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Autore: Elpis    11/09/2011    7 recensioni
Perché non lo hai fermato? "Sarò sempre con te", mi hai detto. Eppure oggi non c'eri. Hai lasciato che mi mettesse le mani addosso. Non mi hai consolato quando ho urlato.
La storia tratta di un tema "forte": una violenza nei confronti di una bambina e del dolore di questa per la propria innocenza perduta.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ad ali chiuse

 

 

 


Donna, donna, donna, DONNA!
È quasi un grido nella sua testa.
Donna.
Ma come si può essere donna a soli dieci anni?

Isabella distoglie lo sguardo. Il soffitto è completamente spoglio.
Come la sua mente.
Ma il soffitto è bianco, simile a una di quelle margherite che d’estate andava a cogliere con la sua mamma. Bianco, il colore della purezza.
La sua mente, invece non è bianca è rossa. Rossa come il sangue.
Isabella si chiede se potrà mai riacquistare il colore della purezza. Poi ripensa a quello che è successo solo poco tempo fa e il suo giovane corpo è scosso da un singulto.
Ora è una donna.

« Mamma, mamma cosa sono io? »
« Una bambina dannatamente curiosa e chiacchierona, tesoro. Adesso però lasciami cucire. >>
Sua madre, seduta su una sedia sgangherata il più vicino possibile alla finestra per cogliere gli ultimi raggi di sole. A quel tempo non avevano neanche i soldi per pagare la bolletta della luce. Isabella ricorda la povertà, le piccole, insormontabili fatiche di ogni giorno. Ricorda sua madre con il viso stanco e le borse sotto gli occhi. E quel sorriso mesto con cui sembrava scusarsi. Scusarsi per essere nata donna, per essere un’immigrata con una figlia di appena cinque anni e neanche uno straccio d’uomo a proteggerla dal mondo.
Certo, tutto questo prima che arrivasse lui.
« Mamma e tu cosa sei? »
Lei si scosta un ciuffo di capelli ribelli.
« Una donna tremendamente indaffarata. »
« Quando potrò essere anch’io una donna? »
Posa il cucito e la fissa improvvisamente interessata. E i suoi occhi hanno una luce carica di tenerezza.
« Quando ti innamorerai per la prima volta, tesoro. Quando farai l’amore con l’uomo che ami.»
Isabella corruga la fronte con aria pensosa.
« Cosa significa fare l’amore? »
« Questo te lo spiegherò quando sarai più grande » risponde divertita. Poi la prende in braccio.
Entrambe guardano fuori dalla finestra, in silenzio.
« Mamma? »
« Sì? »
«Com’è innamorarsi? »
Sua madre la fissa pensosa. Poi le indica il giardino che si intravede fuori dalla finestra.
« Lo vedi quell‘ albero laggiù? » Isabella annuisce « E quel nido? Quello sul secondo ramo a destra? Dentro ci sono tre uccellini che ancora non sanno volare. Per ora passano il tempo a prepararsi. Una piuma dopo l’altra, un passetto dopo l’altro. Aspettano di essere pronti. E lo sai per che cosa vogliono essere pronti? »Isabella scuote la testa. «Per il loro primo volo. E quando si affacciano sul nido hanno paura. Paura di non farcela, paura di cadere, paura di non essere all’altezza. E allora esitano. Ma poi passa un filo di vento e accarezza le ali e loro le aprono e si buttano, senza starci tanto a pensare perché è nella loro natura. E allora è tutto facile e spontaneo.
Ecco, innamorarsi è proprio come spiccare il volo: un’eterna attesa, qualcosa di terribilmente spaventoso e semplicemente… naturale. Perché una volta superata la paura, una volta che ci si è gettati, amare è facile e spontaneo come respirare. »

Ma lei non ce l’ha fatta a volare.
Lei è precipitata e il cielo ora lo può guardare solo da lontano, ha le ali rotte.
Mamma che cosa diresti se mi vedessi adesso? Mamma perché sei morta e mi hai abbandonata nelle sue mani?

Lo amavi veramente, è per quello che lo hai sposato? O era solo per togliermi dalla strada?
Perché non lo hai fermato? “ Sarò sempre con te” mi hai detto. Eppure oggi non c’eri. Hai lasciato che mi mettesse le mani addosso. Non mi hai consolato quando ho urlato.
E il suo corpo grida, l’anima si dimena come se volesse uscire fuori, via da quell’involucro, al ricordo di quelle immonde carezze. E intanto lei continua a precipitare.
Ho provato ad aprire le ali, mamma. Davvero. Ma non erano ancora pronte. Non sono state aperte da un soffio di vento ma stroncate da un uragano.
Giù, sempre più giù.
Con le ali spezzate e l’anima che piange.
Eppure lei a piangere non ci riesce, non riesce neanche a ripensarci. Sa solo che non può succedere un’altra volta. Non deve.
Isabella si alza. Nell’armadio della camera da letto trova ciò che cerca. È pesante. Chissà come si usa. In fondo non dovrà prendere la mira da lontano. Basterà un colpo a tre passi di distanza. Deve solo premere il grilletto e quella voce che grida sangue nella sua mente si placherà.

Eccolo lì per terra a supplicarla. Ti prego risparmiami. Perché? Lui non l’aveva fatto quando lei lo aveva implorato. Aveva rubato la sua innocenza: perché lei non si doveva prendere la sua vita?
Poi lo guarda, lì, gettato per terra, con la sedia rovesciata a pochi passi di distanza. Ha la camicia macchiata dell’inchiostro che si è versato addosso quando l’ha vista entrare nella stanza con la pistola in mano.
Ha paura. Un filo di bava gli sta colando sul mento. Le mani giunte in preghiera, si scusa.
E la sua voglia di vendetta si placa. Lo guarda e prova solo disgusto. Per quello che è e per quello che l’ha fatta diventare.
Getta la pistola a terra. Cade con un tonfo ma lei non è più lì, è già dall’altra parte della stanza.
Apre la finestra e guarda il cielo. “ Scusa mamma, lo so che non vorresti. Ma forse così è quasi come volare”
E, mentre il vento l’accoglie in un abbraccio gentile, per un attimo pare crederci davvero. 

  
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