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Autore: Julieta    08/09/2011    0 recensioni
-Ho dimenticato chi sono...
-Sta a me ricordartelo, allora. Il tuo nome vuol dire "Colei che parte ma ritorna" e sinceramente, non ho sogno più grande che guardare i tuoi occhi quando tornerai!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Non mi ero mai soffermata su cosa significasse ritrovarsi senza un’anima; non ci avevo mai pensato, mi sembrava una cosa così orribile e lontana. Troppo per essere afferrata fin nel profondo. L’idea neanche mi faceva paura, per quanto fossi consapevole che sarebbe potuto capitare a me e a qualunque persona che avessi intorno. È proprio vero: viverle, sentirle-le cose- è tutta un’altra storia. Ed io ho sentito il mio corpo ripudiarmi, la mia anima raggrinzirsi benché la sua voglia di spandersi crescesse ogni ora di più. È una strana sensazione sapere di scoppiare di vita, d’amore, di splendore e ritrovarsi vittima del proprio corpo, vittima della sua smania famelica e distruttiva. Quanto sia terribile tutto ciò non è dato saperlo a chi non lo sente ansimare, stringersi, piangere. E tu non puoi farci niente, non puoi cantare, non puoi ballare, non puoi dirgli che mai lo hai amato come lo ami allora, perché non ti ascolta più ormai. È come un mare profondo nel quale senti di stare dolcemente sprofondando e dal quale non ti importa come ne uscirai, ti importa solo di farcela. E ti odi. Ti odi perché ti senti tradita da quel corpo come da un marito, come se non fossi stato in grado di tenertelo stretto, come se non avessi avuto la capacità di fargli capire, anche minimamente, quanto hai amato la vita…quando hai amato la vita in lui.
Mi chiamo Aida, il mio nome significa  colei che parte ma ritorna e, sinceramente, spero di rincasare presto; sono nata ventotto anni fa in un paesino floreale in provincia di Genova. Forse un giorno mi sposerò e mai avrò dei figli perché il mio ventre, se l’è portato via il male oscuro qualche tempo fa. Non ricordo bene come sia successo, è stato tutto tanto veloce che non ho ancora avuto il tempo di assimilarlo; nonostante tutto, il cuore ancora mi piange a pensarci. Gli occhi mi si sono asciugati al vento di aprile da poco tempo, eppure c’è una lacrima nascosta che nessuno mi sa disegnare, neanche l’uomo che amo, che dipinge e sogna ogni giorno di me.
Si chiama Giacomo, mi ha amata quando la mia testa pallida era ornata da una splendida chioma d’ebano e quando le mie labbra avevano ancora il sapore del sole. Insegna Storia dell’Arte in un liceo e suona, il mio Giacomo. Suona il pianoforte.
Io non suono niente, neanche i miei respiri. Le mie cosce color madre perla resteranno un fiore non colto, perché mai potranno esser la porta di una nuova vita.
 
“Non te ne potrò dare, di figli…” gli dissi: “…quindi, se devi, va’ via subito.”
Sì, gli dissi questo. Ero seduta sul pavimento freddo della veranda, di spalle alla ringhiera di bambù; l’odore delle piante, che io stessa avevo fatto crescere con tanto amore, mi nauseava. Stringevo tra le mani un libro, fingevo di leggerlo, ma i miei occhi scrutavano ogni parola e la disintegravano come fossero meteoriti minuscoli e ignobili, penetrati nell’atmosfera per chissà quale oscura ragione cosmica. Ora che ci penso, era come vivere un sogno, uno di quelli che infondono un profondo senso di pace, pace che può sfociare nella gioia o nella rassegnazione.
Fu in quel momento che lo sentii inginocchiarmisi accanto, lo vidi togliermi il libro dalle mani e posarlo sul pavimento color terra e intrecciare le mie dita alle sue. Lo vidi, certo, ma non lo guardai, non avrei avuto il coraggio di sostenere i suoi occhi a mandorla color cioccolato mentre mi dicevano addio. Sentivo il respiro farsi sempre più vicino e il freddo sempre più distante.
“Mi vuoi sposare?”
Ruotai il capo e lo sguardo insieme e fu lì che lo vidi, bellissimo come solo chi amiamo ci appare, con un anello in una mano, nell’altra un filo di spago.
Se la ricordava ancora, la storia dello spago. Appena ci conoscemmo, lui mi regalò un fiocchetto di spago, come portafortuna per l’esame di maturità che avrei sostenuto il giorno dopo, mi disse che lo spago ha qualcosa di magico, ancor più di qualsiasi amuleto.
Quello che sentii in quel momento, mai e poi mai potrei descriverlo tanto meno pensarlo! Non entrerebbe in un pensiero, figuriamoci in un misero foglio di carta.
  
  
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