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Autore: suzako    09/09/2011    1 recensioni
La Germania vince la guerra. (Erik/Charles, WWII, AU)
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Blood and Honour
 








Capitolo IV

 
 
 
“Recalling things that other people have desired”

 
 
 
 
 
Londra, Inghilterra
Dicembre 1946
 
 
<< Aspetta. E’ qui >>
 
Charles gli appoggiò una mano sul polso ed Erik si fermò bruscamente. Il suo battito era regolare e tranquillo, al contrario di quello del telepate, che continuava a deglutire nervosamente.
 
Londra era brulicante di vita e di morte allo stesso tempo. Cantieri sorgevano sui crateri lasciati dalle bombe, l’intera città era un cimitero senza lapidi.
 
Entrarono a Carnaby Street, stretta e quieta al buio della sera. C’erano poche luci, e la strada era deserta all’infuori di loro due.
 
Charles, d’altronde, sembrava avesse appena ripreso a respirare.
 
Avevano setacciato tutta la città, camminando sin dalle prime ore del giorno. Sapevano che Raven si trovava lì, e non solo lei, con ogni probabilità. Quindi non avevano fatto altro che girare per le vie della capitale, mentre Charles cercava la traccia mentale della sorella. Portarsi una mano alla tempia lo aiutava enormemente e gli facilitava la concentrazione, ma avrebbe finito con attirare l’attenzione, e aveva dovuto farne a meno.
 
<< Charles, fermati un attimo >>
 
<< Mi è sembrato… Mi era sembrato di sentirla, Erik, era vicina >>
 
<< Sì, ma hai bisogno di fare una pausa, finirai con-
 
<< Un ultimo sforzo. Devo solo fare  l’ultimo sforzo >>
 
In preda all’esasperazione, Erik lo afferrò per le spalle costringendolo a voltarsi verso di lui. Gli occhi di Charles, vacui e lontani, tornarono a focalizzarsi e lo guardarono con sorpresa, come se fosse stupito di trovarlo lì.
 
Si era praticamente dimenticato che Erik fosse presente.
 
Charles era troppo pallido, e i suoi occhi erano cerchiati. Erik pensava che non avrebbe resistito così a lungo, ma evidentemente si era sbagliato.
 
<< Fermati un attimo >> ripeté.
 
Per un attimo sembrò che stesse per divincolarsi e proseguire per la sua strada, ma alla fine chiuse gli occhi, prese un profondo respiro, ed Erik sentì le sue spalle rilassarsi impercettibilmente.
 
Lo lasciò andare, e fece un paio di passi indietro.
 
<< Va bene >>
 
Si fermarono di fronte ad un pub. L’insegna diceva Florence Mills Social Club. Dal locale proveniva musica jazz di vecchio stampo, come Erik ne aveva sentita prima della guerra.
Ed era completamente frequentato da afroamericani.
 
Charles deglutì.
 
<< Lei è qui. E’ sicuramente qui >>
 
<< Charles >> Erik si avvicinò a lui << Non sono sicuro sia una buona idea entrare qui. Finiremo per attirare l’attenzione. Non puoi farla uscire? >>
 
Il ragazzo annuì e si portò una mano alla tempia. Dopo qualche secondo la lasciò ricadere sul fianco. Tremava leggermente, notò Erik.
 
<< Si rifiuta. Dobbiamo entrare >>
 
E senza dire altro si fece strada all’interno del pub.
 
Il posto era poco illuminato, e non c’erano molte persone. Tre uomini giocavano a carte lontano dal bancone. Due coppie sedevano vicino al palco, e un uomo al bancone. Tutti con la pelle scura.
 
Si fece subito silenzio.
 
Una delle ragazze sedute al tavolo si girò verso di loro, e sorrise. I suoi denti parevano bianchissimi sulla pelle color dell’ebano. Aveva gli occhi grandi, e lunghi capelli ricci sciolti sulle spalle. Si alzò e camminò verso di loro, fermandosi di fronte a Charles, il quale la guardava con occhi spalancati e soprattutto spaventati.
 
<< Raven >>
 
Era lei.
 
 

*
 

 
 
Raven era una mutaforma, e questo aveva spiegato il suo aspetto, oltre che alla sorpresa di Charles. Non era abituato a vederla utilizzare il suo potere con tanta leggerezza.
 
<< Sei riuscito a trovarmi, alla fine >>
 
Era nel club da più di mezz’ora, e nessuno sembrava più fare caso alla loro presenza. Erik si limitava ad osservare l’incontro fra i due fratelli, sorvegliando la situazione, e cercando di apparire rilassato beveva tranquillamente il suo rum scuro.
 
Charles, al contrario, stringeva troppo forte il bicchiere e fissava la sorella con una certa durezza nello sguardo.
 
<< Non è stato facile, ma come vedi sono qui >>
 
<< Ti ci è voluto un mese intero. Te la sei presa comoda >>
 
<< Ho aspettato, Raven! Speravo che avresti smesso con questa follia e saresti tornata a casa, ma vedo che è solo peggiorata! Cosa ci fai qui? Perché sei in mezzo a queste persone? >>
 
<< Queste personesono esattamente come me e te: oppresse, e costrette a nascondersi. E vogliono lottare >> fece un sorriso freddo << vedo che i tuoi studi di genetica hanno condizionato il tuo pensiero più di quanto credessi >>
 
Charles abbassò lo sguardo, senza offrire risposta, ma Erik poteva quasi vedere la furiaformarsi attorno a lui, come una tempesta pronta ad abbattersi a tutta forza.
Alzò la testa, e il suo sguardo era calmo e sereno.
 
<< Adesso cambi il tuo aspetto continuamente? Cosa farai se ti scopriranno, visto che non ci sono più io a proteggerti? >>
 
Raven lo guardava, ma i suoi grandi occhi scuri erano privi di espressione.
 
<< Non sono da sola, Charles. C’è chi bada a me >> poi si voltò verso Erik << il tuo amico. Ci possiamo fidare di lui? >>
 
<< Gli affiderei la mia vita >> rispose il telepate senza esitazione.
 
Erik strinse impercettibilmente il bicchiere e decise che era il momento adatto per vuotarne il contenuto.
 
<< Allora >> proseguì la ragazza alzandosi dal tavolo con un movimento aggraziato << è venuto il momento che voi conosciate la Resistenza >>
 
 
 

Berlino, Germania
Una settimana dopo

 
<< Li ha trovati >>
 
Il sorriso sulle labbra di Schmidt era qualcosa di innaturale e inquietante, ma non spaventava Emma. Non più. Sorrise anche lei, dolcemente.
 
<< Te lo avevamo detto, che si trovavano a Londra >>
 
<< Ed avevi assolutamente ragione! Un’intero esercitodi mutanti, raccolti in un unico punto e addestrati a combattere: non sembra un sogno? >>
 
<< Addestrati a combattere contro di noi, Sebastian >>
 
L’uomo si sedette di fianco a lei e la prese per mano, senza smettere un attimo di sorridere.
 
<< Per ora, mia cara, per ora >>
 
Suo malgrado, Emma si trovò a ricambiare quel sorriso.
 
<< Oh, so quanto sai essere persuasivo >>
 
<< Esattamente >> balzò improvvisamente in piedi, e si diresse verso uno dei contenitori pressurizzati del laboratorio << e come pegno della mia fiducia, i russi mi hanno dato questo >>
 
Era un elmo. Emma inclinò la testa e guardo la luce riflettersi sulla superficie liscia dell’oggetto. Ricordava un manufatto antico, come quelli che dovevano aver indossato gli antichi templari. Non la stupiva notare che in Russia, gli uomini sembravano rifarsi alla stessa mitologia tanto cara al Terzo Reich.
 
Sebastian lo indossò, e qualcosa in lui sembrò mutare.
 
<< Dimmi cosa sto pensando >>
 
Era completamente oscurato. Invisibile alla sua mente. Se avesse chiuso gli occhi, avrebbe giurato che non fosse neanche lì. Era inquietante in un senso, ma affascinante in un altro: era così per tutti loro?
 
<< Non posso >> disse con semplicità.
 
Lui sorrise, evidentemente soddisfatto.
 
<< Stavo pensando che sei bellissima, Emma >> le sue labbra si strinsero in una linea severa << e che temo non potrò accompagnarti in Russia, in quel piccolo viaggio diplomatico >>
 
<< Perché? >>
 
<< La situazione a Londra potrebbe essere più di quanto Erik ed Angel possano gestire. Voglio essere qui, in caso venisse richiesto il mio intervento >>
 
<< Capisco >>
 
Si sedette nuovamente vicino a lei, passandole un braccio attorno alle spalle.
 
<< Sarà per poco. Ti raggiungerò appena possibile. Se andrà tutto bene, non dovrò nemmeno andare in Inghilterra >>
 
Emma sorrise.
 
<< Dirò ad Azazel e Riptide che porgi i tuoi saluti >>
 
Il suo sorriso si allargò << Certamente >>
 
Fu solo quando Sebastian si fu alzato e uscì dalla stanza, che Emma si accorse che non aveva più tolto l’elmo.
 

 

*
 

 
 
Si trovavano lì da una settimana, ed Erik desiderava scappare ogni giorno di più.
Non che ci fosse nulla di sbagliato in quel posto: dietro la rassicurante facciata dell’azienda Braddock & sons per le ricostruzioni, si nascondeva l’ufficio di recutramento più efficace che Erik avesse mai visto.
 
Era completamente diverso dal laboratorio di Schmidt, e dalla sua guerra privata col genere umano.
 
Lì mutanti e umani lavoravano e si allenavano insiemeper quanto inconcepibile e degradante la cosa apparisse ai suoi occhi.
 
Erano tutti drammaticamente convinti che ce l’avrebbero fatta, che il loro piccolo esercito mutante sarebbe stato in grado di rovesciare l’Impero di Hitler, ed Erik sapeva che non sarebbe mai successo, tutto questo per colpa sua.
 
Sono una spiapensava, sono una spia e un traditore e vi condannerò tutti.
 
Ma a quanto pareva, Charles non aveva rotto la sua promessa. Non gli aveva letto nel pensiero. Non l’aveva sentito.
 
Charles era il lato peggiore di tutta la faccenda. Charles che si fidava di lui. Charles che gli parlava con occhi che brillavano e non lo lasciava mai solo, Charles che cercava di nascondere dietro al suo scetticismo l’entusiasmo e la semplice gioiache sembrava causargli la convivenza forzata tra uomini e mutanti che chiaramente non avevano nulla in comune se non il desiderio di vendetta.
 
<< E’ più di quello, amico mio, è molto di più. E’ la base per un futuro migliore, un futuro in cui ci sia finalmente pace, capisci? >>
 
<< Questo non accadrà mai e lo sai benissimo. E’ dalla notte dei tempi che le specie lottano per la sopravvivenza: gli uomini hanno passato gli ultimi duemila anni a farsi a pezzi reciprocamente, perché con noi dovrebbe esserci alcuna differenza? Siamo pericolosi Charles, e una volta finita questa guerra, ne inizierà un’altra >>
 
<< Oh Erik, ma è proprio per questo che siamo qui: per evitare che succeda. Se lottiamo insieme adesso, rimarremo uniti. >>
 
Erik scosse la testa, deciso a non rispondere. L’idealismo di Charles era troppo doloroso, e non solo quello: avvicinare quel ragazzo era stato un errore. Non avrebbe dovuto. Avrebbe solo reso tutto più difficile… dopo.
 
<< Lo sai >> continuò il ragazzo, mentre Erik fissava ostinatamente di fronte a sé << Mio padre ha combattuto nella Grande Guerra, e lui mi raccontava che quando combatti, il legame che si forma tra compagni diventa l’unica cosa che conosci. Essi diventano per te madre, padre e fratello: ti fidi di loro con la tua vita, e loro fanno altrettanto. E’ un tipo di amore più profondo di ogni altro, e non se ne vai mai >>
 
Gli affiderei la mia vita. Le parole di Charles erano troppo fresche nella sua memoria perché potesse sopprimerle in qualche angolo buio. Il loro peso non era mia stato così reale, disteso fra di loro come lo spazio fisico che li divideva.
 
Non ti fidare di me. Non devi fidarti di me.Avrebbe voluto dirlo, ma le parole si rifiutavano di uscire. Sarebbe stata la fine. Non poteva farlo. Schmidt avrebbe ucciso lui e Charles e chiunque altro: così invece, aveva una possibilità di salvarlo. Anche se significava farsi odiare, e perderlo comunque.
 
<< Non è sempre così, non è così semplice >>
 
Aveva parlato a denti stretti, la voce un sussurro appena udibile.
 
Charles gli aveva posato una mano sulla spalla senza dire niente, calda anche attraverso la pesante stoffa della giacca, ed Erik si sentì meglio e peggio allo stesso tempo senza sapere come fosse possibile.
 
<< Non è semplice, ma è così. Anche tu prima o poi dovrai fidarti di qualcuno, e andrà tutto bene >> disse Charles, e anche lui parlava pianissimo, ed erano così vicini, come se stessero dividendo un segreto.
 
Ma lui scosse la testa con forza, perché per quanto volesse crederci sapeva che non era vero, e anche Charles aveva il diritto di saperlo, e lui aveva il diritto di non mentire almeno una volta, non è così?
 
Non è così?
 
<< No, Charles. Sei tu che non capisci. Io non sono come voi. E’ diverso per me >>
Si fermò, cercando di calmarsi, ma era impossibile, era troppo e non ce la faceva e lo odiava.
 
<< Non servirà a niente. Tutto questo è già successo, ed è destinato a fallire, è perfettamente inutile >>
 
Charles non gli offrì risposta, ed Erik sapeva che non poteva capire. Per quanto avesse voluto non poteva lasciare che lui comprendesse.
Avrebbe solo voluto lasciarlo leggere i suoi pensieri, almeno sarebbe finita.
 
Era impossibile, ovviamente. Non sarebbe mai finita.
 
<< Erik, ti prego, ascoltami >> la mano di Charles sulla sua spalla lo avvolgeva completamente ed Erik si accorse quanto lo avesse lasciato avvicinare, metaforicamente e non, e se ne vergognò terribilmente << Tu non sei solo. Hai capito? Non sei solo >>
 
Erik chiuse gli occhi, e si lasciò tenere da Charles ancora per un po’, dalle sue mani calde e le sue parole gentili. Poi avrebbe chiamato Schmidt per il suo rapporto giornaliero sulle attività della Resistenza.
 
 

*

 

Aveva incontrato Angel due giorni dopo i loro primi contatti con Braddock, fuori dal suo ufficio. Charles aveva insistito per accompagnare Raven, e anche se a loro non era stato chiesto di partecipare attivamente alla causa, temeva che Charles potesse lasciarsi convincere in qualche modo.
 
Meno si fosse fatto coinvolgere, più sarebbe stato facile per Erik salvargli la vita.
O almeno così credeva.
 
Così si era messo ad aspettare fuori, ed un gruppo di persone gli era passato davanti e l’aveva vista immediatamente, i suoi tatuaggi più inconfondibili dei suoi stessi occhi.
Lei non aveva nemmeno incrociato il suo sguardo. Schmidt addestrava bene le sue spie, e loro ne erano la prova vivente.
 
Erik uscì dall’edificio e si mise ad aspettare sul retro, fumando una sigaretta.
 
Non dovette aspettare molto.
 
<< Cosa ci fai qui? >> sibilò lei appena lo vide.
 
<< Ero ad Oxford, e ho seguito una traccia >>
 
<< Che incredibile coincidenza! Cazzate, ti ha mandato qui il Dottore, vero? >>
 
Erik ignorò il veleno con cui sembrava sputargli le parole addosso e spense la cicca della sigaretta con la punta della scarpa.
 
<< Il Dottore mi ha mandato ad Oxford, Angel. E se prendi il fatto che io sia qui come un segno di sfiducia da parte sua, la cosa non mi riguarda minimamente >>
 
La ragazza non rispose, limitandosi a guardarlo freddamente.
 
<< Sono qui da un mese. Sono riuscita a farne arrestare alcuni, ma erano solo umani. Schmidt praticamente non vuole che io faccia nulla, si può sapere da che parte stiamo?! >>
 
Sputò a terra, e la sabbia divenne divenne nera di cenere in un minuto.
 
<< Ne so quanto te. Io sono qui da due giorni, ma sinceramente non voglio farmi coinvolgere troppo. Non è la mia missione. Me ne andrò il prima possibile >>
 
La ragazza alzò lo sguardo e lo guardò, scettica.
 
<< E’ quello che ti ha detto Schmidt? E tu ci credi? >>
 
Erik strinse le mani in due pugni ma non disse niente. Cosa doveva significare la domanda? Quella ragazzina si stava prendendo gioco di lui. Ignorandola, le passo di fianco, e mentre si dirigeva nuovamente verso l’entrata, tirò il metallo dei suoi tacchi con un gesto casuale, facendola cadere a terra.
 
 
*
 
Quello era stato il giorno in cui aveva scoperto il potere di Raven, e la sua vera forma. C’era qualcosa in quella ragazza che lo attraeva e lo respingeva allo stesso tempo: era bellissima, molto semplicemente. Erik non riusciva a staccarle gli occhi di dosso quando entrava in una stanza, ed ogni suo movimento emanava una grazia magnetica, qualcosa di animalesco ed elegante allo stesso tempo.
 
Perlomeno, quando decideva di non nascondersi come un banale essere umano.
 
Sì, Raven era splendida, ma sotto il suo incredibile aspetto, la sua mente era banalein modo quasi frustrante. Lei non combatteva per i mutanti, per gli altri come lei, no: combatteva per gli essere umani. Voleva essere come loro, forse sperava che lottare nella loro guerra li avrebbe aiutati ad accettarla.
 
Se Erik avesse posseduto poteri telepatici, non avrebbe esitato a utlizzarli per correggerela sua mente.
 
Poi era passata una settimana, e Charles gli aveva annunciato che non aveva più intenzione di lasciare sua sorella da sola, e che doveva rimanere al suo fianco, in pratica aveva deciso di prendere parte attiva a tutte le idiozie che la Resistenza credeva di fare.
 
E a quel punto, Raven era diventata l’ultimo dei suoi pensieri.
 
Tre giorni dopo, stavano infiltrando un campo dell’occupazione dell’esercito tedesco.
 
 

*

 
 
Alla fine, Raven non era neanche con loro. Braddock li aveva molto chiaramente manovrati, ma questo non lo stupiva.
 
Quello che Erik non capiva, era perché luifosse lì.
 
La ragazza era in grado di introdursi indisturbata in praticamente qualsiasi ufficio governativo, insomma la spia perfetta. Schmidt avrebbe sicuramente apprezzato una creatura simile dalla sua parte.
 
Erikla voce di Charles nella sua mente interruppe il suo rimuginare Ho bisogno che tu disarmi le tre guardie all’entrata del campo.
 
Scannerizzò l’area attraverso il binocolo, e li vide. Erano poco più che tre ragazzini, i loro fucili erano bassi e uno di loro sedeva a terra, pulendosi le unghie col taglierino.
 
Erano nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma non era colpa sua.
 
Con un gesto della sua mano, il taglierino sfuggì falle mani del soldato e si conficcò nella sua gola. Gli altri due fecerono appena in tempo ad accorgersi con orrore cosa fosse successo, che le loro pistole si alzarono contro di loro. Bastarono due colpi.
 
Erik!Sussultò mentalmente. Charles stava gridando nella sua testa ed era tutt’altro che piacevole che cosa hai fatto? Sei impazzito?
 
Li aveva disarmati. Esattamente come aveva detto. Erik era bravo ad obbedire gli ordini.
 
Li hai uccisi! E pensi che gli spari non abbiamo svegliato l’intero campo? Dobbiamo andarcene.
 
Erik si trovò mentalmente confuso alle parole di Charles, prima che la gelida realizzazione lo colpì come un fulmine.
 
Charles non lo sapeva.
 
Non sapeva che il piano di Braddock, fin dall’inizio, era quello di fare piazza pulita dell’intera base.
 
No, Charlescercò di pensare il più gentilmente possibile, ma sapeva che sarebbe stato inutile adesso dobbiamo ucciderli tutti.
 
Non lo farò. la sua voce era sorprendentemente calma.
 
Allora lo farò io.
 
Charles aveva ragione. Gli spari avevano svegliato l’intero accampamento, me i primi ufficiali e soldati erano appena emersi dalle loro tende che Erik aveva iniziato.
 
Era troppo tardi.
 
Il metallo lo chiamava, invitante e familiare come sempre. Con un sorriso, sollevò entrambe le mani, e lo sentì risponderea lui, piegarsi al suo volere: centinaia di armi erano al suo comando, un solo tocco gli sarebbe bastato per dare fuoco all’intero accampamento.
 
Era il potere. Il potere assoluto.
 
Erik! Fermati, ti prego! Non devi farlo! Non è questo che dovevamo fare!
 
Povero, ingenuo Charles.
 
E’ troppo tardi ormai. Se non li uccido, ci uccideranno loro, lo sai benissimo. E’ per questo che non mi hai ancora fermato, anche se potresti farlo in questo stesso istante.
 
E’ furioso. Erik per un istante vede rossoe la sua mente sembra attraversata da mille, minuscoli spilli. E’ una frazione di secondo, e prima ancora che possa rendersene conto la sensazione di sgradevole impotenza lo abbandona, lasciandolo con l’impressione di un secchio d’acqua gelata sulla testa.
 
Erik. Non c’è altra scelta?
 
Potrebbe ridere, ma l’inaspettata intrusione da parte del telepate nella sua mente lo priva di qualsiasi scrupolo: la sua risposta è brusca.
 
Tra sei minuti si saranno messi in contatto con comando centrale, e ti assicuro che la notizia di un’intera divisione tedesca minacciata da armi volanti non ci impiegherà molto ad arrivare ai piani alti.
 
Erik sta pensando Hitler, Goring, Himmler, Hitler, Goring, Himmler come un’odiosa cantilena, qualsiasi cosa pur di non pensare Sm-
 
…Charles, non abbiamo altra scelta.
 
Il silenzio del telepate questa volta è nero e controllato, come un motore che tuona nella distanza. Appena percettibile, ma costante.
 
Aspetta.
 
Charles-
 
…Ti ho detto di aspettare!
 
Gli sta dando ordini. Questo ragazzo che non ha mai combattutto in tutta la sua vita, che non hai mai dovuto lottare, uccidere, gli sta dando ordini!
 
Erik stringe i pugni, e non può far altro che complimentarsi con sé stesso, perché il suo controllo è decisamente migliore di quello di Charles. Se così non fosse, quest’ultimo avrebbe rimpianto la decisione di indossare un orologio.
 
Li ho addormentato. Ora fallo. Fai quello che devi fare.
 
La sua voce è fredda, ma calma. Rassegnata. Senza esitare, Erik lascia.Lascia andare la presa, e le pistole, i fucili, le baionette sparano contemporaneamente. Un colpo, amplificato ed affievolito dalla distanza. Un colpo, ed è tutto finito. Non ci sono urla o grida. L’unica cosa che sente in quel silenzio inquietante, è il respiro affannoso di Charles.
 
<< Non erano questi i patti! Che cosa ti è preso? >>
 
Sono nel retro del furgone di ritorno a Londra, e Charles continua a respirare forte, troppo pallido per lo sforzo di renderli invisibili per tutto il tragitto. Questo non gli impedisce di attaccare Erik appena ne ha l’occasione.
 
<< Quellierano esattamente i patti, Charles. La tua ingenuità finirà con l’ucciderti, credimi >>
 
<< La mia ingenuità ha appena ucciso duecento persone! >>
 
No, pensa Erik, sono io che li ho uccisi.
 
Charles aggrotta le sopracciglia.
 
<< La responsabilità è mia quanto tua >>
 
<< Stai fuori dalla mia testa >> la risposta è automatica, e se soloCharles sapesse…
 
<< Braddock mi aveva assicurato che avremmo solo dovuto rendere la divisione ineffettiva… >>
 
<< E’ così che si rende una divisione ineffettiva! Sembra che tu non abbia mai combattuto in guerra! >>
 
<< Sì, esatto, non sono mai stato in guerra! Vuoi disprezzarmi per questo? >>
 
Non è quello che voleva dire, ma ormai è troppo tardi: l’inefficienza di Charles lo ha reso irritabile, e per la prima volta si chiede veramente cosa stia facendo lì.
 
Ma d’altronde, è la stessa cosa che si domanda ogni volta che Schmidt lo guarda negli occhi. Non è poi così diverso, e gli occhi di Charles sono diversi. Forse è diverso, ma allo stesso modo non riesce a spiegarselo.
 
<< Mi ha ingannato. Quell’uomo. Braddock mi ha ingannato >> il suo tono di voce è incredulo, i pugni serrati ed Erik può quasi vedere i suoi pensieri schizzare da un angolo all’altro del suo cervello, alla ricerca della punto di collisione, del momento che non è riuscito a interpretare correttamente, il battito che è sfuggito ai suoi occhi. Lo studente furbo di Oxford, quello più intelligente di tutti i suoi compagni, è stato giocato: potrebbe ridere, quasi.
 
<< Ne sei sicuro, Charles? >>
 
<< Che cosa intendi? >> con tutta la sua frustrazione e la sua indignazione, non ha ancora capito. Non ha capito affatto.
 
<< Forse sei tu che ti sei lasciato ingannare >>
 
Charles non risponde.
 
 

*

 
 
Sono appena rientrati a Londra quando Erik intuisce che c’è qualcosa che non va. Il retro del furgone non ha finestre, ma ha memorizzato la strada che lo portava al suo alloggio sin dal primo giorno, ed è sbagliata. Stanno andando da un’altra parte, e non sa dove.
 
La prima cosa che gli viene in mente è tradimento(dovrebbe saperlo bene, dopotutto) ma potrebbe fermare quel mostro di metallo in ogni momento, spezzare la frizione o chiudere completamente il serbatoio di benzina, ma quando si volta verso Charles si accorge che ha una mano incastrata nei capelli, le sue dita vicino alla tempia, lo sguardo fisso ed Erik collega tutto, capisce perché nell’ultima mezz’ora non aveva più fiatato.
 
<< Dove stiamo andando? >>
 
<< Zitto Erik, sto cercando di concentrarmi >>
 
<< Charles>> la sua voce si abbassa, ed è un tono pericoloso, ma è anche un avvertimento: se cerca di zittirlo di nuovo, gli strapperà la mano dal polso.
 
<< Braddock ha alcune spiegazioni da darmi. Stiamo andando da lui >>
 
<< Come fai a sapere dove si trova? >>
 
E’ una domanda stupida, tuttavia Erik non pensava, gli ci erano voluto giorniper trovare Raven…
 
Charles tenta di sorridere, gli occhi ancora incollati al suolo, ma esce più come una smorfia.
 
<< Nessuno può nascondersi. Non da me >>
 
Dovrebbe suonare minaccioso, ma come poteva essere spaventato da Charles? Come poteva Erik, che aveva ucciso ed era stato ucciso mille volte, aver paura di quel ragazzino, delle sue mani bianche e della sua ingenuità così banale?
 
Eppure era vero. Solo un ragazzino, eppure così potente. Erik si trovò a sorridere, e di sicuro non ebbe bisogno di forzarlo.
 
Il furgone si fermò bruscamente, e nello stesso istante la mano di Charles gli ricadde sul grembo come un peso morto. Senza perdere tempo a recuperare il fiato, Charles balzò in piedi, e saltò a terra con più agilità di quanta Erik gli avrebbe dato credito, e senza aspettarlo si mise a camminare a passo spedito. Si trovavano in centro, ed Erik ne fu sorpreso. Charles si dirigeva verso la metropolitana, e prima di seguirlo Erik lanciò uno sguardo al conducente, un ragazzo, Pete Wisdom così si chiamava, e vide che non aveva smesso di tenere il volante in una stretta convulsa, e che i suoi occhi erano assenti. Spaventati.
Si girò, in tempo per vedere Charles inghiottito dalla ferrovia sotterranea. Si sbrigò a seguirlo, prendendo il secondo ingresso, sotto l’occhio dell’aquila fascista che decorava tutte le entrate.
 
 

*

 
 
<< Charles. Erik. Che piacere vedervi, unitevi a noi: posso offrirvi una tazza di tè? >>
 
Non risposero, ammutoliti dallo stupore, Charles ancora fremente di rabbia.
Questonon l’aveva anticipato.
 
Senza aspettare una risposta, Braddock raccolse un contenitore di metallo da sotto un panchina, insieme a due bicchieri di carta, e dopo averci soffiato li riempì per tre dita di tè scuro, e glieli porse come se fosse la cosa più naturale del mondo. Come se la loro presenza lì fosse assolutamente normale, come se il fatto che si trovassero in un maledetto rifugio per senzatettonon dovesse turbarlo o stupirlo minimamente.
 
Charles Xavier detestava essere colto alla sprovvista.
 
Con il sorriso più amabile che riuscì a produrre, ringraziò e prese con delicatezza entrambi i bicchieri, porgendone uno ad Erik, che lo prese senza dire una parola, e dopo qualche secondo lo avanzò tentativamente alle labbra.
 
Non avrai veramente intenzione di berlo, vero?Gli domandò silenziosamente, non potendo trattenere il moto di disgusto.
 
Erik non si voltò a guardarlo, e il suo sorriso era talmente impercettibile che Charles seppeche era solo per lui.
 
Oh, e anche se fosse? Comunque non c’è veleno. Sembra sicuro.
 
Charles non rispose e tornò a spostare la sua attenzione su Braddock – irriconoscibile, i capelli biondo sporco coperti da un cappellaccio i vestiti larghi e sformati -  che nel frattempo parlava come se nulla fosse con un gruppo di sette persone, donne e uomini, (uno addirittura di colore!) e passarono alcuni secondi prima che questi si voltò nuovamente verso di loro, questa volta senza sorridere.
 
<< Cos’avete fatto a Mr. Wisdom? >>, c’era qualcosa di severo nella sua voce, era completamente diversa dal tono suadente che aveva usato fino a quel momento.
 
Charles non abbassò lo sguardo.
 
<< L’ho aiutato a collaborare, tutto qui. Non gli ho fatto alcun male >>
 
<< Ne sei così sicuro, Mr. “X”? >> rispose Braddock con un irritante sorrisino di superiorità stampato in faccia.
 
<< Che cosa vuol dire? Che cosa stai dicendo? >>, Erik sentì una nota di panico nella voce del telepate e si voltò verso di lui, cercando il suo sguardo, ma Charles continuava a fissare Braddock, cercando la risposta con i suoi stessi occhi.
 
<< Perché me lo chiedi? Ti basterebbe guardarenon è così? Certo, so che non lo farai. Il tuo codice morale e lo impedisce. Ma dimmi solo una cosa, ti aiuta veramente? Serve a farti sentire una brava persona? Ti senti buono, magnanimo? O forse solo debole…? >>
 
<< STAI ZITTO! >>
 
Tutti i volti dei presenti si voltarono verso di lui, attoniti.
 
Charles proseguì come se nulla fosse.
 
<< Quello che è successo oggi non deve ripetersi maipiù mi hai sentito? Non accetterò in alcun modo di essere sfruttato. Io ho scelto di aiutare te e perché la tua causa è giusta, ma tu, Braddock, sei tutt’altra cosa, non è così? Io so a cosa miri. So cosa speri di ottenere, una volta liberata l’Inghilterra… >> sorrise appena, e Braddock non disse nulla, sostenendo il suo sguardo << Un tiranno per un altro. Complimenti, ottimo piano. Cosa pensi che direbbero i tuoi compagni se lo sapessero? >>
 
Questa volta fu il turno di Braddock di sorridere.
 
<< Nulla. E te lo sai benissimo. Non direbbero o farebbero nulla, perché l’alternativa a me è il caos. Perché sono il male minore, e sono l’unico che può liberarli, ridare splendore e proteggere l’inghilterra >>
 
Era vero. E Charles lo sapeva. Cosa poteva rispondere a quello? Cosa poteva fare. Era stato uno sbaglio, aveva sbagliato tutto, non avrebbe dovuto farsi coinvolgere.
Eppure, forse, quella era la sua unica occasione per fare finalmente qualcosa. Per rimediare a tutti gli errori che nonaveva commesso.
 
<< Quello che fai te non mi riguarda. Hitler e la Germania sono per noi un obbiettivo comune. Io desidero solo la pace, e che mia sorella stia al sicuro. Ma ricordati una cosa, Braddock >> si avvicinò a lui e prese a scrutarlo in volto con un’intensità disturbante. L’uomo non si mosse di un millimetro << Te non sei come noi >> riprese Charles, quasi in un sussurro << So chi sei, non credere che mi sia sfuggito: un ragazzino che ha ricevuto un dono, e adesso sei solo un uomo con uno scettro. Pensi di questo ti dia il diritto di essere Re, pensi di essere superiore. Ma ricordati, che senza quel dono tu non sei nessuno. Non eri niente prima, e sei noite ne priviamo, tornerai a non essere nulla. Noi siamo i figli dell’atomo, e tu non puoi fare niente, mi hai capito, nienteper fermarci. >>
 
Erik non riusciva a smettere di fissarlo, attonito.
 
Braddock indietreggiò velocemente, pallido in volto, ma sul suo viso si apriva un sorriso. Sembrava soddisfatto.
 
<< Hai perfettamente ragione, X. Siamo diversi. Ma sei così sicuro di essere migliore di me? >>
 
Charles strinse i pugni e per un attimo sembrò che stesse per rispondere. Poi Braddock si voltò nuovamente, come se non ci fossero mai neanche stati, ed Erik prese Charles per un braccio e lo trascinò via.
 
 

*
 

 
 
<< Hai intenzione di spiegarmi cosa ti è preso, prima? >>
 
Charles prese il bicchiere che Erik gli porgeva con un cortese cenno del capo, ma non rispose immediatamente. Fece un breve sorso e sentì il sapore familiare del brandy che gli bruciava la gola. Erik sedeva di fronte a lui, sul letto, attendendo una risposta.
 
Finalmente, il telepate si decise ad alzare gli occhi verso di lui e rispondere.
 
<< Ero arrabbiato, Erik. Detesto essere ingannato, penso che sia assolutamente normale. Posso aver reagito in modo esagerato, lo ammetto, ma converrai che con quello che c’è in ballo… >>
 
<< Non penso che tu abbia reagito in modo esagerato. Penso che tu avessi ragione, e che non dovresti cercare di giustificarti per questo >>
 
<< Oh >>
 
Ripensò alla scena a cui aveva assisto, e quello che Charles aveva detto. C’era stato qualcosa di quasi crudelenel suo tono di voce. Come un gigante pronto a schiacciare un insetto. E poi, c’era quello: i figli dell’atomo. Anche Schmidt usava dirlo spesso: gli aveva insegnato che era stato le radiazioni ad amplificare i loro poteri, e velocizzare il processo di evoluzione.
 
Poi si accorse che la situazione aveva del paradossale, e non riuscì a trattenere il ghigno sarcastico che gli piegò le labbra.
 
<< Cosa c’è di così divertente? >> scattò Charles, alzando la testa.
 
<< Oh, tutto. Un telepate che si lamenta quando qualcuno mente. A volte dubito della tuo abilità >> solo a volte, però, ma questo non lo disse << Perché non hai letto i suoi pensieri? L’avevi già fatto tanto, no? Se avevi intuito che tipo di persona egli sia ne avresti avuto tutto il diritto >>
 
Charles aggrottò le sopracciglia, stringendo forte il bicchiere.
 
<< Il diritto? Erik, io non ho alcun diritto. Leggere i pensieri altrui, conoscere cose che gli altri non vorrebbero mai rivelare, è sbagliato! Quando abbiamo parlato per la prima volta con Braddock, volevo solo essere certo che non fosse una trappola e che non saremmo finiti tutti arrestati come traditori. Ho visto più del dovuto, purtroppo, ma non era mai stata mia intenzione violare la sua privacy >>
 
Erik lo guardò, la sua incredulità a malapena celata.
 
<< Sbagliato? Cosa c’è di sbagliato? E’ quello che sei, Charles. Sei diverso da quell’uomo, non hai cercato i tuoi poteri, non ti sono stati dati. Hai ragione, noi siamo diversi da lui: siamo migliori. E’ ciò che siamo, e non dobbiamo vergognarcene. Non dovremmo nasconderci >>
 
A quelle parole, Charles si irrigidì visibilmente.
 
<< Ci sono conseguenze, Erik. Non è così semplice >>
 
Erik strinse il bicchiere.
 
<< Quello lo so bene >>, mormorò, prima di prendere una lunga sorsata.
 
Charles sorrise senza vera allegria e disse: << Amico mio, io mi fido di te. E non ho bisogno di entrare nella tua testa per farlo, contrariamente forse a ciò che tu pensi. Se facessi come tu mi stai consigliando, non dovrei forse, in questo stesso istante, scavare tra i tuoi pensieri, estrarre ogni tuoi segreto e renderlo mio? >>
 
Erik serrò la mascella prima di guardarlo a occhi stretti.
 
<< Non lo faresti mai. Ti ho chiesto di non farlo >>
 
<< Esattamente. E questo perché ho un codice morale, perché ho definito con me stesso ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Se così non fosse, avrei perso il controllo molto tempo fa >>
 
<< E cosa ci sarebbe di male! >> rispose Erik in preda all’esasperazione, guardando Charles, Charles che aveva un potere immenso e si costringeva a non usarlo perché aveva paura,lui che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, era quello che aveva paura! E se ne stava lì, seduto con le mani strette così forte da fargli male con ogni probabilità, terrorizzato da sé stesso e nessun altro. Era la cosa che più lo faceva arrabbiare.
 
<< E’ già successo. So perfettamente cosaaccadrebbe di male >>
 
Erik aggrottò le sopracciglia, senza capire.
 
<< Cosa intendi? >>, chiese, ma troppo tardi: Charles si era già voltato, e preso il sua cappotto era alla porta. Senza attendere una risposta Erik lo inseguì lo afferrò per un braccio prima che potesse posare la mano sulla maniglia.
 
<< Charles >> mormorò a voce bassissima.
 
Il telepate si voltò a guardarlo, e i suoi occhi erano sereni in modo così perfetto da essere ingannevole.
 
<< E’ successo molto tempo fa, Erik, non è nulla di cui tu debba preoccuparti adesso >>
 
<< Voglio sapere di cosa stai parlando >>
 
Con un sorriso mesto, Charles appoggiò la mano sulla sua, e la strinse per un breve istante: << Tu hai i tuoi segreti, io ho i miei. Adesso per favore, lasciami andare: è tardi, e vorrei molto parlare con mia sorella >>
 
Erik lasciò la presa.
 



  
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