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Autore: adamantina    06/09/2011    4 recensioni
Jake, in mezzo a quella selva di imprecazioni dedicate a lui, sembra indifferente. Il suo sguardo è vuoto. Poi si alza, e vola su questo balcone –teatro di innumerevoli fumate clandestine quando eravamo poco più che quindicenni. Incontra i miei occhi cupi, e sorride.
Quello
stronzo mi sorride, e porta la mano tesa alla testa per farmi un saluto militare.
Chiudo gli occhi.
Il sole sta per tramontare, il mio migliore amico sta per scontare vent’anni di carcere e io sto per fare la più grande cazzata della mia vita.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Storia classificatasi SECONDA al Contest “Da un numero a cinque Muse” indetto da BlackIceCrystal e vincitrice del Premio Giuria. La valutazione è al fondo.]

 

Autore: adamantina
Titolo della storia: Back to St Louis
Fandom: Originale
Genere: Azione - Drammatico
Rating: Verde
Pairing: //
Avvertimenti: //
Numero scelto: +17
Parole scelte: Cremisi / Tramonto / Slealtà / Umani / “Non innamorarti della notte così follemente da non riuscire più a trovare la strada”
Note varie: Beh, eccola qui! Non so cosa sia venuto fuori, esattamente. Questa storia per me è un po’ una novità: sia per il genere (azione, io? ma quando mai?) che per il punto di vista di un ragazzo. Ma, si sa, quando la Musa ti chiama … ^.^

Uso del Beta-reading? No

 

BACK TO ST LOUIS

~Oggi~

 

Osservo la scena dal balcone di casa di mia madre, un fazzoletto di cemento che sporge per mezzo metro fuori dall’edificio fatiscente.

È il tramonto.

La gente è assiepata intorno all’ingresso del carcere qui di fronte, maledettamente curiosa –quel genere di curiosità morbosa che viene fuori nei momenti peggiori e mi ha sempre dato la nausea.

Eppure, oggi sono qui anch’io.

Non sono solo. Doug è accanto a me e si fuma con calma una sigaretta.

«Sta arrivando» commenta, e nonostante sia sempre freddo e distante oggi riesco a cogliere un certo compiacimento nel suo tono di voce.

Non replico, ma il mio sguardo si posa sulla macchina della polizia che, con il lampeggiante acceso, percorre la via stretta e accosta davanti all’ingresso.

Scendono prima due poliziotti, quindi trascinano fuori anche lui.

Stringo gli occhi e i pugni nel vederlo.

La figura mi è dolorosamente familiare –i capelli chiari, la carnagione pallida, e –anche se da qui non posso vederli- gli occhi blu. Chissà se hanno perso la scintilla ironica che non li abbandonava mai, o se continuano a mantenerla, fregandosene fottutamente della situazione umiliante.

Doug nota le mie dita stringersi attorno alla ringhiera arrugginita del balcone.

«Se lo merita, lo sai.»

Mi sfugge una risata aspra.

«Pensi che potrei mai dimenticarlo?»

I poliziotti urlano alla folla di farsi indietro e spintonano Jake per i pochi metri che li separano dalla porta. Però, a metà strada, si fermano. Apparentemente uno di loro sta parlando con un uomo in giacca e cravatta appena uscito dalla prigione, ma io li conosco. So che il motivo per cui stanno indugiando è permettere alla gente di lanciare insulti contro Jake.

Lo chiamano traditore, bastardo, e gli urlano meriteresti la sedia elettrica, o cose del genere.

Qualcuno gli sputa, e vedo Smith e Thompson –gli sbirri, vecchi conoscenti dai tempi della mia adolescenza- che trattengono un ghigno e si godono la scena.

Jake, in mezzo a quella selva di imprecazioni dedicate a lui, sembra indifferente. Il suo sguardo è vuoto. Poi si alza, e vola su questo balcone –teatro di innumerevoli fumate clandestine quando eravamo poco più che quindicenni. Incontra i miei occhi cupi, e sorride.

Quello stronzo mi sorride, e porta la mano tesa alla testa per farmi un saluto militare.

Chiudo gli occhi.

Il sole sta per tramontare, il mio migliore amico sta per scontare vent’anni di carcere e io sto per fare la più grande cazzata della mia vita.

 

 

~Cinque anni prima~

 

Conoscevo Jake da quando avevamo undici anni e facevamo prima media.

Avevamo cominciato la scuola del quartiere. Io avevo sempre vissuto lì, lui si era trasferito insieme alla madre per essere vicini a suo padre, che era in carcere per omicidio.

Vivevamo nei bassifondi di St Louis, proprio di fronte alla prigione, e non facevamo altro che andare in giro a fare i teppisti, bucare le gomme delle auto, scrivere sui muri con le bombolette e altre cazzate del genere.

Era stato con Jake che avevo fumato la mia prima sigaretta, sul balcone della casa di mia madre, mentre guardavamo dall’alto la prigione tetra.

Poi era successo il casino.

Erano passati gli anni e la maggiore età era alle porte. Abbiamo fatto una stupidaggine di troppo e siamo stati portati in caserma. È stato solo per una notte, e avevamo solo diciassette anni, ma ce la siamo fatta sotto.

Jake sapeva come funzionavano le cose, in prigione. Suo padre non era stato avido di dettagli, anzi –ora credo che avesse colorito le informazioni, eccedendo nei pestaggi e nelle faide. E Jake sapeva di non volerci passare neanche una notte.

Perciò, usciti da lì e scontati i dovuti giorni di punizione a casa (con tanto di madri piangenti per la loro povera gioventù bruciata), ci siamo ripromessi di cambiare vita. Beh, lui l’ha fatto e io l’ho seguito a ruota, come sempre.

Abbiamo finito le superiori con dignità –niente bocciature né suppliche disperate agli insegnanti per ottenere una sufficienza- e siamo andati al college. Laurea con ottimi voti per entrambi –nonostante qualche episodico cedimento ai piaceri dell’alcool e delle feste- e quindi, armandoci di coraggio, insistenza e una certa dose di masochismo, abbiamo fatto domanda per entrare nella CIA.

Non è stato facile, ma alla fine eccoci.

Avevamo ventitré anni, eravamo giovani, forti e desiderosi di dare il massimo. Siamo entrati nei servizi segreti come una sfida per noi stessi; dopo due giorni eravamo già stati indottrinati e convinti che stessimo facendo un servizio indispensabile per il nostro Paese.

E forse, dopotutto, era così.

 

~Quattro anni prima~

 

«Cazzo, Jake, stai fermo

«Sono immobile

«Quanto hai bevuto ieri sera?»

«Tre o quattro … bicchieri di vino, niente di più» risponde, incespicando con le parole sul quattro.

«Tredici o quattordici, vorrai dire.»

Alza le spalle. Prima che io possa insistere, o cominciare una predica sull’importanza della sobrietà e del senso di misura, la porta di Doug di apre.

Beh, ovviamente non lo chiamiamo Doug, ma Signor Thompson, o Capo, o Vostra Straordinaria Magnificenza Inviata Dal Cielo Per Salvaguardare Il Genere Umano (giuro che una volta Jake l’ha fatto davvero).

«Ho una missione per voi» esordisce Doug.

Vorrei poter contare tutte le volte che ho sentito pronunciare questa frase. Sarebbero almeno un centinaio, e il novanta percento di queste riguarderebbe dei pattugliamenti a vuoto durati lunghe settimane. Il restante dieci percento è il risultato di vari errori più o meno gravi da parte nostra con conseguente obbligo a sorvegliare corridoi di scuole medie affollate o ingressi di tribunali.

Però è raro che sia Doug in persona a comunicarcelo. Di solito delega il compito ad uno dei suoi sottoposti –o forse dovrei chiamarli schiavi, includendo anche me stesso e Jake nel loro novero.

«È una cosa di vitale importanza.»

Forse passeremo dalle medie al liceo?

«Avete mai sentito parlare dell’Anaconda?»

Sussulto e lancio un’occhiata a Jake, che stringe i pugni.

Si tratta di una gang di criminali, una sorta di associazione a delinquere che riunisce i più infimi delinquenti di St Louis.

«Sì.»

«Bene. Ho un compito molto delicato per voi. Mi serve un infiltrato nelle loro fila.»

«Perché noi?» domanda immediatamente Jake, storcendo il naso.

«Primo, perché siete giovani e non vi conoscono come agenti federali. Secondo, perché siete svegli e in gamba. Terzo, perché tu, Jacob, hai effettivamente dei contatti al suo interno.»

Lui si irrigidisce.

«Non è così.»

«Andiamo, ragazzo, ti sei reso conto di dove ti trovi? Pensi che avremmo assunto il figlio di uno dei capi dell’Anaconda senza un fine preciso? O forse credevi che non ne sapessimo nulla?»

Tamburello le dita sulla scrivania, nervoso. Capisco il rifiuto di Jake –si è arruolato per sfuggire all’Anaconda, non per finirci dentro come suo padre.

«Dovrete tornare a casa vostra. Jacob, tu diventerai parte della gang. Daniel, tu sarai il nostro contatto laggiù. Farai da tramite tra lui e me, restando sempre sotto copertura.»

«Non ho intenzione di farlo» ringhia Jake. «Mai. Per niente al mondo.»

Tre giorni dopo, siamo tornati a St Louis.

 

~Tre anni prima~

 

La porta del bar si apre con un cigolio.

«Siamo chiusi» urlo dalla cucina, le mani immerse nell’acqua fredda e saponosa, una ventina di bicchieri ancora da lavare.

«Sono io» replica Jake, richiudendosi la porta alle spalle e raggiungendomi.

Mi volto per un momento, osservandolo cupamente.

La nostra missione è diventata estremamente complicata.

Siamo qui a St Louis da mesi, dopo aver giurato solennemente da ragazzi che non vi avremmo più fatto ritorno, e non abbiamo ancora concluso un granché.

Ci sono voluti quasi otto mesi prima che qualcuno di importante notasse Jake e lo introducesse veramente nell’Anaconda. Nel frattempo, io ho rilevato questo squallido bar e lavoro sotto copertura. Ogni tanto Jake viene a darmi una mano –almeno, prima lo faceva. Da qualche tempo, però, l’Anaconda lo tiene sempre impegnato.

Non è un ambiente sano, è ovvio. Lo testimonia l’occhio nero che aleggia sul suo volto, fresco di giornata. Mi trattengo a fatica dal fare domande.

Però, lentamente e faticosamente, Jake sta risalendo la gerarchia dell’Anaconda, ottenendo la fiducia di gente sempre più importante. E pericolosa.

«Come va?» gli chiedo.

«Abbastanza bene. Non ho ancora scoperto chi è l’autore del furto con scasso in Piccadilly Road, ma ho qualche sospetto. La prossima settimana ne saprò di più. A te come va?»

«Il solito» replico. «Sono ancora indietro con le rate del bar, e Barnes è sempre più insistente. Temo che dovrò andare da mia madre, o implorare Doug per un anticipo.»

«Non farlo.»

«Credimi, preferirei saltare giù da un treno in corsa con i piedi legati, ma … »

«Intendo dire che non è necessario.»

Jake fruga nelle tasche della giacca e tira fuori un mazzo di banconote fruscianti. Lo guardo con tanto d’occhi.

«E quelli da dove escono fuori?»

«Lavoro» replica lui, sfuggente.

«Non di certo il  nostro lavoro.»

«Insomma, Dan! Pensi che io possa rifiutare dei soldi, magari dicendo “no, grazie, siete molto gentili, ma i miei principi morali mi impediscono di accettare”

«Sono soldi sporchi, Jake.»

«È Doug che mi ha mandato qui. Se faccio una cazzata, la punizione non è il licenziamento. Quelli non hanno nessuno scrupolo, lo sai. Credi che ci penserebbero due volte prima di ficcarmi un proiettile in testa e poi sciogliere il mio corpo nell’acido? L’hanno già fatto prima. Ricordi perché mio padre è finito in prigione? Cosa aveva fatto a quel poliziotto?»

Non rispondo e torno a sciacquare i piatti, con più energia del necessario.

«Prendili» taglia corto Jake, allungando il denaro verso di me.

«No. Tienili. Non voglio attirare sospetti. Parlerò con Doug, sborserà lui qualcosa.»

«Non capisci un cazzo» sbotta lui, ed esce dal bar sbattendo la porta.

Sospiro, temendo il peggio.

 

~Un anno e mezzo prima~

 

Capisco che c’è qualcosa che non va immediatamente, non appena Jake fa il suo ingresso.

Sto contando il misero incasso del giorno, annotando scrupolosamente ogni cosa su un taccuino, ma mi interrompo subito. La sua espressione è vacua, gli occhi spenti.

«Cos’è successo?» chiedo subito, facendomi avanti e raggiungendolo.

«Niente.»

«Oh, non ci provare neanche.»

Jake respira profondamente.

«Mi hanno dato un incarico. Shell in persona mi ha mandato a chiamare.»

Sussulto. Romiro Shell è uno dei boss dell’Anaconda, un pezzo grosso.

«Cosa …?»

«Vogliono che mi liberi di Davies.»

«Cazzo.»

Davies è il fautore di alcuni furti e un omicidio. A lungo collegato dalla polizia con l’Anaconda, Jake ha scoperto che in realtà agisce indipendentemente da essa. Ora è tornato in libertà dopo due anni di carcere per buona condotta.

«Parla con Doug, Jake. Forse lui … »

«Non sa che pesci pigliare. L’ho già chiamato.»

«Dovremo rinunciare alla missione.»

Jake stringe gli occhi.

«Davies è un assassino» dice lentamente. «Un criminale. Se eseguissi gli ordini … »

«Jake!» sbotto. «Sei impazzito? Tu sei un agente federale. Noi li dobbiamo arrestare, i criminali, non eseguire i loro ordini!»

«Se non obbedirò, mi uccideranno. Se me ne andrò, manderò in fumo la cattura di tutti i boss, e sono così vicino ad ottenere delle prove concrete … »

«È un omicidio a sangue freddo!»

«Ho le mani legate, Dan. Devo farlo.»

Pallido, lo osservo, capendo che dice sul serio. E so che Doug non ha nulla da obiettare.

«Ricordati da che parte stai» ritento.

«È proprio perché ne sono consapevole che sono costretto a farlo.»

Chiudo gli occhi e lo sento allontanarsi in silenzio.

Prima che chiuda la porta, mormoro, abbastanza forte perché possa sentirmi:

«Non innamorarti della notte così follemente da non riuscire più a trovare la strada.»¹

In risposta ricevo solo lo schiocco della porta che si chiude.

 

~Tre mesi prima~

 

«No, non ci credo.»

«È la verità, Daniel, e chiudere gli occhi non la farà diventare migliore.»

La voce fredda di Doug riempie la stanza.

Sono ancora una volta nel bar deserto, sono quasi le due del mattino.

La presenza del mio superiore, che non vedo di persona da tre anni, ha un effetto sconcertante, come di ritorno improvviso alla realtà. Eppure non riesco a concepire ciò che mi sta dicendo.

Scuoto la testa.

«Non l’avrebbe mai fatto.»

«Per quanto scaltro, Jacob è pur sempre un essere umano. E, in quanto tale, non è perfetto. Ha ceduto alla tentazione, non è stato forte abbastanza.»

«No!» ruggisco, sbattendo il pugno sul bancone tanto da farmi male.

Ogni osso del mio corpo duole ancora per il pestaggio della scorsa settimana. È avvenuto tutto inaspettatamente, mentre tornavo a casa dopo il lavoro. Due uomini mi hanno afferrato e picchiato violentemente, apparentemente senza motivo, lasciandomi poi incosciente sul marciapiede. Sono rimasto tre giorni in ospedale.

«Quel pestaggio … chi credi che abbia detto loro che eri un agente federale?»

«Non … »

«Ragiona, Daniel, maledizione!» urla Doug. «Chi lo sapeva, eh? Chi? Io, te e lui! E basta!»

Mi rifiuto di accettare l’idea.

«No, devono averlo scoperto per caso … »

«Così come hanno scoperto per caso che stavamo indagando su Shell? E che avevamo telecamere nella casa di Vandermeer? E che Allan Werner, il giardiniere di casa Shell, era uno dei nostri sotto copertura? L’hanno trovato morto, Dan! In un fossato dietro al bosco!»

«Deve esserci uno sbaglio.»

«Non c’è nessuno sbaglio, né possibilità di fraintendimenti. Jacob ci ha traditi a favore dell’Anaconda. Ha ucciso delle persone, ha rubato in case e negozi, si è alleato con l’Anaconda per avere soldi, gloria, prestigio!»

Vorrei scappare.

Vorrei che la prova evidente della slealtà di Jake non fosse così lampante, che ci fosse un margine di dubbio. Ma ogni obiezione è debole e inutile, lo so bene.

Jake è un traditore, e in quanto tale è mio compito arrestarlo.

 

Non innamorarti della notte così follemente da non riuscire più a trovare la strada.

Non farti distrarre, Daniel: non confondere la notte con il giorno, la strada giusta con quella sbagliata. Non tradire. Ma cos’è il tradimento?

Si chiama così quando sei sleale verso chi ami, anche se ha fatto qualcosa di orribile?

La giustificazione sarà mai abbastanza valida da lavarti la coscienza?

Dentro di te sai che no, mai lo sarà.

E giusto e sbagliato si confondono in un unico dolore.

 

«Ciao, Dan. Perché mi hai chiamato?»

Il dolore si accende acuto nel vederlo. Sono sul ponte, esposto all’aria gelida.

«Ho bisogno di parlarti.»

«Dimmi.»

«Werner» dico d’un fiato, le mani che sprofondano in tasca, in rassicurante contatto con la pistola. «L’hanno ucciso. Eravamo solo io e te a sapere chi era, Jake.»

Mi guarda confuso.

«E Vandermeer» proseguo «E Shell. E il mio pestaggio, la scorsa settimana … mi hanno chiamato “schifoso piedipiatti della CIA”. Sono troppi elementi, Jake. Troppi … e tutti a tuo sfavore.»

Mi guarda con calma straordinaria, per uno che è appena stato accusato di alto tradimento.

«Lo so.»

«Cosa?»

«È la verità, Dan. Sono stato io.»

La sua confessione pacata mi scuote nel profondo. Forse, da qualche parte nel mio inconscio, speravo che mi avrebbe urlato contro, insultandomi e portandomi delle prove inconfutabili per dimostrare la sua innocenza.

«Ma non per i motivi che pensi tu» prosegue. La sua espressione passa da tranquilla a tormentata. Mi guarda con occhi di fuoco. «So che credi che io abbia seguito le orme di mio padre, ma … Dan, tu lo sai che io non avrei mai voluto farlo. E non l’avrei mai fatto, se non avessi avuto una ragione precisa.»

«Dimmi qual è questa ragione, perché non riesco proprio a vederla» dico a denti stretti.

«Io … non posso spiegare.»

«Perché no?»

«È troppo complicato. Se parlassi … no, Dan, non posso. Mi dispiace. Ma se tu ti fidassi di me … »

«Come posso fidarmi di te?» reagisco furiosamente. «Hai ucciso, rubato, mentito, tradito! Non puoi chiedermi di avere fiducia in te!»

«Lo so» mormora, strofinandosi una mano sulla fronte, teso. «So che è difficile, ma … tu sei il mio migliore amico, Dan. Mio fratello. Ti prego, credimi. Non volevo farlo.»

Allunga una mano verso di me con aria implorante.

Esito, quindi scuoto la testa, indietreggiando.

«No» sussurro. «Non posso, Jake. Mi dispiace.» Estraggo una mano dalla tasca, stringendo con mano malferma il mandato d’arresto leggermente stropicciato che mi ha consegnato Doug. «Jacob Sawyer, ti dichiaro in arresto. Hai il diritto di … »

In questo esatto momento, un uomo salta sul ponte, scavalcando improvvisamente con un balzo la ringhiera. Allunga una mano che impugna una pistola. Non ho tempo di reagire per estrarre la mia, ma solo un secondo per riconoscere in lui uno degli artefici del mio violento pestaggio.

Poi il colpo, la caduta e il buio.

 

~Oggi~

 

Le porte del carcere sono aperte e i poliziotti stanno per spingere Jake all’interno.

È il tramonto, e io sono qui con una pistola in una mano e un cartello “pronto al suicidio” nell’altra.

Cazzo.

Ho sceso le scale di corsa, e so che è questione di secondi prima che Doug mi raggiunga, capendo le mie intenzioni. Non ho intenzione di aspettarlo.

Mi faccio largo tra la folla.

«Ehi!» grido, poco prima che le porte vengano chiuse.

Pessimo modo per farsi notare, ma raggiungo lo scopo. I poliziotti si girano.

Allungo la mano con la pistola e cala un silenzio attonito per un istante. Poi cominciano gli strilli terrorizzati della gente e i piedipiatti reagiscono, ma sono troppo veloce –l’addestramento della CIA mi ha insegnato molto, e non verrò più colto impreparato come tre mesi fa.

Sparo due soli colpi alle gambe degli agenti –Dio, quanto ho desiderato poterlo fare, da ragazzino- e loro cadono urlando, dimentichi del loro compito.

Jake coglie l’imbeccata e, a fatica, corre per raggiungermi. Nel giro di un minuto qui pullulerà di guardie, perciò gli rivolgo un gesto eloquente e, in contemporanea, ci infiliamo nell’auto parcheggiata lì accanto.

Ok, da questo forse si potrà intuire che non è stata un’azione del tutto impulsiva. Ieri sera ho fatto in modo di parcheggiare la mia auto vicino all’ingresso del carcere. Tanto per fare.

Comunque, infilo le chiavi e parto a mille, sgommando via dai bassifondi e da St Louis, con Jake accanto a me.

 

«Evasione» commenta dopo un po’, piuttosto ammirato. «Siamo ufficialmente dei fuorilegge, baby.»

Gli lancio un’occhiataccia. Per ora nessuno ci sta seguendo, ma dobbiamo sbrigarci a cambiare automobile e, possibilmente, anche aspetto fisico. E Stato. O Continente, magari.

Ridacchia e si sistema meglio la cintura di sicurezza sul petto, con una smorfia di fastidio. Mi mordo un labbro.

«Come stai?» gli chiedo.

«Molto meglio, ora che sono libero.»

«E … la ferita?»

«A posto.»

La sua mano corre d’istinto al petto, dove, sotto la camicia, è nascosta una cicatrice, ricordo dell’incidente di tre mesi fa.

Al colpo di pistola dell’aggressore, evidentemente diretto contro di me, lui mi si è gettato davanti. Ha preso il proiettile al posto mio, buttandomi a terra. Io me la sono cavata con un bernoccolo, mentre lui è rimasto in coma due settimane e ha impiegato tre mesi per uscire dall’ospedale –diretto in prigione.

In compenso, io ho sofferto di incubi orribili in cui mi trovavo sempre nella stessa situazione –inginocchiato sul ponte accanto a Jake, con una macchia cremisi che si allargava sulla camicia bianca, e lui che mi sussurrava “mi hai tradito”, mentre il sangue mi scivolava tra le dita. E poi guardando le mie mani rosse, mi accorgevo di avere in mano una pistola: ero stato io a sparare.

Tu sei il mio migliore amico, Dan. Mio fratello. Ti prego, credimi.

Ora lo facevo.

Non avrei potuto non farlo, sapendo che Jake, se l’avesse voluto, sarebbe potuto scappare e lasciarmi morire su quel ponte. E invece mi aveva salvato la vita, mettendo a rischio la sua e sapendo che, se mai fosse sopravvissuto, ad aspettarlo ci sarebbe stato il carcere. Ciò che aveva sempre cercato di evitare.

Come potrei non fidarmi di lui, adesso?

Però sono un essere razionale, e ho bisogno di risposte soddisfacenti.

«Spiegati» gli ordino, accelerando appena e controllando di non essere seguito negli specchietti retrovisori.

«Ho sempre ritenuto che il più grande privilegio, sollievo e conforto dell’amicizia fosse quello di non dover mai spiegare nulla²» commenta, riuscendo quasi a farmi sentire in colpa.

«Mi hai salvato la vita» replico, vagamente a disagio «E te ne sono enormemente grato, Jake, davvero. Altrimenti non ti avrei fatto evadere. Ma l’hai detto tu stesso: ci hai traditi.»

Lui esita, temporeggia accendendo la radio, quindi cede.

«Ricordi la sera in cui ti ho offerto i soldi e tu li hai rifiutati?»

«Sì.»

«Bene, quella sera stessa Shell mi aveva mandato a chiamare. Mi aveva convocato a casa sua e poi mi aveva detto che sapeva chi ero.» Fa una pausa studiata, osservando il paesaggio esterno che scorre via veloce. «Sapeva tutto … della CIA, della missione, di te. Pensava che io potessi essergli utile, però. Io gli ho risposto che poteva andare a farsi fottere, che non avrei tradito. È stato allora che mi ha fatto quell’occhio nero.» Sospira. «Mi ha dato dei soldi e mi ha detto di pensarci bene. Mi ha mostrato la sua pistola e mi ha detto a chiare lettere che mi avrebbe ammazzato lentamente, se avessi rifiutato di collaborare. Allora sono venuto da te, e tu hai reagito in un modo tale che … ho capito che non potevo arrendermi. Allora, il giorno dopo, sono tornato e gli ho detto che non avrei accettato la sua proposta. Mi ha chiesto cos’ero disposto a sprecare per la lealtà alla CIA … se solo la mia vita o anche la tua.»

Lo guardo senza capire.

«Insomma, Dan, mi ha detto che aveva casa tua e il bar sotto controllo. Che conosceva ogni genere di criminali e che sarebbe bastata una parola perché tu sparissi nel nulla misteriosamente. Allora io ho accettato di collaborare con lui.»

Sono senza parole. Fatico addirittura a mantenere la macchina in strada.

«Dici sul serio?» mormoro.

«Certo. L’assassinio di Davies, quello di Werner, le soffiate su Vandermeer … ho detto e fatto tutto ciò che mi chiedeva perché tu eri sotto minaccia. Il tuo pestaggio è avvenuto perché mi ero rifiutato di ucciderlo io, Werner, con le mie stesse mani. Allora Shell ha deciso di darmi un assaggio della serietà delle sue minacce.»

«Oh, Dio. Oh, mio … » mi interrompo. «Ma aspetta … chi ha detto a Shell di noi due?»

«Non lo so.»

In un lampo, ricordo le parole di Doug: “Ragiona, Daniel, maledizione! Chi lo sapeva, eh? Chi? Io, te e lui! E basta!”.

«È stato Doug» dico, e lo faccio con assoluta certezza, stringendo le dita sul volante.

«È quello che ho pensato anch’io, ma non ha alcun senso. Perché mai avrebbe dovuto? Voglio dire, è un pezzo grosso della CIA, che interesse avrebbe avuto … ?»

«Soldi» replico. «Soldi sporchi … che altro? Evidentemente le soffiate all’Anaconda gli fruttavano più di quelle alla CIA.»

«Bel colpo, ragazzi» commenta una voce spaventosamente familiare.

Sia io che Jake sobbalziamo prima di renderci conto che proviene dalla radio. In qualche modo Doug deve essersi intromesso sulla nostra frequenza.

«Un bel colpo davvero, di grande effetto. Ma che ne pensate di girare il culo e tornare qui? Vedrete che andrà tutto bene. Siete nella CIA, dopotutto … farò tutto ciò che è in mio potere per evitarvi l’ergastolo.»

Io e Jake ci scambiamo un’occhiata significativa.

«Tu che ne dici, Jake?» chiedo, sapendo che comunque Doug non può sentirci.

Lui sorride e tira fuori una sigaretta dalla tasca. La accende con fare indolente e soffia via una nuvola di fumo.

«La Nuova Zelanda mi ha sempre attratto» dice pigramente.

«Temo che dovremo rapinare una banca, per quello.»

«Ho una soluzione più semplice» sogghigna, allungandosi per cambiare il canale della radio, mettendo così a tacere la voce sempre più insistente di Doug. «Mai sentito parlare di Las Vegas?»

Socchiudo gli occhi e annuisco.

«Sai, il poker è il mio gioco preferito» asserisco.

«Sapevo che mi avresti capito.» Mi guarda di sottecchi. «Amici?»

Non esito più prima di battere il pugno contro il suo e rispondere, deciso:

«Amici.»

E la nostra auto si allontana sgommando nel crepuscolo, sulle note stridenti di Freedom.

 

 

n.d.A:

 ¹ citazione di Kate Mansfield.

² citazione di “Intervista col vampiro”.

 

 

Valutazione della giudicia:

adamantina - Back to St Louis


Correttezza grammaticale: 8,7/10 punti
Ci sono un paio di errori di distrazione (tipo “vola” invece che “volta”, un articolo omesso, e un “di” a posto di un “si”) e un “ventitrè” con l’accento sbagliata (è “è” non “é”). Alcuni tempi verbali non mi convincono pienamente, e questo lo considero un parere personale dovuto alla mia passione per il passato remoto. Ma non ho considerato niente di tutto questo nel punteggio, te lo faccio presente giusto per correttezza.

Quelli che ho considerato, invece, sono alcuni errori di punteggiatura:
- “«Sta arrivando» commenta, e nonostante sia sempre freddo e distante oggi riesco a cogliere un certo compiacimento nel suo tono di voce.” Qui secondo me dovrebbe andarci il punto dopo “commenta”, poi il resto dovrebbe essere “E, nonostante sia sempre freddo e distante, oggi […]” perché ci dovrebbe andare una virgola dopo la e (anche senza il punto).

- In questa frase: “Lo chiamano traditore, bastardo, e gli urlano meriteresti la sedia elettrica, o cose del genere” leverei la virgola tra “la sedia elettrica” e “o cose del genere” perché mi sembra inutile.

- In quest’altra: “Alza le spalle. Prima che io possa insistere, o cominciare una predica sull’importanza della sobrietà del senso di misura, la porta di Doug di apre.” Leverei il punto e metterei una virgola, tipo “Alza le spalle e, prima che io […]” (Inoltre questa è la frase in cui hai scritto “di” invece che “si”).

Stile: 14/15 punti
Lo stile mi è piaciuto parecchio. Dici che questa storia è una novità e che su questo genere non scrivi parecchio, ma ti dico che lo stile che hai usato a mio parere è perfetto (ma neanche io sono tanto esperta del genere quindi non so quanto possa essere vero).

A parte qualche errore che ti ho fatto notare prima, la lettura era scorrevole e le frasi non erano troppo pesanti.

Anche il lessico è adeguato al tema e alle situazioni. E a proposito di questo ti faccio un piccolo appunto: secondo me dovresti mettere un rating Giallo e/o un avvertimento sul linguaggio (per esempio Linguaggio Colorito, se c’è su EFP), perché non è esattamente una storia da rating verde.

Una cosa che non ho gradito molto è come hai iniziato il racconto della parte di “Cinque anni prima”, perché scrivi così ma parti da molto prima, e il lettore si trova un attimo spaesato (forse anche perché è in questa parte che ho trovato dei tempi verbali che non mi convincevano).

Originalità: 14/15 punti
La storia non è originale per il tema trattato, ma ormai abbiamo così tanti anni di letteratura alle spalle che è quasi impossibile trovare qualcosa di originale. Eppure l’ho trovata nuova in qualche modo. Perché si legge che ci hai messo qualcosa di tuo e di nessun altro. Perché la storia di Jake e Daniel è simile a tante altre, ma è comunque solamente la loro. Ho trovato qualcosa di particolare in loro e nel racconto. E’ qui che sta l’originalità.

Attinenza/uso prompt: 10/10 punti
Partiamo dal fatto che innanzi tutto hai usato il massimo di prompt che potevi, quindi questo è già un buon punto da cui partire. Ho apprezzato moltissimo il modo in cui hai usato la citazione! L’hai inserita nel punto perfetto, dove era giusto che andasse, nel momento in cui doveva esser detta. Niente di più giusto.

La storia è ambientata al tramonto, ma non è quello che dà importanza all’uso di questo prompt, bensì la frase che hai scritto alla fine “È il tramonto, e io sono qui con una pistola in una mano e un cartello “pronto al suicidio” nell’altra.”. Mi ha colpita ed inoltre rende il tramonto significante.

Anche il prompt cremisi è utilizzato bene: è associato al colore del sangue di Jake e tormenta Daniel per quello che è accaduto. E’ come un punto chiave: è dopo questo che Daniel prende la sua decisione.

Così come è usato bene la slealtà.” E’ slealtà quella di Jake?” E’ questo quello che si chiede Daniel, è anche questo che vorrebbe capire e perdonare, anche se non può farlo. E’ così fino alla fine, finché tutto non si chiarisce.

Infine anche “umano” è stato inserito bene. Jake è stato costretto ad entrare nell’organizzazione da cui voleva fuggire e che desiderava combattere, ed alla fine sembra invece cedere alla tentazione che essa offre, perché è un essere umano ed è normale per un uomo cedere ad essa.

I prompt li hai usati perfettamente, quindi non vedo perché non dovrei darti il punteggio massimo!

Giudizio Personale: 5/5 punti
Si è già capito che ho amato questa storia? Perché altrimenti continuo a ribadirlo, anche se non so cos’altro aggiungere. L’ho apprezzata moltissimo: ben scritta, bella trama, ottimo stile, attinenza al tema perfetta, e sto adorando Jake e Daniel. Non credo di poter aggiungere altro, non ci sono parole. Solo: complimenti!

Totale: 51,7/55 punti.

 

   
 
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