Disclaimer: I personaggi
presenti in questa storia sono realmente esistenti ed appartengono a loro
stessi, ed io non intendo dare rappresentazione veritiera ne del loro carattere
ne della loro sessualità o offenderli in alcun modo. E per finire non guadagno
nulla da tutto questo, boohya! \o/
Note: IDEK D: L’ho tipo
iniziata a tarda notte e, non lo so, mi sarebbe piaciuto fare il mio esordio
nelle RPF di FC con qualcosa di migliore ;__;
Rimedierò
appena il culo mi peserà un po’ meno XD Titolo e citazione da Not the Sun dei Brand New *O*
♥ Ditemi
come vi sembra, come al solito :D
Conteggio parole: 2.084
Be my bait.
Don’t be that note I can't hold. Don’t be that joke that I told and told
‘till it got old.
Don’t be that hand around my throat so I can't breathe.
-Brand New
Michael
Fassbender si considerava una persona semplice.
Gli
ultimi anni, in fondo, non avevano cambiato di molto la sua vita. Certo, ora
poteva permettersi scarpe che costavano i soldi che solo cinque anni prima gli
sarebbero bastati per vivere un mese intero, riusciva a passare davanti alla
fila del supermercato ed entrare nei locali senza essere in lista ma, dopotutto, amava
pensare di essere rimasto lo stesso ragazzo che aiutava suo padre al ristorante solo
per fottergli le birre dopo la chiusura, nonostante ora le birre se le potesse
comprare da solo.
Fin
da piccolo aveva imparato a godersi le piccole cose; come la sensazione del
sole che batte sulla nuca -che purtroppo,
da quando abitava a Londra sentiva sempre meno, dannata pioggia- o il fatto
di dormire fino a tardi nell’unico giorno, da quasi due settimane, in cui non
doveva girare.
E
era per questo che avrebbe volentieri spaccato il proprio telefonino contro la parete
se lo stronzo che continuava a farlo squillare non avesse smesso di rompere i
coglioni.
Si
passò una mano sul viso, tentando di cancellare la stanchezza, e cercò a
tentoni il cellulare sul comodino.
“Pronto?”
grugnì dentro il microfono. Dall’altro capo della linea ci fu una specie di
sospiro e Michael si lasciò cadere di nuovo tra i cuscini. “James.” Disse, e
non era una domanda ma un’affermazione perché ormai aveva imparato a
riconoscere il suono di un sorriso nella sua voce. Senza che potesse fare nulla
per impedirlo, anche le proprie labbra si piegarono leggermente. “Che cazzo
vuoi?”
“Oh,
è un piacere sentirti. Io sto bene, e tu? No, non disturbarti ad essere troppo
educato, dopotutto sono solo io.”
Michael
grugnì massaggiandosi la tempia. Era davvero troppo presto perché James lo
prendesse per il culo.
“McAvoy, se non mi dici che cosa vuoi giuro che attacco.”
“Oh,
davvero? Sai di star parlando con il Professor Xavier,
sì? Posso farti fare ciò che voglio. E ora scommetto che non hai neanche quel
ridicolo caschetto…” e Michael poteva immaginarselo
chiaramente, mentre appoggiava una mano sulla propria tempia e cercava di non
ridere.
“Dio,
ti piacerebbe sapere che cosa indosso…” sussurrò
piano soffiando sulle vocali.
James
rise solamente un istante, per poi tornare ad usare quello stupido accento
inglese che utilizzava in quasi in tutti i suoi ruoli. “No, sono più
interessato a cosa c’è sotto.”
Michael
lanciò uno sguardo ai suoi boxer, passandosi una mano sui capelli.
Fantastico.
Non
che fosse una cosa strana, essere svegli
a quest’ora. Ma era da un po’ di tempo che le cazzate che facevano lui e James
avevano un suono diverso nelle sue orecchie.
Anzi,
era da un po’ che non suonavano più come cazzate.
Michael
si era ritrovato a pensare alle labbra di James sul suo uccello, quando la
mattina si chiudeva in bagno con una sigaretta, o ad immaginare che i suoi
gesti fossero più di quanto significassero in realtà. E la cosa non andava bene
perché James era la sua co-star, sposata con una donna e padre di un figlio
piccolo.
C’erano
così tante cose sbagliate in quella frase che, se avesse voluto spiegare i
motivi per cui era fottuto, non avrebbe saputo da dove cominciare.
Probabilmente
era colpa del film, e quelli che sentiva non erano altro che i sentimenti di
Erik. Dopotutto non era la prima volta che entrava così tanto dentro un
personaggio da avere problemi a capire quali pensieri appartenessero davvero a
lui.
Con
un po’ di fortuna, una volta finite le riprese se ne sarebbero andati anche quegli
stupidi sorrisi che comparivano sulle sue labbra ogni volta che James lo
chiamava per rompergli le palle.
La
cosa problematica era che lui e James, man mano che le riprese andavano avanti,
si erano ritrovati ad essere sempre più vicini e questa andava ad aggiungersi
alle altre mille cose che facevano stonare i suoi pensieri come un concerto di
pentole e coperchi.
“James,
se non mi hai chiamato per dirmi che sei fuori dalla porta della mia camera, ti
suggerisco di cambiare argomento.”
James
ridacchiò ancora un istante e poi riprese a parlare. Michael poteva vederlo
mentre annuiva contro il cellulare. “Mi ha chiamato Anne Marie.”
Michael
sentì un piccolo peso all’altezza dello stomaco, e con la mano cercò le
sigarette che aveva abbandonato nei jeans la sera prima. “Oh. Come mai ti
chiama così presto? E’ successo qualcosa a Londra?”
“In
realtà a Londra è mezzogiorno passato. Da quant’è che non chiami casa?”
Michael
fece due conti a mente e decretò che era anche più presto di quanto si
aspettasse. Fanculo.
Alzò le spalle e non rispose. “Se non è successo nulla,” domandò prendendo un
altro tiro, mentre un po’ della cenere scivolava sul copriletto bianco. “Perché
mi hai svegliato? Sadismo?”
“E’
proprio vero che mi conosci meglio di chiunque altro. Ma se non vuoi essere
seccato, ti consiglierei di spegnere il telefono quando vai a letto.”
“Come
ti pare.”
“Comunque,
visto che ormai siamo svegli e nessuno di noi deve girare, possiamo…
che ne so, andare a fare colazione e poi vedere quello che Savannah ha da
offrirci.”
“…Oppure,” cominciò Michael prendendo un ultimo tiro dalla
sigaretta e spegnendola poi nel bicchiere sul comodino. “Potremmo aspettare
mezzogiorno, chiuderci in un pub e ubriacarci per tutto il pomeriggio.”
“Oh,
ti adoro quando mi leggi nel pensiero. Avrebbero dovuto darla a te la parte di Xavier.”
“Certamente”
Michael annuì sorridendo e prese a cercare qualcosa da mettersi nella propria
valigia. “Nella home tra un quarto d’ora?”
***
Michael
Fassbender era una di quelle persone che prendeva ogni
situazione come veniva, senza farsi troppe domande o perdere tempo con progetti
e programmi.
Faceva
l’attore e conosceva le regole del gioco, sapeva che nulla durava per sempre e
che un giorno avrebbe potuto svegliarsi ed i blockbuster, i soldi e la fama
potevano essere spariti dalla sua vita. Così cercava di godersi a pieno ogni
momento, assaporava il gusto di ogni istante sulla lingua.
E
questa poteva essere una buona strategia a grandi linee, lo aiutava a stare con
i piedi per terra e non fare il coglione, ma aveva anche i suoi difetti.
Perché, dannazione, avrebbe dovuto
avere un minimo di intuito per capire dove quella situazione lo stava portando.
Prima
di tutto James non reggeva bene l’alcol, e Michael lo sapeva.
Quando
James glielo aveva confidato aveva riso perché, andiamo, Michael era convinto
che i bambini scozzesi crescessero con latte e scotch nel biberon, ma ora
vedeva tutto da un’altra prospettiva. Adesso si rendeva conto che non c’era
proprio nulla di divertente.
Secondo
problema: quando James era ubriaco trovava esilarante qualsiasi cosa. E quando
rideva, piegava la testa verso di lui, gli sfiorava il fianco con le dita ed i
suoi capelli castani si muovevano, coprendo solamente un occhio e rendendo
l’altro orribilmente più azzurro.
Ed
infine lui, al contrario, era in una fase critica. Ubriaco quel tanto che
bastava per avere il coraggio di tentare qualcosa di orribilmente
stupido ma non abbastanza per sperare di collassare nel tentativo.
Appena
l’aveva raggiunto si erano fermati a fare colazione, parlando di ogni cazzata
che passava loro per la testa. Chiunque, se gli avesse sentiti, si sarebbe
sparato in fronte dopo dieci minuti, ma il bello di James era che con lui
persino parlare di uno stupido film di metà anni novanta, di cui tutti eccetto
loro avevano dimenticato l’esistenza, diventava interessante.
Erano
andati a vedere il museo cittadino e poi avevano visitato il cimitero, seguendo
il consiglio di Jennifer, che al posto di affascinargli non aveva fatto altro
che dargli i brividi.
Tutto
era andato bene fino alle cinque del pomeriggio, quando avevano deciso di rimanere
davvero nel bar dell’albergo per far passare la serata. Fare i turisti è
divertente fino al momento in cui la gente comincia a capire chi sei e tu rimani
bloccato in mezzo alla piazza per più di venti minuti, facendo foto e firmando
autografi.
E
così ora si stava bagnando le labbra con la sua quarta birra, mentre James lo
scuoteva per le spalle cercando di attirare la sua attenzione.
–Hai-hai mai pensato…- cominciò James dondolando leggermente sullo
sgabello, e Michael rimase in silenzio, curioso di dove quella conversazione
sarebbe andata a finire. –Hai mai pensato a cosa sarebbe successo se ci fossimo
tenuti in contatto dopo Band of Brothers?-
-Intendi
tra di noi?-
James
annuì. –Sì, sai… Dieci anni sono un bel po’ di tempo.-
Michael
alzò le spalle e prese un altro sorso di birra. No, non ci aveva mai pensato e
non aveva intenzione di farlo adesso. –Chissà.-
-Sarebbe
stato…-
-Impossibile.-
finì la frase per lui. Gli era difficile rimanere in contatto con le persone
che avevano una vita relativamente normale, figuriamoci con James.
-Già.-
annuì James nascondendo un mezzo sorriso nel fondo del suo bicchiere.
Michael
scostò lo sguardo, l’ultima cosa che aveva intenzione di fare era mettersi a
decifrarlo. Al contrario, ordinò altri due boccali di birra, sperando che
l’imbarazzo scivolasse via facilmente quanto l’alcol che stava bevendo.
-Mi
sei mancato- disse James. E, davvero, non aveva molto senso, perché per quanto
avessero potuto sentirsi stati vicini ai tempi delle riprese, quella non era
stata altro che l’ennesima amicizia con la data di scadenza nata su un set
televisivo.
Ma
la verità era che, quando il suo sguardo aveva incontrato gli occhi azzurri di
James il giorno della lettura del copione, non aveva potuto fare altro che
sentirsi sollevato. In quel momento aveva pensato che fosse semplicemente
felice di incontrare una faccia amica, dentro una delle produzioni con il
budget più alto al quale avesse preso parte.
Ma forse…
Forse è il caso di
smetterla con le cazzate, si disse mentre arrivava a metà bicchiere.
-Anche
tu, James.- gli disse stringendogli la spalla tra le dita e cercando di fare in
modo che non cadesse dalla sedia.
Poi
James alzò lo sguardo verso di lui, e Michael dovette prendere un respiro,
perché i suoi occhi erano talmente azzurri che aveva paura di affogarci dentro.
E, Dio, avrebbe davvero
dovuto immaginarlo.
Quel
momento stava gridando ‘pessima idea’
in ogni lingua mai parlata sul pianeta terra; uscire con James, ubriacarsi,
mettersi a parlare di cosa sarebbe potuto succedere, guardarlo negli occhi in
quel modo, mandare affanculo l’autocontrollo…
Nonostante il lavoro che faceva avrebbe dovuto sottintendere un'abilità
migliore nel fingere emozioni che non provava e mascherare le proprie, Michael aveva
l’impressione che non sarebbe potuto essere più ovvio nemmeno se in quel momento
si sarebbe inginocchiato davanti alla sedia di James, recitando un'orribile e
romantica confessione.
Sospirò
cercando il portafoglio nella tasca dei jeans. –Direi che ne abbiamo avuto
abbastanza per oggi, non credi?-
James
sbattè le palpebre per qualche istante e poi scosse
la testa, afferrandogli il polso tra le dita. –No, che fai? Pago io, tu hai
già-
James
si bloccò e Michael non poteva biasimarlo. Doveva aver stampata in fronte la
più stupida delle espressioni.
Imbarazzo,
bisogno, desiderio, frustrazione e Dio,
ti prego, James, lascia che me ne vada.
Patetico.
James
si morse la lingua con un espressione interrogativa sulle labbra e Michael non
ce la fece più. Afferrò la sua camicia e fece scontrare le loro labbra in un bacio
che nulla aveva di romantico. James sospirò nella sua bocca per la sorpresa e
Michael cercò la sua lingua perchè non aveva che un
attimo per ottenere tutto ciò che desiderava.
Se
Erik Lehnsherr era in equilibrio tra la rabbia e la
serenità, Michael stava sprofondando così tanto nella merda da farsi pena da
solo.
Strinse
le dita nei suoi capelli castani e serrò gli occhi, cercando di chiudere fuori
ogni genere di pensiero.
Sentì
la lingua di James accarezzargli il palato, lasciandogli dei baci leggeri sulle
labbra quando Michael si allontanò per prendere fiato.
Michael
alzò di nuovo lo sguardo su di lui, e vide che gli occhi di James erano molto
più azzurri di pochi istanti prima, quasi liquidi.
Doveva andarsene.
Doveva
andarsene e cancellare ogni cosa che era appena successa dalla sua testa, cancellare James.
Niente
degli ultimi dieci minuti sarebbe dovuto accadere, ma Michael sembrava avere la
speciale mutazione di incasinarsi sempre di più la vita.
-Ci
vediamo domani- disse mentre si voltava e andava verso l’ascensore per
raggiungere la propria stanza.
Si
chiuse la porta alle proprie spalle e cercò il proprio telefono.
Avrebbe
chiamato Zoe e avrebbero fatto sesso fino a quando ogni pensiero non fosse
diventato confuso ed incoerente.
Probabilmente
tra pochi mesi, tutto questo non sarebbe stato altro che una storia divertente
che lui e James si sarebbero raccontati davanti ad una birra. Avrebbe ripreso
il controllo di quegli stupidi sentimenti che sentiva ogni volta che gli
sorrideva e ogni cosa sarebbe andata per meglio.
Rimase
in piedi per qualche istante sulla porta, passandosi una mano tra i capelli per
cercare di riacquistare l’autocontrollo che sembrava aver perso, e poi fece
partire la chiamata.
Michael
Fassbender era completamente fottuto.