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Autore: Soe Mame    11/09/2011    2 recensioni
Le vite dei personaggi raccontate attraverso i significati dei tarocchi. Romanzazioni, headcanon e un paio di divergenze dal canon.
[Le Stelle] Ciò che tutti avrebbero visto sarebbe stato un meraviglioso cielo stellato.
[La Luna] Lei non era figlia della luna.
x La raccolta potrebbe rimanere incompiuta. Tuttavia, ciascuna oneshot si può leggere autonomamente.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

10
Hiroto Honda - La Ruota



La creatura a destra, il cane, simboleggia l'intelligenza
Il cane rappresenta la difficoltà ad ascoltare, la sottomissione

Hiroto Honda era un bambino come tutti gli altri.
La sua sembrava una famiglia modello, quasi irreale per la sua semplicità.
Suo padre lavorava, sua madre era una casalinga.
Avevano avuto tre figli.
Prima una femmina, poi un maschio, e infine un altro maschio.
Hiroto.
Era il minore di tre fratelli.
E, forse per questo, il più coccolato.
Avevano anche un cucciolo di cane, una femmina di nome Blanky.
Forse era stato l'elevato numero di componenti della sua famiglia a dare ad Hiroto quel carattere così tranquillo.
A volte giocava con Blanky, a volte si picchiava scherzosamente con suo fratello.
A volte, i due bambini facevano i dispetti alla sorella maggiore.
Altre volte ancora, i tre figli si coalizzavano per giocare qualche scherzo ai genitori.
Erano una famiglia unita.
Nonostante gli scherzi innocenti, i tre fratelli erano sempre pronti a dividersi i compiti per aiutare i loro genitori.
O per aiutarsi tra di loro.
Quando Hiroto cominciò ad andare all'asilo, si mostrò subito molto socievole e tranquillo.
Per quanto non si tirasse indietro all'idea di fare qualche scherzo alle maestre, era un bambino di norma molto pacato.
E, nello stesso tempo, era stato in grado di farsi benvolere da molti suoi compagni di classe.
Per Hiroto giunse poi il momento di andare alle elementari, mentre suo fratello si apprestava ad andare alle medie e sua sorella aveva iniziato le superiori.
Quando Hiroto cominciò ad andare alle elementari, mostrò subito un interesse per lo studio pari a zero.
Per quanto alcune materie, il cui numero era contabile sulla dita di due mani senza prendere in considerazione quelle provviste di tre falangi, lo interessassero, tutte le altre sortivano su di lui uno strano effetto soporifero.
Capitava che Hiroto poggiasse la testa sul banco, per poi partire per un lungo viaggio nel mondo dei sogni.
Quando, a casa, doveva fare i compiti, era capace di improvvisarsi entomologo e studiare con viva attenzione i movimenti di una mosca.
Eppure, in quelle poche materie che riuscivano a fargli tenere gli occhi sui libri per più di un secondo, eccelleva.
Quando veniva interrogato in quelle materie prive di attrattiva, riusciva sempre a cavarsela inventando qualcosa sul momento.
Ciò significava che Hiroto non era stupido.
- Hiroto è intelligente, ma non si applica. - avevano detto le maestre ai suoi genitori, sconfortate.
Hiroto non ci vedeva nulla di strano nel non ascoltare le cose che non lo interessavano.
Ma la frase delle maestre non piacque affatto ai suoi genitori.
Lo misero in punizione.
Sua sorella era bravissima in tutte le materie, suo fratello riusciva a mantenere una media dignitosa.
I suoi genitori gli dissero che, se avesse continuato a comportarsi in quel modo, non sarebbe mai stato degno dei suoi fratelli.
Sarebbe sempre stato dietro di loro, costretto ad abbassare la testa di fronte alla loro bravura.
Hiroto.
Era il minore di tre fratelli.
E, per questo, doveva costantemente subire il paragone con loro.
Era il minore di tre fratelli.
E doveva sempre mostrarsi alla loro altezza.

Una persona che giunge improvvisamente in aiuto del consultante
Una persona ottimista

Hiroto non seppe mai quale fu la causa del suo improvviso interesse per lo studio.
Era stato l'ammonimento dei suoi genitori?
O l'idea di essere inferiore ai suoi fratelli?
Forse, dentro di sé, voleva mostrarsi non degno, ma superiore ai propri fratelli.
Strano, per lui, che non aveva mai dato peso alla competitività, men che meno con qualcuno della propria famiglia.
Riuscì a passare i sei anni delle scuole elementari con voti ottimi, che parvero rassicurare definitivamente i suoi genitori.
Hiroto ne fu felice.
Lo studio non sembrava più un mostro orrendo: studiare era il suo dovere di studente e lui lo avrebbe portato a compimento nel migliore dei modi.
Quando Hiroto cominciò ad andare alle medie, si mostrò subito molto socievole e tranquillo.
Non si rivelò il miglior studente della scuola, ma riusciva a mantenere i suoi voti sempre decenti.
Divenne capoclasse.
Gli dissero che aveva la faccia e i modi da capoclasse.
Così, Hiroto decise di dare il meglio, nel suo ruolo.
Non incontrò particolari difficoltà: la sua era una classe piuttosto tranquilla, non c'era nulla che potesse turbarlo eccessivamente.
Ma la sua non era una classe totalmente tranquilla.
C'era un elemento piuttosto strano, Katsuya Jonouchi, che alcuni ragazzi evitavano accuratamente.
Hiroto aveva sentito qualche strana diceria su di lui: dicevano che faceva parte di una pericolosa banda di teppisti, che era un bullo della peggior specie, che a volte non si limitava alle mani.
In un primo momento, Hiroto non ci aveva fatto troppo caso: sembravano solo dicerie dovute al suo sguardo quasi assente, all'aria sbattuta, a certe rispostacce che era capace di dare.
Ma, con il passare del tempo, Hiroto si accorse che qualcosa non andava.
Non aveva mai visto i signori Jonouchi a colloquio con i professori.
Una volta, Jonouchi venne a scuola con un labbro spaccato.
Un'altra volta, aveva un occhio pesto.
E un'altra volta ancora, la sua guancia era solcata da quello che sembrava il taglio di un coltello.
Non aveva mai visto i signori Jonouchi a colloquio con i professori.
Hiroto cominciò a chiedersi se i signori Jonouchi esistessero.
Come potevano rimanere in silenzio nel vedere il loro figlio ridotto in quello stato?
E se, anzi, fossero stati proprio loro gli artefici di quelle ferite?
Forse Jonouchi era maltrattato dai propri genitori.
Hiroto non seppe mai quale fu la causa della sua improvvisa preoccupazione per quel ragazzo.
Si convinse che doveva trattarsi del suo ruolo di capoclasse, desideroso che ogni cosa fosse tranquilla.
Era sempre vissuto nella calma, in una famiglia numerosa ma ordinata.
Ma, quando osò avvicinarsi a Jonouchi, capì che il suo ruolo non c'entrava nulla.
Si rese conto che, anche se non fosse stato capoclasse, si sarebbe avvicinato a lui comunque.
All'inizio, provò a parlargli con discrezione, usando tutto il tatto di cui era capace.
Jonouchi, di rimando, gli disse che parlava come uno psicologo dei poveri.
L'occhiata gelida che gli rivolse fece desistere Hiroto, per il momento.
Trascorsero i giorni, giorni in cui Hiroto ripensava a Jonouchi.
L'idea di abbandonarlo a lui stesso non lo sfiorò neppure, tanto sembrava assurda.
Si era messo in testa di aiutarlo.
Non aveva idea di come, ma voleva dargli tutto il suo aiuto.
Sarebbe stato disposto persino a pedinarlo, scoprire dove abitava, fotografare eventuali maltrattamenti e denunciare i signori Jonouchi.
Pensava ma non agiva.
Non sapeva neppure lui cosa stesse aspettando.
Perché stesse rimandando.
Fino a che, un giorno, Jonouchi arrivò a scuola con il naso sanguinante.
Fu Hiroto a trascinarlo in infermeria, ignorando le sue proteste.
Ormai la discrezione e il tatto non servivano più.
Hiroto gli disse chiaramente che lui aveva bisogno di aiuto, che avrebbe dovuto parlare dei suoi problemi a qualcuno.
Jonouchi, per tutta risposta, dopo qualche frase ironica, lo insultò.
Lo accusava di impicciarsi degli affari degli altri, che lui non aveva niente a che vedere con ciò che lo riguardava.
Hiroto non seppe come reagire: non si era mai ritrovato coinvolto in un litigio serio, non si era mai sentito insultare con tutto quel veleno.
Forse sarebbe stato meglio finirla lì, borbottare delle scuse ed andarsene dall'infermeria, per poi smettere di curarsi di Jonouchi.
In quei giorni, Hiroto aveva ripensato a Jonouchi.
L'idea di abbandonarlo a lui stesso non lo aveva sfiorato neppure, tanto sembrava assurda.
E non lo sfiorò neppure in quel momento.
Hiroto reagì d'istinto, disse ciò che pensava.
Gli disse che non avrebbe mai potuto sapere se lui non gli sarebbe stato d'aiuto, se prima non provava a parlarne con lui.
Jonouchi lo colpì.
Un pugno vero, pesante, doloroso, dritto in faccia.
Hiroto sentì per la prima volta un dolore devastante su metà del viso, come se fosse stato colpito da una palla di piombo.
Sentì per la prima volta il terrore di aver perso qualche dente.
Sentì per la prima volta uno strano formicolio ad un occhio.
Sentì per la prima volta un liquido al tempo stesso ghiacciato e rovente in una narice.
Sentì per la prima volta un inquietante pulsare ad un labbro.
Sentì per la prima volta uno sconosciuto sapore ferroso in bocca.
Era stordito, non riusciva a capire bene cosa Jonouchi gli stesse dicendo.
Era questo il mondo di Jonouchi?
Era questo che Jonouchi doveva subire ogni giorno?
E Hiroto aveva ricevuto soltanto un misero pugno.
Quante volte Jonouchi doveva essersi sentito così, anzi, mille volte peggio?
In quei giorni, Hiroto aveva ripensato a Jonouchi.
L'idea di abbandonarlo a lui stesso non lo avrebbe mai sfiorato.
Hiroto fece la cosa che più gli sembrava logica in quel momento.
Restituì il pugno a Jonouchi.
Esattamente dove lui l'aveva colpito, al viso, mettendoci tutta la forza che aveva.
Hiroto gli disse che Jonouchi non lo impietosiva affatto: non gli importava se aveva la faccia piena di lividi o ferite, se lo colpiva, lui rispondeva.
Non seppe cosa fu a fargli dire quella frase tanto stupida.
La reazione di Jonouchi lo sorprese.
Semplicemente, lo fissò con occhi spalancati.
E poi, scoppiò a ridere.

Aspettative disilluse, prudenza nelle azioni
Un blocco che va superato
La Ruota può annullare i cattivi presagi delle carte vicine, eccetto la Torre

Hiroto constatò che le dicerie su Jonouchi erano vere.
Fu lo stesso Katsuya a confermarglielo.
Lui faceva parte di una banda di teppisti, capitanati da un tale Hirutani.
E lui, Katsuya Jonouchi, era il suo vice.
Ogni giorno, aggredivano i ragazzini più gracili, o gli adulti, per derubarli.
Ogni giorno, si picchiavano con qualcuno di altre bande.
Ma c'erano dei litigi anche all'interno della stessa banda di Hirutani, litigi che degeneravano in risse.
Ogni giorno, Jonouchi picchiava e veniva picchiato.
Hiroto rimase perplesso.
Come potevano i signori Jonouchi rimanere in silenzio nel vedere il loro figlio ridotto in quello stato?
Erano forse ciechi, a non vederlo tornare a casa ricoperto di ferite?
Jonouchi, con una tranquillità quasi inquietante, gli confessò che non aveva una famiglia.
Tecnicamente, l'aveva.
Ma praticamente no.
I suoi genitori erano divorziati, lui era stato affidato ad un padre pieno di debiti, sua sorella minore era stata affidata alla loro madre.
Nel sentire quelle parole, Hiroto si sentì gelare.
Genitori divorziati.
La sua famiglia era unita, si voleva bene.
L'idea che suo padre e sua madre litigassero, che si separassero, era così irreale...
Hiroto aveva sempre dato per scontato che tutte le famiglie fossero unite, che tutti i componenti della famiglia si volessero bene.
La verità lo aveva colpito dolorosamente come il pugno di Jonouchi.
Quando tornava a casa, Katsuya non vedeva sua madre.
Quando tornava a casa, Katsuya vedeva solo un padre devastato da mille preoccupazioni.
Separato dalla propria sorella.
Hiroto era come perso all'idea di non poter più vedere uno dei suoi genitori.
E lo fu ancora di più all'idea di essere separato dai propri fratelli, per un qualcosa in cui loro non c'entravano niente.
L'immagine di lui diviso da sua sorella e suo fratello si affacciò nella sua mente, ma lui scosse la testa, troppo spaventato per pensarci.
La sua famiglia era unita.
Aveva dei genitori, dei fratelli, e tutti si volevano bene.
Hiroto lo aveva sempre dato per scontato.
Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse prezioso ciò che possedeva.
Jonouchi gli confessò di voler abbandonare la banda di Hirutani.
A quelle parole, Hiroto sentì il cuore riempirsi di felicità: Jonouchi era cosciente dei suoi errori, voleva porvi rimedio.
Ma Jonouchi gli disse anche che abbandonare la banda di Hirutani era impossibile.
Loro non erano bulletti di quartiere, a cui bastava la presenza del fratello maggiore palestrato di una povera vittima per metterli in fuga.
Loro erano pericolosi.
Giravano armati, erano sanguinari.
Jonouchi fece anche un velato riferimento al suo aver visto un corpo.
Hiroto era incredulo.
Sembrava la trama di un film, di un thriller da vedere al cinema.
Tranquillamente seduto sulla poltroncina, con dei pop-corn e una bevanda, assistendo ad uno spettacolo di esplosioni, sparatorie, il tutto frutto di puri effetti speciali.
Sembrava il testo di un giornale, da leggere facendo colazione.
Tranquillamente seduto sulla sedia, con davanti il cibo mattutino, leggendo vicende di persone sconosciute e lasciandosi sfuggire qualche commento dispiaciuto.
Ma non era un film.
Non era un giornale.
Non era una cosa che riguardava altri, non era una cosa finta.
Quelle cose Jonouchi le viveva sul serio.
E non erano belle né affascinanti.
Hiroto aveva paura.
Era stato lui stesso ad immischiarsi in quella vicenda.
Quando Jonouchi lo guardò, sembrò leggergli nel pensiero.
O forse la sua faccia sbiancata era stato un buon indizio.
Jonouchi gli disse che, ora che sapeva tutto, poteva tornare alla sua vita di sempre, lasciandolo in pace.
Sì.
Sì, farlo sarebbe stata la cosa migliore.
Hiroto ne era cosciente.
Lui aveva sempre fatto la cosa migliore, la cosa più conveniente.
Era semplice, aveva ottenuto ciò che voleva: sapere cosa affliggesse Jonouchi.
L'aveva scoperto, bene, non poteva aiutarlo.
Ciò che aveva scoperto lo aveva terrorizzato, che aiuto avrebbe mai potuto dargli?
Jonouchi viveva in una realtà che non lo riguardava, quasi fosse un alieno proveniente da un altro mondo.
L'idea di abbandonarlo lo sfiorò soltanto in quel momento.
E Hiroto si rese conto di quanto fosse assurda.
Si era messo in testa di aiutarlo.
Non aveva idea di come, ma voleva dargli tutto il suo aiuto.
Doveva soltanto abituarsi alle botte.
Intanto, poteva diventare suo amico.
Quando glielo disse, guardandolo da vicino, Hiroto si accorse che l'espressione di Jonouchi sapeva essere molto stupida.
La combinazione di Hiroto Honda e Katsuya Jonouchi fu strana.
Hiroto iniziò a scoprire un nuovo mondo.
Un mondo dove non c'erano solo batuffoli di cotone, persone sorridenti e dove la cosa più grave era un brutto voto.
La sensazione stordente e dolorosa provata quando Jonouchi lo aveva colpito tornò a farsi sentire svariate altre volte.
Si rese conto di come persino da un diverbio potesse nascere una rissa.
E gli piacque.
Hiroto era sempre vissuto in un mondo perfetto.
Era sempre stato una persona tranquilla.
Faceva degli scherzi, a volte si picchiava scherzosamente con suo fratello.
Ma le botte vere, dolorose, che creavano macchie scure o ferite rosse, erano una strana, piacevole novità.
Era come se soltanto in quel momento cominciasse ad assaporare ogni cosa della vita.
La combinazione di Hiroto Honda e Katsuya Jonouchi fu strana.
Jonouchi cominciò ad essere più socievole, a ridere, a lasciarsi andare.
I genitori di Hiroto non approvavano l'amicizia tra i due ragazzi.
Avevano più volte proibito ad Hiroto di vedere Jonouchi, di frequentare cattive compagnie.
Hiroto non li ascoltò.
Improvvisamente, si ricordò cosa significasse essere costretti ad ascoltare frasi inutili e noiose.
E si ricordò del perché cadesse addormentato.
Dopo qualche mese, volle rischiare.
Trascinò Jonouchi a casa sua.
I suoi genitori e i suoi fratelli rimasero piuttosto perplessi.
Si aspettavano forse un ragazzone dallo sguardo truce o assente, magari pieno di piercing o tatuaggi, e invece si ritrovarono davanti ad un idiota che si disperò per aver fatto cadere un vaso con pianta, per poi sbrigarsi a risistemare tutto come meglio poteva e scusarsi in ogni modo.
Per qualche strana ragione, tuttavia, i suoi genitori non gli dissero più nulla riguardo Jonouchi.
Nonostante fosse stato invitato a casa di Hiroto, Jonouchi non lo invitò mai a casa propria.
Quando Hiroto gli chiese perché, Jonouchi tacque.
Hiroto non insistette.
La combinazione di Hiroto Honda e Katsuya Jonouchi fu strana.
Divennero amici.
Giunse quel giorno.
Entrambi sapevano che sarebbe arrivato, che non avrebbero potuto rimandarlo per sempre.
Quel giorno.
Il giorno in cui Katsuya Jonouchi avrebbe lasciato la banda di Hirutani.
Non ne avevano mai parlato, ma sapevano entrambi che quel giorno sarebbe arrivato.
Era come una tacita consapevolezza.
Jonouchi non aveva mai parlato di Hirutani, Hiroto non aveva mai chiesto niente.
Giunse quel giorno.
Entrambi sapevano che sarebbe arrivato, che non avrebbero potuto rimandarlo per sempre.
Quel giorno.
Il giorno in cui Katsuya Jonouchi avrebbe lasciato la banda di Hirutani.
Abbandonare la banda di Hirutani era impossibile.
Lo sapevano entrambi.
Ma era ciò che Katsuya voleva.
E Hiroto lo avrebbe aiutato.
Era al suo fianco quando entrò nel locale dove si trovavano tutti.
Hiroto lo sapeva.
Sapeva che loro gli avrebbero fatto molto male.
Sapeva che avrebbe potuto portare i segni per sempre.
Sapeva che quel "per sempre" poteva terminare quel giorno stesso.
Era strano andare incontro a gente del genere a testa alta, a fianco di un ragazzo conosciuto solo qualche mese prima.
Hiroto non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in una situazione del genere.
Una situazione da film, da giornale.
Una situazione che gli metteva paura.
Ma l'idea di abbandonare Jonouchi era impensabile.
Hiroto aveva preso la sua decisione.
E, per quanto valesse, vedeva la determinazione negli occhi di Katsuya.
Anche lui aveva esitato ad agire, a realizzare il suo desiderio.
Hiroto aveva preso la sua decisione.
E, per quanto valesse, vedeva la determinazione negli occhi di Katsuya.
Quando capì che quella determinazione era nata nel momento in cui lui gli si era avvicinato, anche di fronte a simili individui, Hiroto comprese che quella determinazione valeva tutto.

Chiusura del passato, attesa del futuro
Conclusione
Inizio di una nuova età

Il matrimonio di sua sorella.
Hiroto ci andò con una stampella e un braccio ingessato, un largo cerotto su una tempia.
Sarebbe dovuta essere una scena drammatica, ma Hiroto rideva della sua condizione.
Ricordava bene le urla dei suoi genitori, di suo fratello e di sua sorella, in ospedale, ricordava quel dolore diffuso in tutto il corpo.
Sarebbe dovuta essere una scena drammatica, ma Hiroto rideva della sua condizione.
Ricordava Jonouchi nel lettino accanto al suo, conciato anche peggio di lui.
Nessuno era andato a trovarlo.
Ma, nonostante questo, Jonouchi sembrava felice.
In quel locale avevano lasciato parecchio del loro sangue.
Ma erano vivi.
Malridotti, costretti su dei lettini d'ospedale, ma vivi.
E Katsuya era finalmente libero.
Né Hiroto né Katsuya erano veggenti, non sapevano cosa sarebbe successo da lì in poi.
Tuttavia, onestamente, a nessuno dei due importava.
Katsuya era riuscito a liberarsi dalla banda di Hirutani.
E questo bastava.
Trascorsero i mesi, gli anni.
Sua sorella ebbe un figlio, Jouji.
Hiroto divenne zio.
Fu strano.
Sua sorella, la ragazza che aveva sempre visto tornando a casa, la ragazza che faceva parte della sua famiglia, era diventata mamma.
Una mamma come la loro.
Forse era già in atto la trasformazione da semplice donna a signora buona/severa/preoccupata/amorevole/impicciona/ansiosa/minacciosa/madre.
Era un'ipotesi terribile, ma Hiroto non poteva fare niente.
La sua era sempre stata una famiglia unita.
Nonostante gli scherzi innocenti, i tre fratelli erano sempre pronti a dividersi i compiti per aiutare i loro genitori.
O per aiutarsi tra di loro.
Da quel momento, Hiroto, suo fratello e i loro genitori avrebbero aiutato la neomamma come meglio potevano.
Alcune volte, era Hiroto stesso ad occuparsi di Jouji.
Più vedeva quel bambolotto paffuto, più sentiva in lui il desiderio di non diventare padre.
Quel bimbo non faceva altro che piangere, mangiare, dormire e sporcare il pannolino.
Se non altro, Hiroto capiva perché sua sorella volesse tanto un po' di compagnia.
Quando Hiroto andò alle superiori, scoprì che Jonouchi era in classe con lui.
La combinazione di Hiroto Honda e Katsuya Jonouchi fu strana.
Prima di incontrare Jonouchi, Hiroto era un ragazzo molto tranquillo.
Dopo, non si sarebbe tirato indietro di fronte ad una rissa.
Non sapeva dire se fosse colpa o merito di Jonouchi.
Aveva notato una cosa, riguardo la sua classe.
Lui e Jonouchi erano i più alti.
La maggior parte dei loro compagni di classe arrivavano alla loro spalla o al mento.
Ma c'erano individui come quello Yugi Muto che se arrivavano loro allo stomaco era solo per merito di bizzarri capelli punk.
Yugi era piccolo, timido, aveva bisogno di una spinta.
"Diventare uomo", diceva Jonouchi, probabilmente per prenderlo in giro.
Non aveva tutti i torti.
Era solo per questo che Hiroto gli chiedeva gentilmente di comprargli delle riviste vietate ai minori - che, nonostante questo, erano vendute pure a quelli che sembravano bambini delle elementari.
Ed era solo per questo che Hiroto e Katsuya gli facevano qualche dispetto innocente.
Yugi era piccolo, timido, aveva bisogno di una spinta.
L'unico problema era la baby-sitter (fidanzata?) di Yugi, Anzu Masaki, sempre pronta ad intromettersi.
Era carina, Anzu Masaki - anche se mai quanto un'altra loro compagna di classe, Miho Nosaka -, ma aveva parecchio da lavorare sul carattere.
Se non altro, Yugi era piccolo e timido ma non stupido.
Persino lui aveva capito che ciò che facevano lo facevano soltanto per farlo diventare più uomo.
... che poi non fosse vero, era relativo.
La combinazione di Hiroto Honda e Katsuya Jonouchi fu strana.
Prima di incontrare Jonouchi, Hiroto non avrebbe mai torto un capello a nessuno.
Dopo, non si faceva scrupoli a tormentare un ragazzino fisicamente più piccolo di loro.
E' che Yugi ispirava così tante prese in giro...
Ma non lo picchiarono. Mai.
Non lo perseguitarono, bloccandolo in vicolo e minacciandolo.
Si divertivano a prendere in giro Yugi e tormentarlo, ma non erano così vigliacchi da picchiarlo.
Ushio, un ragazzo la cui stazza valeva per dieci, non era dello stesso parere.
Fu per questo che li picchiò a sangue, lasciandoli quasi privi di sensi.
Hiroto non si sentiva così dal giorno in cui affrontò la banda di Hirutani.
In quel caso, però, si trattava di una decina di persone contro due.
Lì era un solo tizio che li aveva stesi senza problemi.
Yugi.
Hiroto non capì da dove fosse comparso: era d'innanzi a loro, a braccia aperte, come per far loro scudo da Ushio.
D'accordo, Yugi era piccolo, timido e, soprattutto, stupido.
Ushio gli aveva praticamente fatto un favore... eppure, neanche Yugi fu risparmiato.
Era ovvio.
Yugi era troppo piccolo e fragile, se persino lui e Jonouchi erano stati sconfitti, cosa pretendeva di fare?
Come ragionasse quella mente malata di Ushio, nessuno lo sapeva.
Ma, forse, la mente di Yugi era ancora più incomprensibile.
Hiroto e Katsuya avevano sempre pensato che Yugi fosse debole, troppo piccolo e timido.
Loro lo avevano preso in giro, lui li salvava a costo di farsi davvero molto male.
Loro erano abituati alle botte, Yugi aveva l'aria di chi non riuscirebbe a reggere uno schiaffo.
Hiroto e Katsuya avevano sempre pensato che Yugi fosse debole, troppo piccolo e timido.
In quel momento, Hiroto capì che forse quel ragazzino era anche migliore di loro.
Come ragionasse quella mente malata di Ushio, nessuno lo sapeva.
Ma, probabilmente, dopo essersi sfogato su di loro, non li avrebbe più cercati.
Una magra consolazione.
Il giorno dopo, Ushio era impazzito.
Era stato ritrovato nel parco della scuola, a rotolarsi tra le foglie, farneticando sul denaro.
Probabilmente, dunque, Ushio era davvero malato di mente.
Hiroto ebbe quasi pietà di lui.
Nei giorni successivi, Jonouchi confessò ad Hiroto di essere rimasto colpito da Yugi.
Era per questo motivo che aveva iniziato a portarlo con sé, quasi fosse un portachiavi.
Hiroto non approvò.
Il comportamento di Yugi aveva sorpreso anche lui.
Hiroto aveva cominciato a rispettare un po' di più quel piccolo ragazzino.
Ma Jonouchi lo considerava suo amico.
Per Hiroto, quel ragazzino era soltanto un conoscente.
Non sapeva se Yugi si fosse accorto del diverso modo in cui loro si rapportavano a lui.
Probabilmente sì.
Era per questo che Yugi si rivolgeva più spesso a Jonouchi.
Hiroto si sentì stranamente soddisfatto nel notare che Yugi sembrava quasi timoroso a parlargli.
Hiroto non lo odiava.
Ma non aveva neppure tutta questa voglia di avercelo intorno.
Era un ragazzino strano.
Forse troppo, per i suoi gusti.
Era piccolo, impacciato, eppure si ostinava a portare quei capelli dal taglio aggressivo e quel coso da mille chili appeso al collo.
Parlava sempre di giochi, era come se vivesse in un mondo tutto suo.
Hiroto era sempre stato molto terreno.
E Yugi era davvero troppo particolare.
Ma la mente di Hiroto era occupata anche da un altro pensiero.
Miho Nosaka.
Loro compagna di classe addetta alla biblioteca.
Era davvero molto bella.
Sembrava quasi più bella del primo giorno di scuola, quando Hiroto la vide per la prima volta.
Era gentile con tutti, sempre con il sorriso sulle labbra.
Ribbon-chan.
Con quel fiocco giallo sempre tra i capelli e quella vocina acuta, sembrava quasi una bambolina.
Era bellissima persino con indosso quella semplice divisa scolastica.
Hiroto pensava spesso a Miho.
Molto spesso.
Era pensierosa, durante le lezioni, la osservava dal suo banco.
Era nei corridoi, durante la ricreazione, e parlava con altre ragazze.
Era nei suoi sogni, persino.
Hiroto pensava spesso a Miho.
Come se ne fosse innamorato.
E, con una certa inquietudine, Hiroto scoprì che era così.
Si era innamorato di Miho Nosaka.
Trasaliva nel sentire la sua voce, arrossiva nell'udire il suo nome.
Non ci fu bisogno di dirlo a Jonouchi.
Katsuya gli disse che il suo sguardo da pesce lesso fisso su Miho era stato illuminante.
Gli consigliò di farsi avanti.
Hiroto annuì.
Sì, l'avrebbe fatto.
Avrebbe confessato a Miho i suoi sentimenti per lei.
Era andato incontro alla morte, affrontando la banda di Hirutani.
Dichiararsi ad una ragazza non era niente, in confronto.
... no?
Hiroto si tirò indietro.
No, non ce la poteva fare.
Non avrebbe mai potuto confessare a Miho i suoi sentimenti per lei.
Era andato incontro alla morte, affrontando la banda di Hirutani.
Ma dichiararsi ad una ragazza era un milione di volte più difficile.
E poi, Hiroto non sapeva come fare.
Non aveva mai rivolto la parola a Miho: ogni volta che ci provava, sentiva la voce rifiutarsi di uscire, cominciava a tremare.
Non poteva permettere che Ribbon-chan lo considerasse un idiota.
Katsuya gli propose di chiedere a Yugi: viveva in un negozio di giochi, probabilmente aveva pure quello che faceva al caso suo.
Hiroto non approvò.
Non aveva voglia di rivelare a quello strano ragazzino una cosa così importante.
Ma Jonouchi non lo ascoltò e coinvolse Yugi anche contro il suo volere.
Forse non fu un'idea così malvagia.
Lo strano puzzle-dichiarazione che gli mostrò il nonno di Yugi era affascinante.
Forse a Miho sarebbe potuto piacere: era una cosa originale, non era la solita dichiarazione stereotipata...
Forse sarebbe riuscito a far colpo!
Tuttavia, Hiroto non aveva scritto una lettera d'amore.
Yugi sarebbe sicuramente stato più capace di lui.
Fu per questo che gli rifilò il puzzle-dichiarazione, soltanto per questo.
Voleva soltanto evitare di fare una brutta figura con Ribbon-chan: per questo non osò scrivere lui.
Soltanto per questo.
Il giorno dopo, a scuola, il puzzle-dichiarazione fu messo sotto il banco di Miho Nosaka.
Bisognava soltanto attendere che lei lo trovasse.
Hiroto non riusciva a stare fermo.
L'ansia lo stava divorando, partendo dallo stomaco.
Continuava a lanciare occhiate a Miho, pregando che lei mettesse le mani sotto il banco, che si accorgesse di quel pacco.
Ma perché Miho si ostinava a non guardare sotto il banco?
Forse se n'era accorta, ma voleva tirarlo fuori a ricreazione?
E se lo stesse ignorando?
E se meditasse di buttarlo senza aprirlo?
E se pensasse si trattasse di uno scherzo?
Quando la porta dell'aula si aprì, entrò la professoressa Chono.
Bella d'aspetto, disgustosa d'animo.
Ordinò di svuotare i banchi e gli zaini.
Un'ispezione a sorpresa.
Hiroto si sentì stordito, come se avesse ricevuto un pugno in faccia.
In quel modo, la dichiarazione per Ribbon-chan avrebbe potuto avere ripercussioni su di lei, lei lo avrebbe senz'altro accusato e lo avrebbe odiato...
Quando Miho fu costretta a mettere quel pacchetto sconosciuto sul proprio banco, la professoressa Chono lo individuò subito, requisendoglielo e aprendolo davanti a tutti.
Quando si rese conto che era un puzzle, cominciò a comporlo, cinguettando odiosamente ciò che leggeva.
Hiroto dovette trattenersi.
Quella donna stava umiliando Miho, la stava facendo vergognare davanti a tutta la classe.
Stava calpestando i sentimenti di chi aveva mandato quella dichiarazione, stava facendo del male a Miho.
Non gli importava se quella donna era una professoressa.
Avrebbe tanto voluto rovinarle quel bel faccino di cui era tanto fiera...
La professoressa Chono chiese chi fosse stato a scrivere quella lettera.
Hiroto non riuscì a trattenersi.
Confessare subito, prendere su di sé tutti gli sguardi, distogliere l'attenzione da Miho.
Prima che potesse alzarsi, però, fu preceduto.
Da Yugi.
Yugi si era alzato, affermando di aver scritto quella lettera.
E Jonouchi, a ruota, si era alzato, dicendo di averla messa sotto il banco di Miho Nosaka.
Hiroto non riusciva a crederci.
Yugi e Jonouchi stavano rischiando l'espulsione per una cosa in cui lui - lui - li aveva coinvolti.
Era assurdo.
Quando Hiroto si alzò, negando ciò che avevano detto e prendendo su di sé ogni colpa, lo fece con il cuore sereno.
Né Katsuya né Yugi dovevano essere condannati per qualcosa la sua colpa, se di colpa si poteva parlare, era esclusivamente sua.
La professoressa Chono continuò la sua composizione, con un sorriso crudele.
Hiroto la odiava.
La odiava come non aveva mai odiato nessuno.
La professoressa Chono continuò la sua composizione, con un sorriso crudele.
In quel momento, successe qualcosa di strano.
Il volto di quella donna divenne improvvisamente scuro, vecchio, rugoso, orrendo.
Era come se il suo viso si stesse distruggendo per ogni pezzo che lei incastrava.
Un viso disgustoso che rispecchiava la sua anima disgustosa.
Quando se ne accorse, la professoressa Chono fuggì dalla classe, urlando, lasciando il puzzle incompleto.
Inseguita soltanto dalle risa di scherno della classe, di tutti coloro che la incontravano.
Hiroto non sapeva cosa fosse successo.
Ma era felice che fosse successo.
Dopo la scuola, si sentì quasi obbligato a rivelare a Miho di essere il mandante della lettera.
Quando Ribbon-chan, con sguardo dispiaciuto, gli disse di non ricambiare i suoi sentimenti, Hiroto si sentì male.
Gli sembrava quasi di udire il rumore di qualcosa che si rompeva.
Quando incontrò Jonouchi e Yugi, non riusciva a distogliere lo sguardo dall'asfalto.
Era come se la sua testa pesasse, gli facevano male gli occhi, faticava a tenerli aperti.
Si sentiva stanco.
Non aveva voglia di fare niente.
Katsuya gli diede una pacca sulle spalle.
Yugi fece un sorriso imbarazzato.
Era un ragazzino strano.
Era piccolo, impacciato, eppure si ostinava a portare quei capelli dal taglio aggressivo e quel coso da mille chili appeso al collo.
Parlava sempre di giochi, era come se vivesse in un mondo tutto suo.
Hiroto era sempre stato molto terreno.
E Yugi era davvero troppo particolare.
Ma questo, ad Hiroto, non importava.

Fortuna non casuale, ma ottenuta grazie alle proprie azioni
Successo, avanzamento di carriera
La creatura in cima alla Ruota, la sfinge con una spada, simboleggia il destino
La sfinge con una spada rappresenta la giustizia

Tornare a scuola fu difficile.
Rivedere Miho Nosaka e sapere di non essere ricambiato era doloroso.
Eppure, Hiroto si sorprese di come riuscì a non rivolgerle troppi sguardi.
Forse, senza rendersene conto, era riuscito a mettersi il cuore in pace.
Riversò le proprie attenzioni nello studio e nel prendersi cura di Jouji.
Sfortunatamente, aveva imparato a gattonare e aveva scoperto di amare infilarsi sotto i mobili.
Quando sua sorella aveva visto Hiroto tenere Jouji al guinzaglio, lo aveva quasi ucciso.
Quindi, Hiroto doveva stare sempre attento a quell'essere senza l'aiuto di agenti esterni.
A scuola, aveva cominciato a scambiare qualche parola anche con Anzu Masaki.
Probabilmente, era la conseguenza di stare sempre con Yugi: era ovvio che prima o poi la sua amica / forse fidanzata si sarebbe fatta viva.
Si rivelò essere meno peggio di quel che gli era sembrato.
Hiroto, Katsuya, Yugi e Anzu.
Non era difficile trovarli insieme.
Hiroto si trovò bene.
Quando ricevette la pagella della prima parte dell'anno, stette ancora meglio: i risultati del suo studio erano lì, su quel foglio.
I suoi genitori ne furono molto felici.
Talmente tanto che gli fecero un regalo: gli comprarono una piccola moto.
Hiroto si sarebbe volentieri vantato con tutti del suo regalo ma, dato che Jonouchi aveva fatto collezione di insufficienze, Yugi se ne era prese due e Anzu era riuscita a salvarsi per un pelo, si disse che non era il caso.
I suoi voti gli permisero di entrare a far parte del Comitato di Abbellimento della scuola.
Quando Jonouchi, Yugi e Anzu gli chiesero cosa fosse il Comitato di Abbellimento, Hiroto rispose che si trattava di un comitato per l'abbellimento della scuola.
In pratica, una cosa relativamente inutile, ma proclamarsi parte del Comitato di Abbellimento faceva la sua figura.
Era già stato capoclasse alle medie, ora faceva parte di un Comitato.
Si sentiva importante, come se rivestisse un qualche ruolo.
Hiroto poteva dire di stare bene.
Finché, un giorno, Jonouchi non venne a scuola.
Non gli aveva detto niente, non lo aveva avvisato.
Eppure, se anche fosse stato malato, Katsuya avrebbe alzato la cornetta del telefono e glielo avrebbe detto.
Quella volta non era successo.
Hiroto si preoccupò.
Che gli fosse successo qualcosa?
D'accordo con Yugi e Anzu, decise di andarlo a trovare.
Sapeva dove abitava, ma non era mai andato a casa sua.
Nonostante Jonouchi fosse stato invitato a casa sua, non lo aveva mai invitato a casa propria.
Quando Hiroto gli aveva chiesto perché, Jonouchi aveva taciuto.
Hiroto non aveva insistito.
Quando aprì la porta della casa di Jonouchi - stranamente lasciata aperta -, capì.
Bottiglie vuote ovunque.
Una puzza di alcool che bruciava le narici, fino ai polmoni.
Le urla deliranti e semi-incomprensibili di un uomo.
Una bottiglia s'infranse sulla porta di casa.
Hiroto, Yugi e Anzu scapparono.
Jonouchi aveva raccontato ad Hiroto della sua famiglia.
Gli aveva detto di avere un padre pieno di debiti.
Ma gli aveva tenuto nascosto il fatto che fosse un alcolizzato.
Hiroto rabbrividì.
Quel che Jonouchi doveva sopportare ogni giorno era ben più terribile di quanto credesse.
Come faceva a sorridere in quel modo?
Aveva sempre saputo che la realtà di Jonouchi era nettamente diversa dalla sua, ma questo era troppo.
Avrebbe voluto incontrare la madre di Jonouchi.
Urlarle contro, insultarla, senza curarsi del rispetto che si dovrebbe dare agli adulti.
Come poteva permettere che suo figlio subisse tutto questo?
Che donna orribile poteva essere?
E la sorellina di Jonouchi?
Era in balìa di quella donna mostruosa, separata da suo fratello.
E se quella l'avesse plagiata, convincendola che suo fratello era un poco di buono, magari identico al loro padre?
E Jonouchi... dov'era Jonouchi?
Da quel che aveva capito dai deliri di suo padre - era veramente suo padre, quello? -, erano due giorni che non tornava a casa.
Due giorni...
Dov'era stato per due giorni?
La preoccupazione crebbe.
L'idea che potesse essergli successo qualcosa divenne una certezza.
Dopo qualche ricerca, Hiroto riuscì a trovare Jonouchi.
Si sentì ghiacciare.
Avrebbe preferito trovarlo ferito, anche morto.
Sì, avrebbe preferito trovare il suo corpo, piangere su di lui, cercare come un pazzo il suo assassino, covare vendetta fino a farla esplodere in tutta la sua violenza.
Avrebbe preferito trovarlo morto piuttosto che con Hirutani.
Hirutani.
Come aveva potuto Jonouchi tornare da lui?
Se aveva dei problemi perché non ne aveva parlato con lui?
E perché lui, Hiroto Honda, non si era accorto dei problemi di Jonouchi?
Se Jonouchi aveva dei problemi, perché non ne aveva parlato con lui?
Non era forse stato grazie a lui che aveva trovato il coraggio di lasciare la banda di Hirutani?
Non era forse lui quello con cui aveva condiviso la stanza d'ospedale?
E perché lui, Hiroto Honda, non si era accorto di nulla?
Non gli importava niente.
Non gli importava se fosse stato ferito di nuovo - se fosse stato ucciso.
Avrebbe trascinato Jonouchi fuori dalla banda di Hirutani.
Ancora una volta.
E lo avrebbe fatto altre mille volte.
Ogni volta che quell'idiota ritornava sui suoi passi, lui lo avrebbe trascinato in avanti.
L'idea di abbandonarlo a lui stesso non lo avrebbe mai sfiorato, tanto era assurda.
Si era messo in testa di aiutarlo.
E lo avrebbe fatto sempre.
Avrebbe trascinato Jonouchi fuori dalla banda di Hirutani.
Avrebbe preferito fare da solo, evitare che Yugi e Anzu rimanessero immischiati.
Era una banda pericolosa, forse tra le più pericolose che ci fossero.
Un ragazzino minuscolo come Yugi e una ragazza esile come Anzu sarebbero stati fatti a pezzi nel giro di poco, nella migliore delle ipotesi.
Ma anche loro erano amici di Jonouchi.
Erano testardi, non si sarebbero tirati indietro.
Hiroto non poté far altro che accettare il loro aiuto.
Ma li avvisò: se avessero trovato qualcosa, avrebbero dovuto cercarlo, senza intervenire.
Pregò che lo ascoltassero.
Non ebbe idea di quanto tempo trascorse sotto la pioggia, a far ragionare tutti coloro che sapeva essere in qualche modo legati alla banda di Hirutani.
Ogni secondo che passava, la rabbia sembrava quasi accecarlo.
La sua mente pensava soltanto ad una cosa.
Jonouchi.
Lo avrebbe ritrovato, portato via.
Non gli importava delle conseguenze, non gli importava di essere picchiato, non gli importava di essere odiato da Jonouchi.
Fu soltanto alla fine che riuscì a ritrovarlo.
Lo spettacolo che si parò d'innanzi ai suoi occhi era sconvolgente.
Jonouchi legato e privo di sensi.
Hirutani e la sua banda a terra, semimorti.
E Yugi, sopra ad uno pneumatico, che si guardava intorno con fare smarrito.
Hiroto non aveva idea di cosa fosse successo.
Né gli importò.
Portò subito Jonouchi all'ospedale, seguito da Yugi e da una appena arrivata Anzu.
Jonouchi stava bene.
Era stato condannato a morte da Hirutani per aver cercato di lasciare di nuovo la sua banda, dopo aver picchiato un ragazzo che aveva dato un pugno a Yugi.
Jonouchi stava bene.
Non era cambiato per niente.
Era rimasto lo stesso idiota di sempre.
E Hiroto, nel suo intestardirsi nel volerlo aiutare a tutti i costi, si rese conto di essere ugualmente idiota.
E gli andava bene così.

La Ruota è il perno attorno al quale si succedono e ruotano gli eventi, il divenire delle cose, la trasformazione degli esseri e delle circostanze

Jonouchi non tornò più nella banda di Hirutani.
Hiroto ne fu felice.
Tutto sembrava essere tornato tranquillo.
Ad eccezione degli strani eventi che sembravano succedere in presenza di Yugi.
Se fosse stato superstizioso, Hiroto avrebbe detto che Yugi portava sfortuna.
Per qualche strano motivo, tutti coloro che si comportavano in maniera scorretta venivano ritrovati gravemente feriti o impazziti.
Hiroto non ci aveva mai prestato troppa attenzione, ma le situazioni si stavano moltiplicando.
Forse persino la follia di Ushio era riconducibile a Yugi.
E forse anche il volto improvvisamente orrendo della professoressa Chono.
Se fosse stato così, allora il "colpevole" non poteva che essere Yugi.
Quando Ushio aveva picchiato lui e Jonouchi, c'era soltanto Yugi.
E né lui né Jonouchi avevano mai fatto niente.
Senza contare la situazione in cui aveva trovato Yugi, Jonouchi e la banda di Hirutani: l'unica persona cosciente era proprio Yugi.
Non potevano essere dei casi.
Hiroto era sempre stato molto terreno.
Eppure, non fu spaventato.
Quando vedeva Yugi, lui vedeva soltanto un innocuo ragazzino dai grandi occhioni.
Vedeva soltanto Yugi.
In quel periodo, un nuovo ragazzo era entrato a far parte della loro classe.
Seto Kaiba.
Hiroto aveva sempre pensato che fosse un po' viscido, nei modi e nel parlare, e Jonouchi gli aveva dato ragione.
A soli sedici anni, era il presidente della Kaiba Corporation, una delle più importanti aziende di giocattoli e tecnologie del mondo.
Si diceva che ne avesse assunto il controllo spingendo al suicidio suo padre.
Era fissato con un gioco di carte, il Duel Monsters, con cui pare avesse sfidato Yugi, perdendo.
Da allora, gli aveva raccontato Jonouchi, era entrato in paranoia per l'idea di sconfiggere Yugi.
La cosa peggiore di tutte, però, era che Jouji venerava Seto Kaiba.
Il marmocchio aveva purtroppo imparato a parlare e sfortunatamente parlava spesso di Seto Kaiba.
Hiroto evitò accuratamente di rivelargli che era un suo compagno di classe.
Per quel che potesse importare: Seto si faceva vedere a scuola di rado, troppo preso dalla sua azienda.
Era meglio così.
Non invidiava affatto il povero Yugi; a volte, fu tentato di chiedergli se Seto gli avesse mandato una lettera minatoria o un pacco bomba.
Purtroppo, Seto ebbe l'idea di aprire un immenso parco-giochi, Kaibaland.
"Purtroppo" perché, come previsto, Hiroto si vide affidare Jouji da sua sorella, con la richiesta di portarlo a Kaibaland.
Se non altro, doveva soltanto portare suo nipote a spasso per il parco, senza doverne incontrare il proprietario.
... ovviamente no.
Quando, dopo un'estenuante gita nel parco, giunse all'attrazione principale, il Death-T, si rese conto che doveva essere successo qualcosa.
Il pubblico rideva, urlava, era come esaltato.
Ma nell'arena c'erano Seto, Yugi e Jonouchi.
E il nonno di Yugi, debole, terrorizzato.
Qualcosa era successo.
Qualcosa di grave.
E Seto stava invitando Yugi e Jonouchi a partecipare al Death-T.
Invitando... sembrava quasi li stesse costringendo.
E, dato che si trattava di Seto Kaiba, non era poi una cosa così improbabile.
Hiroto si fece avanti.
Era ovvio che Seto mirasse a Yugi.
Yugi aveva bisogno di aiuto.
E lui lo avrebbe aiutato.
Avrebbe affrontato il Death-T con lui e Jonouchi.
Era soltanto un gioco, in fondo.
Quel che, poco dopo, ricordò Hiroto, è che quello era un gioco di Seto Kaiba.
Un gioco chiamato Death-T.
Un gioco della morte.
Lo capì nel primo livello, dove in un gioco a sparatoria le loro pistole si rivelarono inutili.
Un gioco della morte.
Lo capì nel primo livello, dove in un gioco a sparatoria le pistole dei loro avversari erano ad altissimo voltaggio, tanto alto da poterli uccidere.
Un gioco della morte.
E lui vi stava partecipando.
Era stato lui stesso a farsi avanti.
Hiroto era un idiota, era conscio di esserlo.
Ma non rimpianse affatto la sua decisione.
Soltanto, si era portato dietro Jouji; fortunatamente, avevano scoperto che Anzu era stata assunta come comparsa nel Death-T e aveva potuto affidarle il marmocchio.
Anzu era stata assunta come comparsa del Death-T...
Hiroto prese la pistola che aveva in dotazione.
Come previsto, la sua era diversa dalle loro.
Era come quella dei loro avversari.
Hiroto si era portato dietro Jouji.
E, per una volta, quel marmocchio con la mania di infilarsi sotto i mobili sarebbe potuto tornare utile.
Bastava soltanto tenerlo sulla schiena.
E presentarsi di fronte agli avversari totalmente disarmato.
Bastava soltanto che lui gli passasse la pistola.
E i suoi tre avversari erano a terra che rantolavano per via delle scariche elettriche.
Aveva abbassato il voltaggio, dunque non sarebbe stato mortale.
Il gioco della morte era composto di cinque livelli.
Hiroto era riuscito a far superare il primo a tutti.
Ne mancavano soltanto quattro.
Ogni livello era più pericoloso, mortale, del precedente.
Fu grazie a Yugi, al suo inquietante sangue freddo, che riuscirono a superare anche il secondo livello.
E fu grazie ad Anzu, al suo orecchio abituato al ritmo, che riuscirono a superare il terzo livello.
Tutti.
Tranne lui.
Il terzo livello consisteva nella caduta apparentemente casuale di grandi blocchi, talmente grandi da poterli schiacciare.
Ad un passo dall'uscita, un blocco intrappolò un lembo della sua maglietta.
Ad un passo dall'uscita, un blocco lo intrappolò nel terzo livello.
Fece appena in tempo a passare Jouji a Yugi, Jonouchi e Anzu, che un altro blocco gli oscurò la loro vista, cadendo tra loro.
Hiroto era rimasto intrappolato nel gioco della morte.
Death-T.
Cosa sarebbe successo, ora?
Era stato lui ad immischiarsi, ad intromettersi in una questione che non lo riguardava affatto.
Non era la prima volta che lo faceva.
Non era la prima volta che rischiava la vita impicciandosi degli affari degli altri.
Non era la prima volta che non si pentiva minimamente di ciò che aveva fatto.
Prima Jonouchi.
Ricordava la decisione che aveva negli occhi quando aveva affrontato Hirutani.
Una decisione che era nata dopo tanto tempo, dopo tante esitazioni, una decisione che era nata quando lui, Hiroto Honda, gli aveva offerto il suo appoggio.
Poi Yugi.
Doveva raggiungere il quinto livello del Death-T.
C'entrava qualcosa suo nonno, spaventato quasi a morte, c'entrava la fissazione maniacale che Seto Kaiba aveva nei suoi confronti.
Lui gli aveva dato tutto l'aiuto di cui era capace.
Così come aveva fatto con Jonouchi.
Così come aveva sempre fatto.
Nel mondo di Jonouchi, Katsuya aveva brillato nel suo aver abbandonato Hirutani.
Nel mondo del piccolo Muto, Yugi avrebbe brillato nella sua sicura vittoria su Seto.
Due carri brillanti, due automobili splendenti, due moto rilucenti.
E lui, Hiroto Honda, era la loro ruota.
Per poter brillare, avevano fatto affidamento su di lui - avrebbero sempre potuto fare affidamento su di lui -, gli avevano chiesto, con gli occhi, di sostenerli.
Era la loro ruota.
Nessuna auto, per quanto perfetta o brillante, potrebbe mai muoversi senza anche soltanto una ruota.
Forse Hiroto rimaneva in disparte, non notato.
Nessuno faceva caso alla ruota.
Tranne la sua automobile.
E Yugi e Jonouchi erano l'automobile che lui sosteneva come meglio gli era permesso.
Hiroto era rimasto intrappolato nel gioco della morte.
Death-T.
Cosa sarebbe successo, ora?
Non sapeva quanto tempo fosse passato, quando i blocchi vennero riportati verso l'alto, liberandolo.
Quando uscì dalla stanza del terzo livello, incontrò Mokuba Kaiba, fratello minore di Seto.
Gli disse che lo aveva aiutato perché Yugi aveva fatto lo stesso con lui.
Dunque Yugi era riuscito ad arrivare all'ultimo livello?
Fu proprio al quinto livello che Mokuba portò Hiroto.
Quando vi giunse, vide che il piccolo Yugi aveva sconfitto Seto Kaiba.

Ostacoli, imprevisti insuperabili
Insicurezza

Trascorsero mesi dalla vicenda del Death-T, da quel gioco della morte.
Se non altro, in quell'occasione, Jouji si era divertito.
Sua sorella poteva dirsi soddisfatta.
Trascorsero mesi dalla vicenda del Death-T.
E la classe di Hiroto, Jonouchi, Yugi e Anzu si arricchì di un nuovo elemento.
Ryou Bakura.
Rivelò subito una certa passione per i giochi, specialmente per un gioco da tavolo chiamato "Monster World".
Ovviamente, sembrò diventare subito amico di Yugi.
Una partita a Monster World.
Dopo varie esitazioni da parte di Ryou, lui accettò.
Una partita a Monster World.
Hiroto, Jonouchi, Anzu, Yugi e Ryou.
Yugi era sempre stato un ragazzino strano.
Molto particolare.
E, intorno a lui, succedevano cose strane.
Hiroto ne aveva avuta la conferma quando aveva scoperto che Seto Kaiba era finito in coma.
Dopo il duello con Yugi.
Yugi faceva cose strane, cose che sfuggivano alla mente umana.
Paranormale.
Era questo il mondo di Yugi.
Un mondo paranormale, dove anche le cose più impensabili, che potevano essere frutto soltanto di fantasia, erano reali.
Hiroto era sempre stato molto terreno.
Ma l'aveva accettato.
Diventando amico di Yugi, aveva accettato anche il suo strano mondo fatto di cose paranormali.
Non aveva paura.
Quello era Yugi.
Era il piccolo Yugi.
Hiroto si era immischiato ancora una volta in una situazione, in un mondo, in un pericolo che non gli appartenevano.
Ma appartenevano ad un suo amico.
Per questo non aveva alcun rimpianto.
Il mondo di Yugi era un mondo in cui anche le cose più impensabili, che potevano essere frutto soltanto di fantasia, erano reali.
Ecco perché si ritrovò ad essere trasformato in una pedina da gioco.
Ecco perché anche Jonouchi, Anzu e lo stesso Yugi si ritrovarono a divenire pedine da gioco.
Ecco perché c'erano due Yugi.
Ecco perché c'erano due Bakura.
Ecco perché erano dei dadi a decidere del loro destino.
Ecco perché anche Ryou era diventato una pedina.
Ecco perché tutto si concluse, tutti furono liberi, con il lancio di due dadi.
Razionalmente, Hiroto aveva paura.
Un suo amico era posseduto da uno strano spirito.
E un ragazzo appena conosciuto era stato posseduto da quello che sembrava uno spirito maligno.
Il piccolo, innocente, Yugi poteva mandare la gente in coma al solo volerlo.
Lui stesso, Hiroto Honda, poteva ritrovarsi immischiato in altre situazioni assurde, pericolose, mortali, travestite da gioco.
Hiroto era sempre stato molto terreno.
Razionale.
Di fronte a tutto questo, si disse che essere razionale sarebbe stato inutile.
Di fronte a tutto questo, si disse che essere razionale sarebbe stato fastidioso.
Hiroto avrebbe continuato a rimanere in quel mondo così folle, ad immischiarsi in situazioni e pericoli che non gli appartenevano.
Perché appartenevano ad un suo amico.
E lui, Jonouchi e Anzu gli sarebbero sempre rimasti vicini.
Attese Yugi fuori dal negozio di giocattoli "Black Clown" in fiamme, del loro compagno di scuola Ryuji Otogi, mentre Jonouchi lo aspettava fuori dalla porta.
Quando Yugi fu costretto ad andare nell'isola di Pegasus J. Crawford, inventore del Duel Monsters, per un torneo di quelle strane carte, Hiroto, con Anzu e Ryou, lo seguì.
Seguì lui e Jonouchi, riuscito ad imbarcarsi, deciso a vincere il premio in denaro.
Katsuya gli aveva confessato che sua sorella, da tempo malata agli occhi, avrebbe avuto bisogno di un'operazione molto costosa.
Altrimenti, sarebbe diventata cieca.
Duel Monsters.
Hiroto non si intendeva affatto di quel gioco.
Era improvvisamente diventato popolarissimo, ma a lui non avevano mai fatto eccessivamente impazzire i giochi di carte.
Conosceva le regole perché Yugi sapeva giocarci - e anche bene.
Però Hiroto non aveva mai duellato di persona.
Si era limitato a guardare Yugi, Jonouchi e Anzu a scuola.
Su quell'isola, nel Regno dei Duellanti, fece il tifo per Yugi e Jonouchi.
Rimase in disparte, lontano dall'attenzione degli altri duellanti.
Quasi nessuno si accorgeva di lui.
Tranne loro.
Yugi e Jonouchi.
Due carri brillanti, due automobili splendenti, due moto rilucenti.
E lui era la loro ruota.
Li incoraggiava, era sempre al loro fianco, in ogni duello.
Era la loro ruota.
Nessuna auto, per quanto perfetta o brillante, potrebbe mai muoversi senza anche soltanto una ruota.
Yugi e Jonouchi.
Divennero ben presto famosi, sull'isola.
Erano due duellanti bravissimi, Yugi era preceduto dalla sua fama di vittorioso su Seto Kaiba.
Tutti li conoscevano, tutti pensavano a loro.
Tutti li ammiravano, li invidiavano.
Tutti osservavano le due moto brillanti, con ammirazione o con invidia.
Nessuno faceva caso alla ruota.
La ruota che sosteneva le due moto, le due automobili che tutti guardavano.
Nessuna auto, per quanto perfetta o brillante, potrebbe mai muoversi senza anche soltanto una ruota.
Nessuno faceva caso alla ruota.
Tranne la sua automobile.
Yugi e Jonouchi erano l'automobile che lui, la ruota, sosteneva come meglio poteva.
Riuscirono a giungere da Pegasus.
Per poterlo sfidare, Yugi e Jonouchi combatterono l'uno contro l'altro.
A vincere fu Yugi.
E fu Yugi a poter sfidare Pegasus.
Nel frattempo, erano successe tante cose strane, tante cose che sembravano far parte del mondo di Yugi.
I fratelli Kaiba erano sull'isola, prigionieri di Pegasus, che aveva strappato loro le anime, come un demonio.
Ripensò a Mokuba Kaiba.
Quel bambino che lo aveva aiutato ad uscire dal terzo livello del Death-T.
Lo aveva fatto come favore a Yugi, ma ora era Hiroto ad essere in debito con lui.
Lasciò Yugi con Anzu e Jonouchi.
E cominciò a curiosare per il castello di Pegasus, in cerca del corpo senz'anima - come poteva una persona essere senz'anima? - di Mokuba.
Stranamente, riuscì a trovarlo piuttosto in fretta e a liberarlo ancora più velocemente.
Del resto, se le guardie si facevano sorprendere da un semplice ragazzo...
Ma ne arrivarono tante, di guardie.
Guardie armate.
Con delle pistole.
E lui era completamente disarmato.
Era una situazione da film.
Peccato che, se avessero sparato, lui sarebbe morto sul serio.
Con sua grande sorpresa, in suo aiuto giunse Ryou, che riuscì non si sa come a mettere in difficoltà quelle guardie, a fargli guadagnare tempo per scappare con il corpo di Mokuba.
Hiroto se ne ricordò troppo tardi.
Era ovvio.
Era ovvio che quello non fosse il Ryou che conosceva.
Avrebbe dovuto riconoscerlo, l'aveva visto quel giorno di quella partita a Monster World.
Era l'altro Bakura.
Hiroto era sempre stato molto terreno.
Ma aveva accettato il mondo paranormale di Yugi.
Per questo non si scompose eccessivamente, quando capì che Ryou era posseduto da uno spirito maligno.
Uno spirito maligno che dimorava nel pendaglio che Ryou portava al collo.
Non aveva idea di che cosa volesse da Mokuba.
L'unica cosa di cui era certo è che non glielo avrebbe mai lasciato.
Non si sarebbe fatto spaventare.
Spirito, demone o frutto di qualche strano trip occulto, il suo corpo era pur sempre quello di un esile ragazzo umano.
Con uno stratagemma, approfittando della inferiore stazza del corpo di Ryou, riuscì a tramortirlo e a sottrargli quel coso.
Quel coso che già una volta era stato fonte di guai per tutti loro.
Fece la cosa che più sentì giusta in quel momento.
Da lassù dove si trovava, in una torre, lanciò quell'arnese più lontano che poté, nella boscaglia sottostante.
C'era la possibilità che si rompesse definitivamente.
E sarebbe stato meglio.
Quando tornò da Jonouchi e Anzu, portava sulle spalle due corpi privi di sensi o anima.
Mokuba e Ryou.
Yugi.
Il duello tra Yugi e Pegasus non era ancora finito.
Una strana coltre nera ricopriva l'arena dei duelli, impedendo loro di vedere cosa stesse succedendo.
Non sapevano se Yugi stesse vincendo o perdendo.
No.
Yugi avrebbe sicuramente vinto.
Hiroto, Katsuya e Anzu erano lì e credevano in lui.
La piccola, lucente auto avrebbe brillato nella sua vittoria contro Pegasus.
La piccola, lucente auto sostenuta dalle sue tre ruote.

Un incontro determinante per il futuro, una relazione destinata a durare
Azioni frenate da un'emozione sconosciuta

Yugi sconfisse Pegasus.
Vinse il premio in denaro e lo donò a Jonouchi.
La sorellina di Katsuya era salva: grazie ai soldi del premio, sarebbe stata operata.
Trascorsero svariati mesi, prima del giorno prefissato per l'operazione.
Tutto sembrava essere tornato alla normalità, alla tranquillità.
Hiroto, Katsuya, Yugi, Anzu e Ryou avevano ripreso ad andare a scuola, i fratelli Kaiba erano tornati nel loro mondo di Kaibalandia.
Oltre all'operazione di Shizuka, sorellina di Jonouchi, sembravano esserci altre due novità.
La prima riguardava Jonouchi.
Sull'isola sembrava essere entrato parecchio in sintonia con una bellissima duellante, Mai Kujaku, più grande di loro.
Hiroto aveva più volte stuzzicato Jonouchi, nella speranza che lui si facesse scappare qualcosa circa il loro rapporto, ma Katsuya aveva sempre reagito urlandogli contro o picchiandolo.
La seconda riguardava tutta la città di Domino.
Sembrava che Seto Kaiba la avesse affittata come sede del suo torneo di Duel Monsters, il Battle City.
Ancora Duel Monsters...
A quanto pare, era davvero così famoso come sembrava.
Né Yugi né Jonouchi si lasciarono scappare quest'occasione e si iscrissero al torneo.
Le due brillanti automobili tornavano in pista.
E avrebbero avuto bisogno delle loro ruote.
Giunse il giorno dell'operazione di Shizuka.
Aveva saputo che era spaventata, che Jonouchi le aveva promesso di starle vicino.
Giunse il giorno dell'operazione di Shizuka.
E Jonouchi era sparito.
Hiroto non riusciva a capire.
Lui, Yugi e Anzu lo avevano lasciato sulla strada dell'ospedale ed era impensabile che lui avesse cambiato idea.
Hiroto sapeva, aveva capito, quanto Shizuka fosse importante per Katsuya.
Raggelò.
Se gli fosse successo qualcosa di grave?
Doveva essere così.
Nient'altro avrebbe potuto fermare Jonouchi dall'andare dalla sua sorellina.
Lo cercò per tutta Domino, assieme a Yugi e Anzu.
Lo cercò per tutta Domino.
Come se non bastasse, Yugi e Anzu gli avevano detto che Shizuka si rifiutava di farsi operare.
E che il suo dottore sarebbe dovuto partire quel giorno stesso per l'America.
La sua operazione, sempre più necessaria, sarebbe dovuta essere rimandata.
E, forse, sarebbe stato troppo tardi.
Tutti gli sforzi che Jonouchi aveva fatto sarebbero stati inutili.
E quella ragazza sarebbe diventata cieca.
Cercò Jonouchi.
Lo cercò per tutta Domino.
E lo trovò.
Era sulla spiaggia, rannicchiato su se stesso.
Hiroto lo raggiunse.
Quando lo vide terrorizzato, con gli occhi spalancati, tremante, capì che, sì, qualcosa era successo.
E doveva essere anche molto grave.
Glielo chiese.
Jonouchi farfugliò qualcosa a proposito di "Ghouls", di carte rare, delle sue carte rare.
Hiroto cercò di capire cosa stesse balbettando.
E capì.
Un tizio gli aveva rubato una carta.
Una carta potente, rara, che gli sarebbe servita durante il Battle City, senza la quale non avrebbe potuto fare nulla.
Un tizio gli aveva rubato una carta.
E sua sorella stava per diventare cieca.
Colpì Jonouchi con tutta la forza che aveva.
Lo prese per il bavero, gli urlò contro con tutta la rabbia che sentiva dentro di sé, che quasi lo stava facendo sentire male per il disgusto.
Ma quelle dannate carte erano una droga?
Jonouchi si era montato la testa per essere arrivato secondo nel Regno dei Duellanti?
Katsuya aveva abbandonato sua sorella, la persona per lui più importante, l'unica persona che considerasse "famiglia", per una stupida, fottutissima carta?
Aveva abbandonato una ragazza che credeva in lui con tutta se stessa per un pezzo di carta disegnato?
Era il furto di una carta la cosa gravissima che gli era successa?
Improvvisamente, Jonouchi parve tornare in sé.
Soltanto in quel momento sembrò rendersi conto di ciò che aveva fatto.
Pregò Hiroto di portarlo all'ospedale.
Non c'era neppure bisogno di chiederlo.
Sulla moto con cui era giunto alla spiaggia, su quelle due ruote, Hiroto condusse Katsuya all'ospedale più velocemente che poté.
Non gli importava delle multe che avrebbe potuto prendere, la cosa importante è che Jonouchi raggiungesse l'ospedale.
Arrivarono.
Katsuya raggiunse sua sorella, ovviamente arrabbiata con lui.
Ma le cose si risolsero per il meglio.
Hiroto rimase in disparte, a guardare.
Vide quella donna vicino a Jonouchi - sua madre -, che lo trattava gentilmente, che lo ringraziava.
Quella donna aveva scoperto di avere un figlio quando lui le aveva portato tutti i soldi necessari per l'operazione, forse?
Vide quella ragazza uscire da quella camera d'ospedale, la vide abbracciare Katsuya.
Gli arrivava al petto, indossava un pigiama rosa e aveva una voce delicata.
I suoi occhi, quegli occhi malati, erano dello stesso colore castano dei suoi lunghi capelli.
Quando Hiroto la vide, gli tornò in mente Ribbon-chan.
Ma non perché le somigliasse.
Forse, in comune, avevano soltanto la gentilezza.
Quando Hiroto la vide, gli tornò in mente Ribbon-chan.
Ma non perché le somigliasse.
Perché gli faceva provare ciò che lui aveva provato per Miho Nosaka.
Quanto tempo era che non provava un sentimento simile?
Rimase con Jonouchi, mentre attendeva fuori dalla sala operatoria, mentre osservava quella porta oltre la quale Shizuka veniva salvata.
Rimase con Jonouchi, in silenzio.
Dopo delle interminabili ore, i dottori uscirono dalla sala operatoria.
L'operazione era stata un successo.
Shizuka era salva.
Quei dolci occhi castani avrebbero potuto continuare a vedere il mondo.
Fu soltanto allora che Jonouchi parlò, urlando di felicità, stritolando Hiroto e correndo al telefono per avvisare tutti.
Quando Shizuka, ancora addormentata, fu riportata nella propria camera, Hiroto si offrì di rimanere con lei.
Katsuya aveva un Battle City da affrontare.
Avrebbe fatto il tifo per lui dall'ospedale.
Insieme a Shizuka.
Lei aveva gli occhi bendati, non avrebbe potuto togliere la benda per un po'.
Quindi, Hiroto si accorse che era sveglia soltanto quando si mise seduta, in apparenza agitata, mentre le sue mani volavano ai suoi occhi, per poi bloccarsi nel toccare le bende.
Doveva aver aperto gli occhi.
E, vedendo tutto nero, aveva temuto il peggio.
Hiroto la rassicurò.
L'operazione aveva avuto buon esito.
Davanti ai suoi occhi c'erano delle bende.
Shizuka era perplessa.
Non riconosceva la voce.
Hiroto le si presentò.
Era un amico di suo fratello, ora lui era dovuto tornare al torneo che imperversava per tutta Domino.
Ed era lui che gli aveva insegnato a giocare a carte così bene.
Le raccontò di quando suo fratello era ancora agli inizi, di quando si faceva sconfiggere sempre.
Ma, alla fine, l'allievo aveva superato il maestro.
... non era vero, ma Shizuka non poteva saperlo.
Era una bugia innocente, che non avrebbe fatto male a nessuno.
Certo, Jonouchi, quando lo venne a sapere, probabilmente ebbe istinti omicidi verso di lui, ma sono cose che capitano.
Duel Monsters.
Hiroto non si intendeva affatto di quel gioco.
Conosceva le regole perché Yugi sapeva giocarci.
Però Hiroto non aveva mai duellato di persona.
Si era limitato a guardare Yugi, Jonouchi e Anzu a scuola.
Si era limitato a guardare i duellanti nel Regno dei Duellanti.
Ma, in quel momento, non era necessario che lui sapesse duellare.
Shizuka gli chiese se fosse possibile sapere come stesse andando Jonouchi.
Hiroto ci pensò.
Se era una cosa indetta da Seto Kaiba, ci mancava soltanto che non avesse affittato tutte le reti nazionali per mandare in onda, in diretta, ogni singolo duello.
Hiroto corse a casa a prendere il portatile.
Fu attraverso quello che, ogni volta che riusciva ad individuare Katsuya, fece a Shizuka una telecronaca dettagliata degli avvenimenti.
Non gli dispiaceva affatto quella situazione.
Shizuka, lui e un computer.
Lei, dopo un inizio esitante, sembrava fidarsi completamente.
Come Hiroto sospettava, era molto gentile.
Come faceva ad essere la sorella di Jonouchi?
Quando ci ripensava, Hiroto non sapeva come reagire.
Quella ragazza era la sorella di Katsuya.
L'unica che lui considerasse la propria famiglia.
Quando ci ripensava, Hiroto non sapeva come reagire.
Ma, alla fine, si diceva che non avrebbe potuto farci nulla.
Shizuka non sarebbe rimasta in una gabbia dorata per l'eternità.
Almeno lui era una persona di cui Jonouchi si fidava.
Jonouchi.
Alcune volte, durante i duelli, perdeva parecchi life points.
Sembrava quasi stare perdendo.
In quei momenti, Hiroto si sentiva agitato.
Perché Jonouchi stava perdendo, perché avrebbe dovuto dirlo a Shizuka.
Avrebbe dovuto darle un dolore.
Avrebbe dovuto dirle che suo fratello stava fallendo.
Le mentì.
Le disse sempre che Jonouchi stava vincendo.
Non voleva darle un dolore.
Non voleva dirle che suo fratello stava fallendo.
E poi, Hiroto credeva in Jonouchi.
Sapeva che avrebbe vinto, che avrebbe brillato ancora una volta.
E fu così.
Hiroto mentì a Shizuka.
Ma Jonouchi faceva sempre in modo che quella bugia divenisse realtà.
Dopo qualche giorno, il dottore disse a Shizuka che avrebbe potuto levare le bende in serata.
Shizuka sarebbe tornata a vedere.
Quei dolci occhi castani avrebbero potuto ricominciare a vedere il mondo.
Fu allora che Shizuka gli fece una richiesta.
Gli chiese di portarla da suo fratello.
Gli disse che la prima cosa che voleva vedere, appena tolte le bende, era lui.
Hiroto la accontentò.
Shizuka era davvero dolce.
Non credeva esistessero davvero ragazze del genere.
Fu così che, tenendola per mano per guidarla - solo per guidarla, ovviamente -, uscì dall'ospedale con lei, diretto nel luogo dove Jonouchi gli aveva detto di essere.
Forse, entrambi avrebbero dovuto seguire l'esempio di Anzu e comprarsi dei cellulari.
Ovviamente, le cose non poterono andare bene.
Ghouls.
Jonouchi aveva farfugliato qualcosa su di loro, quel giorno.
Quei loschi tizi incappucciati dovevano essere componenti di quella strana setta.
Una setta uscita dal mondo di Yugi, logicamente.
Non sapeva cosa volessero da lui. O da Shizuka.
L'unica cosa che sapeva è che non doveva farsi catturare da loro o permettere che Shizuka finisse nelle loro mani.
Si prese Shizuka sulle spalle e corse via.
Hiroto aveva il vantaggio di conoscere alla perfezione ogni vicolo di Domino.
I Ghouls avevano il vantaggio di essere in tanti.
Nonostante la sua fuga, riuscirono ad intrappolarlo, ad accerchiarlo.
Hiroto non aveva scampo.
Sarebbe dovuto passare alle mani.
Era un bene che Shizuka non vedesse.
Hiroto non aveva scampo.
Ma non ci fu bisogno di passare alle mani.
Qualcuno giunse in loro aiuto.
Ryuji Otogi.
Il dadomane proprietario del "Black Clown", il suo compagno di scuola.
Riuscì a permettere a lui e Shizuka di scappare.
Hiroto, Shizuka e Ryuji fuggirono dai Ghouls.
Ma quelli là sarebbero stati capaci di inseguirli per sempre.
Inoltre, sembrava che avessero colonizzato l'intera città.
Non aveva altra scelta.
Hiroto affidò Shizuka ad Otogi - per qualche strano motivo, sentiva di potersi fidare di lui.
Corse dai Ghouls.
Erano tanti.
Erano a terra, senza sensi.
Hiroto aveva rischiato la vita contro la banda di Hirutani.
Quelli là, insieme, non valevano mezzo componente di quella banda di psicopatici.
Si assicurò che nessuno di loro potesse più inseguire lui o Shizuka.
Ma voleva sapere cosa stesse succedendo.
Era ovvio che stava succedendo qualcosa di strano, in quel torneo.
Riuscì a farne parlare uno.
Malik.
C'entrava un tale Malik e poi, ovviamente, Yugi.
Gli amici di Yugi.
Hiroto lo tramortì.
Era incredulo, spaventato.
Jonouchi, Anzu e Ryou dovevano essere in pericolo.
E soltanto perché erano amici di Yugi.
Ecco perché inseguivano lui e Shizuka.
Perché erano legati a Yugi.
E lui, Hiroto Honda, era suo amico.
Il porto.
Quell'uomo aveva nominato anche il porto.
Doveva andare lì.
E doveva fare presto.
Prima che potesse muoversi, però, un'auto gli tagliò la strada.
Un'auto guidata da Mai Kujaku.
E sui sedili c'erano Shizuka e Otogi.

La creatura a sinistra, la scimmia, simboleggia la materia, l'incarnazione
La scimmia rappresenta la decadenza, la perversione

Gli amici di Yugi erano in pericolo.
Perché erano amici di Yugi.
Quello di Yugi era un mondo paranormale.
Un mondo paranormale, dove anche le cose più impensabili, che potevano essere frutto soltanto di fantasia, erano reali.
Hiroto l'aveva accettato.
Diventando amico di Yugi, aveva accettato anche il suo strano mondo fatto di cose paranormali.
Aveva accettato quelle situazioni, quei pericoli in cui sarebbe stato immischiato.
Ma appartenevano ad un amico.
Per questo non aveva alcun rimpianto.
In quel mondo paranormale, lui non poteva fare nulla che avesse a che fare con magie o poteri strambi.
Ma poteva sostenere Yugi.
Poteva sostenere quella piccola, brillante automobile.
Poteva essere la sua ruota.
Poteva permettere a quella piccola, brillante automobile di correre, di farsi ammirare.
Poteva stargli vicino.
E gli sguardi che riceveva gli facevano capire che quella piccola e brillante automobile gli era grata.
Assistette.
Assistette a Jonouchi che si ribellava a quel Malik, assistette a Jonouchi che era disposto a sacrificarsi per salvare Yugi.
Assistette a Shizuka che si toglieva le bende, che ricominciava a vedere, che vedeva suo fratello compiere un atto eroico.
Assistette a Shizuka che si tuffava in acqua, che salvava suo fratello, che si ricongiungeva a lui.
Assistette alla seconda fase del Battle City, dove gli otto finalisti avrebbero duellato su un dirigibile.
Assistette ai duelli.
Successero molte cose strane.
Malik non era Malik, il vero Malik si rivelò un pazzo psicolabile, l'altro Bakura era tornato, quella che era la sorella di Malik vedeva nel futuro, Seto Kaiba aveva le visioni...
... sul serio, le carte contenevano qualche strana sostanza?
Uno strano omino ectoplasmatico salvò lui e Otogi dal precipitare dal dirigibile dopo una amichevole scazzottata.
Ad Hiroto, Otogi non piaceva per niente.
Era altezzoso, si comportava da fighetto, si credeva il più bello dell'universo.
E, soprattutto, aveva mirato a Shizuka.
Hiroto sentiva di potersi fidare di Otogi.
Hiroto si ricordò di non seguire le proprie sensazioni.
Assistette.
Assistette all'essere risucchiati in un mondo virtuale - d'accordo, c'era pure un mondo virtuale, nulla di strano.
Ma, quando il suo avversario, sotto le sembianze di un mostro del Duel Monsters - d'accordo, c'erano creature del Duel Monsters che se ne andavano a spasso, e lui era in un mondo virtuale, nulla di strano -, lo sfidò a duello, dovette agire.
Un duello in cui erano stati coinvolti anche Otogi e Shizuka.
Otogi sapeva giocare a Duel Monsters.
Hiroto conosceva le regole.
Shizuka neppure quelle.
Hiroto e Otogi capirono che avrebbero dovuto proteggere Shizuka.
La posta in gioco erano i loro corpi.
Quel mostro del Duel Monsters aveva bisogno di un corpo materiale per uscire da quel mondo cibernetico.
E chi avrebbe perso gli avrebbe fatto da involucro.
La posta in gioco erano i loro corpi.
Hiroto e Otogi capirono che avrebbero dovuto proteggere Shizuka.
Hiroto avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla.
Anche perdere.
Hiroto sentiva di potersi fidare di Otogi.
Si era ripromesso di non seguire più le proprie sensazioni.
Ma, quando capì di aver perso, non poté far altro che credere in Otogi, affidargli Shizuka.
Non era pentito del suo gesto.
L'aveva fatto per Shizuka.
L'aveva fatto per salvarla.
Sentì il suo urlo disperato.
Sorrise.
Forse era crudele sorridere all'urlo di Shizuka.
Non era pentito del suo gesto.
L'aveva fatto per salvarla.
Quel mostro avrebbe usato il suo corpo come involucro.
Ma non era pentito del suo gesto.
... soltanto, gli era sfuggito il punto in cui era stato detto che la sua anima sarebbe migrata nel corpo di una scimmia meccanica.
Tra l'altro, ricalcava pure le sue fattezze.
Aveva lo stesso ciuffo appuntito.
Per qualche strano motivo, riuscì a muoversi senza difficoltà nel suo nuovo piccolo corpo metallico.
E riuscì a ritrovare gli altri, riusciti a ricongiungersi.
Shizuka e Otogi si mostrarono felici di rivederlo, seppur in così scimmiesche sembianze - d'accordo, era nel corpo di una scimmia meccanica in un mondo virtuale... la cosa stava quasi assumendo un suo senso e una sua logica.
Alla fin fine, era come un inquietante videogioco.
Un inquietante videogioco molto realistico.
Assistette.
In quel piccolo corpo metallico, Hiroto assistette - e stavolta tutto quello era uscito dal mondo di Seto Kaiba e non da quello di Yugi.
Assistette.
In braccio a Shizuka.
Tra le sue braccia candide e il suo petto morbido.
Cos'era?
Un regalo per il suo eroico gesto?
Se era così, si premurò di ricordarsi di fare più gesti eroici possibili.

Sorprese positive, circostanze favorevoli, un momento fortunato da non lasciarsi sfuggire

Tutti loro riuscirono a fuggire dal mondo virtuale.
Da un lato, Hiroto era felice.
Non poteva sopportare che quelli là manovrassero il suo corpo come se fosse stato una marionetta.
Non poteva sopportare che quelli là usassero il suo corpo per fare del male ai suoi amici.
Dall'altro, Hiroto era triste.
Si era ripreso il suo corpo, ma così non avrebbe più potuto stare in braccio a Shizuka.
Non avrebbe più potuto appoggiarsi al suo seno morbido.
E avrebbe dovuto evitare di ripensarci, pena la sua subitanea morte da parte di Katsuya.
Il Battle City era giunto alla sua conclusione.
Sulla torre di Alcatraz.
Hiroto assistette.
Assistette con orrore alla morte di Jonouchi, bruciato dalle fiamme di quel mostro alato, di quella fenice che no, non era solo una carta.
Assistette con felicità alla rinascita di Jonouchi, rinato dalle proprie ceneri come la fenice che lo aveva ucciso.
Hiroto assistette.
Assistette al duello tra Yugi - l'altro Yugi - e Seto Kaiba.
Assistette al duello tra Jonouchi e Seto Kaiba.
Assistette al duello tra Yugi - l'altro Yugi - e l'altro Malik.
Hiroto assistette.
Assistette al furto delle carte delle divinità egizie, quelle carte che sembravano così importanti per recuperare la memoria perduta dell'altro Yugi.
Yugi era posseduto dallo spirito di un Faraone che aveva perduto la memoria.
Hiroto lo aveva accettato.
Era una cosa normale, nel mondo di Yugi.
Assistette a quei duelli che sembravano voler preannunciare la rinascita di Atlantide.
Assistette all'apparizione di quelle pietre verdi che facevano impazzire chiunque ne entrasse in possesso.
Assistette a quelle pazzie.
L'altro Yugi che permetteva il sacrificio di Yugi.
Jonouchi che sacrificava la propria anima per una folle Mai Kujaku.
L'altro Yugi che andava a riprendersi Yugi.
Mai che perdeva la propria anima nel tentativo di riprendersi Katsuya.
Hiroto assistette.
Assistette alla vittoria di Yugi contro quel pazzo atlantideo.
Assistette al nuovo torneo di Seto Kaiba, che poteva anche trovare modi più proficui di impegnare il proprio tempo.
Hiroto assistette.
Assistette alla vita in Egitto.
L'Egitto di tremila anni prima.
L'Egitto in cui l'altro Yugi era un Faraone, l'Egitto in cui Seto Kaiba (?) era un sacerdote, l'Egitto in cui l'altro Bakura era il re dei ladri.
L'Egitto in cui loro - Hiroto, Katsuya, Yugi e Anzu - non esistevano, l'Egitto in cui loro erano solo fantasmi.
L'Egitto in cui erano arrivati per ritrovare il nome perduto del Faraone.
Athem.
Era questo il nome dell'altro Yugi.
Era questo il nome con cui l'altro Yugi riuscì a sconfiggere quella creatura per cui aveva perso la vita.
Il mondo di Yugi era un mondo paranormale.
Un mondo dove anche le cose più impensabili, che potevano essere frutto soltanto di fantasia, erano reali.
Hiroto era sempre stato molto terreno.
Ma l'aveva accettato.
Diventando amico di Yugi, aveva accettato anche il suo strano mondo fatto di cose paranormali.
Aveva accettato quelle situazioni, quei pericoli in cui sarebbe stato immischiato.
In quel mondo paranormale, lui non poteva fare nulla che avesse a che fare con magie o poteri strambi.
Ma poteva sostenere Yugi.
Poteva sostenere Katsuya, che affrontava il mondo di Yugi senza avere alcun potere magico, che affrontava quei duelli senza "divinità".
Due carri brillanti, due automobili splendenti, due moto rilucenti.
Le due moto brillanti che tutti guardavano con ammirazione o con invidia.
Lui, Hiroto Honda, era la loro ruota.
Nessuna auto, per quanto perfetta o brillante, potrebbe mai muoversi senza anche soltanto una ruota.
Hiroto rimaneva in disparte, non notato.
Nessuno faceva caso alla ruota.
Tranne la sua automobile.
Era un pezzo di lei, un pezzo senza il quale non avrebbe potuto muoversi.
Yugi e Jonouchi erano l'automobile che lui, la ruota, sosteneva come meglio poteva.
Erano l'automobile che la ruota avrebbe sempre sostenuto.

(Definizioni e descrizioni del tarocco non mi appartengono e sono tratte da Wikipedia e Tarocchi.it, che ne detengono i diritti)

Lo so, sono passati quasi sette mesi dall'ultimo aggiornamento. oAo
Spero mi scusiate... ç___ç
In compenso, ho concluso la Ruota a fine Luglio, quindi, in teoria, sarebbero passati solo cinque mesi... U.U
E allora, perché non ho pubblicato a Luglio? Perché avevo in sospeso la revisione dell'Imperatore e quale miglior occasione per rivederlo se non la conclusione della prima parte di Triumphi?
Ragion per cui, stavolta aggiorno con due tarocchi: uno è la Ruota, l'altro è la revisione dell'Imperatore.
Per Seto Kaiba vi rimando al capitolo cinque. U.U

Riguardo la Ruota... Honda è un personaggio semplice e complicato al tempo stesso: semplice perché le scene in cui è protagonista sono poche, complicato perché... le scene in cui è protagonista sono poche.
Lui è un personaggio che assiste, che sostiene gli altri ma, oggettivamente, a parte quelle poche scene in prima persona, non fa molto altro...
Ho cercato di raffigurarlo come una persona normalissima, con una famiglia del Mulino Bianco, che sa dell'esistenza di "cose brutte" ma che non le ha mai vissute sulla propria pelle; dalla serie zero, mi ha dato quest'impressione, oltre a quella di semi-secchione.
Riguardo la sua famiglia, nel manga, all'inizio del Death-T, dice che ha una sorella maggiore e questa sorella gli ha affidato suo figlio Jouji (che nella versione italiana è diventato "Jorgie"...), mentre nell'anime, all'inizio delle Memorie, dice che suo fratello gli ha dato i soldi per l'aereo per l'Egitto.
Che abbia una sorella è sicuro, non so se quel "fratello" fosse un errore o cosa: quindi, ho preferito far sì che Honda avesse sia una sorella che un fratello.
Riguardo il cane, lo si vede nel manga, nell'arco di Otogi e del Black Clown.

Come accennato prima, con Honda si conclude la prima parte di Triumphi.
No, non significa niente di strano, ma fa fAigo dirlo.
Diciamo che, nella seconda parte, ci saranno altri personaggi. Qualche nome, in ordine alfabetico: Athem, Malik, Oresama, Yugi. Così, tanto per...
*Sì, oltre ad essere personaggi complessi, hanno tanto da dire. Ma Soe è già pronta a ricorrere alla divisione del capitolo per evitare effetti collaterali...* *lacrime*

Per il totoTriumphi, mi pare che nessuno abbia azzeccato la Ruota. Comunque, ne approfitto per dire che Tayr Soranance Eyes ha azzeccato tutta la lista. *O*
Se ve lo state chiedendo, no, non l'ho aiutata, ha fatto tutto da sola. u.u Cosa ha vinto? ... il titolo di Regina dei Giochi Scemi. U.U
*mumble* Spoiler sul prossimo tarocco, la Forza?
*Lo guarda* *Scoppia a piangere* *Tanto* Uhm... spoiler idiota: [ Forza grande in botte piccola...? ] Mi sa che non era proprio così, ma vabbè... oAo

Parlando del capitolo precedente... sono felicissima che l'Eremita vi sia piaciuto. *^* - E sinceri complimenti a chi se l'è letto tutto insieme o addirittura più di una volta. XD
Perdonate il mostruoso ritardo con cui sto rispondendo... OAO
x Justeyes: Scusami per questa risposta così tardiva. ^^" Sono veramente felice che ti sia piaciuto. *^* Soprattutto per la parte "angosciante": era una di quelle su cui avevo più timore XD e mi fa piacere sapere di essere riuscita a rendere l'idea. ^^
Ti ringrazio dei complimenti. ^^
x Saisai_girl: Grazie! ^///^ L'idea per Triumphi è un miscuglio di tante cose. XD Diciamo che, di base, è dovuto alla mia passione per i tarocchi e che uno dei miei manga preferiti, X (delle Clamp), ha in seconda copertina, per ogni numero, un personaggio associato ad un tarocco... anche se mi sono ricordata dopo di X xD *dev'essere stata una cosa inconscia* Tra l'altro, ho poi scoperto che anche nell'edizione giapponese del manga di YGO ci sono dei tarocchi con i personaggi - in realtà, c'è quasi sempre Athem... anche se alcuni, tipo Papessa, Imperatrice, Carro e Giustizia *per quanto ricordo*, sono assegnati proprio a Isis, Mai, Seth e Shadi. XD *Altri sono associati assolutamente a caso, direi* Grazie ancora! ^^
x Mizushipping: *implode* OAO *quando, tanti mesi fa, lesse questa recensione, rimase seriamente sconvolta*
Grazie. ç//////ç Sì, Ryou è uno dei personaggi di ygo che preferisco in assoluto, quindi sapere di averlo reso così bene come dici mi rende davvero felice. *____* Ti ringrazio tantissimo! *^*
ps.: Non ho avuto modo di vedere quella pubblicità *che ormai non trasmetteranno più °°* ma... lol! **
x AliceWonderland: COFFCOFF! Felice che l'Eremita ti sia piaciuto. ^^ COFFSonopassatisettemesimaorahopubblicatoDUEtarocchioAoCOFF
x XShade-Shinra con la partecipazione di Madame Melerik (XD): Lol per la Madama, innanzitutto. E non ridere pensando ai tarocchi dei punkamanti. Non farlo. OAO Per il resto, ti ringrazio del commento all'Eremita. ^^ Sono felice che ti sia piaciuto. *^*
Riguardo la Giustizia... ma mi spieghi dov'è che vedi 'sta Scandal? oAo In compenso, ti sei riscoperta fan della Measure. U.U Quella scena che citi era un momento drammatico! OAO (XD) Riguardo Karim=Rishid, temo sia dovuto solo al fatto che sono entrambi grossi e silenziosi... In ogni caso, sono felice che ti sia piaciuta anche questa. ^^ E ti ringrazio dei complimenti. ^^
Sulla tua tabella... hai dimenticato Yugi e hai messo Zork. Pentiti. Per il resto, ne hai azzeccati tre, tra cui il tarocco ovvissimo (che eviterai di dire qual è, perché è davvero troppo ovvissimo...); per il resto, ne hai messo uno prima e uno dopo. U.U XD
  
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