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Autore: suzako    10/09/2011    3 recensioni
Era sempre stato troppo tardi (ShikaIno, AU, What if?)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Shikamaru Nara | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I Laughed so Hard, I nearly cried.  

 
 
 

Yamanaka Ino era sempre stata una bambina allegra.
A volte prepotente, altre decisamente testarda, e con una tendenza al menar le mani – che dopotutto non era un fattore così  negativo, per una kunoichi – che le aveva fatto ben presto guadagnare il rispetto dei compagni maschi dell’accademia. Rideva spesso e volentieri, a voce alta, senza preoccuparsi di tenere la mano davanti alla bocca. I capelli erano tagliati corti, perché non le dessero fastidio durante l’allenamento, ma soleva scostarsi le ciocche chiare dal viso con una certa civetteria, e far in modo che stessero al loro posto con mollette colorate.
Tutte le bambine la ammiravano.
 
Yamanaka Ino aveva molto amici, ma tre di loro erano più vicini a lei di chiunque altro. Si trattava di Shikamaru Nara, Chouji Akimichi e Sakura Haruno. I primi due li conosceva da sempre, per tradizione familiare, la piccola Sakura, invece l’aveva scontratapiù che incontrata, in una zona isolata del giardino, nascosta dove l’erba è più fitta.
Ma questa, è un’altra storia.
Lei voleva bene ai suoi amici, ma come ogni bambino crudele e senza cuore, tendeva a dimostrarlo alla sua maniera. Era manesca con Shikamaru perché troppo pigro, era altezzosa con Chouji perché troppo mite, era pungente con Sakura, perché troppo timida. Aveva le sue ragioni, non lo faceva mica per cattiveria.
Erano come fratelli, per lei. Indistintamente.
 
E quando suo padre Inoichi Yamanaka, morì, diventarono l’unica famiglia che le rimanesse. Ma le cose non sono mai così semplici.
 
“Ino-chan, devi essere forte. Andrà tutto bene, vedrai.”
 
La mamma di Sakura, che era buona e dolce, l’aveva abbracciata.
 
“Mi dispiace. Mi dispiace così tanto.”
 
Il papà di Chouji aveva mormorato qualcosa, cercando di non guardarla negli occhi.
 
I genitori di Shikamaru erano entrati nella casa vuota, avevano pregato davanti all’altare e acceso l’incenso. Poi, si erano alzati, e quando Shikaku le aveva posato una mano grande sulla spalla piccola, Yoshino aveva detto, a voce bassa ma chiara.
 
“Tu verrai con noi, Ino.”
 
 

Ino Yamanaka è una bambina allegra
 

 
 
“Shikamaru! Ehi, Shikamaru!”
 
Una voce acuta a decisamente spazientita fece arrestare il ragazzo.
 
“Cosa vuoi?”, borbottò, voltandosi.
 
“Almeno per il giorno in cui formeranno le nostre squadre, aspettami!”, lo riprese la ragazza, raggiungendolo col passo affrettato.
 
“Cosa? E’ oggi?”
 
“Sei senza speranza, nii-chan!”
 
“Ti ho detto di non chiamarmi così, Ino!”
 
“Se, se.”
 
Il cielo era chiaro e terso, solcato da qualche nuvola, promessa di una giornata tiepida e lunga come tutte le altre. I gruppi genin erano solo un particolare, tutto si perdeva nell’infinita e rassicurante routine di quei giorni.
Nulla importava. C’erano loro,l’uno per l’altro. Sarebbe andato tutto bene.
 
Shikamaru e Ino si diressero verso l’accademia senza fretta, camminando lentamente. Lui teneva gli occhi sempre un po’ verso l’alto, lei sbirciava le vetrine per cogliere il proprio riflesso.
 
Anche oggi ci sarà bel tempo
 
Ogni tanto, c’era sempre qualcuno che sentiva l’insopprimibilebisognodi chiederle che razza di rapporto ci fosse tra lei e Nara, perché per stare così appiccicati, tornare a casa insieme, venire insieme, qualsiasi idiozia, la facevano insieme – litigando e urlandosi addosso di tutto, ma  guai a separarli – erano fidanzati, promessi sposi, che diamine erano, eh?
 
Ino, ogni volta, si limitava a un sorriso misterioso, un sorriso che nascondeva tutto e non diceva niente, per poi dire, semplicemente, è mio fratello.
 
La verità, la sapevano solo lei, Shikamaru, Chouji e Sakura.
Perché erano la sua famiglia.
 
Così facendo, senza accorgersene, Ino respingeva sempre chiunque cercasse di avvicinarsi un po’ a lei, chiunque provasse ad entrare minimamente in contatto. Così facendo, attorno s’era creata una specie di vuoto, una cerchia stretta e protetta, con punti cardinali ben definiti: era sicura e confortevole, ma comunque, chiusa.
E senza accorgersene, ogni giorno rimaneva un po’ più sola, un po’ più indietro.
Ma dopotutto, aveva ancora la sua famiglia.
 
 

Sakura Haruno è una bambina timida ed insignificante.
 

 
 
La prima ad andarsene, era stata Sakura.
 
C’aveva impiegato un po’ a capirlo, Ino. Perché adesso erano in squadre differenti, perché adesso ci si vedeva un po’ meno e po’ diversamente (solo Sasuke-kun, sempre e solo a parlare di Sasuke-kun!) e forse anche perché, ormai, con il torneo Chunnin erano diventate quasi rivali, e il pensiero la faceva sorridere e preoccupare un po’ perché davvero, Sakura ce l’avrebbe fatta contro di lei? Non voleva che si sentisse inferiore, si era sempresentita inferiore.
 
L’aveva capito solo quel giorno, nella foresta della morte.
Quando Sakura si era tagliata i capelli, uno scatto brutale del kunai che per un attimo era sembrato le avrebbe tranciato la testa, e i lunghi capelli rosa erano caduti a terra, lasciandole al posto della liscia chioma una criniera sporca e arruffata, che era semplicemente brutta.
Quando gli shuriken le si erano conficcati nella carne, e lei non aveva pianto né si era fermata, perché proteggerli era troppo importante, ma aveva continuato a combattere, e, oh dio sta perdendo tutto quel sangue forse dovremmo fare qualcosa dobbiamo
In quel momento, Ino si era accorta che Sakura non era più la bambina piccola e timorosa, non era più la sorellina minore da proteggere e trattare con benevola sufficienza. Non era più lei – e quella nuova Sakura, Ino non era sicura che le piacesse.
 
Le aveva sistemato i capelli usato un pugnale spuntato, strattonando le ciocche rimanenti con gesti bruschi, senza pietà. Sakura aveva continuato a sorridere, intontita per le botte ricevute e il sangue perso, e aveva detto solo, come sta Sasuke-kun?
 
“E’ stata una gran perdita di tempo - aveva commentato Shikamaru – se non ci fossimo fermati, a quest’ora saremmo già arrivati alla torre, e concluso questa stupida prova.”
 
“Non mi importa”, era stata la ferma risposta di Ino. Non era vero. Anche lei pensava che con ogni probabilità, Sakura se la sarebbe cavata benissimo da sola.
 
“Cos’hai, Ino?”
 
“Non ho niente. Andiamo avanti.”
 
“Ah, come vuoi.”

 

Chouji non è mai stato troppo intelligente
 

 
 
Quando capì di aver perso anche Chouji, era già troppo tardi.
 
Era passato tanto tempo dal giorno in cui Shikaku Nara le aveva messo una mano sulle spalle. Erano passati molti anni, da quando Sakura si era tagliata i capelli nella foresta della morte. Erano passati quattro anni, da quando Asuma-sensei era morto.
Ma per quello, il tempo non sembrava mai abbastanza.
 
“Perché siamo solo noi due?”
 
Shikamaru stava fumando una sigaretta, pigramente sdraiato sull’erba.
 
“Perché lui è giàjounin, non ricordi?”
 
“Oh. E’ vero.”
 
Però era sempre venuto ad allenarsi con loro. O meglio, quasi sempre. Quando tempo era che non lo vedeva?
 
“Ma quanto tempo è che non lo vediamo?”
 
“Ma chi?”
 
“Chouji!”
 
Shikamaru voltò appena la testa, quel che bastava per guardarla con la coda dell’occhio.
 
“Io, veramente, l’ho visto ieri.”
 
E tu?
 
“Ah.”
 
La domanda, non espressa, sembrava ferma a mezz’aria.
 
“…Bene. Cosa facciamo?”
 
La domanda di Shikamaru, per quanto innocente e casuale, la sorprese.Come se, sottointeso, ci fosse ben altro che…
 
“Ci alleniamo, ovviamente.”
 
“Ouff.”
 
“Come pretendi di diventare Jounin facendo lo scansafatiche, nii-chan…”
 
“E smettila di chiamarmi così.”
 
Ino sorrise, e gli tese la mano per alzarsi.
 
Dopotutto, finché gli restava lui, andava tutto bene.
 
 

Shikamaru è la mia famiglia
 

 
 
L’invito al matrimonio era stampato su sottile carta di riso, le lettere dorate si spiegavano con eleganza e raffinatezza, in una sobria dimostrazione di semplice ricercatezza.
Ino tenne il foglio in mano per qualche minuto, rigirandoselo tra le dita varie volte.
Non aveva senso fingere di essere sorpresa. Oggettivamente – come avrebbe detto lui– non aveva motivo di esserlo. Lo sapeva. Da diversi mesi, lo sapevano tutti.
 
Il fidanzamento di Shikamaru e Temari era durato due anni esatti. Per la sorella del grande Kazekage era una situazione alquanto sconveniente, ed era da un po’ che i due avevano incominciato a pensare al matrimonio.
 
“Ci sposiamo.”
 
Lei, che aveva le guance un po’ arrossate e la testa pesante per il saké, all’inizio, non capì.
 
“Cosa? Che hai detto?”
 
Chouji buttò giù un altro bicchiere
 
“Ci sposiamo… Io e Temari, ci sposiamo!”
 
Che gli andò prontamente di traverso.
 
“Oh. Buona fortuna, allora! Ne avrai bisogno, con quella strega!”, aveva esclamato Ino, ridendo sguaiatamente, tanto da arrivare ad aver le lacrime agli occhi.
 
“Sì, giusto…”, borbottò Chouji, con una smorfia.
 
Ino continuò a ridere scioccamente. Chouji mangiava con aria svogliata. Shikamaru si portò il bicchiere alle labbra, socchiudendo gli occhi. Il saké ormai era amaro, in bocca.
Dopotutto, prima che si trasferisse a Suna, mancava ancora un mese.
 

 

Finché saremo insieme, dopotutto, andrà bene

 
 
Il giorno del matrimonio non c’erano nuvole in cielo.
Il cielo sopra il deserto era azzurro e terso, il clima autunnale terribilmente caldo, ma ancora mite per gli standard di Sunakagure. Soffiava uno scirocco appena tiepido, che portava con sé l’odore dell’incenso e dei fiori d’arancio.
La cerimonia sarebbe incominciata a momenti.

 
La trovò ai margini del villaggio, sprofondata su un a duna rossa, le pelle bianchissima e gli occhi chiarissimi, così diversa da Temari, che era tutte ombre.
 
<< Ehi. >>
 
Lei non si voltò, alzando appena la testa al suono della sua voce.
 
<< …Ehi. >>
 
Aveva i capelli sciolti, il volto leggermente accaldato, e gli occhi semichiusi per il riverbero della luce.
Shikamaru si sedette proprio di fianco a lei, senza dire nulla. A meno di un chilometro da loro, la festa continuava. Poteva sentire le voci concitate anche da lì.
 
Stavano così, in silenzio, l’uno a pochi centimetri di distanza dall’altro, guardando l’orizzonte sfocato. Non era un silenzio imbarazzante, il loro. Non c’era bisogno di parole, per loro. Era sempre stati insieme, loro.
Fino a quel momento.
 
<< Ino, io-
 
<< Ti ricordi quella volta, con i sensei Asuma e Kurenai, quando li costringemmo ad un appuntamento? Era… Quanti anni avevamo? Dodici? Escogitasti quel piano assolutamente geniale, anche se non mi ricordo adesso… >>
 
<< All’epoca lo giudicasti assolutamente idiota, se non sbaglio. >>
 
<< Oh, solo perché ti saresti sentito troppo pieno di te, altrimenti! >>
 
<< Sì, certo, fino a prova contraria sei sempre stata tu quella snob. >>
 
<< Potrei offendermi. >>
 
Ma ovviamente, non lo fece.
 
<< Ah, e quella volta che facemmo mangiare i peperoncini incendiari a Chouji, facendogli credere che fossero cioccolatini? >>
 
Inaspettatamente, Shikamaru faticò a trattenere una risata.
 
<< Certo che me lo ricordo. La cosa eccezionale… >>
 
<< …Fu che lui neanche se ne accorse, e li ingoiò tutti senza batter ciglio! >>
 
<< Dovevamo avere una faccia abbastanza… >>
 
<< Stupida! Ridevo come un’idiota, tu sembravi sconvolto, e Chouji non ci capiva nulla! Non abbiamo mai avuto il coraggio di spiegarglielo, ma, dio, che ridere...! >>, e anche in quel momento, stava ridendo, alla solita maniera spensierata, dondolandosi sulla sabbia, gli occhi lucidi semichiusi.
 
Shikamaru rimase, l’ombra di un sorriso sullo labbra, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. A lui il passato non faceva lo stesso effetto.
Poi lentamente, Ino si calmò, la risata sfumò fino a spegnersi, il respiro pesante e gli occhi ancora lucidi.
 
<< Ho riso così tanto, quasi al punto dipiangere. >>
 
Si strofinò gli occhi col dorso della mano.
 
<< Anche adesso stai piangendo, Ino. >>
 
Le lacrime continuavano a scorrerle sulle guance, senza accennare a fermarsi.
 
I suoi occhi erano privi di allegria, e quando lei si voltò a guardarlo, lo fece come si osserva l’ombra di una duna, un miraggio del deserto. Qualcosa che non c’è più. Che forse non c’è mai stato.
 
<< Non sto affatto piangendo. Sono… Sono così felice. >>, mormorò quietamente.
 
Non lo era. Non lo erano entrambi.
 
E solo in quel momento Shikamaru pensò che forse, il rossore sul volto poteva essere imputato più al saké che all’allegria del momento.
 
<< Non dire idiozie. >>, borbottò lui scuotendo il capo, sconsolato.
 
<< Io sono felice. >>, ribadì.
 
<< Dovrei crederci? Idiozie. Tutte idiozie. >>
 
<< No, tu non dire… Non dire cazzate, ecco. Io voglio che tu sia felice – tirò su col naso – e se sei felice sono felice, se sono felice… Se tu… Oh, accidenti, sto perdendo il filo, ma insomma, tu sei mio fratello, e io-
 
<< Piantala. >>
 
<< …Cosa? >>
 
<< Io non sono tuo fratello, noi non siamo parenti, lo sai benissimo! >>
 
Un sorriso storto le incurvò le labbra.
 
<< Ma cosa dici, nii-
 
<< Smettila di chiamarmi così! Non l’ho mai sopportato, mai! Lo sai benissimo! >>
 
<< Ma io… Non-, mormorò lei, confusa. Le lacrime non accennavano a fermarsi.
 
<< …E lo sai perché? Te lo sei mai chiesto, uh? >>, Shikamaru ignorò i suoi deboli tentativi di protesta, continuando a parlare con voce stranamente concitata, bassa e rabbiosa.
 
<< Io… Io… >>
 
<< Non ho mai voluto essere un fratello per te! Mai! Non era questo che volevo, ma tu sei sempre stata troppo stupida, troppo distratta per accorgertene! Mi ascolti? Ma hai mai ascoltato? Ascoltami, Ino, dannazione, guardami! >>, la afferrò per le spalle, scuotendola con forza.
 
<< Sei… Sei solo uno stupido! E hai bevuto! >>, replicò lei, scuotendo la testa.
 
La presa sulle spalle si fece più forte.
 
<< Shikamaru, mi fai male. >>
 
La voce era ferma, ma le lacrime continuavano a scendere. Lui serrò le labbra, prese un profondo respiro, e sembrò recuperare in parte l’auto controllo.
 
<< Io mi sto per sposare. Lascerò Konoha, resterò a Suna, con Temari, non ci rivedremo più. E adesso dimmi, sei felice? >>
 
Le lacrime continuavano a scendere, silenziose.
 
<< Ma che domande fai? >>
 
Ma Shikamaru non l’ascoltava più.
 
<< Se solo… - la voce era poco più di un roco sussurro – Se solo me l’avessi chiesto, se solo me l’avessi domandato, io sarei restato! Al diavolo tutto e tutti, sarei rimasto con te, se solo tu… Se solo, io… Se solo…! >>
 
La voce gli si spense, e con un sospiro, la lasciò andare, lasciando cadere la testa nel suo grembo.
 
<< E’ troppo tardi, Shika. E’ troppo tardi. >>
 
Lui non rispose.
Delicatamente, quasi in maniera impercettibile, Ino sollevò la mano fino a posargliela sul capo ancora chino.
 
<< Siamo stati due idioti, ne? >>
 
Shikamaru lasciò andare un sospiro.
 
<< Mi dispiace. >>
 
Il cielo cominciava ad imbrunire.
 
<< Sarà meglio che tu vada. La cerimonia sta per cominciare. >>
 

 

E’ troppo tardi. E’ sempre stato troppo tardi.

 
 
Il cielo era nuvolo, spirava un vento freddo.
 
<< Shikamaru! Ma che stai facendo! >>

 
Se ne stava lì, sdraiato al solito posto, la schiena appoggiata sull’erba umida e le mani incrociate dietro la schiena. Faceva davverofreddo.
 
Ino si avvicinò ancora un po’, scuotendolo leggermente.
 
<< Ti prenderai un accidente. Andiamo, dobbiamo torna-
 
<< No. >>
 
Aveva parlato con voce ferma e stranamente seria.
 
<< Shikamaru? >>
 
Lui non rispose.
 
<< Ehi, cos’hai? >>
 
Teneva gli occhi serrati, il volto contratto. E non parlava.
 
<< Shikamaru, rispondimi! Cos’hai? Dimmi cosa ti prende! >>, gli afferrò un braccio, quasi con disperazione, serrando le dita sottili attorno alla stoffa umida della giacca.
 
<< Voglio stare qui. Solo un altro po’, voglio stare qui. >>
 
Non capiva. C’erano molte cose di Shikamaru che ancora non riusciva a comprendere. Ma poteva comunque dire di conoscerlo, poteva comunque provare.
 
<< Vuoi che me ne vada…? >>, mormorò, esitante.
 
Inaspettatamente, lui le prese una mano, e la strinse. Aveva ancora gli occhi chiusi.
 
<< Shikamaru? >>
 
<< No, non c’è bisogno. >>
 
<< Shikamaru, ma stai piangendo? >>
 
<< Voglio solo stare qui – ripeté – voglio solo stare qui. >>
 
 
Solo ancora un po’




 

 

La cerimonia era stata semplice, un perfetto esempio di sobria eleganza, dai fiori bianchi che decoravano il patio
alla semplice linea del kimono della sposa, radiosa, che non aveva smesso un attimo di sorridere.

Il vento aveva dato tregua alla giovane coppia, fino al momento dello scambio della reciproca promessa, e quando qualcuno le chiese
come mai stesse piangendo, Ino disse qualcosa riguardo alla sabbia che doveva esserle finita negli occhi.




 
 
 
 
 
 
 
 
 
fine

 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 

 
 

  
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