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Autore: KaienPhantomhive    07/09/2011    4 recensioni
Un semplice squarcio di vita quotidiana su un uomo ed una donna.
Ma si può usare il termine 'quotidiano' in Evangelion?
Citazioni:
"Perchè sei li? Non vi dite una parola da un'ora...un'ora nella stessa,esatta posizione."
"Dimmi che mi ami."
"Lo sai benissimo come andrà a finire, da qui a poco..."
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Misato Katsuragi, Ryoji Kaji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Il bicchiere ed il posacenere


 

Lui sposta la puntina di metallo sull’ampio disco in vinile nero, spandendo la musica nel locale.
 
http://www.youtube.com/watch?v=bYNESJgzEM8

C’è del fumo in quella stanza.
Sale lento, sinuoso…creando casuali volute che sembrano dipinte da un pittore esperto, o solo terribilmente pazzo.
 
Pazzia…
Definizione di ‘pazzia’: agire sconsideratamente, azioni del pazzo; sinonimo di ‘follia’.
 
E’ comune difetto del pazzo tentare di raggiungere uno scopo, per quanto improbabile, non tenendo conto delle conseguenze.
Tuttavia, coloro che si definiscono ‘sani’ commettono già dalla prima frase l’errore fondamentale che li distanzia dal loro tanto agognato status quo: aspettare che sia il tempo a decretare la tua pazzia o meno; a decretare se davvero hai agito sconsideratamente o no.
Un folle non sa di esserlo, eppure non ammetterà mai di esser sano.
Tutto è folle fuorché il folleggiare, dunque.
 
Sei seduta su quella semplice sedia di legno; i gomiti sul tavolo, le mani perse tra i capelli ed il viso stanco.
Lui è davanti a te: con quella camicia sbottonata per metà e le maniche rigirate; la cravatta l’ha buttata sul letto.
 
Quel letto…
Se ne sta lì, disfatto; le coperte che toccano il suolo ed i cuscini scomposti.
Ai piedi c’è un ventilatore vecchio già cinquant’anni fa: non fa fresco, smuove appena aria calda.
 
Caldo…terribilmente caldo.
In quella stanzetta d’albergo non spira un solo alito di vento.
Eppure è solo primavera…
 
Il passaggio delle stagioni…
Stagioni fisse, immutabili.
Non c’è molta differenza tra autunno e inverno, non dopo quel putiferio di quindici anni fa.
Così la temperatura globale media si è innalzata e ha mandato a farsi benedire tutte le case di abiti invernali.
 
Già…ti viene da sorridere, eh?
Beh, certo, è un pensiero stupido, il tuo: di tante cose pensi proprio agli abiti invernali, ma d’altronde è vero.
 
Perché sei lì?
Non vi dite una parola da un’ora…un’ora passata nella stessa, esatta posizione:
 
Seduti l’uno di fronte all’altra; lui con una sigaretta in mano che si consuma proprio come quelle stramaledette stagioni che ti mandano in bestia.
Tu che disegni archi con il braccio destro.
A dividervi solo un bicchiere di vetro semplicissimo, senza alcuna decorazione o fusto, ed un posacenere dove  hai seppellito già tre cicche.
Che cosa ci fai ancora lì, se non avete nulla da dirvi?
Aspetta, forse no, mi sbaglio…
 
Lui prende la parola:
“Ti ho stancata, Katsuragi?”
 
“In che senso?” – rispondi tu.
 
Non, non lo fai con malizia: non lo sai davvero se lui intende una stanchezza dentro o fuori.
 
“In tutti i sensi…” – fa sempre lui, sorridendo appena e tamburellando con l’indice sulla sigaretta.
Un po’ di cenere cade sul tavolo.
 
Ti tiri indietro sullo schienale, evitando il contatto diretto con i suoi occhi:
“Hai avuto giorni migliori…”
 
Lui piega la testa da un lato e tira ancora una volta, come a voler dire ‘Eh, lo so…ma non ho mica più vent’anni!’
 
“Il fatto è che, ora come ora, no so bene che fare.” – riprendi, con occhi vacui – “Tutto mi sembra così confuso…lontano…cerco di prendere decisioni basandomi sulle poche certezze che ho e sui molti dubbi che mi fanno venire.”
 
“Credevo di averti schiarito le idee…”
 
Cavolo…perché diamine è sempre così maledettamente sarcastico?!
 
Si versa un altro bicchier d’acqua e lo sorseggia appena, guardando a terra.
 
Tu fai finta di non sentire le sue solite battute a doppi sensi, concentrandoti su quel motivetto jazz che termina e ricomincia continuamente:
“Ogni volta va a finire così…situazione tipo: io e te sul letto; io che mi lamento e tu che mi ricordi i bei tempi e di come le nostre vite si compensino a vicenda…e poi, di botto, sesso.”
 
Effettivamente non hai tutti i torti.
Aspetta, aspetta…com’è andata l’ultima volta? Vediamo se ricordo…
Ah, sì:
Lui è in casa, gettato come uno straccio sulla poltrona a fumarsi quelle porcherie.
Tu entri, stanca dal lavoro, con tutte quella dannate cartelline a foglioline rosse (che poi non hai mai capito che centravano le foglie rosse…) e ti siedi dietro di lui.
Lui si gira e chiede: “Tutto lineare?”
Tu nemmeno gli rispondi; lo guardi e gli fai: “Scopami.”
Che eleganza.
Complimenti per il salto di qualità.
 
“Oh, sembra quasi che ti dispiaccia…!” – spegne la sigaretta e se accende un’altra.
 
Quota quattro.
 
“Eppure non mi sembravi dello stesso parere, poco fa…”
 
Poggi la testa sul tavolo, mescolando con un cucchiaino l’acqua del bicchiere innanzi a te.
“Ho paura di impazzire, Kaji…” – mormori in una specie di lamento sommesso.
 
“Se impazzisci non te rendi conto. Hai forse paura che gli altri se ne rendano conto?” – si sporgi sul tavolino, fissandoti intensamente – “E chi, esattamente? Io? Ritsuko? Di chi hai paura?”
 
“Non lo so…”
 
Lui si ricompone.
Chiude le palpebre, porta il filtro della cartuccia alle labbra e le serra.
Aspira un poco, poi getta la testa all’indietro e soffia via il fumo in una nuvoletta verticale.
Resta a fissare il soffitto:
“E poi, se l’amore non ti ha mai fatto commettere qualche follia…vuol dire che non mi hai amato.”
Ti scruta con la coda dell’occhio e ti ordina:
“Dimmi che mia ami.”
 
Non molto cortese come invito, ma lo vuoi accontentare:
“Ti amo.”
 
“Dillo meglio.”
 
“Come vuoi che lo dica?!” – ti rialzi reggendoti la testa, infastidita.
 
“Io, per esempio, lo direi così: ti amo.”
 
La frase è la stessa…ma è pronunciata con una tale lentezza da risultare inconsistente.
Ma forse è proprio per questa sua precarietà e temporaneità che suona così vera.
 
Ma non gliela vuoi dar vinta, tu:
“E che differenza fa? Non ti sei molto impegnato…”
 
“Che vuoi che ti dica?” – sospira, alzandosi dal tavolo – “Amo come l'Amore ama. Non conosco altra ragione di amarti, se non quella di farlo. Cos’altro dovrei dire oltre a ‘ti amo’, se ciò che voglio dirti è proprio questo?”
 
Bella messa in fila di parole.
Se la cava, l’amico.
Ed ora come controbatti, Misato?
Te l’ha spalmata come si deve…dagli contro, se ci riesci.
 
Lui cammina scalzo fino a quella squallida finestra d’albergo, che completa il quadretto con il letto distrutto e la moquette di un rosso-marrone che potevano anche risparmiarsi.
 
Vorresti dire qualcosa, ma lui non te ne da’ il tempo:
“Guarda questo vetro: è stato forgiato dall’uomo per riparare eppure si incrina facilmente, allo stesso modo in cui noi ci smentiamo dalle frasi non dette o bisbigliate, credendo che potessero in qualche modo schermarci dal mondo che tentiamo di aggirare.”
 
Continua a parlare, con la sinistra nella tasca dei pantaloni neri e la destra che regge la sigaretta. Con il polso traccia piccoli cerchi nel vuoto.
 
Tu ti perdi nel guardarlo:
 
Quel suo modo di fare così Bohemien…
Con la barbetta incolta…
La camicia sgualcita…
Gli occhi scuri e penetranti…
I capelli nerissimi e quella coda neanche troppo lunga…sennò gliela avresti fatta accorciare: non ti piacciono gli uomini con i capelli troppo lunghi.
E poi le mani…Dio, come ti piacciono quelle mani!
E’ un giochino divertente osservarle; le muove sempre in maniera impercettibilmente diversa: è qualcosa di ipnotico.
 
A volta avresti addirittura l’impulso di afferrargliele e di strappargliele via…questo quando sei contenta.
Sì, perché in quei casi ti mettono ansietà…ti infastidiscono.
Quando invece ti senti frustrata, ti danno sicurezza.
Puoi essere anche furibonda, ma non puoi farci niente: ti tengono stretta ed è come se ti succhiassero via le forze.
Sì, brava, te lo ricordi anche tu, allora! Come quella volta nell’ascensore…
 
Alla fine lui ti rompe quel sogno ad occhi aperti, con un semplice cenno del capo.
Si volta verso il bagno e ti sorpassa, sospirando e facendo spallucce:
“Felice colui che si consuma nelle battaglie di Venere! Volesse il cielo che questa sia la causa della mia morte!”
 
Morte…
Ci pensi spesso ma mai alla sua.
Perché il tuo lavoro vede sempre morto qualcun altro.
Però lo sai benissimo, come andrà a finire di qui a poco…
 
Ti chini su quel bicchiere ormai vuoto – l’odore delle sigarette nel portacenere è forte e penetrante – e piangi in silenzio, sperando che lui non ti senta.
 
Ed ogni lacrima è come una cascata…
 
 

 

*    *    *

 
 
Ok, ok è finita.
Smettiamola con le cose psico-depressive croniche.
Non so se è un buon lavoro e non so se i personaggi sono venuti fuori IC (probabilmente no).
Non ha grande senso, è fine a sé stessa.
Non è neanche un luogo canonico di Evangelion: è solo una stanza d’albergo, qualche giorno prima della dipartita del Signor Kaji (un minuto di silenzio, please…).
Spero comunque di aver creato una situazione suggestiva, con un po’ di musica ambient.
Qualsiasi commento è ben accetto :)

 

   
 
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