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Autore: Salice    06/09/2011    10 recensioni
(tratta dal capitolo)
Chissà perché, si era aspettato di trovarsi davanti Sakura, pronta a mollargli un pugno che avrebbe spedito lui e l'intera bancarella nel muro di fronte. Invece no. Sakura era crollata, e Kakashi l'aveva portata via senza dire niente, con uno sguardo colmo di un dolore immenso.
E davanti a lui c'era Hinata.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Hinata/Naruto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Ultima_luce_sulle_nuvole.html


Se volete una canzone da ascoltare come sottofondo alla storia, io vi consiglio questa

L'ultima luce sulle nuvole


Si era fermato al chiosco di ramen, dopo quella missione, e non si era più alzato dallo sgabello. Era rimasto per ore ed ore, senza mangiare niente, per la prima volta da... da sempre, per quello che poteva ricordare. Aveva ordinato una bottiglia di sakè dietro l'altra, e si era limitato a buttarle giù senza neanche sentirne il sapore. Sapeva solo che gli bruciava in gola e gli riempiva la testa di ovatta. Non si sarebbe alzato da quello sgabello finché non avesse più avuto la forza di tirarsi su, aveva deciso. Il che, più o meno, significava che non aveva intenzione di alzarsi più. Voleva solo affogare e affogare. Neanche il proprietario aveva avuto il coraggio di dirgli qualcosa. La notizia del suo ritorno si era sparsa a macchia d'olio e il villaggio intero sapeva. Si era sentito tutti gli occhi addosso, ma quello era stato il meno. Ci era abituato e, con quel peso tra le braccia e sul cuore, neanche li aveva notati. Il peggio era stato Sakura. L'aveva vista crollare, e si era sentito morire.
Buttò giù un altro sorso di Sakè, ignorando lo sguardo pietoso del proprietario. Il mondo cominciava a girare intorno a lui, e anche se non scacciava i fantasmi, li rendeva un po' più sbiaditi, un po' meno veri. Uno scricchiolio sul selciato lo fece girare all'improvviso. Chissà perché, si era aspettato di trovarsi davanti Sakura, pronta a mollargli un pugno che avrebbe spedito lui e l'intera bancarella nel muro di fronte. Invece no. Sakura era crollata, e Kakashi l'aveva portata via senza dire niente, con uno sguardo colmo di un dolore immenso.
E davanti a lui c'era Hinata.
Era pallida, e gli occhi bianchi sembravano ancora più enormi, sotto quella coltre di capelli neri. Li aveva incollati alla fronte, al viso, al collo, e le davano un aspetto sparuto e spaventato, come di un cucciolo che avesse perso ogni riferimento. Naruto scacciò quell'illusione: Hinata era forte e glielo aveva dimostrato. Solo, dentro, aveva qualcosa di fragile e bellissimo, come di una farfalla dalle ali umide e appena schiuse, di quelle che non devi toccare, se vuoi vederla volare. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma la bocca era impastata di alcool e dolore, e non ne voleva sapere di schiudersi. Lei però non gli fece domande, ma si avvicinò e basta, fissandolo con quelli occhi di luna enormi, tanto che gli sembrava che potessero inghiottirlo intero. Erano occhi colmi di ansia e preoccupazione, di panico ma... Ma in fondo a questi occhi c'era anche un moto di pietà e dolcezza, che lui sapeva, c'era sempre stato. Poche persone sapevano guardare dentro gli altri come Hinata. Forse era perché non parlava mai, che riusciva a cogliere così tanto, e a comunicare con quel suo corpo morbido, e il volto da bambina, talmente tanto...
Ma intanto si era perso, e si trovava appoggiato alla spalla di lei, mentre le vedeva svuotare il borsellino per pagare le sue consumazioni. Ancora una volta, avrebbe voluto dirle che non c'era bisogno e che poi, poi aveva deciso di rimanere lì, quindi non era il caso di pagare ma...



Lo aveva condotto barcollando al suo minuscolo appartamento, e lo aveva portato ben oltre la soglia. Ora Naruto era sdraiato a pancia in su sopra al letto, e stava guardando la luna e le stelle che vorticavano fuori dalla finestra. Chiuse forte gli occhi, perché non voleva guardare. La stanza non smise di girare.
Non c'era nulla che avesse senso dopo tutto quello che era successo, e tutta quella luna non serviva a niente. Si era seduto al chiosco che era pomeriggio, ma ora doveva essere notte fonda; aveva tentato di ubriacarsi, forse fino a svenire, ma non c'era riuscito. Probabilmente c'entrava il chakra della volpe. Una volta, scherzando con Jiraya. era venuto fuori il discorso e il vecchio gli aveva detto che probabilmente non sarebbe mai riuscito ad ubriacarsi sul serio. Dannato vecchio e dannata volpe!
Quando il peso di qualcosa si appoggiò sul materasso morbido, rotolò a fatica su un fianco. Era infantile, ma non voleva che Hinata lo guardasse, aveva visto abbastanza. Avrebbe voluto rimanere solo, ora, ma lei era ancora lì, e respirava piano.
“Mi dispiace tanto, tantissimo, per Sasuke.”
Lo aveva detto. Ecco. Nessuno ne aveva avuto il coraggio, fin'ora. Nessuno gli aveva detto una parola, da quando era entrato dalle porte del villaggio con il cadavere tra le braccia, pallido e ancora macchiato di sangue. Nessuno aveva chiesto nulla. Glielo avevano delicatamente tolto di mano, e lui se lo era lasciato scivolare così, dolcemente. Perché quella cosa, di Sasuke aveva solo l'aspetto, ma tutto quello che lui aveva cercato per anni non c'era più. Poi Sakura era caduta, Kakashi l'aveva sollevata, e lui aveva stampate davanti agli occhi le immagini di due manichini, privi di vita, portati a braccia lontano da lui. Era come se fossero morti entrambi, lo sapeva. Anzi, probabilmente erano morti tutti e tre, perché mai come quando erano stati insieme erano stati vivi, e perdersi con la speranza di ritrovarsi era stato doloroso ma... Ma perdere la speranza lo era stato di più. Qualcosa si era spezzato, e non si sarebbe riaggiustato.
La mano di Hinata gli sfiorò la schiena, e all'improvviso lui la afferrò e la strinse, fino a farla sussultare. Non le importava di poterle fare male, perché in quel momento lui voleva la certezza di non essere solo. E voleva averla vicino, vicino, vicino. Così tanto da poterle entrare nella pelle, così tanto da poter sapere che non era morto. Non era morto tutto quello che c'era in lui, anche se Sasuke non ci sarebbe stato mai più. E Hinata era soffice e morbida, con quei colori chiari e scuri, come una visione di nuvola tra i fumi dell'alcool. E in quel momento non gli importava di altro che di sentire un altro corpo accanto al suo.



Non era stato il primo giorno, e nemmeno il secondo, o il terzo, o il quarto. Senza spiegargli bene davvero il perché, Hinata si era presentata a casa sua tutti i giorni. Non parlava quasi mai, e a lui stava bene così. Rimaneva sdraiato ore a fissare il cielo dalla finestra, a veder girare il sole e le stelle, e a volte le nuvole che correvano veloci o si fermavano, spazzando il villaggio e rigando i vetri di pioggia. Il tempo che faceva gli era indifferente. Hinata era sempre lì, silenziosa, e gli portava cibo che di tanto in tanto lui si sforzava di ingoiare, più che altro per non farla preoccupare. Nella cupola di vuoto che lo avvolgeva si era reso conto che quando Hinata tornava – dopo quanto tempo? - e trovava le ciotole completamente intatte lo fissava sgomenta per diversi minuti.
Dormiva a tratti, senza sapere effettivamente quanto tempo fosse passato, ma ogni volta che apriva gli occhi ed era giorno la trovava lì. L'ultima volta era stato diverso: si era svegliato a notte fonda, in preda ad un incubo. Ombre scure cercavano di strappargli il cadavere ancora caldo di Sasuke dalle braccia, e lui non riusciva ad impedirglielo. Era saltato sussultando sul letto e Hinata aveva fatto altrettanto, sulla poltrona. Si era fissati in silenzio, ansimando, poi Naruto per la prima volta da giorni si era sentito sveglio, e aveva notato che lei aveva gli occhi gonfi di sonno, cerchiati da occhiaie scure. I capelli erano arruffati come non li aveva mai visti, e sulla fronte aveva un cerchio rosso, dove l'aveva appoggiata sulle braccia per riposare. Senza che lo potesse controllare – perché no, non era giusto, senza Sasuke – un sorriso gli era spuntato sulle labbra e si era alzato. Hinata si era tirata in piedi a sua volta e gli si era avvicinata, preoccupata. Non gli aveva chiesto niente, questo no, ma aveva un'espressione ansiosa.
Era stato a quel punto che le si era stretto addosso, permettendole per la prima volta di toccarlo davvero. Si era come spezzato all'improvviso, e tutto il gelo che si era costruito attorno era divenuto polvere. Hinata aveva barcollato sotto al suo peso, ma non si era piegata né lo aveva lasciato, ed era stato a quel punto che lui l'aveva trascinata sul letto, accarezzandole il viso e i capelli mille volte, e poi le mani bianche, le braccia e le spalle sottili, sproporzionate ai pensieri che le vorticavano cupi in testa. Nel buio appena spruzzato di luna respiravano entrambi a tratti, come se stessero correndo, mentre piano piano tutti i vestisti si ammucchiavano ai piedi del letto o contro la finestra. La luce si era fatta una pozza liquida bianca che filtrava dai vetri, illuminando quel poco di Hinata che si poteva vedere sotto di lui, arruffata, fragile eppure forte, luminosissima. Ed era stato in quel momento che aveva appoggiato la bocca sulla sua, beandosi della sensazione di completezza che ne riceveva. Come bere acqua fresca nel deserto, sentiva di non avere più bisogno di altro. Non poteva dimenticare il passato, no – mai avrebbe dimenticato Sasuke e Sakura – ma riusciva di nuovo a respirare. Per la prima volta da giorni si sentiva vivo, e gli sembrava che ci fosse qualcosa che valesse la pena di fare, oltre ad aspettare di morire lì, dove si trovava. Aveva avvolto le mani a coppa attorno al volto di lei, e aveva sorriso vedendole spalancare gli occhi, lievemente sorpresa. Era stata Hinata a rimanergli accanto ogni giorno dal suo ritorno. Era stata lei a dichiararsi ed aspettarlo, nonostante lui non si fosse degnato di risponderle. E all'improvviso tutto quello che lui non aveva mai saputo di provare era maturato dentro di lui. Libero del gravoso peso di Sasuke, del Team 7 e della responsabilità che provava per Sakura, qualcosa si era svegliato dentro di lui, riportando alla luce cose a cui prima non aveva mai voluto pensare.



Non sapeva esattamente perché l'aveva evitata. Sotto sotto si era reso conto anche prima di quella plateale dichiarazione, che Hinata provava una certa simpatia per lui. Solo che non aveva mai voluto approfondire. C'era sempre Sasuke – Sasuke. Sasuke, Sasuke! – che ronzava nella sua testa. Sasuke, Naruto e Sakura. Era come un mantra. Era tutto quello che lui considerava una famiglia. E Kakashi, certo. Ma Kakashi era come la montagna degli Hokage, mentre Sasuke era da recuperare e Sakura da difendere. Erano tutto quello che aveva e non c'era niente di più importante.
Eppure aveva sempre riso e scherzato, fingendo. Non aveva mai aperto il suo cuore a nessuno, perché dopo tutti i graffi, le botte e i colpi, era anche troppo malconcio per mostrarlo in giro. Gli era sembrato più saggio – o forse più comodo – far finta che non ci fosse proprio niente da mostrare. E aveva perso un sacco di tempo. O forse no. Dopotutto lui sapeva di non essere pronto a dire o fare qualsiasi altra cosa che non fosse occuparsi di Sasuke. O comunque di allenarsi in prospettiva di Sasuke. Era tutto in funzione sua, e non voleva vedere altro. Lei era sempre stata ai margini della sua vita, una presenza silenziosa e costante. Ora, con il senno di poi, riusciva a collocare tutte le gentilezze che lei gli aveva dimostrato, e capiva anche che dall'ammirazione, con un balzo notevole, era riuscita a passare all'amore. Era quello che più o meno stava accadendo a lui, solo che anziché impiegarci mesi o anni, si era improvvisamente risvegliato. In un angolo remoto della sua testa si rendeva conto che semplicemente questa “cosa” era cresciuta dentro di lui indisturbata, rigogliosa e selvatica, proprio perché non ci aveva mai pensato, né si era degnato di darle una collocazione. Come un'edera dall'aspetto di discreto e poco appariscente, aveva rivestito ogni angolo disponibile, e a lui era bastato uscire dal bozzolo che aveva creato per Sasuke, Sakura e per sé stesso, per poterlo scorgere.



All'inizio aveva pensato che potesse essere una cosa passeggera. Un sostegno che si era preso per riprendersi, zoppicando, da tutto quello che era successo. Poi si era reso conto sempre più di girare attorno a lei come un girasole* All'improvviso gli importava soprattutto di vederla felice. Il suo splendore bastava ad illuminargli un giorno intero. A volte riusciva a strapparle un mezzo sorriso imbarazzato, mentre di tanto in tanto la scorgeva sorridere ampiamente, fino a vederle spuntare due meravigliose fossette ai lati delle labbra. Altre volte ancora lei rideva di qualcosa, ed era un suono meraviglioso, anche se la vedeva coprire la bocca, come se si vergognasse.
Quando aveva capito di volersi impegnare davvero, di volerle donare tutto quel tempo che non le aveva dedicato prima, aveva visto uno dei suoi sorrisi più belli. Un altro, stupito, timido e tremante, era stato quando si era presentato da suo padre e l'aveva chiesta in sposa. Hiashi era stato prima calmo e incredulo, poi aveva urlato e lo aveva cacciato di casa, ma Hinata lo aveva rincorso con le lacrime agli occhi, ed erano corsi via insieme, benedetti dal sorriso di Neji, che era rimasto a fare da intermediario. C'era voluto anche Kakashi, per convincere il padre di Hinata a più miti consigli, e si era risollevato un poco solo quando Kakashi gli aveva assicurato che aveva scelto Naruto come suo successore. E proprio Kakashi li aveva sposati, sotto il cappello che era stato del terzo e di suo padre. Lo stesso cappello che Tsunade non aveva praticamente mai indossato.
Si erano presentati sulla terrazza davanti alla montagna degli Hokage, davanti ai volti di quelli che ormai lui era certo fossero tutta la sua famiglia, e aveva scorto il maestro Iruka asciugarsi gli occhi facendo finta di niente. Konohamaru aveva schiamazzato più di tutti gli altri, mentre Sakura e Ino avevano creato una corona di fiori per Hinata e distribuito cestini di petali a tutti i presenti. Anche Gaara si era presentato, ed era rimasto silenzioso e solenne tutto il tempo, salvo poi stupire tutti con un sorriso alla fine della cerimonia. Con lui si era presentata Temari, con un'espressione scocciata sulla faccia, ma Naruto era sicuro di averla vista allontanarsi subito dopo la fine del rito. Casualmente, di Shikamaru – era proprio il caso di dirlo – non c'era neanche l'ombra da un pezzo, ormai. Il peggiore era stato Kiba. Li aveva fissati trucemente tutto il tempo, e solo quando Hinata gli aveva sfiorato il braccio si era come risvegliato. E lo aveva preso a pugni minacciandolo di torture tremende se non la avesse trattata più che bene. Sotto la scorza da duro, Naruto sapeva che non stava scherzando e per una volta si era affrettato a garantire che non avrebbe mai permesso a nessuno di farle del male. Era stato un dolce ricordo dei vecchi tempi, vederla arrossire a quelle parole, davanti a tutti. Le facce erano troppe per ricordarle tutte, ma lui era sicuro che in quel momento ci fossero i vivi e anche i morti, perché gli sembrava di sentire le loro mani e il loro respiro nell'alito di vento tiepido di quel giorno.
I ricordi erano confusi e colmi di luce, in quel periodo, come se tutto si fosse svolto in un'unica, lunghissima, primavera. Era sicuro che fosse passato molto tempo dal suo ritorno al giorno del suo matrimonio, ma per lui si era condensato tutto in un groviglio pulsante di emozioni, dove l'unica dimensione che aveva senso era il tempo che poteva passare con lei. Tutto il resto scivolava via, ininfluente.



Era meraviglioso. Il vento frusciava dolcemente tra le fronde, tiepido di una brezza estiva e il giardino in piena fioritura era meraviglioso, anche se minuscolo. Avevano lasciato il suo appartamento quando Hinata gli aveva detto di essere rimasta incinta. Volevano che il loro bambino potesse crescere felice in libertà, e Naruto sosteneva che non c'era niente di meglio di un piccolo giardino e una famiglia, per far felice un bambino. Adesso li avevano entrambi. Chinò il capo, fissando il volto chiaro della sua primogenita. Dormiva scomposta, con un viso da angioletto, la testa poggiata sulle sue ginocchia e i piedi nudi in alto. A parte i capelli biondi sempre scompigliati, era il ritratto vivente di sua madre e aveva due occhi di luna capaci di inghiottire una stanza intera. Si era inaspettatamente guadagnata l'adorazione istantanea di Hiashi al primo sguardo: il capofamiglia l'aveva presa in braccio mormorando qualcosa su come assomigliasse alla madre di Hinata. Dal canto suo, Naruto ne era rimasto incantato fin da quando, appoggiando l'orecchio al ventre rotondo di Hinata, aveva sentito il primo calcio. Ormai erano passati quasi sei anni, ma sua moglie era forse anche più bella di prima. La intravide dalla porta, mentre teneva per mano la loro secondogenita che invece era tale e quale a lui. La prova più evidente era vederla lì, insofferente alla stretta che tentava di divincolarsi, con indosso il suo cappello da Hokage. Era suo da meno di un anno, ma lo aveva accettato con una consapevolezza nuova: forse era anche il ninja più forte del villaggio, ma quello che contava era che più di tutti aveva qualcosa da difendere; qualcosa che ora che lo aveva conquistato, non si sarebbe lasciato scappare più. Hinata lasciò la presa e la piccola corse via come un uccellino appena scappato dal nido, attraverso l'erba del giardino. Quando si avvicinò a lui, Naruto fissò lo sguardo su sua moglie, quasi stupito che nonostante tutto il tempo, le guerre e il terzo bambino in arrivo, lei conservasse quello sguardo limpido e innocente. Era fortunato; fortunato ad avere avuto tutto quello che non aveva mai osato chiedere. Per troppo tempo era rimasto concentrato sul passato e su cosa aveva perso, rischiando di compromettere anche la sua felicità futura. Senza pensarci allungò un braccio verso di lei, stringendole la vita con una mano e appoggiando l'altra dove il bambino stava crescendo. Lei sorrideva e riusciva ancora, nonostante tutto, ad arrossire. La vide spaziare lo sguardo lontano, verso il sole che tramontava dietro le colline, mandando bagliori rossastri sulle nuvole, prima di lasciare spazio al fresco crepuscolo e poi alla notte. Seguì il suo sguardo che andava lontano e poi, cercando la sua mano, le strinse le dita come aveva fatto mille volte dopo quella prima volta, ora delicatamente. Era per quelle dita sottili, per quei bambini che ora stavano crescendo, i suoi, ma anche i figli dei suoi amici, per garantire loro un futuro di pace, che avrebbe difeso il villaggio della foglia e lottato per mantenere la pace trai ninja.

Fine






Una storia lieve, senza troppe pretese, che mi è venuta in mente ascoltando una canzone. La dedico ad Elos, per quel che vale, per la sua pazienza. Altre storie, brevi, arriveranno qui e là, dedicate ad altre autrici che stimo, per la loro pazienza.
Grazie di aver letto!

   
 
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