Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: JustALittleLie    07/09/2011    7 recensioni
Michael scosse la testa sorridendo. Non le avrebbe chiesto il numero, non le avrebbe nemmeno rivolto la parola, si sarebbe limitato a fare quello che faceva ogni sabato: l’avrebbe guardata per qualche minuto, poi sarebbe andato via, col sorriso sulle labbra.
La luna, ecco come appariva lei agli occhi di Michael, non come una delle tante stelle, ma come una luna che risplendeva nel cielo d’estate illuminando tutto attorno a se.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ad Eleonora e Soriana

che credono sempre in me

e che amo alla follia.

 

 

Michael aveva passato tutta la mattinata a muoversi freneticamente sulla sedia del suo triste ufficio in piena Manhattan. Sembrava una giornata come le altre: il cielo era azzurro, solo qualche nuvola qua e la disturbavano l’immensa distesa azzurra, la temperatura autunnale permetteva di girare tranquillamente in giacca, e i genitori con i bambini si riversavano sulle strade di New York e in central park godendosi quella bella giornata, passeggiando tra gli alberi dalle foglie gialle e arancioni. Forse per loro era una giornata come le altre, ma non per lui.

Aveva scritto si e no due righe dell’articolo che avrebbe dovuto presentare per la fine della settimana successiva, ma non si scoraggiava, sapeva che era nella sua indole ridursi all’ultimo momento, cosa per la quale sua madre l’aveva sempre biasimato. Ma al lavoro era diverso, aveva sempre rispettato le scadenze e nessuno si era mai lamentato, anzi, in soli due anni era nella top 50 dei migliori giornalisti della regione.

Michael spense il pc salvando quel poco che aveva scritto su una memory card, avrebbe terminato il lavoro a casa. Alzò lo sguardo all’orologio a muro affisso di fronte alla sua scrivania dove la lancetta dei secondi si accingeva annoiata ad arrivare al dodici, segnando poi il mezzo giorno come se sapesse benissimo cosa stesse per accadere e fosse stufa della routine di Michael.

Lui però non lo era affatto, e non appena l’orologio segnò le dodici, si alzò con uno scatto dalla sedia e cominciò a raccogliere le sue cose, gettandole alla rinfusa nella borsa.

-quanta fretta- Michael alzò lo sguardo notando Daniel, suo migliore amico dai tempi dell’asilo, poggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate.

-è sabato- rispose lui con un alzata di spalle a mo di spiegazione

Un lamento uscì dalle labbra di Daniel mentre alzava gli occhi al cielo –non dirmi che lo farai ancora, ti prego-

Michael sorrise, per niente scoraggiato dalle parole dell’amico –si, ho intenzione di andare lì-

Daniel si scostò dalla porta mettendosi diritto –almeno hai scoperto come si chiama?- lo sfidò con un sorriso più che sarcastico

Il ragazzo chiuse la sua borsa di pelle e si avviò verso la porta, a passo sicuro –non ancora- rispose prima di superare l’amico, ma Daniel non si arrese e lo seguì fino all’ascensore.

-ti denuncerà per stalking prima o poi, lo sai vero?- continuò con un sorriso sarcastico che lo caratterizzava da quand’era ragazzino.

Daniel era sempre stato un tipo intrigante, affascinante, capace di ottenere qualsiasi cosa volesse. Con le ragazze era strepitoso, come se avesse una calamita. Riusciva ad attrarle con il suo fascino, e a farle innamorare con i suoi modi eleganti e gentili, tutte cadevano ai suoi piedi.

Mentre Mike, beh, lui era il suo amico secchione che parlava poco e che il sabato sera preferiva restare in camera a leggere qualche saggio, piuttosto che fare baldoria con l’amico. In qualche strano ed oscuro modo però, la loro amicizia funzionava da ben vent’anni.

-non è un reato fare un giro in un negozio di CD- rispose infine prenotando l’ascensore

-hai la casa piena di CD ormai, dovresti smetterla-

-vendono anche i libri, sai?-

-mi fa piacere sapere che sono molto attrezzati-

-anche DVD e cose del genere-

-allora dev’essere proprio un bel negozio-

-posso prenderti qualcosa se vuoi-

-no, sono apposto, grazie-

-prego-

-devi smetterla Mike-

Le porte dell’ascensore si aprirono avanti a loro e Michael entrò, senza dar peso alle parole dell’amico –di fare cosa?- chiese con aria innocente

Daniel alzò un sopracciglio –di non far nulla- borbottò mentre Michael faceva chiudere le porte dell’ascensore –almeno chiedile il numero questa volta!- riuscì a dire prima che le porte si chiudessero avanti al suo viso.

Michael scosse la testa sorridendo. Non le avrebbe chiesto il numero, non le avrebbe nemmeno rivolto la parola, si sarebbe limitato a fare quello che faceva ogni sabato: l’avrebbe guardata per qualche minuto, poi sarebbe andato via, col sorriso sulle labbra.

 

 

“She works for the weekend

Mixtape of her faourite bands…

…and that’s just the price I pay

When I don’t even know her name”

 

 

Il campanellino appeso alla porta del piccolo negozio trillò allegro alla vista di un altro potenziale cliente, uno dei pochi in realtà.

In una grande metropoli come New York la vita per un piccolo negozio di libri non era facile, ogni giorno pareva che nascesse in città un nuovo colosso pronto a mettere ombra sulla piccola libreria della signora Johnson, per questo col tempo la donna aveva dovuto modernizzare la sua piccola ed accogliente attività, trattando altra merce oltre i libri. Così era riuscita a sopravvivere in quegli ultimi anni. Nonostante i cambiamenti avvenuti nel tempo però il volere imprescindibile dell’anziana signora, era che nel suo negozio restasse quel clima di tranquillità e familiarità che lo caratterizzavano.

Ed era proprio quello che aveva trascinato Michael in quel negozio un triste lunedì di fine maggio. Si era da poco trasferito a New York e per lui, un semplice ragazzo di una piccola cittadina del North Carolina, non era facile ambientarsi in una grande metropoli come quella. Era passato da un paese dove tutti conoscevano tutti ad una città dove agli altri non interessa minimamente della sua esistenza.

Così girovagando per la città aveva trovato quel piccolo negozio, del tutto differente dagli altri mostri di ferro –come li chiamava lui- trovando un ambiente caloroso e semplice. Le pareti in mattoni rossi, le tre file di dischi in vinile che occupavano la piccola sala, il lampadario con ventilatore a pale che giravano pigramente, un corridoio dalla luce soffusa sulla sinistra, adattato provvisoriamente come libreria e l’odore di biscotti al burro. Lì aveva trovato un po’ della familiarità che gli mancava tanto, lì aveva trovato lei.

La signora Johnson, dietro la cassa, alzò lentamente gli occhi dal giornale e rivolse a Michael uno dei suoi calorosi sorrisi, come per dargli il ben tornato. Michael rispose con un cenno della testa chiudendo poi la porta dietro di se.

Sfogliò svogliatamente qualche cd, per poi avviarsi lentamente dove sapeva l’avrebbe sicuramente trovata.

Ripensò alla prima volta che l’aveva vista in quel negozio: era la terza volta che andava in quella libreria, di solito preferiva passarci in settimana, quando c’era poco da fare, ma quel giorno –lo ricordava benissimo- era di sabato, era appena uscito dal lavoro e doveva comprare un libro che gli era necessario per scrivere uno degli articoli a cui stava lavorando, ed era allora che l’aveva vista per la prima volta.

Il vestitino colorato a fiori le fasciava delicatamente il corpo esile e si adattava ad ogni movimento mentre lei si alzava in punta di piedi per sistemare del libri sugli scaffali più alti, i capelli castani ondulati le ricadevano sulla schiena ricoprendola dolcemente e la frangetta le ricadeva dispettosamente sugli occhi, nonostante lei soffiasse in su più volte per scostarla.

La cosa che più l’aveva stupito di lei, ricordava, era il suo viso. Quella città era piena di donne in carriera, tutte bellissime, tanto che sembravano essere appena uscite da un servizio fotografico di Victoria’s Secret, brillavano come stelle, come se qualcuno tenesse costantemente acceso un riflettore su di loro; lei, invece, nei suoi abiti colorati e nel suo viso senza trucco, risplendeva di luce propria. La bocca rossa, la linea del piccolo naso dritta, i grandi occhi marroni dalle ciglia lunghe poggiati su una pelle tanto diafana da sembrare uguale alla luna.

La luna, ecco come appariva lei agli occhi di Michael, non come una delle tante stelle, ma come una luna che risplendeva nel cielo d’estate illuminando tutto attorno a se.

Ogni volta che l’aveva vista aveva sempre delle enormi cuffie poggiate sul capo, ed ogni tanto, ignara di essere osservata, si lanciava in strane danze, ancheggiando e muovendo delicatamente la testa, allora Michael faceva un passo avanti domandandosi come sarebbe stato stringerla tra le sue braccia e ballare con lei, ma poi si fermava per paura di rovinare tutto e rimaneva a guardarla, in silenzio.

A volte l’aveva vista soffermarsi su qualche romanzo mentre metteva a posto degli scatoloni pieni di libri, e poco tempo dopo l’aveva vista leggere un libro mentre mangiucchiava distrattamente una fetta di pizza. Rigorosamente al pomodoro.

 Michael girò l’angolo della sala per poi ritrovarsi nel suo ambiente preferito, circondato da libri. Si rese conto che nonostante fossero passati cinque mesi dalla prima volta che aveva visto quella ragazza, quello che sapeva di lei non era molto.

Sapeva che amava la musica, i romanzi –specialmente quelli di Sparks- e che le piaceva la pizza. Al pomodoro. Sapeva che preferiva tenere i capelli sciolti nonostante la frangia le desse qualche fastidio, sapeva che aveva un tatuaggio ben nascosto sotto il braccio che si vedeva solo quando lo sollevava per posare qualche libro e sapeva che lavorava solo nei fine settimana.

Michael diete un’occhiata veloce alla sala, che però sembrava essere vuota, allora cominciò a dare un’occhiata ai libri con più o meno interesse.

Guardando i titoli dei libri di fronte a se, si ritrovò a chiedersi cosa le avrebbe suggerito di leggere la ragazza se gliel’avesse chiesto. Qual’era il suo libro preferito in assoluto? Quali erano i libri che aveva scartato da subito? E che tipo di musica ascoltava quando la vedeva sorridere o ballare? Cosa le piaceva mangiare, oltre alla pizza? Era uno di quei tipi da cibo orientale o le piacevano le cose tradizionali? Cosa faceva durante il resto della settimana? Quel tatuaggio, l’aveva fatto per un gesto di ribellione o aveva un significato particolare per lei?

Questo era il genere di domande che affollavano spesso la mente di Michael, ma lui non sapeva rispondere nemmeno alla metà di quelle domande.

Non sapeva nemmeno come si chiamava la ragazza.

Un cigolio lontano fece distrarre Michael dai suoi pensieri, che si voltò di scatto verso sinistra, da dove proveniva quel rumore. Una piccola porta di legno si aprì lentamente e la prima cosa che il ragazzo vide fu uno scatolone, sorretto da due braccia esili, poi intravide la stoffa fuxia di un leggero vestitino autunnale e la coscia bianca della ragazza spuntare dal buio.

Come sempre, Michael si voltò di scatto, come se avesse paura di essere scoperto. A fare cosa poi, non lo sapeva nemmeno lui. Non le era mai capitata una cosa del genere, aveva visto tante commesse bellissime, ma non gli era saltato mai per la testa di tornare per rivederle. Quella ragazza invece aveva qualcosa di strano, qualcosa di diverso, qualcosa che lo faceva andare lì ogni sabato, qualcosa che non gli faceva trovare il coraggio di rivolgerle la parola.

Michael prese il primo libro che gli capitò sotto mano e cominciò a sfogliarlo, mentre sott’occhio osservava la ragazza; Lei, come sempre, non si era accorta di lui, o almeno non dava segni di averlo fatto, poggiò lo scatolone sul parquet e lo aprì cominciando a tirare fuori libri a gruppi. La prima cosa che notò Michael fu che, per la prima volta, le cuffie non emanavano suoni, e non erano poggiate sulle orecchie della ragazza, ma dietro il collo.

Come mai non stava ascoltando musica? Era successo qualcosa di particolare oggi? Era perché era arrabbiata o troppo felice per ascoltare qualsiasi genere di musica? O forse aveva qualche pensiero per la testa e non voleva che la musica la distraesse? Michael avrebbe tanto voluto andarle vicino e chiederglielo ma, ancora una volta, rimase ad una decina di metri da lei, continuando a fingere di essere interessato a quel libro.

La ragazza continuava col suo lavoro, noncurante della presenza di Michael, faceva avanti e dietro posando libri qua e la, il vestito le svolazzava attorno alle gambe alzandosi ed abbassandosi a seconda dei movimenti, gli occhi marroni correvano da un angolo all’altro della sala per studiare quale fosse la posizione migliore dove collocare un libro.

Poi, improvvisamente, a Michael si spezzò il fiato.

A passo deciso la ragazza si avviò verso di lui, Michael col cuore a mille stava per chiudere il libro che teneva in mano, quando lei lo sorpassò, talmente veloce che lui sentì l’aria spostarsi dietro di se. Chiuse gli occhi, respirando a fondo, e sorrise quando nell’aria colse un profumo diverso, il suo profumo. Non era un profumo forte, anzi, era un profumo dolce, delicato, di rose.

Michael si voltò, stavolta verso destra, dove la vide ancora. Era dall’altra parte della stanza, ad un paio di metri da lui sta volta, le braccia allungate verso l’alto e in punta di piedi cercava di sistemare un libro spesso –saranno state almeno ottocento pagine- su uno degli scaffali in legno, senza grande successo.

La ragazza soffiò all’insù e Michael non capì se il suo era un gesto di frustrazione o stesse cercando di scostarsi i capelli dal viso. Le mani sudate della ragazza scivolarono sulla copertina plastificata nel libro, e questo cadde indietro, mancando di poco la testa della ragazza che soffiò di nuovo, questa volta però era chiaramente uno sbuffo.

Michael osservò il libro giacere a pochi centimetri dai piedi della ragazza e gli venne del tutto naturale chiudere il libro che teneva in mano con un tonfo ed inginocchiarsi per raccogliere l’altro.

Si alzò come una molla, interdetto dal suo stesso gesto, mentre la ragazza si voltava verso di lui.

Non l’aveva mai vista così da vicino. La pelle gli sembrava ancora più liscia, se possibile, il viso era leggermente accaldato e le guance un po’ arrossate, gli occhi grandi e profondi per la prima volta guardavano i suoi e le labbra rosse erano curvate in un sorriso dolce.

In silenzio, con cuore tremante e la testa che vorticava terribilmente, Michael le passò il libro che lei prese delicatamente tra le mani.

-grazie-

Michael dovette trattenersi con tutte le sue forze per non spalancare gli occhi. Per la prima volta l’aveva sentita parlare, ma pareva essersene reso conto solo in quell’istante. L’aveva vista fare tantissime cose in quel mesi, ma mai parlare, né con un cliente –di quello se ne occupava la signora Johnson- ne con la signora stessa, ma ora che l’aveva fatto il ragazzo pensò che quella doveva essere la voce degli angeli.

La ragazza continuava a sorridergli, in attesa di un qualcosa, e Michael voleva veramente fare qualcosa. Sapeva che quello era il momento giusto, avrebbe potuto parlarle ora, avrebbe potuto trovare le risposte a tutte quelle domande che lo tormentavano, avrebbe potuto chiederle il suo nome, ad esempio.

Ma non lo fece.

Con un cenno della testa ed un passo indietro Michael si voltò, poggiò il libro che ancora teneva nella mano sinistra dove l’aveva preso, e quasi corse fuori, senza nemmeno salutare l’anziana signora dietro la cassa.

-idiota- ringhiò a se stesso il ragazzo quando la fresca aria autunnale gli pizzicò le guance.

Non poteva crederci, non poteva averlo fatto davvero.

Adesso la ragazza avrebbe pensato che lui fosse un idiota, un idiota con evidenti problemi mentali ed a relazionarsi con gli altri, o uno scostumato. Certo, che razza di persona è uno che non risponde ad un semplice grazie? Uno senza speranze ad esempio, come lui.

-era tanto difficile dire “prego”?!- sbottò a se stesso ancora una volta

Non avrebbe trovato più il coraggio di entrare la dentro, non poteva stare lì ad osservarla senza pretendere che lei l’avrebbe guardato con aria di disappunto chiedendosi che problema aveva.

Eppure sapeva che ci sarebbe tornato, per lo stesso motivo per cui continuava a tornarci da cinque mesi: doveva vederla, anche per un istante, anche per un secondo. Ma ora aveva rovinato tutto, ora non avrebbe avuto il coraggio di rivolgerle più la parola. Non che l’avesse fatto prima, ma almeno poteva vivere nell’illusione che prima o poi avrebbe trovato il coraggio per farlo.

Un giornalista che non trova le parole, il colmo!

Ma per lui le parole e la scrittura erano sempre state due cose estremamente diverse. Parlava solo quando era strettamente necessario, o quando gli andava; scriveva, praticamente, sempre.

Era stato davvero un idiota, ed aveva perso la sua occasione.

-HEY!- Michael riconobbe al volo la sua voce, come avrebbe potuto non farlo d'altronde?

Si voltò di scatto, accigliato, era impossibile che stesse parlando con lui, non dopo la figuraccia che aveva appena fatto.

La ragazza, avvolta in un golfino nero che indossava sul vestitino leggero, prese a correre verso di lui, mentre la frangetta le ricadeva disordinatamente sulla fronte e portava qualcosa in una mano.

-hai dimenticato lo scontrino- sorrise quando arrivò di fronte a lui

Gli porse il pezzo di carta bianco che lui afferrò lentamente, senza staccare i suoi occhi da quelli della ragazza. Erano così belli, così familiari, così caldi.

 Michael aprì la bocca -sta volta non avrebbe fatto la figura dell’idiota- ma la ragazza lo fermò, parlando per prima –mi chiamo Cateline – sorrise.

Non disse altro, si voltò e riprese a correre tornando nel negozio, senza dare a Michael il tempo di dire alcunché.

Cateline.

Il ragazzo rimase interdetto per qualche secondo prima di sorridere contento. Si voltò e riprese a camminare col sorriso stampato sulle labbra. Cateline, proprio come aveva immaginato, un nome elegante, semplice e bellissimo, proprio come lei.

Finalmente la ragazza dei suoi sogni aveva un nome, ed ora fantasticare su di lei gli veniva ancora più semplice. Immaginava di incontrarla a central park, ad esempio, in una calda giornata di luglio incontrarla per caso e dirle “Ciao, Cateline”; oppure portarla a cena, in uno dei tanti ristoranti della città e chiederle “Tu cosa prendi, Cateline?”

Strinse lo scontrino tra le dita, pronto a riporlo in tasca, quando un piccolissimo dettaglio si fece spazio tra i suoi pensieri: lui non aveva acquistato nulla.

Prese il foglio tra le mani e solo allora notò che era più spesso della carta che normalmente si usa per gli scontrini, e piegato in quattro.

Il cuore prese a battergli forte nel petto e le mani gli tremavano tanto che ci impiego il doppio del tempo di quello che ci avrebbe messo normalmente, per aprire quel foglietto.

La calligrafia chiara ed elegante faceva mostra di se su quel piccolo pezzo di carta e non appena Michael lesse l’ultima parola, non potè fare a meno di sorridere felice, mentre nella sua testa si faceva spazio la convinzione che quello era l’inizio, un piccolo tassello, di qualcosa di grande. Quello era l’inizio del loro amore.

 

Spero tu non voglia farmi aspettare

altri cinque mesi per invitarmi a cena.

Cateline

 

 

 

 

 

*             *             *

 

 

Salve.

Ok, sono moooolto tesa, è la prima volta che scrivo in questo fandom e, a dire la verità, è la prima volta che scrivo una cosa del genere quindi, vi prego, siate clementi.

Che dire, l’idea di questa os vagava nella mia mente da un po’ di tempo, ispirata dalla canzone “Lost in stereo” degli All time low –che amo infinitamente- mi sono decisa a scriverla.

Non è niente di che, ma spero vi piaccia leggerla come a me è piaciuto scriverla.

A presto.

 

 

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: JustALittleLie