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Autore: TiaEkate    11/09/2011    0 recensioni
When I can't find the words
You teach my Heart to speak.
(James Morrison- You make it real)
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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[È normale non riuscire a parlare, mi è capitato spesso, restare lì, impalati come se ci fosse tutto il mondo a guardare. Ricordo cosa si prova ad avere tanto da dire ma non trovare alcun modo per dirlo. Conosco la frustrazione di non essere compresi, dell’essere costantemente sotto l’occhio vigile di chi si aspetta il mondo da te. Ho ancora sulla pelle la sensazione fastidiosa delle facce deluse dalla mia incapacità di espressione. Proprio io, che davo tanto valore alle parole, che le reputavo le uniche e sole degne di un rispetto quasi religioso, non riuscivo a farle mie, e in quei momenti tanto delicati restavo solo: io e le parole che non ero riuscito a pronunciare. Imparai così a scrivere, a disegnare, a suonare, a modellare il legno, la creta, il ferro… Ho così imparato ad imprimere su un pezzo di carta sensibile alla luce un determinato stato d’animo, un preciso sentimento, proprio quello a cui non ero riuscito a trovare le parole. Questa è stata la mia rovina e la mia più grande benedizione. Ero uno stimato principe del foro, con la retorica che si addice ad un avvocato famoso. Ero orgoglioso di me stesso, ero un uomo invidiabile, ottima carriera, una bellissima casa appena fuori città, due auto, una moglie meravigliosa e un bambino che da grande avrebbe voluto seguire le mie orme. Ero tutto quello che mio padre aveva voluto che io fossi fin da bambino. Ero tutto quello che io mi ero aspettato di diventare. Ero tutto questo… Ero.] Sarebbe stato sicuramente più semplice ordinare dei cibi già cotti, così da evitare di far aspettare gli ospiti, ma Jenny aveva deciso di cucinare e adesso Mike non sapeva con chi prendersela: i suoi genitori appena scesi da un volo di nove ore dall’Europa erano in soggiorno in attesa della cena che tardava ad arrivare. Erano già le 22.00. Nel frattempo Dave continuava a fare domande impertinenti ai nonni, sul perché non si vedessero mai, sul perché il nonno avesse una gamba di legno e se conosceva un pirata famoso, sul perché la nonna avesse chiamato suo padre proprio Mike, che a lui sembrava veramente assomigliare a Mikey Mouse in modo impressionante, e altre cose di questo genere. Come al solito la nonna ne era molto divertita, essendo quello il suo unico nipote cercava sempre di assaporare ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo sguardo, poiché li sentiva come unici ed irripetibili. Mike arrivò giusto in tempo in soggiorno per staccare il piccolo Dave dalla gamba del padre. Lo sguardo dei due s’incontrò solo per un istante e quello bastò per infondere nel suo animo tutta la vergogna possibile. “Ma come fai crescere tuo figlio?” tuonò improvvisamente Vincent, “non ti rendi conto che sembra un selvaggio? Dovresti avere più controllo su di lui e non il contrario!”. Come al solito Vincent aveva da ridire su tutto quello che Mike aveva fatto nella sua vita. Non era mai stato veramente contento di qualcosa, o forse sì, forse solo quando Mike si era laureato con lode dieci anni prima, oppure quando aveva annunciato il suo matrimonio con Jenny, che secondo il padre era un ottimo partito e avrebbe aggiunto prestigio alla sua famiglia. Che fosse vero o meno, Mike aveva sposato Jenny per amore, l’interesse non era stato per niente la sua priorità in quella felicissima decisione, almeno questo era sfuggito al controllo ossessivo di Vincent, anche grazie a Laura, la madre, che tutto era fuorché la compagna adatta a Vincent. Lei era una donna profondamente passionale, che non perdeva un momento per dire a Mike quanto fosse orgogliosa di lui, di quanto fosse felice per quell’ometto che cresceva a vista d’occhio. La tensione era alle stelle, come ogni volta che i genitori di Mike andavano a trovarlo. In realtà il soggiorno era veramente breve, ma a Mike quella misera settimana sembrava un’eternità. Finalmente dopo almeno un’ora di attesa la cena fu servita e la famiglia si riunì intorno alla tavola. Dave iniziò a protestare: aveva visto dei broccoli in un vassoio, e questo non era assolutamente di suo gradimento. Nonna Laura allora iniziò a raccontargli una delle sue famose storie per farlo mangiare, una di quelle che mille volte aveva raccontato a Mike per lo stesso motivo. Un sorriso malinconico non poté che nascere sul suo viso, e guardò Jenny che aggiungeva dettagli alla fantastica storia del cavaliere Dave che doveva combattere contro il brutto mostro del lago; i broccoli sarebbero stati la sua arma vincente. La storia sarebbe finita con una nonna sorridente, una mamma soddisfatta, un piatto di broccoli vuoto e un cavaliere coi denti verdi. Il resto della cena passò tranquilla, la cucina era ottima, Jenny si era veramente data da fare, non cucinava spesso, ma quando lo faceva era veramente speciale. Vincent era stato in silenzio per tutto il tempo, non un sorriso, non una parola, aveva a stento fatto i complimenti alla nuora; per tutto il tempo i suoi gelidi occhi indagatori erano stati attenti ad ogni movimento del figlio e del nipote, uno sguardo di disapprovazione pendeva dunque sui loro colli. Finita la cena, si spostarono tutti in salotto dove si sistemarono sui divani e la grossa poltrona, che di solito era occupata da Mike e da uno stanco Dave, adesso era pesantemente occupata dalla mole del nonno, che da lì sembrava dominare la stanza intera. Mike ricordò improvvisamente la loro casa in Toscana, ad Ortonovo, quando era ancora piccolissimo, e ricordò improvvisamente di come il padre assumesse la stessa posizione in quel piccolo salottino, davanti al camino, e Mike era per terra, steso o a gambe incrociate e assimilava inerte le lezioni del padre sul mercato, sull’essere persone per bene con tutto quello che vi si addice di conseguenza. Michele, perché allora così lo chiamavano, era tutto preso dalle parole promettenti di Vincenzo e sembrava che nulla avrebbe potuto eguagliare quella saggezza. Si ricordò anche di quelle mattinate passate alla finestra quando d’inverno il mare era troppo agitato e l’aria era troppo fredda per giocare nella spiaggia proprio davanti casa. Si ricordò della madre che non faceva altro che infarcirlo di biscotti fatti in casa, che nonostante la miseria sembrava fossero sempre pronti e fragranti, quando addirittura alcune volte mancava il pane loro c’erano sempre; e c’era il loro odore e il loro sapore e poi c’era il sapore della terra e del sudore, e il dolore alle mani spaccate dal freddo. Di colpo Mike si alzò e si diresse verso i grossi scaffali sul caminetto, che erano pieni di libri, fotografie e volumi infiniti sulla costituzione americana. Fece scorrere velocemente le dita sul dorso di molti volumi rilegati accuratamente e come se avesse già saputo dove cercare, sorrise e afferrò un volume dalla copertina verde, in pelle molto vecchia. La fece scivolare fuori dallo scaffale con una delicatezza quasi si trattasse di un bambino e si andò a sedere di nuovo tra Dave e Jenny. “Vieni Dave, vieni a vedere il tuo papà quando era piccolo e abitava in quel posto lontano lontano ...” disse Mike prendendo il braccio suo figlio e lasciandolo aprire l’album. Le prime foto erano dei suoi nonni da giovani, in una campagna, con dei cani intorno. “Nonno, ma lì avevi ancora la gamba di carne!” sbottò Dave dopo un’attenta riflessione sulla fotografia. “Dave, ma che dici. si fanno que..” iniziò a bisbigliare Jenny con tono mortificato quando fu bruscamente interrotta da Vincent. “Non ci sono scusanti…ve lo ripeto questo ragazzino verrà su come un giovane hippy sconsiderato e selvaggio, non avrà mai una vita stabile e per bene. Sarebbe meglio se lo tenessi un po’ io il piccolo…giusto per raddrizzarlo quel tanto che basta a renderlo un bambino decente!” disse Vincent, e quelle parole alle orecchie di Jenny, Mike e Laura sembrarono veleno. Nessuno replicò, nessuno dette cenno di voler replicare. Nessuno ne aveva il coraggio. Gli occhi di Laura erano pieni di lacrime di vergogna per quel marito troppo severo e burbero. Lei lo aveva conosciuto quando, ancora giovane, sapeva cosa significasse vivere veramente. Per questo si erano sposati e per lo stesso motivo avevano deciso di partire e cercare fortuna in America con pochissimi soldi in tasca, una valigia piena di sogni e la speranza di un futuro migliore per il loro piccolo Michele. Ma la guerra li aveva seguiti anche lì, il Vietnam aveva invaso la loro mente, e Vittorio animato di buoni sentimenti non voleva accontentarsi di quella paga da avvocato statale e decise che avrebbe servito meglio il suo nuovo paese prendendo parte al conflitto. Furono anni durissimi sia per Laura sia per il piccolo Mike, che allo scoppio della guerra aveva appena cinque anni. Mike ricordava com’era il padre, e ricordava anche le settimane passate su quell’autobus che faceva la spola tra casa loro e l’ospedale militare. Victor aveva perso una gamba a causa di una granata difettosa di un suo compagno di reparto. Si chiamava John, era il suo migliore amico, ed era rimasto ucciso in quell’incidente. È strano come gli eventi riescano ad influenzare gli animi delle persone e come alcuni singoli istanti possano restare scolpiti nella memoria come impressi a fuoco sulla pelle. Victor aveva visto la morte in faccia, ne aveva sentito i rumori e l’ odore acre del sangue e della paura invadeva ancora le sue narici. Spesso si chiedeva se il suo comportamento nei confronti del figlio fosse giusto, ma il dubbio si insinuava nel suo animo lacerato per troppo poco, così non riusciva mai a mettere in discussione i suoi comportamenti. Era stato abituato ad avere ragione, a prendersi responsabilità enormi e tutto sommato era venuto su bene: voleva questo anche per il suo Mike. Jenny e Laura erano intente a sistemare le ultime stoviglie lasciate ad asciugare sul ripiano del lavello. Mike aveva portato Dave a letto e gli aveva rimboccato le coperte; si era addormentato subito. Victor era ancor in salotto, da solo, con un sigaro acceso. Di colpo fu attraversato da un brivido, le sue mani tremarono e istintivamente portò la mano destra sul cuore e gli occhi velocemente passarono dalle foto nell’album ancora aperto alla porta della cucina dove si sentivano le voci sottili delle donne di casa, per posarsi infine sul corridoio che dava sulle scale dove in quel momento stava scendendo Mike. Il suo cuore sussultò ancora e una specie di crepa si allargò ai lati della bocca. Nella sua mente in quei pochi istanti in cui il suo cuore aveva preso ad accelerare e rallentare improvvisamente, passarono velocemente i fotogrammi di un film che ricordava di aver vissuto, ma che avevano il sapore di un’epoca lontana, quasi mitica. Pensò a Mike, a Laura, al piccolo Dave e alla dolce Jenny. Quando la sua mente elaborò l’accaduto Mike aveva appena appoggiato entrambi i piedi sul parquet, e non ebbe il tempo di guardare quello strano sorriso sul volto di suo padre. In realtà nessuno venne mai a sapere di quella svolta nella mente di Vincent, se non Vincent stesso. Scampato il pericolo che il padre rappresentava costantemente, Mike si accasciò delicatamente al suolo richiudendo la porta d’ingresso dietro di se, lasciando il mondo fuori, lasciando il buio a inghiottire quel che restava della luce della luna. “Amore, non puoi stare così ogni volta…in fondo sono i tuoi genitori…”provò a consolarlo Jenny. Avrebbe voluto spiegarle tante cose, avrebbe voluto dirle che quel legame di sangue non impediva alla paura e all’avversione di impadronirsi di lui. Jenny capì che non avrebbe risolto molto stando lì a fissarlo con i suoi grandi occhi verdi, quindi gli diede solo un bacio, lì, sulla fronte, dove era solito riceverli Dave e non lui. Mike le sorrise debolmente e la guardò allontanarsi piano verso le scale, al piano di sopra. Quella notte sarebbe stata forse una delle più lunghe della sua vita. La cravatta sembrava volesse soffocarlo e le pareti stritolarlo. Si accasciò sul divano e allentò il nodo alla gola, ma solo quello della cravatta: l’altro, quello che veramente gli impediva di respirare non sarebbe riuscito a scioglierlo. Con gli occhi chiusi e la mente lontana si ritrovò ad accarezzare quella copertina, quella dell’album. Lo sfogliò attentamente, ogni singola fotografia gli riportava alla memoria frammenti di una vita che forse aveva vissuto lui, proprio lui. Quella notte pianse, come non faceva orami da tempo, pianse come un bambino. Pensava a Dave, il suo piccolo bambino, e si ripromise di essere un genitore migliore di quello che Vincent era stato per lui. Promise a se stesso di cambiare, di ricominciare a vivere come avrebbe voluto. Promise a se stesso di andare pescare. Promise a se stesso di ricominciare a scrivere. Promise a se stesso di ritornare ad essere semplicemente Mike. Ma non tutto quello che ci ripromettiamo spesso riusciamo a realizzare: Mike doveva ancora imparare questa preziosa lezione.
  
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