[Storia
classificatasi SECONDA al Contest “Da un numero a cinque
Muse” indetto da BlackIceCrystal e
vincitrice del Premio Giuria. La valutazione è al fondo.]
Autore:
adamantina
Titolo della storia: Back to St Louis
Fandom: Originale
Genere: Azione - Drammatico
Rating: Verde
Pairing: //
Avvertimenti: //
Numero scelto: +17
Parole scelte: Cremisi / Tramonto / Slealtà / Umani /
“Non innamorarti della
notte così follemente da non riuscire più a
trovare la strada”
Note varie: Beh, eccola qui! Non so cosa sia venuto fuori, esattamente.
Questa
storia per me è un po’ una novità: sia
per il genere (azione, io? ma quando
mai?) che per il punto di vista di un ragazzo. Ma, si sa, quando la
Musa ti
chiama … ^.^
Uso
del Beta-reading? No
BACK
TO ST LOUIS
~Oggi~
Osservo la scena
dal balcone di casa di mia madre, un
fazzoletto di cemento che sporge per mezzo metro fuori
dall’edificio
fatiscente.
È il tramonto.
La gente
è assiepata intorno all’ingresso del carcere
qui di fronte, maledettamente curiosa –quel genere di
curiosità morbosa che
viene fuori nei momenti peggiori e mi ha sempre dato la nausea.
Eppure, oggi
sono qui anch’io.
Non sono solo.
Doug è accanto a me e si fuma con calma
una sigaretta.
«Sta
arrivando» commenta, e nonostante sia sempre
freddo e distante oggi riesco a cogliere un certo compiacimento nel suo
tono di
voce.
Non replico, ma
il mio sguardo si posa sulla macchina
della polizia che, con il lampeggiante acceso, percorre la via stretta
e
accosta davanti all’ingresso.
Scendono prima
due poliziotti, quindi trascinano fuori
anche lui.
Stringo gli
occhi e i pugni nel vederlo.
La figura mi
è dolorosamente familiare –i capelli
chiari, la carnagione pallida, e –anche se da qui non posso
vederli- gli occhi
blu. Chissà se hanno perso la scintilla ironica che non li
abbandonava mai, o
se continuano a mantenerla, fregandosene fottutamente della situazione
umiliante.
Doug nota le mie
dita stringersi attorno alla ringhiera
arrugginita del balcone.
«Se lo
merita, lo sai.»
Mi sfugge una
risata aspra.
«Pensi
che potrei mai dimenticarlo?»
I poliziotti
urlano alla folla di farsi indietro e
spintonano Jake per i pochi metri che li separano dalla porta.
Però, a metà
strada, si fermano. Apparentemente uno di loro sta parlando con un uomo
in
giacca e cravatta appena uscito dalla prigione, ma io li conosco. So
che il
motivo per cui stanno indugiando è permettere alla gente di
lanciare insulti
contro Jake.
Lo chiamano traditore,
bastardo, e gli urlano meriteresti la sedia elettrica, o cose
del genere.
Qualcuno gli
sputa, e vedo Smith e Thompson –gli
sbirri, vecchi conoscenti dai tempi della mia adolescenza- che
trattengono un
ghigno e si godono la scena.
Jake, in mezzo a
quella selva di imprecazioni dedicate
a lui, sembra indifferente. Il suo sguardo è vuoto. Poi si
alza, e vola su
questo balcone –teatro di innumerevoli fumate clandestine
quando eravamo poco
più che quindicenni. Incontra i miei occhi cupi, e sorride.
Quello stronzo
mi sorride,
e porta la mano tesa alla testa per farmi un saluto militare.
Chiudo gli occhi.
Il sole sta per
tramontare, il mio migliore amico sta
per scontare vent’anni di carcere e io sto per fare la
più grande cazzata della
mia vita.
~Cinque anni
prima~
Conoscevo Jake
da quando avevamo undici anni e
facevamo prima media.
Avevamo
cominciato la scuola del quartiere. Io avevo
sempre vissuto lì, lui si era trasferito insieme alla madre
per essere vicini a
suo padre, che era in carcere per omicidio.
Vivevamo nei
bassifondi di St Louis, proprio di fronte
alla prigione, e non facevamo altro che andare in giro a fare i
teppisti,
bucare le gomme delle auto, scrivere sui muri con le bombolette e altre
cazzate
del genere.
Era stato con
Jake che avevo fumato la mia prima
sigaretta, sul balcone della casa di mia madre, mentre guardavamo
dall’alto la
prigione tetra.
Poi era successo
il casino.
Erano passati
gli anni e la maggiore età era alle
porte. Abbiamo fatto una stupidaggine di troppo e siamo stati portati
in
caserma. È stato solo per una notte, e avevamo solo
diciassette anni, ma ce la
siamo fatta sotto.
Jake sapeva come
funzionavano le cose, in prigione.
Suo padre non era stato avido di dettagli, anzi –ora credo
che avesse colorito
le informazioni, eccedendo nei pestaggi e nelle faide. E Jake sapeva di
non
volerci passare neanche una notte.
Perciò,
usciti da lì e scontati i dovuti giorni di
punizione a casa (con tanto di madri piangenti per la loro povera
gioventù
bruciata), ci siamo ripromessi di cambiare vita. Beh, lui
l’ha fatto e io l’ho
seguito a ruota, come sempre.
Abbiamo finito
le superiori con dignità –niente
bocciature né suppliche disperate agli insegnanti per
ottenere una sufficienza-
e siamo andati al college. Laurea con ottimi voti per entrambi
–nonostante
qualche episodico cedimento ai piaceri dell’alcool e delle
feste- e quindi,
armandoci di coraggio, insistenza e una certa dose di masochismo,
abbiamo fatto
domanda per entrare nella CIA.
Non è
stato facile, ma alla fine eccoci.
Avevamo
ventitré anni, eravamo giovani, forti e
desiderosi di dare il massimo. Siamo entrati nei servizi segreti come
una sfida
per noi stessi; dopo due giorni eravamo già stati
indottrinati e convinti che
stessimo facendo un servizio indispensabile per il nostro Paese.
E forse,
dopotutto, era così.
~Quattro anni
prima~
«Cazzo,
Jake, stai fermo.»
«Sono immobile.»
«Quanto
hai bevuto ieri sera?»
«Tre o
quattro … bicchieri di vino, niente di
più»
risponde, incespicando con le parole sul quattro.
«Tredici
o quattordici, vorrai dire.»
Alza le spalle.
Prima che io possa insistere, o
cominciare una predica sull’importanza della
sobrietà e del senso di misura, la
porta di Doug di apre.
Beh, ovviamente
non lo chiamiamo Doug, ma Signor Thompson,
o Capo, o Vostra
Straordinaria
Magnificenza Inviata Dal Cielo Per Salvaguardare Il Genere Umano (giuro
che
una volta Jake l’ha fatto davvero).
«Ho
una missione per voi» esordisce Doug.
Vorrei poter
contare tutte le volte che ho sentito
pronunciare questa frase. Sarebbero almeno un centinaio, e il novanta
percento
di queste riguarderebbe dei pattugliamenti a vuoto durati lunghe
settimane. Il
restante dieci percento è il risultato di vari errori
più o meno gravi da parte
nostra con conseguente obbligo a sorvegliare corridoi di scuole medie
affollate
o ingressi di tribunali.
Però
è raro che sia Doug in persona a comunicarcelo.
Di solito delega il compito ad uno dei suoi sottoposti –o
forse dovrei
chiamarli schiavi, includendo anche
me stesso e Jake nel loro novero.
«È
una cosa di vitale importanza.»
Forse
passeremo dalle medie al liceo?
«Avete
mai sentito parlare dell’Anaconda?»
Sussulto e
lancio un’occhiata a Jake, che stringe i
pugni.
Si tratta di una
gang di criminali, una sorta di
associazione a delinquere che riunisce i più infimi
delinquenti di St Louis.
«Sì.»
«Bene.
Ho un compito molto delicato per voi. Mi serve
un infiltrato nelle loro fila.»
«Perché
noi?» domanda immediatamente Jake, storcendo
il naso.
«Primo,
perché siete giovani e non vi conoscono come
agenti federali. Secondo, perché siete svegli e in gamba.
Terzo, perché tu,
Jacob, hai effettivamente dei contatti al suo interno.»
Lui si
irrigidisce.
«Non
è così.»
«Andiamo,
ragazzo, ti sei reso conto di dove ti trovi?
Pensi che avremmo assunto il figlio di uno dei capi
dell’Anaconda senza un fine
preciso? O forse credevi che non ne sapessimo nulla?»
Tamburello le
dita sulla scrivania, nervoso. Capisco
il rifiuto di Jake –si è arruolato per sfuggire
all’Anaconda, non per finirci
dentro come suo padre.
«Dovrete
tornare a casa vostra. Jacob, tu diventerai
parte della gang. Daniel, tu sarai il nostro contatto
laggiù. Farai da tramite
tra lui e me, restando sempre sotto copertura.»
«Non
ho intenzione di farlo» ringhia Jake. «Mai. Per
niente al mondo.»
Tre giorni dopo,
siamo tornati a St Louis.
~Tre anni prima~
La porta del bar
si apre con un cigolio.
«Siamo
chiusi» urlo dalla cucina, le mani immerse
nell’acqua fredda e saponosa, una ventina di bicchieri ancora
da lavare.
«Sono
io» replica Jake, richiudendosi la porta alle
spalle e raggiungendomi.
Mi volto per un
momento, osservandolo cupamente.
La nostra
missione è diventata estremamente
complicata.
Siamo qui a St
Louis da mesi, dopo aver giurato
solennemente da ragazzi che non vi avremmo più fatto
ritorno, e non abbiamo
ancora concluso un granché.
Ci sono voluti
quasi otto mesi prima che qualcuno di
importante notasse Jake e lo introducesse veramente
nell’Anaconda. Nel
frattempo, io ho rilevato questo squallido bar e lavoro sotto
copertura. Ogni
tanto Jake viene a darmi una mano –almeno, prima lo faceva.
Da qualche tempo,
però, l’Anaconda lo tiene sempre impegnato.
Non è
un ambiente sano, è ovvio. Lo testimonia
l’occhio nero che aleggia sul suo volto, fresco di giornata.
Mi trattengo a
fatica dal fare domande.
Però,
lentamente e faticosamente, Jake sta risalendo
la gerarchia dell’Anaconda, ottenendo la fiducia di gente
sempre più
importante. E pericolosa.
«Come
va?» gli chiedo.
«Abbastanza
bene. Non ho ancora scoperto chi è
l’autore del furto con scasso in Piccadilly Road, ma ho
qualche sospetto. La
prossima settimana ne saprò di più. A te come
va?»
«Il
solito» replico. «Sono ancora indietro con le rate
del bar, e Barnes è sempre più insistente. Temo
che dovrò andare da mia madre,
o implorare Doug per un anticipo.»
«Non
farlo.»
«Credimi,
preferirei saltare giù da un treno in corsa
con i piedi legati, ma … »
«Intendo
dire che non è necessario.»
Jake fruga nelle
tasche della giacca e tira fuori un
mazzo di banconote fruscianti. Lo guardo con tanto d’occhi.
«E
quelli da dove escono fuori?»
«Lavoro»
replica lui, sfuggente.
«Non
di certo il nostro
lavoro.»
«Insomma,
Dan! Pensi che io possa rifiutare dei soldi,
magari dicendo “no, grazie, siete
molto
gentili, ma i miei principi morali mi impediscono di
accettare”?»
«Sono
soldi sporchi, Jake.»
«È
Doug che mi ha mandato qui. Se faccio una cazzata,
la punizione non è il licenziamento. Quelli non hanno
nessuno scrupolo, lo sai.
Credi che ci penserebbero due volte prima di ficcarmi un proiettile in
testa e
poi sciogliere il mio corpo nell’acido? L’hanno
già fatto prima. Ricordi perché
mio padre è finito in prigione? Cosa aveva fatto a quel
poliziotto?»
Non rispondo e
torno a sciacquare i piatti, con più
energia del necessario.
«Prendili»
taglia corto Jake, allungando il denaro
verso di me.
«No.
Tienili. Non voglio attirare sospetti. Parlerò
con Doug, sborserà lui qualcosa.»
«Non
capisci un cazzo» sbotta lui, ed esce dal bar
sbattendo la porta.
Sospiro, temendo
il peggio.
~Un anno e mezzo
prima~
Capisco che
c’è qualcosa che non va immediatamente, non
appena Jake fa il suo ingresso.
Sto contando il
misero incasso del giorno, annotando
scrupolosamente ogni cosa su un taccuino, ma mi interrompo subito. La
sua
espressione è vacua, gli occhi spenti.
«Cos’è
successo?» chiedo subito, facendomi avanti e raggiungendolo.
«Niente.»
«Oh,
non ci provare neanche.»
Jake respira
profondamente.
«Mi
hanno dato un incarico. Shell in persona mi ha
mandato a chiamare.»
Sussulto. Romiro
Shell è uno dei boss dell’Anaconda,
un pezzo grosso.
«Cosa
…?»
«Vogliono
che mi liberi di Davies.»
«Cazzo.»
Davies
è il fautore di alcuni furti e un omicidio. A
lungo collegato dalla polizia con l’Anaconda, Jake ha
scoperto che in realtà
agisce indipendentemente da essa. Ora è tornato in
libertà dopo due anni di
carcere per buona condotta.
«Parla
con Doug, Jake. Forse lui … »
«Non
sa che pesci pigliare. L’ho già
chiamato.»
«Dovremo
rinunciare alla missione.»
Jake stringe gli
occhi.
«Davies
è un assassino» dice lentamente. «Un
criminale. Se eseguissi gli ordini … »
«Jake!»
sbotto. «Sei impazzito? Tu sei un agente
federale. Noi li dobbiamo arrestare, i criminali, non eseguire i loro
ordini!»
«Se
non obbedirò, mi uccideranno. Se me ne andrò,
manderò in fumo la cattura di tutti i boss, e sono
così vicino ad ottenere
delle prove concrete … »
«È
un omicidio a sangue freddo!»
«Ho le
mani legate, Dan. Devo farlo.»
Pallido, lo
osservo, capendo che dice sul serio. E so
che Doug non ha nulla da obiettare.
«Ricordati
da che parte stai» ritento.
«È
proprio perché ne sono consapevole che sono
costretto a farlo.»
Chiudo gli occhi
e lo sento allontanarsi in silenzio.
Prima che chiuda
la porta, mormoro, abbastanza forte
perché possa sentirmi:
«Non
innamorarti della notte così follemente da non riuscire
più a trovare la
strada.»¹
In risposta
ricevo solo lo schiocco della porta che si
chiude.
~Tre mesi prima~
«No,
non ci credo.»
«È
la verità, Daniel, e chiudere gli occhi non la
farà
diventare migliore.»
La voce fredda
di Doug riempie la stanza.
Sono ancora una
volta nel bar deserto, sono quasi le
due del mattino.
La presenza del
mio superiore, che non vedo di persona
da tre anni, ha un effetto sconcertante, come di ritorno improvviso
alla
realtà. Eppure non riesco a concepire ciò che mi
sta dicendo.
Scuoto la testa.
«Non
l’avrebbe mai fatto.»
«Per
quanto scaltro, Jacob è pur sempre un essere
umano. E, in quanto tale, non è
perfetto. Ha ceduto alla tentazione, non è stato forte
abbastanza.»
«No!»
ruggisco, sbattendo il pugno sul bancone tanto
da farmi male.
Ogni osso del
mio corpo duole ancora per il pestaggio
della scorsa settimana. È avvenuto tutto inaspettatamente,
mentre tornavo a
casa dopo il lavoro. Due uomini mi hanno afferrato e picchiato
violentemente,
apparentemente senza motivo, lasciandomi poi incosciente sul
marciapiede. Sono
rimasto tre giorni in ospedale.
«Quel
pestaggio … chi credi che abbia detto loro che
eri un agente federale?»
«Non
… »
«Ragiona,
Daniel, maledizione!» urla Doug. «Chi lo
sapeva, eh? Chi? Io, te e lui! E
basta!»
Mi rifiuto di
accettare l’idea.
«No,
devono averlo scoperto per caso … »
«Così
come hanno scoperto per caso che
stavamo indagando su Shell? E che avevamo telecamere
nella casa di Vandermeer? E che Allan Werner, il giardiniere di casa
Shell, era
uno dei nostri sotto copertura? L’hanno trovato morto, Dan! In un fossato dietro al
bosco!»
«Deve
esserci uno sbaglio.»
«Non
c’è nessuno sbaglio, né
possibilità di
fraintendimenti. Jacob ci ha traditi a favore dell’Anaconda.
Ha ucciso delle
persone, ha rubato in case e negozi, si è alleato con
l’Anaconda per avere
soldi, gloria, prestigio!»
Vorrei scappare.
Vorrei che la
prova evidente della slealtà di
Jake non fosse così
lampante, che ci fosse un margine di dubbio. Ma ogni obiezione
è debole e
inutile, lo so bene.
Jake
è un traditore, e in quanto tale è mio compito
arrestarlo.
Non
innamorarti della notte così follemente da non riuscire
più a trovare la
strada.
Non farti
distrarre, Daniel: non confondere la notte con il giorno, la strada
giusta con
quella sbagliata. Non tradire. Ma cos’è il
tradimento?
Si chiama
così quando sei sleale verso chi ami, anche se ha fatto
qualcosa di orribile?
La
giustificazione sarà mai abbastanza valida da lavarti la
coscienza?
Dentro di
te sai che no, mai lo sarà.
E giusto e
sbagliato si confondono in un unico dolore.
«Ciao,
Dan. Perché mi hai chiamato?»
Il dolore si
accende acuto nel vederlo. Sono sul
ponte, esposto all’aria gelida.
«Ho
bisogno di parlarti.»
«Dimmi.»
«Werner»
dico d’un fiato, le mani che sprofondano in
tasca, in rassicurante contatto con la pistola.
«L’hanno ucciso. Eravamo solo
io e te a sapere chi era, Jake.»
Mi guarda
confuso.
«E
Vandermeer» proseguo «E Shell. E il mio pestaggio,
la scorsa settimana … mi hanno chiamato “schifoso
piedipiatti della CIA”. Sono
troppi elementi, Jake. Troppi … e tutti a tuo
sfavore.»
Mi guarda con
calma straordinaria, per uno che è
appena stato accusato di alto tradimento.
«Lo
so.»
«Cosa?»
«È
la verità, Dan. Sono stato io.»
La sua
confessione pacata mi scuote nel profondo.
Forse, da qualche parte nel mio inconscio, speravo che mi avrebbe
urlato
contro, insultandomi e portandomi delle prove inconfutabili per
dimostrare la
sua innocenza.
«Ma
non per i motivi che pensi tu» prosegue. La sua
espressione passa da tranquilla a tormentata. Mi guarda con occhi di
fuoco. «So
che credi che io abbia seguito le orme di mio padre, ma …
Dan, tu lo sai che io non avrei
mai voluto
farlo. E non l’avrei mai fatto, se non avessi avuto una
ragione precisa.»
«Dimmi
qual è questa ragione, perché non riesco
proprio a vederla» dico a denti stretti.
«Io
… non posso spiegare.»
«Perché
no?»
«È
troppo complicato. Se parlassi … no, Dan, non
posso. Mi dispiace. Ma se tu ti fidassi di me … »
«Come
posso fidarmi di te?» reagisco furiosamente.
«Hai ucciso, rubato, mentito, tradito! Non puoi chiedermi di
avere fiducia in
te!»
«Lo
so» mormora, strofinandosi una mano sulla fronte,
teso. «So che è difficile, ma … tu sei
il mio migliore amico, Dan. Mio fratello. Ti
prego, credimi. Non
volevo farlo.»
Allunga una mano
verso di me con aria implorante.
Esito, quindi
scuoto la testa, indietreggiando.
«No»
sussurro. «Non posso, Jake. Mi dispiace.»
Estraggo una mano dalla tasca, stringendo con mano malferma il mandato
d’arresto leggermente stropicciato che mi ha consegnato Doug.
«Jacob Sawyer, ti
dichiaro in arresto. Hai il diritto di … »
In questo esatto
momento, un uomo salta sul ponte,
scavalcando improvvisamente con un balzo la ringhiera. Allunga una mano
che
impugna una pistola. Non ho tempo di reagire per estrarre la mia, ma
solo un
secondo per riconoscere in lui uno degli artefici del mio violento
pestaggio.
Poi il colpo, la
caduta e il buio.
~Oggi~
Le porte del
carcere sono aperte e i poliziotti stanno
per spingere Jake all’interno.
È il
tramonto, e io sono qui con una pistola in una
mano e un cartello “pronto al suicidio”
nell’altra.
Cazzo.
Ho sceso le
scale di corsa, e so che è questione di
secondi prima che Doug mi raggiunga, capendo le mie intenzioni. Non ho
intenzione di aspettarlo.
Mi faccio largo
tra la folla.
«Ehi!»
grido, poco prima che le porte vengano chiuse.
Pessimo modo per
farsi notare, ma raggiungo lo scopo.
I poliziotti si girano.
Allungo la mano
con la pistola e cala un silenzio
attonito per un istante. Poi cominciano gli strilli terrorizzati della
gente e
i piedipiatti reagiscono, ma sono troppo veloce
–l’addestramento della CIA mi
ha insegnato molto, e non verrò più colto
impreparato come tre mesi fa.
Sparo due soli
colpi alle gambe degli agenti –Dio,
quanto ho desiderato poterlo fare, da
ragazzino- e loro cadono urlando, dimentichi del loro
compito.
Jake coglie
l’imbeccata e, a fatica, corre per
raggiungermi. Nel giro di un minuto qui pullulerà di
guardie, perciò gli
rivolgo un gesto eloquente e, in contemporanea, ci infiliamo
nell’auto
parcheggiata lì accanto.
Ok, da questo
forse si potrà intuire che non è stata
un’azione del tutto impulsiva. Ieri sera ho fatto in modo di
parcheggiare la
mia auto vicino all’ingresso del carcere. Tanto per fare.
Comunque, infilo
le chiavi e parto a mille, sgommando
via dai bassifondi e da St Louis, con Jake accanto a me.
«Evasione»
commenta dopo un po’, piuttosto ammirato.
«Siamo ufficialmente dei fuorilegge, baby.»
Gli lancio
un’occhiataccia. Per ora nessuno ci sta
seguendo, ma dobbiamo sbrigarci a cambiare automobile e, possibilmente,
anche
aspetto fisico. E Stato. O Continente, magari.
Ridacchia e si
sistema meglio la cintura di sicurezza
sul petto, con una smorfia di fastidio. Mi mordo un labbro.
«Come
stai?» gli chiedo.
«Molto
meglio, ora che sono libero.»
«E
… la ferita?»
«A
posto.»
La sua mano
corre d’istinto al petto, dove, sotto la
camicia, è nascosta una cicatrice, ricordo
dell’incidente di tre mesi fa.
Al colpo di
pistola dell’aggressore, evidentemente
diretto contro di me, lui mi si è gettato davanti. Ha preso
il proiettile al
posto mio, buttandomi a terra. Io me la sono cavata con un bernoccolo,
mentre
lui è rimasto in coma due settimane e ha impiegato tre mesi
per uscire
dall’ospedale –diretto in prigione.
In compenso, io
ho sofferto di incubi orribili in cui
mi trovavo sempre nella stessa situazione –inginocchiato sul
ponte accanto a
Jake, con una macchia cremisi che
si
allargava sulla camicia bianca, e lui che mi sussurrava “mi
hai tradito”, mentre il sangue mi scivolava tra le
dita. E poi
guardando le mie mani rosse, mi accorgevo di avere in mano una pistola:
ero
stato io a sparare.
Tu sei il
mio migliore amico, Dan. Mio fratello. Ti prego, credimi.
Ora lo facevo.
Non avrei potuto
non farlo, sapendo che Jake, se
l’avesse voluto, sarebbe potuto scappare e lasciarmi morire
su quel ponte. E
invece mi aveva salvato la vita, mettendo a rischio la sua e sapendo
che, se
mai fosse sopravvissuto, ad aspettarlo ci sarebbe stato il carcere.
Ciò che
aveva sempre cercato di evitare.
Come potrei non
fidarmi di lui, adesso?
Però
sono un essere razionale, e ho bisogno di
risposte soddisfacenti.
«Spiegati»
gli ordino, accelerando appena e
controllando di non essere seguito negli specchietti retrovisori.
«Ho
sempre ritenuto che il più grande privilegio,
sollievo e conforto dell’amicizia fosse quello di non dover
mai spiegare nulla²»
commenta, riuscendo quasi a farmi
sentire in colpa.
«Mi
hai salvato la vita» replico, vagamente a disagio
«E te ne sono enormemente grato, Jake, davvero. Altrimenti
non ti avrei fatto
evadere. Ma l’hai detto tu stesso: ci hai traditi.»
Lui esita,
temporeggia accendendo la radio, quindi
cede.
«Ricordi
la sera in cui ti ho offerto i soldi e tu li
hai rifiutati?»
«Sì.»
«Bene,
quella sera stessa Shell mi aveva mandato a
chiamare. Mi aveva convocato a casa sua e poi mi aveva detto che sapeva
chi
ero.» Fa una pausa studiata, osservando il paesaggio esterno
che scorre via
veloce. «Sapeva tutto … della CIA, della missione,
di te. Pensava che io
potessi essergli utile, però. Io gli ho risposto che poteva
andare a farsi
fottere, che non avrei tradito. È stato allora che mi ha
fatto quell’occhio
nero.» Sospira. «Mi ha dato dei soldi e mi ha detto
di pensarci bene. Mi ha
mostrato la sua pistola e mi ha detto a chiare lettere che mi avrebbe
ammazzato
lentamente, se avessi rifiutato di collaborare. Allora sono venuto da
te, e tu
hai reagito in un modo tale che … ho capito che non potevo
arrendermi. Allora,
il giorno dopo, sono tornato e gli ho detto che non avrei accettato la
sua
proposta. Mi ha chiesto cos’ero disposto a sprecare per la
lealtà alla CIA … se
solo la mia vita o anche la tua.»
Lo guardo senza
capire.
«Insomma,
Dan, mi ha detto che aveva casa tua e il bar
sotto controllo. Che conosceva ogni genere di criminali e che sarebbe
bastata
una parola perché tu sparissi nel nulla misteriosamente.
Allora io ho accettato
di collaborare con lui.»
Sono senza
parole. Fatico addirittura a mantenere la
macchina in strada.
«Dici
sul serio?» mormoro.
«Certo.
L’assassinio di Davies, quello di Werner, le
soffiate su Vandermeer … ho detto e fatto tutto
ciò che mi chiedeva perché tu
eri sotto minaccia. Il tuo pestaggio è avvenuto
perché mi ero rifiutato di
ucciderlo io, Werner, con le mie stesse mani. Allora Shell ha deciso di
darmi
un assaggio della serietà delle sue minacce.»
«Oh,
Dio. Oh, mio … » mi interrompo. «Ma
aspetta … chi ha detto a Shell di noi due?»
«Non
lo so.»
In
un lampo, ricordo le parole di Doug: “Ragiona,
Daniel, maledizione! Chi lo sapeva, eh? Chi? Io, te e lui! E
basta!”.
«È
stato Doug» dico, e lo faccio con assoluta
certezza, stringendo le dita sul volante.
«È
quello che ho pensato anch’io, ma non ha alcun
senso. Perché mai avrebbe dovuto? Voglio dire, è
un pezzo grosso della CIA, che
interesse avrebbe avuto … ?»
«Soldi»
replico. «Soldi sporchi … che altro?
Evidentemente le soffiate all’Anaconda gli fruttavano
più di quelle alla CIA.»
«Bel
colpo, ragazzi» commenta una voce spaventosamente
familiare.
Sia io che Jake
sobbalziamo prima di renderci conto
che proviene dalla radio. In qualche modo Doug deve essersi intromesso
sulla
nostra frequenza.
«Un
bel colpo davvero, di grande effetto. Ma che ne
pensate di girare il culo e tornare qui? Vedrete che andrà
tutto bene. Siete
nella CIA, dopotutto … farò tutto ciò
che è in mio potere per evitarvi
l’ergastolo.»
Io e Jake ci
scambiamo un’occhiata significativa.
«Tu
che ne dici, Jake?» chiedo, sapendo che comunque
Doug non può sentirci.
Lui sorride e
tira fuori una sigaretta dalla tasca. La
accende con fare indolente e soffia via una nuvola di fumo.
«La
Nuova Zelanda mi ha sempre attratto» dice
pigramente.
«Temo
che dovremo rapinare una banca, per quello.»
«Ho
una soluzione più semplice» sogghigna,
allungandosi
per cambiare il canale della radio, mettendo così a tacere
la voce sempre più
insistente di Doug. «Mai sentito parlare di Las
Vegas?»
Socchiudo gli
occhi e annuisco.
«Sai,
il poker è il mio gioco preferito» asserisco.
«Sapevo
che mi avresti capito.» Mi guarda di
sottecchi. «Amici?»
Non esito
più prima di battere il pugno contro il suo
e rispondere, deciso:
«Amici.»
E la nostra auto
si allontana sgommando nel
crepuscolo, sulle note stridenti di Freedom.
n.d.A:
¹
citazione di Kate Mansfield.
²
citazione di “Intervista col vampiro”.
Valutazione
della giudicia:
adamantina
- Back to St Louis
Correttezza grammaticale: 8,7/10 punti
Ci sono un paio di errori di distrazione (tipo
“vola” invece che “volta”, un
articolo omesso, e un “di” a posto di un
“si”) e un
“ventitrè” con l’accento
sbagliata (è “è” non
“é”). Alcuni tempi verbali non mi
convincono pienamente, e
questo lo considero un parere personale dovuto alla mia passione per il
passato
remoto. Ma non ho considerato niente di tutto questo nel punteggio, te
lo
faccio presente giusto per correttezza.
Quelli che ho considerato, invece, sono alcuni errori di punteggiatura:
- “«Sta arrivando» commenta, e nonostante
sia sempre freddo e distante oggi
riesco a cogliere un certo compiacimento nel suo tono di
voce.” Qui secondo me
dovrebbe andarci il punto dopo “commenta”, poi il
resto dovrebbe essere “E,
nonostante sia sempre freddo e distante, oggi […]”
perché ci dovrebbe andare
una virgola dopo la e (anche senza il punto).
- In questa frase: “Lo chiamano traditore, bastardo, e gli
urlano meriteresti
la sedia elettrica, o cose del genere” leverei la virgola tra
“la sedia
elettrica” e “o cose del genere”
perché mi sembra inutile.
- In quest’altra: “Alza le spalle. Prima che io
possa insistere, o cominciare
una predica sull’importanza della sobrietà del
senso di misura, la porta di
Doug di apre.” Leverei il punto e metterei una virgola, tipo
“Alza le spalle e,
prima che io […]” (Inoltre questa è la
frase in cui hai scritto “di” invece che
“si”).
Stile: 14/15 punti
Lo stile mi è piaciuto parecchio. Dici che questa storia
è una novità e che su
questo genere non scrivi parecchio, ma ti dico che lo stile che hai
usato a mio
parere è perfetto (ma neanche io sono tanto esperta del
genere quindi non so
quanto possa essere vero).
A parte qualche errore che ti ho fatto notare prima, la lettura era
scorrevole
e le frasi non erano troppo pesanti.
Anche il lessico è adeguato al tema e alle situazioni. E a
proposito di questo
ti faccio un piccolo appunto: secondo me dovresti mettere un rating
Giallo e/o
un avvertimento sul linguaggio (per esempio Linguaggio Colorito, se
c’è su
EFP), perché non è esattamente una storia da
rating verde.
Una cosa che non ho gradito molto è come hai iniziato il
racconto della parte
di “Cinque anni prima”, perché scrivi
così ma parti da molto prima, e il
lettore si trova un attimo spaesato (forse anche perché
è in questa parte che
ho trovato dei tempi verbali che non mi convincevano).
Originalità: 14/15 punti
La storia non è originale per il tema trattato, ma ormai
abbiamo così tanti
anni di letteratura alle spalle che è quasi impossibile
trovare qualcosa di
originale. Eppure l’ho trovata nuova in qualche modo.
Perché si legge che ci
hai messo qualcosa di tuo e di nessun altro. Perché la
storia di Jake e Daniel
è simile a tante altre, ma è comunque solamente
la loro. Ho trovato qualcosa di
particolare in loro e nel racconto. E’ qui che sta
l’originalità.
Attinenza/uso prompt: 10/10 punti
Partiamo dal fatto che innanzi tutto hai usato il massimo di prompt che
potevi,
quindi questo è già un buon punto da cui partire.
Ho apprezzato moltissimo il
modo in cui hai usato la citazione! L’hai inserita nel punto
perfetto, dove era
giusto che andasse, nel momento in cui doveva esser detta. Niente di
più
giusto.
La storia è ambientata al tramonto, ma non è
quello che dà importanza all’uso
di questo prompt, bensì la frase che hai scritto alla fine
“È il tramonto, e io
sono qui con una pistola in una mano e un cartello “pronto al
suicidio”
nell’altra.”. Mi ha colpita ed inoltre rende il
tramonto significante.
Anche il prompt cremisi è utilizzato bene: è
associato al colore del sangue di
Jake e tormenta Daniel per quello che è accaduto.
E’ come un punto chiave: è
dopo questo che Daniel prende la sua decisione.
Così come è usato bene la
slealtà.” E’ slealtà quella
di Jake?” E’ questo
quello che si chiede Daniel, è anche questo che vorrebbe
capire e perdonare,
anche se non può farlo. E’ così fino
alla fine, finché tutto non si chiarisce.
Infine anche “umano” è stato inserito
bene. Jake è stato costretto ad entrare
nell’organizzazione da cui voleva fuggire e che desiderava
combattere, ed alla
fine sembra invece cedere alla tentazione che essa offre,
perché è un essere
umano ed è normale per un uomo cedere ad essa.
I prompt li hai usati perfettamente, quindi non vedo perché
non dovrei darti il
punteggio massimo!
Giudizio Personale: 5/5 punti
Si è già capito che ho amato questa storia?
Perché altrimenti continuo a
ribadirlo, anche se non so cos’altro aggiungere.
L’ho apprezzata moltissimo:
ben scritta, bella trama, ottimo stile, attinenza al tema perfetta, e
sto
adorando Jake e Daniel. Non credo di poter aggiungere altro, non ci
sono
parole. Solo: complimenti!
Totale: 51,7/55 punti.