai accudita come un piccolo pettirosso caduto dall'albero, del quale la madre si è scordata.
Poi però, a volare via sei stato tu.
Lontano, colle tue maestose ali bianche, così forti da suscitare costantemente la mia invidia.
 
 
Ma non ho saputo di certo imitarti; e non ho potuto che scegliere la gabbia.
 
 
Allora come sono diventate Nere queste quattro mura! Odiate, oscurate per sempre dal contrasto con la tua luce abbacinante!
Sono morte con la tua partenza in realtà, e chiudendosi  su sè stesse volevano far spirare pure me.
 
 
E se prima ho lottato, poi pian piano mi ci sono adagiata...l'aria veniva dolcemente succhiata via dai miei polmoni, un'asfissia colma dell'oblìo della tua assenza.
 
 
Sono morta ogni giorno per due anni.
Nessun amico che potesse sentirmi urlare, perché non mi sentivo neanch'io.
Nessun genitore che si preoccupasse di me, perché siamo sempre vissuti senza amarci.
E tu, tu lontanissimo, volando, forse il vento copriva alle tue orecchie il più flebile e disperato dei lamenti... 
 
Un giorno ho scoperto di non poter uscire dalla camera.
Improvvisamente Qui rivedevo il tuo fantasma, vivido come un'ologramma troppo perfetto perché l'avesse creato Dio, troppo perfetto perché potesse essere vero.
Mia madre ha spinto dentro, attraverso la porta, cibo e cambi per la toilette portatile per mesi fino ad ora, e bacinelle d'acqua con cui lavarmi, nelle quali fingere di non piangere.
 
Rivedendoti, ho odiato Queste Mura più che mai.
Ho odiato la più terribile delle prigioni, ho odiato Te, l'Inganno!
Vorrei distruggerti, ma qualunque tuo regalo mi annienta alla sola vista, non posso né sfiorarlo né vederlo, né pensarlo.
Allora ho odiato me, anzi Te in Me, quel che mi avevi lasciato, e, soprattutto, ciò che ti eri portato via.
 
Ho iniziato col non mangiare, di nascosto, regolarmente. Nascondevo il cibo negli scarti del bagno, o in buste chiuse nella cabina armadio, sigillate per l'odore.
Poi ho preso a graffiarmi, con gusto, quasi disegnando ghirigori privi di fantasia, di logica, di amore.
 
Ma oggi mi sono svegliata con un umore diverso.
Oggi sono triste come se fossi l'ultima creatura vivente sul pianeta Terra.
Sono sola nello stesso modo.
I compagni di un tempo, i fratelli, gli amici, mia madre, tu...siete solo fantasmi.
Oggi piango con forza, con dolore rinnovato, con una disperazione che mi dilania ferocemente.
 
Perché...
Perché...
 
 
 
 
Perché non hai abbattuto queste mura per me? 
 
 
 
 
 
Non è troppo tardi per me, puoi impedirmi di affogare ancora, io sto solo cercando la mia via per uscire...
 
 
Ti prego, abbatti adesso queste mura per me....>>
 
 
 
Ma tu non rispondi, non sei qui.
Le pareti restano immobili, chiuse su di me come cadaveri di pietra affamati del mio sangue ormai insipido. 
 
Oggi voglio scavare via il cuore dal mio petto con il tuo ultimo regalo, che volevi mi proteggesse.
Voglio vederlo e soffrire tanto da non sentirlo squarciare le mie membra stanche, e poi prendere in mano quel grumo di sangue scuro che mi pulsa dentro,
vedere se davvero si muove
o se mi hai rubato anche l'ultimo battito.'' 
   
 
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