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Autore: _Aelite_    06/09/2011    8 recensioni
Siamo andati oltre l'inimmaginabile, oltre tutto quello che avevano detto o fatto capire gli altri. Il mondo. Questo mondo ci aveva relegati, emarginati, etichettati come malati, come persone incapaci di impiegarsi per la società. Ed era vero. Noi eravamo socialmente inutili.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aoi, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guida bonsai alla lettura della presente fic! 

Il primo paragrafo è un dialogo arrandom. Carattere normale Aoi, Carattere in corsivo Uruha. 
Per il resto della fic, ciò che è scritto in carattere normale è il presente. Ciò che è scritto in corsivo il passato.

Dialoghi: nel passato, Aoi parla in caratteri corsivi in armonia con i ricordi, che sono suoi. Le parti di Uruha sono in carattere normale sottolineato. 

Non penso ci sia altro da precisare, per le note vi rimando alla fine della storia! Buona lettura. 

I personaggi usati per la presente storia appartengono a loro stessi e fortunatamente godono di buona salute, nulla di tutto questo è scritto a scopo di lucro. ^^ La storia contiene espliciti elementi d'amore omosessuale e quindi yaoi. Non penso che in questo fandom qualcuno sia infastidito dal genere, ma a scanso di equivoci se la cosa ti infastidisce, bene, ti prego cortesemente di non leggere per amore della tua e della mia felicità. ^^ 

Fine delle note pallose. xD 

 

 

 

 

Shizuka. 

 

 

 

"Tu lo sai che siamo andati oltre l'impossibile, vero?" 

 

Si, lo so. 

 

 

"E non hai rimpianti? Non…non hai sentito mancare qualcosa?"

 

No, nulla. Non ho rimpianti. 

 

"Io…ti basto? Anche se non…non…"

 

Silenzio, Yuu. Il silenzio che senti è pieno di te. 

 

"Ti amo, Kouyou."

 

Ti amo, Yuu.

 

Siamo andati oltre l'inimmaginabile, oltre tutto quello che avevano detto o fatto capire gli altri. Il mondo. Questo mondo ci aveva relegati, emarginati, etichettati come malati, come persone incapaci di impiegarsi per la società. Ed era vero. 

Noi eravamo socialmente inutili. 

Io, costretto a letto a vita da una paralisi totale alle gambe e dalla cecità permanente. Lui, muto e affetto da una malattia degenerativa cronica della quale non ho mai saputo nulla. Gli infermieri vociferavano su di noi, fuori dai corridoi, fino a qualche mese fa. 

Solo al commento di uno di loro sorrisi; Suzuki, credo. All'affermazione: "E' una barzelletta, un muto e un cieco che si amano, inconcepibile." lui rispose: "L'amore non è una barzelletta, va oltre il concepibile." e fece tacere il corridoio. 

Ripensando a quel giorno, il nostro primo giorno assieme, sento il sorriso affiorare sul mio volto. Non mi avevano detto nulla, di lui; ero semplicemente molto emozionato all'idea di avere finalmente un compagno di stanza più o meno permanente, in clinica, con il quale scambiare opinioni anche senza la necessità di vederlo in viso. Certo, quella non l'ho mai avuta, intendiamoci. Ma la sola idea di poter parlare un po' con qualcuno che veniva da fuori, dal mondo esterno all'ospedale, mi eccitava. 

Mi avrebbe raccontato che colore ha davvero il cielo? Sarebbe stato capace di descrivermi la forma delle onde del mare, e com'era il mare stesso? Avrebbe saputo, lui, plasmare nella mia mente piena di bianco l'illusione di un'immagine? 

Quando quel giorno sentii aprire la porta e annunciare l'arrivo del mio nuovo compagno di stanza, sorrisi apertamente e mi girai verso l'infermiera che aveva appena detto: "Mi segua, signor Takashima. Mi lasci pure le sue cose, le sistemerò io." pronto a salutare la persona che l'avrebbe seguita. Non so descrivere la sensazione di inadeguatezza quando, al mio saluto, mi rispose l'infermiera stessa dicendo che il signor Takashima ricambiava.

Riuscii a farmi tutti i viaggi mentali del caso: da tanto felice che ero, mi sentii improvvisamente a terra. Tutta l'eccitazione era svanita, tutte le aspettative che avevo erano sfumate in un istante…ero convinto di sapere. Sapevo che lui si era accorto della mia condizione. 

Forse non ero uno spettacolo gradevole alla vista, pensai. Forse una persona cieca, che può muovere solo busto, braccia e testa, alla fine, mette troppa soggezione anche per parlarci assieme. 

Mi chiusi nel silenzio fino alla sera di quello stesso giorno. 

 

"Yuu-san, Kouyou-san, la cena è servita!" disse l'infermiera, ponendo sui tavolini dei due letti due vassoi colmi di cibo. Kouyou la ringraziò con un cenno della testa, poi richiamò la sua attenzione e le chiese per quale motivo il suo compagno di stanza non parlasse mai.

Ma Yuu non sentì la domanda. Solo la risposta, lievi spostamenti d'aria e una matita che graffiava un foglio di carta. 

"Kouyou-san, Yuu-san è cieco. Per questo non può capire quel che lei…mh…scrive o gestualizza." rispose quella. Yuu a quel punto schiuse le labbra. 

"…mi sta dicendo che il mio compagno di stanza è…muto?" chiese quindi il moro, ripresosi solo parzialmente dalla risposta della donna. L'infermiera, in risposta, sospirò. 

"Se tutto questo ha un nome, quello è crudeltà. Per favore, se ne vada, non ho fame." e fu a quel punto che Kouyou vide la prima lacrima solcare il viso del suo angelo nero. 

 

Certo, la reazione che avevo avuto quel giorno è stata…come dire, esagerata? Si, forse. Ma comprensibile. Per la prima volta dopo tanto, tanto tempo avevo potuto concedermi il lusso di farmi qualche illusione, fantasticare su qualcosa di bello. Ricominciare a immaginare a modo mio cose che non sapevo nemmeno più di poter pensare. 

Il fatto che Kouyou fosse muto aveva annullato ogni mia aspettativa tanto rapidamente quanto un soffio può spegnere una candela. Ero convinto che quel silenzio, divenuto estremamente imbarazzante e forzato dalla presenza di un'altra persona, mi avrebbe tormentato per sempre. E a me terrorizzava quella prospettiva. Per me, il minimo rumore rappresenta vita. Rappresenta non tutto, non niente, ma qualcosa. Qualcosa a cui posso sempre aggrapparmi. E la sua voce sarebbe stata qualcosa di paradisiaco. 

Invece era muto, e io sentivo solo silenzio. Sporadici spostamenti d'aria, graffite che rigava fogli di carta. Nient'altro. 

Poi, dopo settimane di silenzio… 

 

 

Yuu sentì un foglio sotto le sue dita. Era bucherellato, i fori erano in rilievo. inclinò la testa, rivolta al muro davanti a lui, e schiuse le labbra. 

"Cos'è..?" chiese. Kouyou era accanto a lui, e teneva il foglio fermo sotto le sue mani. Sorridendo, iniziò a far scorrere la mano destra di Yuu sui forellini da lui praticati. 

"Cosa stai facendo? Non ca…" Yuu sentì il suo cuore fermarsi. 

Ho trovato il modo di parlare con te, Yuu-san. 

"Il braille…" realizzò il moro, con un fil di voce. Continuò a ripassare i forellini in rilievo sul foglio, tantissime volte, incredulo. Dopo poco si ritrovò un altro foglio, sotto le dita, leggermente più ruvido, con altri forellini: impaziente ed estremamente emozionato, lesse. 

Ho imparato il Braille per te. Non piangere più. 

Invece pianse. Pianse tantissime lacrime, quel giorno. Trovò il coraggio di portare una mano in alto, davanti a sé; senza bisogno che Kouyou sentisse nulla, la accompagnò al suo viso e gli permise di toccarlo, di tracciarne contorni e lineamenti. 

Lo scoprì sorridente. 

E pensò che Kouyou aveva un sorriso bellissimo. 

 

 

Ebbene, Kouyou aveva taciuto settimane intere, studiando ore intere il mio alfabeto, l'unico modo che avevo per sapere cosa succedeva fuori dalla nostra stanza di ospedale. Scoprii che il mio compagno era una persona estremamente colta e intelligente; non era da tutti imparare in poche settimane un linguaggio complesso come quello dei simboli di Braille. 

Non ci volle tutto il mio intelletto per scoprire anche che aveva un animo estremamente nobile. Ma quello lo capii dalla sua prima frase; non era da tutti imparare il Braille per uno sconosciuto. Tanto per ribadire certi concetti, già. 

Così, mentre io rispondevo a voce, lui mi scriveva; e giuro, non so descrivere nemmeno la gioia che sentivo salirmi al cuore quando lui iniziava a lavorare con la sua matita appuntita sul foglio. Dopo qualche giorno di pratica, divenne più corretto nella forma, più veloce nel rispondere: i miei desideri si erano tacitamente realizzati. Era capace di comunicarmi le sensazioni che un tramonto poteva suscitare, era riuscito a farmi sentire che profumo associare ai colori, era riuscito a raccontarmi di libri e film che io non avrei mai potuto leggere o vedere. 

Eppure, con lui, era come averli visti. 

Insieme. 

 

 

"Perché sei qui? Non te l'ho mai chiesto." chiese Yuu, giocando con un lembo della sua coperta, tirandola appena. Era inverno, e cominciava ad abbassarsi la temperatura: la clinica ospedaliera garantiva un buon riscaldamento, ma lui era sempre stato una persona molto freddolosa. 

Seguì una lunga pausa di silenzio, prima che Kouyou decidesse di cominciare a scrivere; Yuu si insospettì appena, volgendosi piano verso il suo compagno, provando a immaginare di trovarsi davanti il suo bel viso. 

Lo sapeva che era bello. Lo sentiva sotto la pelle. 

"Se ti ho chiesto qualcosa di troppo privato, non rispondere; non voglio che tu ti senta costretto…" disse, cercando i capelli dell'altro con la mano. Quando li trovò, infilò le dita tra quelli e li pettinò. 

Kouyou alzò lo sguardo verso di lui, guardandolo negli occhi, intensamente. A volte lo mettevano in soggezione, quegli occhi così chiari: eppure, in qualche modo, sentiva che un giorno lo avrebbero guardato. Si girò verso la mano di Yuu, con tutto il viso, e prendendola tra le sue vi schioccò un bacio. 

 

 

Il suono di quel bacio è ancora impresso nella mia mente. Un suono pieno, caldo e avvolgente. Sentivo bruciare il contorno di quelle labbra piene sul palmo della mia mano, tanto da passarci sopra il pollice a ore di distanza, durante la notte, per accertarmi che non ci fossero davvero rimaste su. Un giorno Kouyou mi disse che sorridevo tanto, e che avevo un bel sorriso. Gli chiesi tante cose su di me: com'ero fatto, se ero bello, se ero alto, se ero già raggrinzito come una tartaruga…certo, mi rispose che ero anche molto vanitoso, ma non ci badai molto. 

Sorrido anche ora, di nuovo, a tanto tempo da allora, pensando a tutte quelle ore spese a chiedere e rispondere, a dare e ricevere indietro doni meravigliosi. 

Primo tra questi, quel bacio. Subito dopo, due parole che mi hanno rubato il cuore. 

 

"Hahaha, io non ho bisogno di una tua descrizione. Io lo so come sei." disse Yuu, con un cipiglio sbarazzino dipinto in volto. Kouyou gonfiò le guance e, scettico, scrisse: ne sei sicuro? 

"Certo che si.- rispose l'altro. -Sei alto, molto alto. Hai una corporatura forte, ma sembri più esile di quel che sei in realtà, al tatto, perché hai un'ossatura molto delicata, non spigolosa. Un fisico morbido, pieno e compatto, ben scolpito. Hai un taglio d'occhi molto dolce, sono certo che sono color nocciola. I tuoi capelli sono stati biondi, si sente. E le tue labbra sono…beh insomma, si, lo so come sei." annuì, sentendosi in imbarazzo. 

Kouyou arrossì e sorrise, nel vedere il rossore che tinse a sua volta il viso di Yuu. Sbuffò una risata afona, ma comunque con una certa connotazione sbarazzina. Prese quindi a scrivere, sghignazzando. 

Quando Yuu lesse, sbarrò gli occhi. 

Hai proprio sbagliato. Sono basso, tarchiato, muscoloso e ovviamente non mi sono mai tinto di biondo, scherzi? E ho due occhi ordinariamente neri. Quale taglio dolce, poi? Sono decisi, marcati. Non ci hai preso per nulla. 

"Ma…ma…non è possibile…!" sentì la sua mano stretta in quella di Kouyou, prima ancora che potesse pensare di dire altro. 

Lui la portò al suo viso e gli fece capire la sua espressione. 

"Che cattivo, mi hai fatto uno scherzo…" Kouyou scosse la testa, intenerito. Ormai quel ragazzo conosceva ogni sfumatura della sua espressione. 

Sei bellissimo. Trovò, ad un certo punto, sotto le sue dita. 

Si morse appena le labbra e balbettò un "Grazie"; vanitoso, certo. Ma mai nessuno in vita sua gli aveva fatto un complimento simile. A precedere ogni sua parola, o meglio, a impedire ogni sua parola, tornarono le labbra di Kouyou. 

Questa volta, sulle sue. Fu un bacio casto, morbido, innocente. 

Ecco…ora, cosa dicevi delle mie labbra?

 

 

Kouyou ha sempre amato scherzare. In quel momento, però, si scherzava poco. Non ebbi la forza o il coraggio di rispondergli se non con un "Fallo ancora.", imperativo categorico. Lo fece una, due, cento, ottomila volte, tutte le volte che gli chiedevo di farlo. E quando gli chiesi se potevo averne sempre, lui mi rispose "Sempre uno in più di quel che mi chiederai". 

Trovava sempre le parole giuste. Non avevo bisogno di immaginare la sua voce. Il nostro primo, vero bacio prese vita poche settimane più tardi. E crebbe. Si trasformò in desiderio. 

Ogni bacio diventava l'essenza della passione. E bastava quello…perhè io, come realizzai, non potevo fare altro che quello. 

Kouyou non mi fece mai pesare il fatto di non poter far l'amore con lui; eppure io me ne facevo una colpa. Non voglio ricordare i pianti che ho sfogato contro la sua spalla quando, sotto le mie dita, leggevo i suoi "Ti amo per quello che fai e che sei, non per quello che non fai o non puoi.". 

Col tempo mi convinse del suo amore, definitivamente. Non che prima avessi dubbi di sorta, ma in qualche modo mi sembrava di fargli mancare qualcosa. 

Lui lo sapeva. E in nessun modo mi permetteva di pensarci. Non me l'ha mai permesso. 

Perché non mi ci volle poi molto a capire quale fosse il vero problema. 

 

"Kouyou, itoshii…vieni?" chiese, battendo piano sul materasso del suo lettino. Era il loro secondo inverno insieme. Kouyou lo raggiunse dopo alcuni minuti. Yuu sentì un forte nodo salirgli in gola. 

Iniziò a pettinargli i capelli, a sfiorargli le labbra, a baciarlo piano. Sentì le braccia di Kouyou abbracciarlo, stringerlo debolmente a sé. 

Poi lo sentì allentare la presa, per prendere qualcosa dal comodino e lasciarlo tra le sue mani. Era un bigliettino ripiegato su se stesso. Lo aprì e lesse, lasciando andare le lacrime. 

Ti ringrazio, amore mio. Mi hai dato tutto quello che la vita mi ha tolto, e ora che sono qui, che sono giunto alla fine, voglio dirtelo con tutto me stesso. Siamo andati oltre l'impossibile, lo sai. L'hai detto tu…ti amo, Yuu. Ti amo. Staremo insieme per sempre. 

"Ti a…ti amo anche io…Kouyou…ti amo anche io…" disse, tra le lacrime. Stringendo il bigliettino in una mano, abbracciò il suo amato. Si addormentarono assieme, con le labbra di uno che raccoglievano le lacrime dell'altro. 

 

Mi sono svegliato, stamattina. E lui era lì, accanto a me. E' qui. Il suo petto non si alza e non si abbassa, le sue mani non scrivono più. 

Non sento che immobilità, sul suo volto. Non sento che silenzio attorno a me. Accarezzo i suoi capelli e il suo viso, le sue labbra. Ripasso le mani sul suo biglietto. 

Staremo insieme per sempre. 

Chiudo gli occhi, appoggiando le labbra sulla sua fronte. Le mie mani smettono di accarezzarlo, intorpidite. Nulla mi impedisce di respirare, ma non sento più il mio corpo che lo fa. 

"Yuu…" Chi mi chiama? Provo a girarmi, ma il mio corpo non si muove. Forse non voglio che si muova. 

"Yuu, svegliati. Amore mio, guardami." apro gli occhi. Vedo luce. Vedo la mano più bella del mondo di fronte a me. La prendo. Alzo lo sguardo. Lo guardo negli occhi; lo sento chiamarmi. 

Sorridiamo.

 

"Staremo insieme per sempre."

 

 

___________________________L'angolino di Aelite.___________________________

 

Dunque! Questa storia appartiene a Shizukasou, ex Okuribi e traduttrice di perle come Lacrymosa e A Dozen Roses che sicuramente conoscerete. E' stato il suo regalo di compleanno per lo scorso novembre. <3 Per questo la storia porta il suo nome. 

All'epoca non ero totalmente soddisfatta di un preciso aspetto della storia, cioè le ultime parole di Uruha. Poi però penso a quello che in quella situazione avrei scritto anche io; e mi torna in mente quella frase per la quale se sapessimo tutti di avere solo cinque minuti da trascorrere ancora su questa terra prima di morire, allora tutte le cabine telefoniche sarebbero occupate da persone che dicono ad altre quanto le hanno amate. Non ricordo l'autore di questa frase, ma mi ritengo totalmente d'accordo con lui o lei. 

Ero davvero insicura di questa storia, che mi frullava in testa da molto, moltissimo tempo. Invece è stata apprezzata davvero da chi l'ha letta, e mi ha dato sicurezza. Ora che la sicurezza nello scrivere mi manca, ora che non scrivo più da tanto, ho pensato che pubblicarla avrebbe potuto aiutarmi a ritrovare me stessa. 
E avevo tanta voglia di tornare a sentire l'agitazione prima di pubblicare, di avere e fare pare mentali infinite su quello che le persone potrebbero sentire quando leggono quello che scrivono.

Spero di essere riuscita a emozionare anche voi almeno un po'.
Emozionarsi leggendo qualcosa è una cosa preziosa. Vorrei potervi regalare qualcosa di prezioso, quindi.

Spero di avervi rubato cinque minuti di vita per qualcosa. 

Con affetto, 

 

Aelite. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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