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Autore: HeavenMayBurn    09/09/2011    11 recensioni
Se Erik Lehnsherr era in equilibrio tra la rabbia e la serenità, Michael stava sprofondando così tanto nella merda da farsi pena da solo.
[James McAvoy/Michael Fassbender. Scritta per il Reality Challenge di maridichallenge]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia sono realmente esistenti ed appartengono a loro stessi, ed io non intendo dare rappresentazione veritiera ne del loro carattere ne della loro sessualità o offenderli in alcun modo. E per finire non guadagno nulla da tutto questo, boohya! \o/

Note: IDEK D: L’ho tipo iniziata a tarda notte e, non lo so, mi sarebbe piaciuto fare il mio esordio nelle RPF di FC con qualcosa di migliore ;__;

Rimedierò appena il culo mi peserà un po’ meno XD Titolo e citazione da Not the Sun dei Brand New *O*

Ditemi come vi sembra, come al solito :D

Conteggio parole: 2.084

 

Be my bait.

 

Don’t be that note I can't hold. Don’t be that joke that I told and toldtill it got old.
Don’t be that hand around my throat so I can't breathe.

-Brand New

 

Michael Fassbender si considerava una persona semplice.

Gli ultimi anni, in fondo, non avevano cambiato di molto la sua vita. Certo, ora poteva permettersi scarpe che costavano i soldi che solo cinque anni prima gli sarebbero bastati per vivere un mese intero, riusciva a passare davanti alla fila del supermercato ed entrare nei locali senza essere in lista ma, dopotutto, amava pensare di essere rimasto lo stesso ragazzo che aiutava suo padre al ristorante solo per fottergli le birre dopo la chiusura, nonostante ora le birre se le potesse comprare da solo.

Fin da piccolo aveva imparato a godersi le piccole cose; come la sensazione del sole che batte sulla nuca -che purtroppo, da quando abitava a Londra sentiva sempre meno, dannata pioggia- o il fatto di dormire fino a tardi nell’unico giorno, da quasi due settimane, in cui non doveva girare.

E era per questo che avrebbe volentieri spaccato il proprio telefonino contro la parete se lo stronzo che continuava a farlo squillare non avesse smesso di rompere i coglioni.

 

Si passò una mano sul viso, tentando di cancellare la stanchezza, e cercò a tentoni il cellulare sul comodino.

“Pronto?” grugnì dentro il microfono. Dall’altro capo della linea ci fu una specie di sospiro e Michael si lasciò cadere di nuovo tra i cuscini. “James.” Disse, e non era una domanda ma un’affermazione perché ormai aveva imparato a riconoscere il suono di un sorriso nella sua voce. Senza che potesse fare nulla per impedirlo, anche le proprie labbra si piegarono leggermente. “Che cazzo vuoi?”

“Oh, è un piacere sentirti. Io sto bene, e tu? No, non disturbarti ad essere troppo educato, dopotutto sono solo io.”

Michael grugnì massaggiandosi la tempia. Era davvero troppo presto perché James lo prendesse per il culo.

McAvoy, se non mi dici che cosa vuoi giuro che attacco.”

“Oh, davvero? Sai di star parlando con il Professor Xavier, sì? Posso farti fare ciò che voglio. E ora scommetto che non hai neanche quel ridicolo caschetto…” e Michael poteva immaginarselo chiaramente, mentre appoggiava una mano sulla propria tempia e cercava di non ridere.

“Dio, ti piacerebbe sapere che cosa indosso…” sussurrò piano soffiando sulle vocali.

James rise solamente un istante, per poi tornare ad usare quello stupido accento inglese che utilizzava in quasi in tutti i suoi ruoli. “No, sono più interessato a cosa c’è sotto.”

 

Michael lanciò uno sguardo ai suoi boxer, passandosi una mano sui capelli.

Fantastico.

Non che fosse una cosa strana, essere svegli a quest’ora. Ma era da un po’ di tempo che le cazzate che facevano lui e James avevano un suono diverso nelle sue orecchie.

Anzi, era da un po’ che non suonavano più come cazzate.

Michael si era ritrovato a pensare alle labbra di James sul suo uccello, quando la mattina si chiudeva in bagno con una sigaretta, o ad immaginare che i suoi gesti fossero più di quanto significassero in realtà. E la cosa non andava bene perché James era la sua co-star, sposata con una donna e padre di un figlio piccolo.

C’erano così tante cose sbagliate in quella frase che, se avesse voluto spiegare i motivi per cui era fottuto, non avrebbe saputo da dove cominciare.

 

Probabilmente era colpa del film, e quelli che sentiva non erano altro che i sentimenti di Erik. Dopotutto non era la prima volta che entrava così tanto dentro un personaggio da avere problemi a capire quali pensieri appartenessero davvero a lui.

Con un po’ di fortuna, una volta finite le riprese se ne sarebbero andati anche quegli stupidi sorrisi che comparivano sulle sue labbra ogni volta che James lo chiamava per rompergli le palle. 

La cosa problematica era che lui e James, man mano che le riprese andavano avanti, si erano ritrovati ad essere sempre più vicini e questa andava ad aggiungersi alle altre mille cose che facevano stonare i suoi pensieri come un concerto di pentole e coperchi.

“James, se non mi hai chiamato per dirmi che sei fuori dalla porta della mia camera, ti suggerisco di cambiare argomento.”

James ridacchiò ancora un istante e poi riprese a parlare. Michael poteva vederlo mentre annuiva contro il cellulare. “Mi ha chiamato Anne Marie.”

Michael sentì un piccolo peso all’altezza dello stomaco, e con la mano cercò le sigarette che aveva abbandonato nei jeans la sera prima. “Oh. Come mai ti chiama così presto? E’ successo qualcosa a Londra?”

“In realtà a Londra è mezzogiorno passato. Da quant’è che non chiami casa?”

Michael fece due conti a mente e decretò che era anche più presto di quanto si aspettasse. Fanculo. Alzò le spalle e non rispose. “Se non è successo nulla,” domandò prendendo un altro tiro, mentre un po’ della cenere scivolava sul copriletto bianco. “Perché mi hai svegliato? Sadismo?”

“E’ proprio vero che mi conosci meglio di chiunque altro. Ma se non vuoi essere seccato, ti consiglierei di spegnere il telefono quando vai a letto.”

“Come ti pare.”

“Comunque, visto che ormai siamo svegli e nessuno di noi deve girare, possiamo… che ne so, andare a fare colazione e poi vedere quello che Savannah ha da offrirci.”

…Oppure,” cominciò Michael prendendo un ultimo tiro dalla sigaretta e spegnendola poi nel bicchiere sul comodino. “Potremmo aspettare mezzogiorno, chiuderci in un pub e ubriacarci per tutto il pomeriggio.”

“Oh, ti adoro quando mi leggi nel pensiero. Avrebbero dovuto darla a te la parte di Xavier.”

“Certamente” Michael annuì sorridendo e prese a cercare qualcosa da mettersi nella propria valigia. “Nella home tra un quarto d’ora?”

 

***

Michael Fassbender era una di quelle persone che prendeva ogni situazione come veniva, senza farsi troppe domande o perdere tempo con progetti e programmi.

Faceva l’attore e conosceva le regole del gioco, sapeva che nulla durava per sempre e che un giorno avrebbe potuto svegliarsi ed i blockbuster, i soldi e la fama potevano essere spariti dalla sua vita. Così cercava di godersi a pieno ogni momento, assaporava il gusto di ogni istante sulla lingua.

E questa poteva essere una buona strategia a grandi linee, lo aiutava a stare con i piedi per terra e non fare il coglione, ma aveva anche i suoi difetti. Perché, dannazione, avrebbe dovuto avere un minimo di intuito per capire dove quella situazione lo stava portando.

 

Prima di tutto James non reggeva bene l’alcol, e Michael lo sapeva.

Quando James glielo aveva confidato aveva riso perché, andiamo, Michael era convinto che i bambini scozzesi crescessero con latte e scotch nel biberon, ma ora vedeva tutto da un’altra prospettiva. Adesso si rendeva conto che non c’era proprio nulla di divertente.

Secondo problema: quando James era ubriaco trovava esilarante qualsiasi cosa. E quando rideva, piegava la testa verso di lui, gli sfiorava il fianco con le dita ed i suoi capelli castani si muovevano, coprendo solamente un occhio e rendendo l’altro orribilmente più azzurro.

Ed infine lui, al contrario, era in una fase critica. Ubriaco quel tanto che bastava per avere il coraggio di tentare qualcosa di orribilmente stupido ma non abbastanza per sperare di collassare nel tentativo.

 

Appena l’aveva raggiunto si erano fermati a fare colazione, parlando di ogni cazzata che passava loro per la testa. Chiunque, se gli avesse sentiti, si sarebbe sparato in fronte dopo dieci minuti, ma il bello di James era che con lui persino parlare di uno stupido film di metà anni novanta, di cui tutti eccetto loro avevano dimenticato l’esistenza, diventava interessante.

Erano andati a vedere il museo cittadino e poi avevano visitato il cimitero, seguendo il consiglio di Jennifer, che al posto di affascinargli non aveva fatto altro che dargli i brividi.

Tutto era andato bene fino alle cinque del pomeriggio, quando avevano deciso di rimanere davvero nel bar dell’albergo per far passare la serata. Fare i turisti è divertente fino al momento in cui la gente comincia a capire chi sei e tu rimani bloccato in mezzo alla piazza per più di venti minuti, facendo foto e firmando autografi.

E così ora si stava bagnando le labbra con la sua quarta birra, mentre James lo scuoteva per le spalle cercando di attirare la sua attenzione.

–Hai-hai mai pensato…- cominciò James dondolando leggermente sullo sgabello, e Michael rimase in silenzio, curioso di dove quella conversazione sarebbe andata a finire. –Hai mai pensato a cosa sarebbe successo se ci fossimo tenuti in contatto dopo Band of Brothers?-

-Intendi tra di noi?-

James annuì. –Sì, sai… Dieci anni sono un bel po’ di tempo.-

Michael alzò le spalle e prese un altro sorso di birra. No, non ci aveva mai pensato e non aveva intenzione di farlo adesso. –Chissà.-

-Sarebbe stato…-

-Impossibile.- finì la frase per lui. Gli era difficile rimanere in contatto con le persone che avevano una vita relativamente normale, figuriamoci con James.

-Già.- annuì James nascondendo un mezzo sorriso nel fondo del suo bicchiere.

Michael scostò lo sguardo, l’ultima cosa che aveva intenzione di fare era mettersi a decifrarlo. Al contrario, ordinò altri due boccali di birra, sperando che l’imbarazzo scivolasse via facilmente quanto l’alcol che stava bevendo.

-Mi sei mancato- disse James. E, davvero, non aveva molto senso, perché per quanto avessero potuto sentirsi stati vicini ai tempi delle riprese, quella non era stata altro che l’ennesima amicizia con la data di scadenza nata su un set televisivo.

Ma la verità era che, quando il suo sguardo aveva incontrato gli occhi azzurri di James il giorno della lettura del copione, non aveva potuto fare altro che sentirsi sollevato. In quel momento aveva pensato che fosse semplicemente felice di incontrare una faccia amica, dentro una delle produzioni con il budget più alto al quale avesse preso parte.

Ma forse…

Forse è il caso di smetterla con le cazzate, si disse mentre arrivava a metà bicchiere.

-Anche tu, James.- gli disse stringendogli la spalla tra le dita e cercando di fare in modo che non cadesse dalla sedia.

Poi James alzò lo sguardo verso di lui, e Michael dovette prendere un respiro, perché i suoi occhi erano talmente azzurri che aveva paura di affogarci dentro.

E, Dio, avrebbe davvero dovuto immaginarlo.

Quel momento stava gridando ‘pessima idea’ in ogni lingua mai parlata sul pianeta terra; uscire con James, ubriacarsi, mettersi a parlare di cosa sarebbe potuto succedere, guardarlo negli occhi in quel modo, mandare affanculo l’autocontrollo… Nonostante il lavoro che faceva avrebbe dovuto sottintendere un'abilità migliore nel fingere emozioni che non provava e mascherare le proprie, Michael aveva l’impressione che non sarebbe potuto essere più ovvio nemmeno se in quel momento si sarebbe inginocchiato davanti alla sedia di James, recitando un'orribile e romantica confessione.

 

Sospirò cercando il portafoglio nella tasca dei jeans. –Direi che ne abbiamo avuto abbastanza per oggi, non credi?-

James sbattè le palpebre per qualche istante e poi scosse la testa, afferrandogli il polso tra le dita. –No, che fai? Pago io, tu hai già-

James si bloccò e Michael non poteva biasimarlo. Doveva aver stampata in fronte la più stupida delle espressioni.

Imbarazzo, bisogno, desiderio, frustrazione e Dio, ti prego, James, lascia che me ne vada.

Patetico.

James si morse la lingua con un espressione interrogativa sulle labbra e Michael non ce la fece più. Afferrò la sua camicia e fece scontrare le loro labbra in un bacio che nulla aveva di romantico. James sospirò nella sua bocca per la sorpresa e Michael cercò la sua lingua perchè non aveva che un attimo per ottenere tutto ciò che desiderava.

Se Erik Lehnsherr era in equilibrio tra la rabbia e la serenità, Michael stava sprofondando così tanto nella merda da farsi pena da solo.

Strinse le dita nei suoi capelli castani e serrò gli occhi, cercando di chiudere fuori ogni genere di pensiero.

Sentì la lingua di James accarezzargli il palato, lasciandogli dei baci leggeri sulle labbra quando Michael si allontanò per prendere fiato.

 

Michael alzò di nuovo lo sguardo su di lui, e vide che gli occhi di James erano molto più azzurri di pochi istanti prima, quasi liquidi.

Doveva andarsene.

Doveva andarsene e cancellare ogni cosa che era appena successa dalla sua testa, cancellare James.

Niente degli ultimi dieci minuti sarebbe dovuto accadere, ma Michael sembrava avere la speciale mutazione di incasinarsi sempre di più la vita.

-Ci vediamo domani- disse mentre si voltava e andava verso l’ascensore per raggiungere la propria stanza.

Si chiuse la porta alle proprie spalle e cercò il proprio telefono.

Avrebbe chiamato Zoe e avrebbero fatto sesso fino a quando ogni pensiero non fosse diventato confuso ed incoerente.

Probabilmente tra pochi mesi, tutto questo non sarebbe stato altro che una storia divertente che lui e James si sarebbero raccontati davanti ad una birra. Avrebbe ripreso il controllo di quegli stupidi sentimenti che sentiva ogni volta che gli sorrideva e ogni cosa sarebbe andata per meglio.

Rimase in piedi per qualche istante sulla porta, passandosi una mano tra i capelli per cercare di riacquistare l’autocontrollo che sembrava aver perso, e poi fece partire la chiamata.

 

Michael Fassbender era completamente fottuto.

 

   
 
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