Ad
Eleonora e Soriana
che
credono sempre in me
e che
amo alla follia.
Michael aveva passato tutta la
mattinata a muoversi freneticamente
sulla sedia del suo triste ufficio in piena Manhattan. Sembrava una
giornata
come le altre: il cielo era azzurro, solo qualche nuvola qua e la
disturbavano
l’immensa distesa azzurra, la temperatura autunnale
permetteva di girare
tranquillamente in giacca, e i genitori con i bambini si riversavano
sulle strade
di New York e in central park godendosi quella bella giornata,
passeggiando tra
gli alberi dalle foglie gialle e arancioni. Forse per loro era una
giornata
come le altre, ma non per lui.
Aveva scritto si e no due righe
dell’articolo che avrebbe dovuto presentare
per la fine della settimana successiva, ma non si scoraggiava, sapeva
che era
nella sua indole ridursi all’ultimo momento, cosa per la
quale sua madre
l’aveva sempre biasimato. Ma al lavoro era diverso, aveva
sempre rispettato le
scadenze e nessuno si era mai lamentato, anzi, in soli due anni era
nella top
50 dei migliori giornalisti della regione.
Michael spense il pc salvando quel
poco che aveva scritto su una memory
card, avrebbe terminato il lavoro a casa. Alzò lo sguardo
all’orologio a muro
affisso di fronte alla sua scrivania dove la lancetta dei secondi si
accingeva
annoiata ad arrivare al dodici, segnando poi il mezzo giorno come se
sapesse
benissimo cosa stesse per accadere e fosse stufa della routine di
Michael.
Lui però non lo era
affatto, e non appena l’orologio segnò le dodici,
si alzò con uno scatto dalla sedia e cominciò a
raccogliere le sue cose,
gettandole alla rinfusa nella borsa.
-quanta fretta- Michael
alzò lo sguardo notando Daniel, suo migliore
amico dai tempi dell’asilo, poggiato allo stipite della porta
con le braccia
incrociate.
-è sabato- rispose lui
con un alzata di spalle a mo di spiegazione
Un lamento uscì dalle
labbra di Daniel mentre alzava gli occhi al cielo
–non dirmi che lo farai ancora, ti prego-
Michael sorrise, per niente
scoraggiato dalle parole dell’amico –si, ho
intenzione di andare lì-
Daniel si scostò dalla
porta mettendosi diritto –almeno hai scoperto
come si chiama?- lo sfidò con un sorriso più che
sarcastico
Il ragazzo chiuse la sua borsa di
pelle e si avviò verso la porta, a
passo sicuro –non ancora- rispose prima di superare
l’amico, ma Daniel non si
arrese e lo seguì fino all’ascensore.
-ti denuncerà per
stalking prima o poi, lo sai vero?- continuò con un
sorriso sarcastico che lo caratterizzava da quand’era
ragazzino.
Daniel era sempre stato un tipo
intrigante, affascinante, capace di
ottenere qualsiasi cosa volesse. Con le ragazze era strepitoso, come se
avesse
una calamita. Riusciva ad attrarle con il suo fascino, e a farle
innamorare con
i suoi modi eleganti e gentili, tutte cadevano ai suoi piedi.
Mentre Mike, beh, lui era il suo
amico secchione che parlava poco e che
il sabato sera preferiva restare in camera a leggere qualche saggio,
piuttosto
che fare baldoria con l’amico. In qualche strano ed oscuro
modo però, la loro
amicizia funzionava da ben vent’anni.
-non è un reato fare un
giro in un negozio di CD- rispose infine
prenotando l’ascensore
-hai la casa piena di CD ormai,
dovresti smetterla-
-vendono anche i libri, sai?-
-mi fa piacere sapere che sono
molto attrezzati-
-anche DVD e cose del genere-
-allora dev’essere
proprio un bel negozio-
-posso prenderti qualcosa se vuoi-
-no, sono apposto, grazie-
-prego-
-devi smetterla Mike-
Le porte dell’ascensore
si aprirono avanti a loro e Michael entrò, senza
dar peso alle parole dell’amico –di fare cosa?-
chiese con aria innocente
Daniel alzò un
sopracciglio –di non far nulla- borbottò mentre
Michael
faceva chiudere le porte dell’ascensore –almeno
chiedile il numero questa
volta!- riuscì a dire prima che le porte si chiudessero
avanti al suo viso.
Michael scosse la testa sorridendo.
Non le avrebbe chiesto il numero,
non le avrebbe nemmeno rivolto la parola, si sarebbe limitato a fare
quello che
faceva ogni sabato: l’avrebbe guardata per qualche minuto,
poi sarebbe andato
via, col sorriso sulle labbra.
“She works for the weekend
Mixtape of her faourite bands…
…and that’s just the price
I pay
When I don’t even know her
name”
Il campanellino appeso alla porta
del piccolo negozio trillò allegro
alla vista di un altro potenziale cliente, uno dei pochi in
realtà.
In una grande metropoli come New
York la vita per un piccolo negozio di
libri non era facile, ogni giorno pareva che nascesse in
città un nuovo colosso
pronto a mettere ombra sulla piccola libreria della signora Johnson,
per questo
col tempo la donna aveva dovuto modernizzare la sua piccola ed
accogliente
attività, trattando altra merce oltre i libri.
Così era riuscita a sopravvivere
in quegli ultimi anni. Nonostante i cambiamenti avvenuti nel tempo
però il
volere imprescindibile dell’anziana signora, era che nel suo
negozio restasse
quel clima di tranquillità e familiarità che lo
caratterizzavano.
Ed era proprio quello che aveva
trascinato Michael in quel negozio un
triste lunedì di fine maggio. Si era da poco trasferito a
New York e per lui,
un semplice ragazzo di una piccola cittadina del North Carolina, non
era facile
ambientarsi in una grande metropoli come quella. Era passato da un
paese dove
tutti conoscevano tutti ad una città dove agli altri non
interessa minimamente
della sua esistenza.
Così girovagando per la
città aveva trovato quel piccolo negozio, del
tutto differente dagli altri mostri di ferro –come li
chiamava lui- trovando un
ambiente caloroso e semplice. Le pareti in mattoni rossi, le tre file
di dischi
in vinile che occupavano la piccola sala, il lampadario con ventilatore
a pale
che giravano pigramente, un corridoio dalla luce soffusa sulla
sinistra,
adattato provvisoriamente come libreria e l’odore di biscotti
al burro. Lì
aveva trovato un po’ della familiarità che gli
mancava tanto, lì aveva trovato lei.
La signora Johnson, dietro la
cassa, alzò lentamente gli occhi dal
giornale e rivolse a Michael uno dei suoi calorosi sorrisi, come per
dargli il
ben tornato. Michael rispose con un cenno della testa chiudendo poi la
porta
dietro di se.
Sfogliò svogliatamente
qualche cd, per poi avviarsi lentamente dove
sapeva l’avrebbe sicuramente trovata.
Ripensò alla prima volta
che l’aveva vista in quel negozio: era la
terza volta che andava in quella libreria, di solito preferiva passarci
in
settimana, quando c’era poco da fare, ma quel giorno
–lo ricordava benissimo-
era di sabato, era appena uscito dal lavoro e doveva comprare un libro
che gli
era necessario per scrivere uno degli articoli a cui stava lavorando,
ed era
allora che l’aveva vista per la prima volta.
Il vestitino colorato a fiori le
fasciava delicatamente il corpo esile
e si adattava ad ogni movimento mentre lei si alzava in punta di piedi
per
sistemare del libri sugli scaffali più alti, i capelli
castani ondulati le
ricadevano sulla schiena ricoprendola dolcemente e la frangetta le
ricadeva
dispettosamente sugli occhi, nonostante lei soffiasse in su
più volte per
scostarla.
La cosa che più
l’aveva stupito di lei, ricordava, era il suo viso.
Quella città era piena di donne in
carriera, tutte bellissime, tanto che sembravano essere appena uscite
da un
servizio fotografico di Victoria’s Secret, brillavano come
stelle, come se
qualcuno tenesse costantemente acceso un riflettore su di loro; lei,
invece,
nei suoi abiti colorati e nel suo viso senza trucco, risplendeva di
luce
propria. La bocca rossa, la linea del piccolo naso dritta, i grandi
occhi
marroni dalle ciglia lunghe poggiati su una pelle tanto diafana da
sembrare
uguale alla luna.
La luna, ecco come appariva lei agli occhi
di Michael, non
come una delle tante stelle, ma come una luna che risplendeva nel cielo
d’estate illuminando tutto attorno a se.
Ogni volta che l’aveva
vista aveva sempre delle enormi cuffie poggiate
sul capo, ed ogni tanto, ignara di essere osservata, si lanciava in
strane
danze, ancheggiando e muovendo delicatamente la testa, allora Michael
faceva un
passo avanti domandandosi come sarebbe stato stringerla tra le sue
braccia e
ballare con lei, ma poi si fermava per paura di rovinare tutto e
rimaneva a
guardarla, in silenzio.
A volte l’aveva vista
soffermarsi su qualche romanzo mentre metteva a
posto degli scatoloni pieni di libri, e poco tempo dopo
l’aveva vista leggere
un libro mentre mangiucchiava distrattamente una fetta di pizza.
Rigorosamente
al pomodoro.
Michael
girò l’angolo della sala
per poi ritrovarsi nel suo ambiente preferito, circondato da libri. Si
rese
conto che nonostante fossero passati cinque mesi dalla prima volta che
aveva
visto quella ragazza, quello che sapeva di lei non era molto.
Sapeva che amava la musica, i
romanzi –specialmente quelli di Sparks- e
che le piaceva la pizza. Al pomodoro.
Sapeva che preferiva tenere i capelli sciolti nonostante la frangia le
desse
qualche fastidio, sapeva che aveva un tatuaggio ben nascosto sotto il
braccio
che si vedeva solo quando lo sollevava per posare qualche libro e
sapeva che
lavorava solo nei fine settimana.
Michael diete un’occhiata
veloce alla sala, che però sembrava essere
vuota, allora cominciò a dare un’occhiata ai libri
con più o meno interesse.
Guardando i titoli dei libri di
fronte a se, si ritrovò a chiedersi
cosa le avrebbe suggerito di leggere la ragazza se
gliel’avesse chiesto.
Qual’era il suo libro preferito in assoluto? Quali erano i
libri che aveva
scartato da subito? E che tipo di musica ascoltava quando la vedeva
sorridere o
ballare? Cosa le piaceva mangiare, oltre alla pizza? Era uno di quei
tipi da
cibo orientale o le piacevano le cose tradizionali? Cosa faceva durante
il
resto della settimana? Quel tatuaggio, l’aveva fatto per un
gesto di ribellione
o aveva un significato particolare per lei?
Questo era il genere di domande che
affollavano spesso la mente di
Michael, ma lui non sapeva rispondere nemmeno alla metà di
quelle domande.
Non sapeva nemmeno come si chiamava
la ragazza.
Un cigolio lontano fece distrarre
Michael dai suoi pensieri, che si
voltò di scatto verso sinistra, da dove proveniva quel
rumore. Una piccola
porta di legno si aprì lentamente e la prima cosa che il
ragazzo vide fu uno
scatolone, sorretto da due braccia esili, poi intravide la stoffa fuxia
di un
leggero vestitino autunnale e la coscia bianca della ragazza spuntare
dal buio.
Come sempre, Michael si
voltò di scatto, come se avesse paura di essere
scoperto. A fare cosa poi, non lo
sapeva nemmeno lui. Non le era mai capitata una cosa del genere, aveva
visto
tante commesse bellissime, ma non gli era saltato mai per la testa di
tornare
per rivederle. Quella ragazza invece aveva qualcosa di strano, qualcosa
di
diverso, qualcosa che lo faceva andare lì ogni sabato,
qualcosa che non gli
faceva trovare il coraggio di rivolgerle la parola.
Michael prese il primo libro che
gli capitò sotto mano e cominciò a
sfogliarlo, mentre sott’occhio osservava la ragazza; Lei,
come sempre, non si
era accorta di lui, o almeno non dava segni di averlo fatto,
poggiò lo
scatolone sul parquet e lo aprì cominciando a tirare fuori
libri a gruppi. La
prima cosa che notò Michael fu che, per la prima volta, le
cuffie non emanavano
suoni, e non erano poggiate sulle orecchie della ragazza, ma dietro il
collo.
Come mai non stava ascoltando
musica? Era successo qualcosa di
particolare oggi? Era perché era arrabbiata o troppo felice
per ascoltare
qualsiasi genere di musica? O forse aveva qualche pensiero per la testa
e non
voleva che la musica la distraesse? Michael avrebbe tanto voluto
andarle vicino
e chiederglielo ma, ancora una volta, rimase ad una decina di metri da
lei,
continuando a fingere di essere interessato a quel libro.
La ragazza continuava col suo
lavoro, noncurante della presenza di
Michael, faceva avanti e dietro posando libri qua e la, il vestito le
svolazzava attorno alle gambe alzandosi ed abbassandosi a seconda dei
movimenti, gli occhi marroni correvano da un angolo all’altro
della sala per
studiare quale fosse la posizione migliore dove collocare un libro.
Poi, improvvisamente, a Michael si
spezzò il fiato.
A passo deciso la ragazza si
avviò verso di lui, Michael col cuore a
mille stava per chiudere il libro che teneva in mano, quando lei lo
sorpassò,
talmente veloce che lui sentì l’aria spostarsi
dietro di se. Chiuse gli occhi,
respirando a fondo, e sorrise quando nell’aria colse un
profumo diverso, il suo profumo.
Non era un profumo forte,
anzi, era un profumo dolce, delicato, di rose.
Michael si voltò,
stavolta verso destra, dove la vide ancora. Era
dall’altra parte della stanza, ad un paio di metri da lui sta
volta, le braccia
allungate verso l’alto e in punta di piedi cercava di
sistemare un libro spesso
–saranno state almeno ottocento pagine- su uno degli scaffali
in legno, senza
grande successo.
La ragazza soffiò
all’insù e Michael non capì se il suo
era un gesto di
frustrazione o stesse cercando di scostarsi i capelli dal viso. Le mani
sudate
della ragazza scivolarono sulla copertina plastificata nel libro, e
questo
cadde indietro, mancando di poco la testa della ragazza che
soffiò di nuovo,
questa volta però era chiaramente uno sbuffo.
Michael osservò il libro
giacere a pochi centimetri dai piedi della
ragazza e gli venne del tutto naturale chiudere il libro che teneva in
mano con
un tonfo ed inginocchiarsi per raccogliere l’altro.
Si alzò come una molla,
interdetto dal suo stesso gesto, mentre la
ragazza si voltava verso di lui.
Non l’aveva mai vista
così da vicino. La pelle gli sembrava ancora più
liscia, se possibile, il viso era leggermente accaldato e le guance un
po’ arrossate,
gli occhi grandi e profondi per la prima volta guardavano i suoi e le
labbra
rosse erano curvate in un sorriso dolce.
In silenzio, con cuore tremante e
la testa che vorticava terribilmente,
Michael le passò il libro che lei prese delicatamente tra le
mani.
-grazie-
Michael dovette trattenersi con
tutte le sue forze per non spalancare
gli occhi. Per la prima volta l’aveva sentita parlare, ma
pareva essersene reso
conto solo in quell’istante. L’aveva vista fare
tantissime cose in quel mesi,
ma mai parlare, né con un cliente –di quello se ne
occupava la signora Johnson-
ne con la signora stessa, ma ora che l’aveva fatto il ragazzo
pensò che quella doveva
essere la voce degli
angeli.
La ragazza continuava a
sorridergli, in attesa di un qualcosa, e
Michael voleva veramente fare
qualcosa. Sapeva che quello era il momento giusto, avrebbe potuto
parlarle ora,
avrebbe potuto trovare le risposte a tutte quelle domande che lo
tormentavano,
avrebbe potuto chiederle il suo nome, ad esempio.
Ma non lo fece.
Con un cenno della testa ed un
passo indietro Michael si voltò, poggiò
il libro che ancora teneva nella mano sinistra dove l’aveva
preso, e quasi
corse fuori, senza nemmeno salutare l’anziana signora dietro
la cassa.
-idiota- ringhiò a se
stesso il ragazzo quando la fresca aria autunnale
gli pizzicò le guance.
Non poteva crederci, non poteva
averlo fatto davvero.
Adesso la ragazza avrebbe pensato
che lui fosse un idiota, un idiota
con evidenti problemi mentali ed a relazionarsi con gli altri, o uno scostumato. Certo, che razza di persona
è uno che non risponde ad un semplice grazie? Uno senza
speranze ad esempio,
come lui.
-era tanto difficile dire
“prego”?!-
sbottò a se stesso ancora una volta
Non avrebbe trovato più
il coraggio di entrare la dentro, non poteva
stare lì ad osservarla senza pretendere che lei
l’avrebbe guardato con aria di
disappunto chiedendosi che problema aveva.
Eppure sapeva che ci sarebbe
tornato, per lo stesso motivo per cui
continuava a tornarci da cinque mesi: doveva
vederla, anche per un istante, anche per un secondo. Ma ora
aveva rovinato
tutto, ora non avrebbe avuto il coraggio di rivolgerle più
la parola. Non che l’avesse
fatto prima, ma almeno poteva vivere nell’illusione che prima
o poi avrebbe
trovato il coraggio per farlo.
Un
giornalista che non trova le parole,
il colmo!
Ma per lui le parole e la scrittura
erano sempre state due cose
estremamente diverse. Parlava solo quando era strettamente necessario,
o quando
gli andava; scriveva, praticamente, sempre.
Era stato davvero un idiota, ed
aveva perso la sua occasione.
-HEY!-
Michael riconobbe al
volo la sua voce, come avrebbe potuto non farlo d'altronde?
Si voltò di scatto,
accigliato, era impossibile che stesse parlando con
lui, non dopo la figuraccia che aveva appena fatto.
La ragazza, avvolta in un golfino
nero che indossava sul vestitino
leggero, prese a correre verso di lui, mentre la frangetta le ricadeva
disordinatamente sulla fronte e portava qualcosa in una mano.
-hai dimenticato lo scontrino-
sorrise quando arrivò di fronte a lui
Gli porse il pezzo di carta bianco
che lui afferrò lentamente, senza
staccare i suoi occhi da quelli della ragazza. Erano così
belli, così
familiari, così caldi.
Michael
aprì la bocca -sta volta
non avrebbe fatto la figura dell’idiota- ma la ragazza lo
fermò, parlando per
prima –mi chiamo Cateline
– sorrise.
Non disse altro, si
voltò e riprese a correre tornando nel negozio,
senza dare a Michael il tempo di dire alcunché.
Cateline.
Il ragazzo rimase interdetto per
qualche secondo prima di sorridere
contento. Si voltò e riprese a camminare col sorriso
stampato sulle labbra. Cateline,
proprio come aveva immaginato,
un nome elegante, semplice e bellissimo, proprio come lei.
Finalmente la ragazza dei suoi
sogni aveva un nome, ed ora fantasticare
su di lei gli veniva ancora più semplice. Immaginava di
incontrarla a central
park, ad esempio, in una calda giornata di luglio incontrarla per caso
e dirle “Ciao, Cateline”;
oppure portarla a
cena, in uno dei tanti ristoranti della città e chiederle “Tu cosa prendi, Cateline?”
Strinse lo scontrino tra le dita,
pronto a riporlo in tasca, quando un
piccolissimo dettaglio si fece spazio tra i suoi pensieri: lui non
aveva
acquistato nulla.
Prese il foglio tra le mani e solo
allora notò che era più spesso della
carta che normalmente si usa per gli scontrini, e piegato in quattro.
Il cuore prese a battergli forte
nel petto e le mani gli tremavano
tanto che ci impiego il doppio del tempo di quello che ci avrebbe messo
normalmente, per aprire quel foglietto.
La calligrafia chiara ed elegante
faceva mostra di se su quel piccolo
pezzo di carta e non appena Michael lesse l’ultima parola,
non potè fare a meno
di sorridere felice, mentre nella sua testa si faceva spazio la
convinzione che
quello era l’inizio, un piccolo tassello, di qualcosa di
grande. Quello era
l’inizio del loro amore.
“Spero
tu non voglia farmi aspettare
altri cinque
mesi per invitarmi a cena.
Cateline”
*
*
*
Salve.
Ok, sono moooolto tesa,
è la prima volta che scrivo in questo fandom e,
a dire la verità, è la prima volta che scrivo una
cosa del genere quindi, vi
prego, siate clementi.
Che dire, l’idea di
questa os vagava nella mia mente da un po’ di
tempo, ispirata dalla canzone “Lost in stereo”
degli All time low –che amo
infinitamente- mi sono decisa a scriverla.
Non è niente di che, ma
spero vi piaccia leggerla come a me è piaciuto
scriverla.
A presto.