The beginning of a nightmare.
Ero
una normalissima giornalista di Rolling Stone, forse solo un po'
più
impegnata della norma ma credo che quello dipendesse dal fatto che
non avevo una vita sociale come tutte le altre ragazze della mia
età,
e proprio per questo mi sono ritrovata a fare quel dannato articolo:
perché pensavano che fossi "la più adatta" a quel
tipo di
lavoro. A saperlo non avrei mai lasciato quello sfigato del mio
ex-ragazzo così presto, sarei rimasta con lui a festeggiare
per
sempre la mia giovinezza, tra sigarette e allegre bevute. Invece no,
ho dovuto fare di testa mia, l'ho dovuto lasciare dopo l'ennesimo
"Sposami, amore, così posso baciarti quando mi pare",
frase che continuava a ripetermi da quando avevamo visto insieme
"Tutta colpa dell'amore". Già, in quegli anni continuavo a
fare errori del genere.
Il giorno in cui Tracey Jacobs entrò in
redazione fu un fomento generale, tra persone che riflettevano su chi
potesse essere interessato il caporedattore e a chi sarebbe toccato
quella volta intervistare una nuova star di Hollywood. Già,
perché
ancora non riuscivamo ad abituarci alla vita che avevamo scelto; noi
eravamo comuni esseri umani mentre loro erano sempre un gradino
più
in alto, o perlomeno questo era quello che si pensava. Tracey era
l'impiegata e il massimo esponente della United Talent Agency,
conosciuta in campo giornalistico – compresa me –
per portare
importanti contratti per interviste e grandi rivelazioni da parte
degli attori hollywoodiani, per cui potete capire il perché
di tanta
eccitazione da parte nostra.
La donna indossava il solito tailleur
grigio, tacco basso e un paio di occhiali dalla montatura leggera, e
sono a conoscenza di questi dettagli solo perché sembrava
che avesse
solamente quel completo. Con una valigetta in mano e l'altra immobile
lungo il fianco, sorpassò la folla sembrando la perfetta
imitazione
di Mosè, ed entrò nell'ufficio sotto lo sguardo
entusiasta di Jack
Mayer, caporedattore, che posò un secondo gli occhi su di me
per poi
voltarsi e seguire l'agente.
Già, avevo capito il mio destino e
avrei preferito essere sepolta viva il quel momento. Da mesi mi
assillava per un possibile articolo sulla vita di Johnny Depp, mi
aveva avvertito, mi aveva detto di prepararmi... e io cos'avevo
fatto? Avevo riso. Riso, sì, perché Johnny Depp,
riservato e nemico
delle macchine fotografiche non avrebbe mai accettato un articolo di
QUEL genere. Un mese sotto i riflettori. Dio, nessun
attore/cantante/regista/scrittore/personafamosaconuncervellofunzionante
avrebbe accettato di sottoporsi a tale tortura. Eppure era successo.
Jacobs uscì salutando con una stretta di mano il buon
vecchio Jack,
mi fissò con un sorrisetto malvagio dipinto in volto ed
uscì
apparentemente soddisfatta davanti gli occhi eccitati di decine di
giornalisti. Ovviamente Ruth, la perfida Ruth Peterson, colei che si
occupava dei più famosi, si diresse verso il capo, ma lui
aveva
occhi solo per me; m'indicò e mi fece segno di avvicinarsi.
Andavo
dritta verso l'inferno.
«Sei a conoscenza di ciò che è
successo a Johnny Depp, vero?» mi domandò appena
entrai nel suo
ufficio. Oddio, avrei dovuto? Non ero molto attenta ai giornali di
gossip, ultimamente. Annuii deglutendo a vuoto.
«Beh, dopo la
separazione da Vanessa Paradis si è lasciato un po' andare,
ha
distrutto un'altra suite e ora la sua agente vuole rinnovare la sua
immagine.» Fece una breve pausa, creò la giusta
suspanse e scoppiò
a ridere. «HA ACCETTATO L'ARTICOLO!»
urlò talmente forte che
sentii qualche sedia cadere oltre la porta, o forse era la furia di
Ruth che iniziava a divorarmi con il pensiero e mi rendeva quindi
mentalmente instabile secondo dopo secondo.
Mimai la sua
espressione per rendermi più credibile possibile
«Ma è
fantastico», quindi tornai all'espressione precedente,
impassibile,
sperando che in quel modo me la sarei cavata con poco. «Vado
a
chiamare Ruth».
Ma non feci in tempo a voltarmi che Jack mi
dichiarò finalmente la sua fantastica
notizia. «L'articolo è tuo, Helen»
Un'ora dopo ero diretta
verso il mio appartamento nella periferia di Los Angeles. Ebbene
sì,
Los Angeles. E so benissimo cosa state pensando:"Oh-mio-dio!
Johnny Depp! Quant'è figo! Perché non era felice?
E viveva anche a
due passi da casa sua! Avrei potuto fare io cambio con lei!".
Beh, sappiate che alla fine avevo accettato l'incarico, quindi potete
anche smetterla di fare certi commenti poco consoni. Non
fraintendetemi, anche allora pensavo che Johnny Depp fosse un
bell'uomo, semplicemente non m'interessava. Tutta quell'aria di
mistero, il mandare a quel paese le telecamere... io lo evitavo ogni
volta che andavo al cinema e lui mi odiava. Odiava ciò che
rappresentavo, ovvio. Proprio per questo sapevo che le prossime
settimane sarebbero state un incubo. Nulla in confronto a quello che
avrei passato quella sera, poco ma sicuro. Jack mi aveva lasciato
uscire prima per prepararmi all'incontro che si sarebbe tenuto il
giorno dopo, di conseguenza ebbi tempo di passare nel primo centro
commerciale per comprare i film più conosciuti di Depp
(a.k.a. Film
di cui avevo sentito parlare da Claire): uscii con The Libertine,
Pirati dei Caraibi, Sweeny Todd, Neverland e Secret Window e giuro
–
giuro – che riuscii a vederli tutti quella sera.
La mattina
seguente non ero sveglissima. Forse andrei più vicina alla
situazione dicendo che assomigliavo a uno zombie, ma ero pronta e
preparata dopo aver letto su internet stralci di una biografia
"dell'attore del secolo".
Negli ultimi giorni, avevo
letto, dopo la rivelazione del tradimento di una notte di Vanessa
Paradis con un cantante conosciuto anni prima, Johnny Depp l'aveva
lasciata e aveva distrutto la suite in cui si trovava per la premiere
di un nuovo film; si era chiuso a tutti, alcuni pensavano si fosse
suicidato il che non credo potesse fare bene alla sua immagine,
perciò l'adorabile Tracey Jacobs lo aveva costretto a
firmare il
contratto con... beh, me. Nessuna sorpresa quindi, che mi stesse
squadrando da capo a piedi quando arrivai davanti a casa sua
–
chiamiamola casa – con un caffè in mano e la
tracolla in spalla,
cercando in tutti i modi di non farla scivolare e fare una figura di
merda il primo giorno di, gulp, lavoro.
Avevo
detto di averlo evitato in tutti questi anni? Okay, mentivo. Claire
mi aveva costretto a vedere La Fabbrica di Cioccolato. Ecco, l'ho
ammesso. E in quel momento avevo solo paura che mi facesse affogare
nella vasca di cioccolato che nascondeva nel seminterrato, insieme al
forno gigante, e il suo parlare di continuo all'orecchio della tizia
nel tailleur di sicuro non aiutava.
Presi un profondo respiro
prima di imparare a parlare nuovamente inglese. Già da
quella
distanza riuscivo a distinguere ogni poro sulla sua pelle... senza
parlare del naso che con il tempo avrei imparato a
venerare.
«Buongiorno» mormorai con l'accento britannico
rubato
a mia madre accennando un sorriso, però non mi fecero
terminare:
subito la donna si voltò seguita dall'attore muto, per
entrare a
passetti veloci nella dimora. Rimasi immobile con la bocca aperta.
Oh, avanti, mi avevano sbattuto una porta in faccia, voi cos'avreste
fatto? Tornai in macchina dove abbandonai la tazza di caffé
vuota,
li raggiunsi in casa e li trovai chini su un pacco di fogli, seduti
ad una grande tavolata. Il posto era immenso, roba che avrei potuto
fare un pigiama party in cucina e avere anche lo spazio per il
Twister, anche se non credo che Vanessa l'avesse usata poi
così
tanto.
«Mi hanno mandata qui dalla re-»
«Vieni qui, su,
così firmiamo e puoi iniziare il tuo lavoro di
ficcanaso.» Tra i
premi che aveva vinto non credevo ce ne fosse uno per essere
scorbutico.
«Non ho chiesto io questo lavoro, sai? Non mi piaci
neanche.» Già, forse avrei dovuto rispondere in
modo un po'
diverso, visto che, giusto per farvelo entrare bene in mente, C'AVREI
DOVUTO PASSARE 30 GIORNI INSIEME.
In tutta risposta si voltò
verso di me con un sorriso finto stampato in faccia.
«Qualcosa in
comune, cara»
Non potevo fare altro che sedermi lì e firmare.
Lui non mi piaceva, io non piacevo a lui, ma cosa me ne importava? Un
articolo del genere scritto bene avrebbe significato un salto di
carriera enorme.
Johnny Depp era lavoro. Solo lavoro.