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Autore: nainai    11/09/2011    6 recensioni
Una ragazzina dal nome impossibile ed il suo improbabile mondo si "scontrano" con l'ordinaria vita di una rockstar
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matthew Bellamy, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le avvertenze del caso oggi le facciamo in versione “fun”.
I “Muse” ed il loro entourage non mi appartengono. In compenso mi appartengono Whiskey, Eva e Bas, Martha, Gunther e Patricia. E sì, pure il cane con la lingua ciondolante. E ne sono gelosa.
Non intendevo offendere nessuno, ma mettiamola così: se Matthew Bellamy mi cita per danni, gli stringo la mano. E pure se lo fa Tom Kirk, ché in questa storia gli tocca la parte dell’isterica.
Questa cosa è meno verosimile dell’ipotesi che la Regina Elisabetta discenda da una stirpe aliena di draconici, quindi figuriamoci se tento di spacciarvela per vera.
Ovviamente non ci cavo un ragno dal buco, ma un mucchio di sputi in faccia sì.
 
Scritta per il “Dodici Mesi di Fedeltà. 2nd Year” Contest


 
 
-Whiskey. Doppio.
 
La mia storia inizia esattamente come si è conclusa.
Il fatto che sia iniziata così, però, è sicuramente più importante del fatto che sia finita così.
Credetemi.
Il punto è che se non fosse cominciata ad un certo modo, io non sarei oggi la persona che sono. Anzi. Forse non esisterei affatto.
Non è una questione da poco, vero?
Beh, comunque, non ve la racconterò dall’inizio, ma proprio da metà.
 
 
Prompt #6 e #7 – “Dodici Mesi di Fedeltà. 2nd Year” Contest
Doppio Whiskey

-Sei pazza!
-Allora significa che siamo in due.
-No no! Tu sei pazza, io sono maschio! Questo, inevitabilmente, mi porta ad assecondarti nella speranza, vana, che tu faccia sesso con me!
-…vana.
-Mai avuto dubbi al riguardo!
Lei lo fissa di sbieco, un’occhiata distratta prima di puntare di nuovo gli occhi sull’edificio gigantesco che li fronteggia dall’altro lato della strada e verso cui marciano con l’incoscienza spavalda dei propri – pochi - anni di vita.
-Ripetimi il piano.- insiste lui combattivo.
-Lo sai che non ho un piano!
-Non riesco a credere che tu possa davvero ammetterlo con tanto candore!- strilla lui, fermandosi di botto sul ciglio del marciapiede.
Lei si volta ancora, palesemente infastidita, sbuffa il proprio risentimento e pesta un piedino, calzato in morbidi stivali di camoscio, sul terreno. Ma niente.
Cambio di tattica.
-…Bas…davvero…lo sai quanto è importante per me.- mormora afflitta, facendo scivolare gli occhi tutto attorno a lui senza dargli mai la possibilità di incrociarli.
Ma è vecchia pure questa.
Lui ride, solleva le braccia ai fianchi e punta il petto in fuori.
-Ahah!- la sbeffeggia – Non attacca, mia cara! – ci tiene a precisare.
-Oooh! evabene!- sbraita lei tutto d’un fiato, gonfiandosi quasi il doppio di lui. – Resta pure qui a lamentarti, io vado da sola!- annuncia.
Riprende la marcia sentendolo borbottare, biascicare qualcosa in tono stizzito e poi inseguirla a passi svelti e rumorosi. Lei sorride tra sé ma non si volta e non si ferma.
Almeno finché non vede la piccola folla raccolta davanti alle porte scorrevoli della reception. A quel punto, ammette, la sua risoluzione inizia a vacillare.
Lui la raggiunge a pochi passi dall’ingresso. Un gruppo festante e rumoroso di ragazzi bivacca lì davanti sotto lo sguardo malevolo di un portiere vestito di rosso; considerato che loro non sembrano accorgersi nemmeno della sua presenza, è facile intuire come rimarranno fermi sulle proprie “posizioni” sfidando il rigore della sua divisa e dell’albergo tutto; passanti svogliati in giacca e cravatta intercettano le risate dei ragazzi e sorridono a loro volta, tirando dritti nell’attraversare il marciapiede e la strada da un lato all’altro.
Si mordicchia un labbro. Potrebbe semplicemente limitarsi a restare lì anche lei, unirsi a quel gruppo ed attendere pazientemente. E’ certa, peraltro, che questo sia stato il piano del suo accompagnatore fin dall’inizio e sa che, se si voltasse, glielo leggerebbe scritto in faccia in un’espressione supplichevole ed esasperata. Questo però, argomenta con se stessa, non la porterebbe di un passo più vicina al proprio obiettivo.
…certo…potrebbe cambiare anche l’obiettivo. In fin dei conti, Martha, quando è uscita di casa quella mattina annunciando che andava al “Concorde”, ha riso e le ha detto che non avrebbe concluso niente. Nessuno si aspetta che lei riesca in quello che si propone. Non se lo aspettano perché sanno che non avrebbe senso. Sua madre, Martha, Gunther e sì, anche Bas che pure l’ha accompagnata, si aspettano solo che lei arrivi così, ad un passo dalla porta, e torni indietro. Perché avanti non ci si può andare, non alle sue condizioni.
Non nelle sue condizioni.
-Ma poi, cosa pensi di trovare oltre quella porta, tesoro?
-Non lo so!- ha risposto a sua madre, che sorrideva e che non ha provato neppure a fermarla davvero.- Ma se non l’attraverso non lo saprò mai, no?!
È sempre stato questo il punto. Non ha davvero importanza cosa c’è oltre quella soglia, ha importanza il fatto di arrivarci.
-C’è Eva!- esclama Bas ad un tratto, strappandola di botto alle sue riflessioni.
Ruota la testa nella direzione indicata quasi in automatico – Eva come Martha costituisce uno dei richiami della sua vita a cui non le riesce proprio di dire di “no”- e vede Bas raggiungere la ragazza bionda, magrissima e strizzata in una gonna microscopica ed una maglietta colorata al centro del gruppetto. È la più piccola – la più bassa, la più magra, la più giovane – eppure è palese come gli altri le ruotino attorno, voltandosi verso di lei in cerca di indicazioni per non rompere le proprie disordinatissime “righe” davanti allo sguardo sempre più minaccioso del portiere in rosso. Eva affronta quella minaccia con uno stoico entusiasmo, contagioso a giudicare dalle risatine e dai gridolini che suscita il suo rintuzzare l’uomo con occhiatacce e linguacce degne della peggiore monella di strada. Bas le fluttua incontro – “etereo come l’idiota che è!”, pensa lei velenosamente – ed Eva li vede entrambi.
-Whiskey!- sbotta illuminandosi di un sorriso meno artificioso di quello regalato al compassato attendente alla porta. Spalanca le braccia in un chiaro invito ad avvicinarsi e, riluttante, lei esegue, trascinando sulle prime i piedi mentre il suo cuore batte troppo forte nell’avvicinarsi ancora di più alla porta dell’albergo.- Whiskey!- ribadisce Eva, schivando l’abbraccio umidiccio di Bas che le si è buttato contro.- Che bello che sei venuta!
-Scordatelo!- borbotta lei, stringendo le braccia al petto.
L’altra le butta le proprie al collo e scuote la testa, sfregandosi guancia a guancia contro di lei come un gatto.
-Vuole ancora farlo, eh!- informa Bas in tono canzonatorio, additando l’amica, rigida contro il corpo spigoloso di Eva.
Lei ridacchia senza dar peso alla cosa. Intorno a loro è tutto un fiorire di saluti a voce alta rivolti alla nuova arrivata, un coro unanime di “ciao Whiskey” che sa di casa anche se quella non è mai stata casa sua.
-Alla fine ti farò ammettere che ti piacciono!- la sfida ogni volta Eva.
Lei sogghigna e sbotta: Preferisco sedici ore ininterrotte di matematica con il Prof. Hoffman!
Nessuna delle due crede veramente all’altra ed è su quello che si basa il loro rapporto.
Eva si rimette dritta, sciogliendola dalla propria stretta, e lei la guarda e poi guarda il gruppetto - di cui è ormai parte integrante agli occhi dell’inviperito portiere del “Concorde – riconoscendo facce e salutando a mano aperta.
-Come va?- cerca d’interessarsi educatamente.
-Oh, siamo qui fuori da ieri sera, abbiamo freddo, fame e lui ci odia.- Eva punta il ditino inanellato di tutto punto contro l’uomo in rosso che trasale come se glielo avesse schiacciato addosso – Ma, ovviamente, niente di niente.
-Quando iniziate a spostarvi?- s’informa Bas, molto più pratico.
Eva guarda l’orologio e poi gli altri.
-Mah…fai un’oretta al massimo. Dopo ci fregano tutta la prima fila.
-Cazzo! io voglio venire con voi!- piagnucola lui.
Eva solleva le sopracciglia e lo fissa. Poi guarda lei. Sa che sta aspettando che dica di sì, che resta lì e va via anche lei con loro. Ma non lo dirà.
-Beh, tanto a me non serve più.- risponde invece allo sguardo dell’amica.
Eva ride mentre Bas la fissa stralunato.
Lei, risoluta, ruota la tracolla di pelle fin dietro le natiche, arriccia sulle braccia le maniche della felpa e solleva il naso all’insù, fiera e determinata.
-Ditemi “in bocca al lupo”!- ordina.
-In bocca al lupo!- fanno coro Eva, ridendo, e Bas, incespicando incerto su quelle poche parole.
-Stai attenta, Whiskey.- ci aggiunge affettuosa l’amica, accarezzandole un braccio.
Lei annuisce e poi attraversa di nuovo la strada, allontanandosi dall’albergo, dal portiere in rosso e dalla folla festante di ragazzi con i loro striscioni. Di gente che saluta i “Muse” neanche fosse davanti ai Santi in Chiesa ne ha avuto abbastanza, per oggi.
***
Di fianco alle altre modelle si vede che lei è molto – troppo - più giovane. Il tizio del management è già passato tre volte ed ogni volta l’ha fissata con aria sempre meno convinta. Presumibilmente non si tratterrà a lungo dall’andarle vicino e chiederle “ragazzina, ma non dovresti essere a scuola?!”.
Il chiacchiericcio soffuso che regna nella saletta le copre in parte i pensieri. C’è un misto di profumi costosi – a confronto dei quali il suo D&G “Light Blue” fa la figura dell’acqua di colonia per bambini! – odore di trucco e lacca per capelli. Non le dispiace. Le ragazze che la circondano, sui loro tacchi alti o calzate in ballerine bassissime, sono tutte abbronzate, flessuose e morbide, con i seni sporgenti. Adottano pose languide con stile, come fossero già davanti alla macchina fotografica e non in attesa nella sala conferenze vuota di un hotel di lusso, le loro palpebre si piegano pesanti sui visi ed il loro modo di trascinare le parole è studiato ed elegante.
Tutto questo non la urta come dovrebbe. In altri momenti ha trovato il mondo della moda squallido e volgare, anche un po’ inutile. Ha ammirato moltissimo Martha quando ha riso in faccia ad un talent scout che – “per portarsela a letto”, ha affermato lei – le aveva fatto balenare la prospettiva di usare le proprie curve prorompenti o quei magnifici occhi verdi su sfondo di seta nera – una cascata di capelli lunghi, ondulati, spessi e setosi – per farsi strada in quel fittizio gioco di luci. La concretezza di Martha le ha dato tanto in tutti quegli anni, lei lo sa, il suo modo di farsi scudo con l’ironia contro quello che il mondo esige le è sempre stato d’esempio.
Però ora, circondata dalle chiacchiere vuote e dai sorrisi di plastica delle modelle non si sente male, non è fuori luogo come dovrebbe e loro, in qualche modo, la stanno proteggendo e la fanno sentire al sicuro.
Sarà il fatto che si è infilata lì dentro senza sapere ancora bene cosa stesse facendo e che – come ha ammesso con Bas – un piano proprio non ce l’ha, per cui trovare il modo di prendere fiato, riordinare le idee ed elaborarlo non è così male.
Quando ha visto il cartellone all’ingresso del “Concorde” le è venuta quella follia in testa. Un provino per una famosa agenzia di modelle! Qualcuna ha pochi anni più di lei, qualcun’altra ne dimostra comunque di meno. Ha imboccato la porta sul retro affidandosi al caso, un caso che aveva l’aspetto di una cameriera distratta rientrata dopo la pausa sigaretta e che l’ha condotta fino alla porta della sala in cui si tiene il provino. In mezzo alle altre è passata inosservata ma sa che non durerà in eterno e, mentre siede su una delle poltrone di velluto e striscia la punta dello stivaletto sulla moquette, si domanda anche quanto ci vorrà prima che il tizio che l’ha puntata venga ad informarsi.
Alla fine stabilisce che il rischio di aspettare è pari a quello di affidarsi ancora una volta alla sua buona stella – in fondo, pensa, l’ha comunque portata fin lì – ed approfitta di un attimo di distrazione del suo osservatore per scivolare giù dalla poltroncina di velluto e fino in fondo alla sala.
Ovviamente non sa ancora cosa farà a questo punto. In hotel c’è una certa agitazione, se n’è accorta, un mucchio di gente che si muove avanti ed indietro, un mucchio di persone impegnatissime che la incrociano e la degnano di sguardi distratti ed indaffarati prima di riprendere a parlare al proprio cellulare correndo via. Si fa scudo di una sfrontatezza che sente solo in parte e continua a vagare aspettando il momento in cui le verrà chiesto chi sia e cosa voglia, nel frattempo tende le orecchie e cerca di captare “qualcosa di sospetto”.
-Ma ci hai parlato?
-Con chi?
-Con quello!
-…quello chi?
Si blocca al centro del corridoio, tesa e con un sorriso carico di aspettativa già sulle labbra.
La prima voce, più roca e sguaiata, riprende a parlare velocemente e lei fa un po’ di fatica a seguire nonostante in inglese sia sempre stata perfetta, come dicono orgogliosamente sua madre e l’insegnante a scuola.
-Ma è mai possibile che in questo dannato posto, ogni volta, sia sempre la stessa storia?! Mi devo occupare di tutto io? No, perché si da il caso che ormai i tre quarti delle cose tocchino a me e poi sono cazzi per tutti se non sono pronte in tempo! E tra quattro ore abbiamo un cazzo di concerto! Ed indovina un po’! ancora quei tre idioti non sono manco tornati dalle prove ed a me tocca preoccuparmi pure del loro after-show party! ‘Fanculo!
Si sporge oltre la curva che il corridoio disegna in prossimità degli ascensori.
“…ci siamo”, pensa stordita.
Uno dei due uomini ha in braccio qualcosa, una scatola enorme che regge a fatica. L’altro è grosso e sembra arrabbiato, sospetta che la voce roca e sguaiata fosse la sua; il tipo con lui non sembra intenzionato a ribattere allo sproloquio che gli è toccato subire, continua a camminare fissando dritto davanti a sé gli ascensori e l’altro gli va di fianco e preme per chiamarne uno.
-Non fissarmi con quell’aria!- si decide a sbuffare il tizio con lo scatolone mentre aspettano che l’ascensore arrivi al piano – Ho capito! Appena porto su questa roba, chiamo!
Quando le porte si chiudono alle loro spalle con un suono leggerissimo di campanello, lei scatta avanti e punta il naso all’indicatore del piano.
Quarto…quinto…sesto…Al quattordicesimo piano l’indicatore si blocca. Sciaccia di botto il pulsante e resta in attesa. Ad aprirsi, stavolta, sono le porte di fianco, ci entra senza neppure pensarci.
-Che piano, Miss?- chiede educatamente l’addetto all’interno.
-Quattordicesimo.- risponde sicura, sollevando la testa e puntando lo sguardo alle porte con aria sdegnosa.
Le sembra il viaggio più lungo della sua vita. Quando arriva in cima deve contenersi per non correre semplicemente fuori, temendo di aver già perso di vista le sue due inconsapevoli guide. Aspetta che l’ascensore si chiuda di nuovo alle sue spalle e poi scatta in avanti, inseguendo la scia lontana di quell’inglese dall’accento fortissimo. Li ritrova ad una svolta, uno sta uscendo da dentro una stanza con il numero indicato in lettere dorate, ha lasciato la scatola, l’altro lo ferma quando fa per mettersi la chiave magnetica in tasca.
-No, che poi ti dimentichi di lasciarla alla reception.
Mentre loro tornano indietro lei cammina avanti, incrociandoli a metà del corridoio senza guardarli. Sola davanti alla porta il sorriso è diventato più sicuro.
-Bene!- esclama soddisfatta sfregandosi le mani- …ora come entro?
***
-O.k….o.k….o.k….No, non ti sto prendendo in giro. No, non lo sto dicendo per compiacerti. No, non intendo proseguire questa discussione. Sì, va bene, ciao.
Interrompe la comunicazione e spegne il cellulare in unico gesto. Un’ora e mezza di silenzio! Con un sospiro abbandona l’iPhone e la chiave magnetica sul tavolino tra i divani nella zona living e registra distrattamente la presenza dello scatolone che ha affidato ad ora di pranzo ad Oliver perché glielo portasse in albergo. La metà della roba lì dentro non gli appartiene nemmeno, riflette. Si toglie la giacca e sfila gli occhiali da sole da sopra la testa, posando tutto sul mobile TV mentre si dirige al bagno. Una sciacquata veloce alle mani ed al viso, si asciuga le dita assaporando la sensazione fresca dell’umidità sulla pelle e torna in camera da letto, stendendosi con un secondo sospiro, stanco e pieno, sulle lenzuola profumate di bucato.
Ad occhi chiusi e mani incrociate sulla pancia l’unica cosa che lo avvisa della sua presenza è una sensazione. Solleva le palpebre per vedersela ritta ai piedi del letto, l’aria corrucciata ed uno sguardo combattivo puntati fieramente su di lui. Si tira a sedere contro la testata imbottita e la osserva meglio.
È…carina. Vorrebbe dire “bellissima” ma si sentirebbe sporco a farlo. È magra. Tanto magra per la sua altezza. Con le gambe lunghissime e sottili che spuntano nude da sotto la gonnellina a fiori davvero troppo corta. Una felpa vecchia con il disegno di stelline sbiadite e sotto una maglietta leggera, quasi trasparente, attraverso cui non ha alcuna difficoltà ad intuire il seno acerbo, piccolissimo. Ha gli occhi enormi ed azzurri come ne ha visti poche volte nella sua vita, che gli danno una sensazione piacevole di familiarità, una bocca piena e di una tonalità di rosa delicato, una massa di capelli ricci, decisamente lunghi e spettinati, che le avvolgono il corpicino fino a metà della schiena e cascano un po’ da tutte le parti in modo disorganico ed affascinante. E poi ha quell’aria da guerriera bambina che fa sorridere.
-Sei quello sbagliato!- sono le sue prime parole in un inglese fortemente accentato.
Dominic inarca le sopracciglia, perplesso:
-Prego?- chiede gentilmente.
Lei non sembra intenzionata a rispondergli. Si guarda attorno muovendosi rabbiosamente, mordicchiando la punta di un dito mentre si arruffa i capelli con l’altra mano.
-Aaah.- prova a richiamare la sua attenzione Dom- Senti…non so chi tu sia e, credimi, sarei felicissimo di saperlo, ma sei decisamente troppo illegale perfino per me…quindi…
Lei si volta ed il suo sguardo è talmente freddo ed arrabbiato che Dominic si zittisce quasi d’istinto. Lei gli punta addosso un dito e si avvicina minacciosa.
-Dov’è il tuo cantante?!- chiede inquisitoria.
Lui ci pensa su. Ci pensa su seriamente, mentre fissa il ditino con le unghie dallo smalto blu scheggiato e scolorito, perché quella storia sta prendendo una piega decisamente…
Scoppia a ridere. Ci prova a rimanere serio quando la vede rabbuiarsi ancora di più, ma proprio non ci riesce. E la sola idea di Matt alle prese con quella specie di piccola furia bionda è talmente esilarante che è quasi tentato di accompagnarla davvero da lui e vedere di nascosto l’effetto che fa. Se lo meriterebbe! Soprattutto dopo la sceneggiata che ha tirato su durante le prove.
-Sei troppo illegale anche per lui.- afferma, invece, quando riesce a riacquistare un minimo di serietà. E gli viene spontaneo sorriderle, quasi a mo’ di scusa.- Se vuoi un autografo, vedo di fartelo fare io e te lo porto. Oggi non è proprio giornata con Matt.
-Un autografo?- la sente ripetere sconvolta.- Che accidenti dovrei farmene di un autografo?!- sbotta.- Manco mi piacete!
-…prego?- torna a ripetere Dominic, inarcando ancora le sopracciglia sempre più perplesso.
La valchiria quindicenne si fa indietro, marciando indispettita per la stanza – avanti ed indietro di fronte al suo letto – e facendolo sentire vagamente “prigioniero”.
“Per arrivare alla porta devo superarla per forza…”
La stupidità di quel pensiero lo urta e Dom sbuffa ed incrocia le braccia al petto per resistere alla tentazione di afferrare il telefono sul comodino, comporre il numero della reception e chiedere che vengano a prendere quella pazza e la riaccompagnino dai suoi degni compari giù in strada.
-O.k, di mitomani ne ho incontrati nella mia vita, sia chiaro, ma tu li stai battendo quasi tutti. Se non sei una fan – inizia con calma – e non sei qui per un autografo, mi spieghi che ci fai nella mia stanza, per favore?
Lei gli getta un’occhiata trasversale e Dominic prova ancora la fastidiosa – stavolta – e pungente sensazione di qualcosa di familiare, ma riconduce quel fastidio più all’ansia che sente ad avere una…ma ci arriverà a quindici anni, quella lì?!
-O.k., basta!- decide rapidamente, tirandosi in piedi di scatto.- Ora te ne vai da qui.
Quando prova a metterle una mano sul braccio, lei si scosta come scottata fino a mettere nuovamente l’intera lunghezza del letto tra loro. Dom la guarda, mani sui fianchi e tanta pazienza.
-Ragazzina, ho avuto una giornata davvero difficile e…
-Anche io!- ribatte fieramente lei, puntando il mento nella sua direzione.
Lui le ricambia lo sguardo, stupito, soppesando l’affermazione e le proprie reazioni.
-…sì.- conclude cautamente.- Non ne dubito. Però, sta di fatto che io tra nemmeno due ore devo andare a lavorare e tu mi stai portando via tempo che avrei volentieri utilizzato per una doccia e per rilassarmi un po’.
-Sei tu che mi stai facendo perdere tempo!- reagisce lei- Se mi dicessi dove posso trovare il tuo cantante…
-Immagino che sia nella sua stanza a riposarsi, lui!- ritorce Dom appena più seccamente.- Ha la capacità sovrannaturale di rifilare al prossimo le sue rogne e, a quanto pare, ci riesce anche quando non sa di starlo facendo!
-Stronzate! Io devo parlarci!
-Tu devi?!- ride Dom. Ma lei non ride affatto e Dominic sospira ancora e si passa una mano sul viso.-  Va bene…- mormora rassegnato - Se ti porto da Matthew, mi prometti che gli dici quello che gli devi dire e poi te ne vai in fretta e buona buona come sei arrivata?- prova a contrattare.
Lei sorride.
-Se mi porti da Matthew,- ribatte calcando in modo ridicolo sul nome- sarà lui a non volere che io me ne vada.
-Questa poi…! Muoviti!- ordina infastidito il batterista, allungando il passo verso la porta ed afferrando al volo la chiave magnetica dal tavolo.- Devo essere impazzito!- borbotta chiudendo il battente alle spalle di entrambi quando lei lo segue quasi correndo e tutta un sorriso.
Davanti alla soglia dall’altro lato del corridoio, la ragazzina si blocca come intimorita, fermandosi qualche passo più indietro. Dom recepisce la cosa a livello inconscio, ma ha le nocche già sul legno e picchia delicatamente un paio di volte.
-Beeells!- chiama per essere certo di ricevere risposta.
Nei minuti che ci vogliono per ottenerla, Dominic torna a guardare la sua accompagnatrice per confermare la sensazione iniziale: non sembra così sicura di sé, ora.
-Non avevi detto che non avevi voglia di proseguire la discussione?- lo canzona la voce beffarda del suo cantante, approdando improvvisa sulla soglia della stanza.
Dom lo fissa di sbieco e poi torna a guardare la ragazzina.
Matthew si affaccia anche lui e recepisce la sua presenza, interrogativo.
-Cos’è?
-Un cane.- risponde Dominic con tranquillità. Lo spinge dentro di malagrazia, mano puntata al petto, e poi si fa strada con lei all’interno della stanza.
-Toh, a me sembrava proprio una bambina!- ridacchia Matt, dirigendosi al mobile bar.
-Che spirito di osservazione!- esclama Dom realizzando che lei li ha seguiti dentro con una risolutezza nuovamente spavalda. Eppure è certo di averla vista vacillare, un attimo fa, di averla vista sul punto di voltarsi e scappare…
Matt si sta versando da bere e li osserva divertito.
-Quindi, chi sarebbe?- indaga ancora.
Dominic si trova un posto comodo sul bracciolo di uno dei divani e scruta la scena da lì. Lei se ne sta a pochi passi dalla porta di nuovo chiusa, girando attorno lo sguardo, curiosa ed attenta.
-In realtà non ho nemmeno pensato di chiederle come si chiama.- confessa il batterista con semplicità.
La vede voltarsi a sorridergli velenosamente:
-Cosa ti fa credere che te lo avrei detto?- chiede flautata.
Matt scoppia a ridere ed avvicina il bicchiere alle labbra.
-Questo cane comincia a piacermi!- afferma ironicamente prima di prendere un sorso- Ti prego, chiediamo a Tom se possiamo tenerla!
-Ne abbiamo già discusso, Matt, ricordi? Ha detto che non possiamo adottare fan sperduti in giro per il mondo, specie se minorenni.
La ragazzina batte ritmicamente un piedino contro il parquet.
-Non sono una vostra fan, come devo dirtelo?- lo riprende.
-Questa è la parte migliore!- afferma Dom con uno sguardo complice all’amico ed additando la ragazza.
-Ma dove accidenti l’hai trovata?- indaga Matthew, sempre più divertito.
-Nella mia stanza.
-…e non ci hai fatto niente, vero?
-Matt, sei disgustoso.
È ancora la voce delicata ed insieme sferzante della piccola ad interrompere quel breve scambio di battute e la risatina sottile di Matthew.
-Sai, sei molto simile a come ti immaginavo.- afferma quasi trionfante.
Lui si volta a guardarla, affatto impensierito, e sorseggia ancora il vino nel bicchiere prima di chiedere educatamente:
-E come mi immaginavi?
-Stronzo.- è la riposta lapidaria.
Ed è il turno di Dominic di ridere sotto lo sguardo stupito dell’altro.
-Oh, Matt, senti com’è carina! – lo prende in giro facendogli il verso- Possiamo tenerla?!
- …ah-ah…
-Beh, poco male, ragazzina, - prosegue, poi, il batterista, pacato - ora sei qui, digli quello che devi dire e poi mantieni la tua promessa.- esige.
-Che promessa? Volevi parlarmi?
-Certo che volevo parlarti!- sbuffa lei, nuovamente infastidita.
-Sì, ma scusa…- borbotta Matt afferrando una sedia e girandola al contrario per sedercisi ed appoggiarsi allo schienale con le braccia, il bicchiere ancora tra le dita che oscilla pericolosamente sul bordo di legno scuro - se non sei una nostra fan e non sei qui per un autografo…che accidenti ci facevi nella sua stanza?
-Comincio a credere al belldom.- è la riposta smozzicata che lei gli concede. Si sfila la tracolla dalle spalle come fosse troppo pesante per continuare a sostenere la discussione con quell’onere addosso e si scorcia le maniche.- O.k., facciamo le cose semplici, mh?- esordisce in tono spiccio - Mi chiamo Whiskey, non sono una vostra fan e tu sei mio padre.
Il silenzio piombato che li avvolge tutti e tre ha decisamente qualcosa di familiare per Dominic, per l’esattezza il colore troppo trasparente, troppo limpido e troppo irridente di due occhi enormi ed azzurri come un cielo estivo.
-…se è uno scherzo, non fa ridere per niente.- commenta apatica la voce di Matthew.
***
-Eva ucciderebbe per essere al mio posto.
Matt si passa stancamente una mano sugli occhi, sospirando da dietro le palpebre chiuse e prendendo poi fiato. “Conta fino a trecento, ricorda che è una ragazzina e poi rispondile”, si ripete mentalmente. Ma fino a trecento proprio non riesce ad arrivare.
-Chi accidenti è Eva?- domanda atono, senza voltarsi a guardarla e senza aprire gli occhi.
La può quasi visualizzare. Seduta sul divano dove l’ha piazzata Tom – quando lui e Dom si sono ripresi a sufficienza dallo shock per chiamarlo e farlo correre nella sua stanza – che oscilla quelle gambette magre avanti ed indietro nella posa composta di una brava bimba di città e lo guarda con quel sorrisetto malefico ed ironico che le ha visto in faccia nell’attimo stesso in cui ha detto di essere…Cristo Santo!
-L’amministratrice di un forum di vostri fan su internet.- sta rispondendo compitamente. È diventata decisamente più mansueta dopo avergli calpestato con nonchalance l’esistenza.- Lei ha un’autentica adorazione per te. Penso che darebbe un braccio per essere qui al mio posto.
-Io non credo.- sibila lui, voltandosi di scatto e socchiudendole addosso uno sguardo di fuoco.
Whiskey…ammesso che sia davvero il suo nome, incassa con una risatina e scrolla le spalle. Se è suo padre ha il diritto di tirarle un ceffone?
…ma che cazzo…?! lui non è suo padre!
-Matt, parliamone seriamente.- interviene la voce alterata di Tom. Non lo invidia, i casini sono tutti suoi quanto a gestione. Ma comunque è quasi certo che l’altro non invidi lui in questo momento. Finisce il vino in un sorso solo e si volta.- E’…possibile?
-…che diavolo vuoi che ne sappia?!- strilla. Si alza di scatto dalla sedia, allontanandola bruscamente da sé e facendosi minacciosamente incontro alla ragazzina, tanto che Dom prova quasi l’impulso di afferrarlo prima che faccia qualche cazzata. Si trattiene appena in tempo- Quanti anni hai?- la interroga aspro.
-Quattordici.
-Quattordici, significa che dovresti averla avuta…- fa il conto Dom alle sue spalle.
-Nel 2000.- risponde Tom per lui.- Tua madre è tedesca, vero?- le chiede più gentilmente.
Whiskey li fissa con la stessa espressione che si userebbe con delle persone molto stupide che hanno appena formulato una domanda molto stupida.
-Non fate prima a chiedermi chi è mia madre?- suggerisce.
-Se ce lo vuoi dire e non è un altro modo per tirarci scemi…- commenta Dom a mezza voce.
Lei sospira pazientemente e scuote il capino.
…quella cosa del ceffone è ancora valida?
-Mi chiamo Whiskey Dable.- inizia lei, guardando, poi, Matt in attesa che dica qualcosa. Lui le ricambia lo sguardo e lei sospira ancora.- Mia madre era Patricia Dable e lavorava all’“Old Dubliner”.- aggiunge.
-…quindi?- domanda Tom quando il silenzio si prolunga troppo.
-Quindi sì, potrebbe essere mia figlia.- risponde Matt.
Se avesse annunciato di essere lui stesso un alieno e di essere stato mandato in avanscoperta dagli Zeta per verificare la fattibilità di un’invasione con tutti i crismi, Whiskey è quasi certa che avrebbe ottenuto una maggiore considerazione.
Dominic scoppia a ridere istericamente, rotolando sul bracciolo che non ha mollato da quando è entrato dalla porta e scivolando fino a ritrovarsi semisdraiato tra divano e pavimento. Cosa che, comunque, non lo convince dell’opportunità di smettere di ridere, rimettersi dritto e prendere quella cosa con un minimo di…serietà? Tom ruota lo sguardo, spalancato ed incredulo, da Matt al batterista, alla ragazzina e sembra incapace di articolare un pensiero di senso compiuto senza che questo debba strozzarglisi in un punto imprecisato tra l’ipotalamo e regioni più razionali del cervello. Matt non la molla un attimo.
Quegli occhi attenti e vigili, decisamente arrabbiati, cominciano a metterla a disagio. Whiskey non pensava che avrebbe provato una simile sensazione davanti a lui, ma in realtà non aveva nessuna idea di che sensazione avrebbe provato. Si decide ad accettare le cose per come vengono e spinge giù il groppo che sente in gola, deglutendo a fatica ma mantenendo la stessa aria strafottente e derisoria che lui le ha ispirato da quando lo ha sentito parlare la prima volta.
“…parlare davvero. Non sei davanti ad un’intervista registrata di quelle che Eva e Bas ti costringono a vedere ogni tanto.”
-O.k.- mormora Matt spezzando a metà quel silenzio rotto solo dalle risa di Dominic in sottofondo. Un sottofondo che diventa soffocato mentre il batterista s’impone l’obbligo di trattenersi ed ascoltare quello che l’amico sta per dire. Lui non si volta nemmeno.- Uscite da qui.- ordina.
-…come?
Dominic smette definitivamente di ridere, anche se un sorrisetto assurdo proprio non si decide ad andare via dalla sua faccia e Whiskey lo trova quasi simpatico.
Matt si gira verso di loro.
-Hai capito benissimo, Tom, uscite.- ribadisce – Tu no.- aggiunge poi allungando una mano ed un’occhiata verso di lei, che già ha fatto segno di voler eseguire.- Me la sbrigo io.- aggiunge rivolto al compagno di band ed all’amico.
-Te la sbrighi…?!- inizia il manager alzando progressivamente il tono.
-Tom!
Whiskey ride e loro si voltano di nuovo.
-Ora capisco perché Eva dice che sei un tiranno autoritario, oltre che un megalomane arrogante.- afferma pacata.
Matt sorride di sbieco, per nulla divertito.
-Ed Eva è la nostra fan, eh, quella che mi adora!- osserva.- Ragazzina, non me frega un tubo delle tue amichette psicopatiche!- ci tiene a precisare.
-Neanche a me della tua opinione su di loro.- ribatte Whiskey facendo spallucce.
Dom soffoca l’ennesima risata nella mano e Matthew gli lancia un’occhiataccia.
-Sai, ora che ci penso noto una certa somiglianza.- lo deride il biondo.
-FUORI!- ringhia Matt, perentorio, additando la porta.
Tom afferra Dominic per la collottola e se lo trascina dietro mentre procede rapidamente verso l’uscita.
-Matt, non finisce qui!- specifica intanto, trottando incavolato fino al battente e spalancandolo di malagrazia per scaraventare il batterista in corridoio e voltarsi a fronteggiare l’altro.- Questa cosa è…è…u..un casino!- sbotta, uscendo subito dopo e chiudendo dentro Matthew e la ragazzina.
-Va bene.
Whiskey inarca le sopracciglia e lo guarda. Matthew posa il bicchiere vuoto sul mobile bar e le va incontro. Recupera al volo la sedia, la piazza a mezzo metro dal divano, ci si accomoda a braccia conserte e gambe accavallate e le ricambia lo sguardo.
-Cosa vuole tua madre da me?
Di tutte le cose di questo mondo che Whiskey si sarebbe immaginata di potergli sentir dire, quella proprio non l’aveva presa in considerazione.
-…mia madre?- ripete senza capire.
-Beh, non riesco ad immagine nessun altro, a parte lei o te…ma sei troppo piccola per aver fatto tutto da sola, che possa guadagnarci qualcosa da questa storia.- osserva Matt tranquillamente.
Whiskey incastra le dita sulla pancia, appoggia i gomiti al bracciolo e sui cuscini del divano e gli ricambia lo sguardo.
-Sei incredibilmente e volgarmente prosaico.- nota.
-Sono realista.- obietta Matt senza offendersi.
-Mia madre non c’entra niente.
-Magari non sa nemmeno che sei qui!- ridacchia Matt scettico.
-Certo che lo sa. Non ho mai fatto niente senza che lei lo sapesse.
-Che brava bambina! Quindi approva il fatto che tu ti introduca con l’inganno nelle camere di albergo altrui? A proposito, come hai fatto ad entrare in quella di Dom?
-Ho raccontato alla cameriera di servizio al piano che avevo dimenticato dentro la chiave e che papà si sarebbe arrabbiato moltissimo se non l’avessi recuperata.
Lui annuisce, quasi compiaciuto:
-Giusto! Per cui sei qui di tua spontanea iniziativa…- riprende poi, spolverandosi con il dorso della mano il risvolto dei pantaloni e mettendoci un mucchio di attenzione nel farlo.- …e potrei saperne la ragione o…?
Whiskey si stringe nelle spalle ancora una volta. Matt intercetta la manovra osservandola di sottecchi, torna a sollevare su di lei il proprio sguardo e lei lo ricambia con una tranquillità ammirevole.
-…tua madre cosa ti ha detto?- sussurra a fatica visto che lei resta in silenzio. Non sa da dove gli sia venuta proprio quella domanda e non un’altra.
Lei sorride, cattiva.
-Che sei esattamente come ti immaginavo!- esclama allegramente.
-..stronzo.- le fa eco lui in un sospiro.
-Esatto, Matthew!
Fa strano.
Matt ci rimane di sasso. Eppure non è così assurdo, no? Sarebbe stato più assurdo se lei lo avesse fatto, se lo avesse chiamato “papà”. Ma non ha mai usato il suo nome dall’inizio della loro conversazione. Mai. Ed ora le viene così spontaneo mentre lui…
Cosa accidenti si aspettava lui?
***
Si sentiva ancora gasato dal concerto. Dominic, Chris e Tom li aveva persi almeno un’ora prima, quando erano ancora dalle parti dell’hotel con i Bush. Anche lui sarebbe dovuto rimanere con i Bush.
“Sono i Bush!”, si era ripetuto ancora incredulo. Ogni volta che Gavin faceva tanto da avvicinarglisi, lui doveva farsi violenza per non scappare dalla parte opposta o, in alternativa, per non saltargli al collo, mettersi a piangere come una quindicenne ormonalmente instabile e chiedergli di sposarlo.
O.k., adesso la cosa la gestiva appena un po’ meglio – lui aveva fatto i complimenti a loro, quella sera. Poteva morire felice! – ma a quanto pareva era il resto che non riusciva a gestire altrettanto bene. Tipo…l’alcool. Troppo alcool. Non era ubriaco, no, ma era brillo. Tanto brillo.
…magari appena appena, quasi ubriaco, ecco.
Vabbe’, comunque non era tutta colpa sua! Si era allontanato solo perché quella tizia carina…quella che era nel backstage e nessuno sapeva come ci fosse arrivata, gli aveva chiesto se voleva andare a farsi un giro con lei. E lui…un po’ ingenuamente, aveva creduto che “un giro” equivalesse ad una scopata e l’aveva seguita. Niente da fare, lei si era dileguata da qualche parte quando erano arrivati in quel posto e lui si era ritrovato da solo a bere, seduto al bancone del peggior pub irlandese che tutta Berlino…no no, tutta la Germania! o il mondo intero! potessero offrire.
-Ragazzino…sei sicuro di stare sulle tue gambe?
Matt si voltò verso il vocione roboante dell’enorme oste e gli ricambiò vacuo lo sguardo.
-…sì.- affermò. Poi ci pensò su meglio, rimanendo dritto come un fuso giusto per non essere smentito subito.- Credo.- corresse.
-Ed io credo che sarebbe meglio se andassi a casa.- asserì l’uomo con studiata lentezza.
Matt piagnucolò un “nooo!” che avrebbe intenerito un sasso, ma il bestione – il cui accento era inequivocabilmente gallese, e qui si apriva una serie interminabile di interessantissime domande, nessuna delle quali riusciva a superare gli strati di fumo ed alcool nella testa di Matt – lo ignorò a bella posta.
-L’ultimo e vado a casa!- contrattò Matt mettendo su la propria espressione più seria e adulta.
L’uomo rise e scosse la testa. Doveva averne visti di mocciosi ubriachi nella sua vita, ma evidentemente giudicò Matt ancora in grado di “intendere e volere” e si lasciò convincere.
-L’ultimo.- acconsentì.- E lo offre la casa. Dable!- gridò all’indirizzo di qualcuno di biondo, e magro, e con delle grandi tette in una piccola maglietta, che si voltò verso di loro mentre passava tre pinte ad una delle cameriere da sopra il bancone.- Pat! Servi il ragazzino, qui.
Lei aveva anche occhi grandissimi, castani, e capelli ricci, corti, che le avvolgevano un visino arrossato dal calore infernale di quel posto e, magari, da qualche pinta di birra in più che non arrivava oltre il bancone.
Gli sorrise in un modo che Matt giudicò “letale”.
-Ciao, ragazzino!- si sentì canzonare dalla voce fresca e melodiosa di lei.- Cosa ti porto?
-Siamo in un pub irlandese…- iniziò ad argomentare – whiskey irlandese.
-Giusto.
-Whiskey.- ribadì Matt puntando il dito contro il legno del bancone mentre lei rideva del suo tono serio e cerimonioso.- Doppio.
-Oddio! Sei sicuro di reggerlo?
-Svariati bicchieri fa, sì.- ammise Matt.- Nel caso dovessi svenire, avrò scoperto il mio limite.
-Allora è una sfida.- sorrise lei, facendogli l’occhiolino e voltandosi a scegliergli da bere.
Aveva anche un signor culo. “Buonasera, Sig. Culo, lo sa che quei jeans le stanno una favola?”, pensò Matt, appoggiando il viso alla mano e godendosi il panorama mentre lei si allungava per raggiungere una bottiglia particolarmente in alto. Purtroppo – almeno per la mente annebbiata di Matt – si girò in fretta.
-“Pat” sta per…- s’interessò mentre lei gli versava da bere.
La sentì ridere ancora ed immaginò che non gli avrebbe risposto, invece lei gli posò il bicchiere davanti ed uno sguardo divertito addosso e Matthew si sentì sciocco, “piccolo” e fuori luogo. Ma resistette stoicamente.
-Patricia.
-Oh!- osservò lui.- Hai anche il nome adatto per lavorare qui dentro!
-E’ un luogo comune un po’ stupido.- dichiarò lei, senza offendersi.
-Non lo diresti se avessi tre cugini, quattro zii ed un nonno che si chiamano Patrick nella famiglia di tua madre.
La risata che le strappò stavolta gli piacque di più e si portò via buona parte del suo imbarazzo. Bevve un sorso assaporando contro il palato e la lingua il gusto dolce e fruttato e si appoggiò al bancone con un sospiro soddisfatto.
-E tu? ce l’hai un nome, ragazzino?- chiese lei con un sorriso brillante.
Matt ridacchiò stupidamente:
-Ragazzino.- rispose.
-Uhm…e non ne hai uno migliore?
Matt scosse la testa con moltissima partecipazione e poi la guardò con aria seria, indicandola con il bicchiere:
-Non per ora. - Vide Patricia inarcare le sopracciglia sulla punta di una domanda che non le diede il tempo di formulare, scoppiando a ridere vivacemente. – Quando sarò famoso! – esclamò con convinzione – E varrà la pena saperlo, il mio nome!
-Famoso?!
-Io e la mia band.
-Suoni in una band?!- sbuffò lei, mutando il tono scettico di poco prima in un piacevole entusiasmo.
Matt annuì, prendendo fiato ed un bel sorso in un colpo solo, e poi posò rumorosamente il bicchiere sul tavolo, ricambiando lo sguardo che lei gli rivolgeva con interesse completamente nuovo. Patricia allungò una mano dietro di sé ed afferrò al volo uno sgabello, avvicinandolo al bancone e sedendosi proprio di fronte a lui.
-Suono anche io.- spiegò- Avevo anche una band quando abitavo al paese con i miei. Poi l’ho mollata per trasferirmi qui a Berlino. Tu cosa suoni?
-Chitarra. Un po’ il piano. E canto.- elencò asciutto Matthew, incrociando le braccia e sorridendole. Lei era veramente carina, notò concentrandosi finalmente sui suoi occhi accesi e sulle labbra strette ma brillanti…umide.
-Suono la chitarra anche io! Ah, mi piacerebbe un sacco sentirti!
-Beh, abbiamo fatto uno spettacolo stasera.
-Sul serio? e dove?
-Columbiahalle.
-…c’erano…i Bush, stasera…- la sentì mormorare perplessa.
Rise di nuovo, si nascose nel bicchiere ed annuì, imbarazzato ma anche un po’ soddisfatto. Non era ancora come essere “famosi”, però sembrava un…assaggio interessante.
-Aprivamo il loro concerto.- spiegò dopo.
Gli occhi di Patricia diventarono enormi, puntandoglisi addosso con un’ansia quasi famelica, e Matt indovinò da solo quello che lei gli disse dopo.
-Sono una delle mie band preferite ed io ero bloccata qui!
-Sono anche una delle mie band preferite.
-…no!- sbottò dopo un secondo di perfetto silenzio - Tu devi raccontarmi tutto! – lo incalzò, facendolo ridere ancora. – Com’è Gavin? Amo quell’uomo! Ha un tale carisma e poi la loro musica…!
Prima che Matthew potesse anche solo pensare di fermare il fiume in piena che le parole di Patricia rischiavano di diventare, il vocione roboante del proprietario del locale tornò a tuonare sopra le loro teste.
-Dable!- arringò brusco.- Ci sono dei tavoli da servire e delle birre da spillare! Farai salotto più tardi!
Matt intuì che il fatto che l’uomo le si fosse rivolto in inglese – così che non ci fossero fraintendimenti – era chiaramente “un’accortezza” nei suoi confronti. Patricia si alzò sbuffando.
-Accidenti…- la sentì borbottare, contrariata.
-Sembra un negriero.- provò ad intromettersi Matt.
Pat lo guardò e scosse il capo.
-No, però ci tiene che il lavoro venga prima di tutto. Senti,- aggiunse poi - sei di fretta? Se puoi aspettarmi, io stacco tra un’ora…al massimo due…
Matthew si strinse nelle spalle.
-Ti aspetto.
L’immagine del suo sorriso mentre si voltava e tornava a servire rimase impressa sul fondo del bicchiere.
***
Whiskey…gli fa…specie chiamarla così. Davvero. Ma lei si ostina a non offrire un nome migliore a cui fare appello e lui ha troppa fretta e troppa poca voglia di averci a che fare per preoccuparsi di stare al suo gioco. E poi spera, inconsciamente, che assecondandola se ne libererà prima. Magari subito.
Anche se sul punto lei è stata chiara: “sono qui per conoscerti”, ha detto, “sono stufa di sapere che esisti e basta”.
“Vuoi qualcosa da me?”, è stata la risposta che ha sentito dare alla propria voce. Velenosamente, con lo scopo preciso di allontanarla il più possibile.
Lei ha scosso le spalle senza farsi ferire o impensierire dal suo tono. “Niente”.
Esattamente come fino ad oggi”. Lei non lo ha detto – è quasi certo che non lo abbia neppure pensato, non ad un livello cosciente – ma era lì. Una frase pesante di quelle che non passano mai indolori. Forse dovrebbe addirittura ringraziarla della cortesia di non averla pronunciata – pensata – a voce alta (a “pensieri spiegati”).
…beh, comunque sia, Whiskey, in questo momento, ha preso abbastanza confidenza con la sua stanza e con lui da aver deciso di alzarsi dal divano su cui l’aveva relegata e di cominciare a gironzolare. Lui la segue con la coda dell’occhio ed intanto parla al telefono. Di quello che Kate gli sta dicendo non sta capendo una sillaba, si limita a rispondere mantenendosi sul più vago possibile per non creare “incidenti” e continua ad osservarla.
Non somiglia a Patricia. È più magra e più spigolosa, ha le gambe più lunghe, i capelli troppo ricci. Gli occhi non sono quelli di Patricia. Gli occhi…sono innegabilmente suoi. Ed è sua anche quell’aria strafottente, da impunita, quelle mani lunghissime e pallide, dalle dita talmente fragili e nervose da sembrare sul punto di rompersi.
Non è sua la bocca, quella piccola perfezione perlacea e piena che non ha preso neanche da lei, però, non da Patricia, le cui labbra erano strette e disegnate. Era come baciare…come baciare un muro, qualcosa contro cui schiantarsi e non cui appoggiarsi per trovare conforto. È innegabilmente di Patricia il biondo dorato dei capelli…
…perché ci sta pensando?
-E Bingham come sta?
Lo ha chiesto senza una ragione specifica. Il silenzio improvviso di Kate lo informa di aver appena fatto una gaffe, lei deve avergli sicuramente già detto come sta loro figlio e lui, semplicemente, non la stava ascoltando.
E Kate è tutto meno che stupida.
-Matt?- chiama lentamente, dopo un momento.- E’ tutto o.k., tesoro?
-…sì.- no, e non ha bisogno di dirlo. Whiskey si è fermata accanto alla finestra, la luce del sole entra dal balcone e la colpisce di traverso, facendola sembrare traslucida, trasparente. – Kate, sono un po’ preso, mi sa che non ho molto tempo da dedicarti…
-Sì. D’accordo. – la sente sorridere - Fingiamo che sia così. Però domani mi dirai la verità.- pretende senza nessuna aggressività.
È il bello di Kate, pensa Matt, non è aggressiva. Solo troppo intelligente, troppo ironica – ed auto-ironica – troppo adulta e troppo donna.
-Buonanotte, Matthew, e buon lavoro, soprattutto. Sarà grandioso!- aggiunge con allegria.
Quando lo dice gli sembra sempre possibile. Si ritrova a sorridere anche lui e preferisce salutarla così.
-Buonanotte, amore, ci sentiamo domattina.
Posa il telefono e si volta.
Lei è ancora lì. Sta proprio di fronte al vetro, con le braccia dietro la schiena ed i piedi nudi – gli ha chiesto prima di togliersi gli stivali, “ho caldo” ha detto – qualcosa fuori ha catturato la sua attenzione ma non sembra concentrata, solo assorta.
-Quindi?- Whiskey si volta subito, Matt si schiarisce la voce e continua – Che facciamo?- specifica.
-Non saprei. Credevo avessi un concerto.
-Appunto.
Whiskey inclina la testa e spalanca gli occhioni, come a ritorcergli addosso le sue stesse domande, e Matt sospira ed incrocia nuovamente le braccia al petto. Senza volerlo si trova a chiedersi se non lo stia facendo per paura di toccarla.
-O.k., mi pare evidente che tu non hai idea di quello che vuoi ed io non ho tempo per decidere cosa fare di te. Sta bene.- conclude sbrigativo, distogliendo lo sguardo.
Fissarla negli occhi è troppo complicato, ha uno sguardo che somiglia incredibilmente al suo – lo sa! – e lo usa con la stessa bravura, rendendosi insondabile, apparentemente innocua ed incredibilmente difficile.
Matt ne prende atto e si volta verso il telefono dell’albergo, si piega a comporre il numero della reception ed aspetta. Lei lo sente dare disposizioni per le auto, chiede che ne venga assegnata una seconda oltre quella che è già stata prenotata ed aspetta in linea che gli diano conferma. Poi mette giù e torna in camera da letto.
Whiskey lo segue e lo trova intento a tirare fuori dall’armadio dei vestiti puliti.
-Cosa stai facendo?
-Mi preparo per andare a lavoro.
-Ed io cosa devo fare?
-Non fare danni.
Raccoglie tutto, apre la porta del bagno e la guarda dalla soglia.
-Resta qui. Guarda la TV o chiama il servizio in camera e fatti portare qualcosa. Non credo ci sarà il tempo di mangiare più tardi e preferirei che non mi svenissi a metà concerto. Non hai l’aria di una che possa saltare i pasti.- la istruisce ignorando volutamente l’occhiata perplessa che, nonostante tutto il self-control, lei si è lasciata scappare a quel discorsetto.- Pensi di poterlo fare?
-…mangiare?
Matt annuisce come se fosse una risposta sensata ed entra in bagno chiudendo la porta.
-Fai davvero la doccia prima del concerto e non dopo?!- la sente chiedere da dietro il battente.
Se gli capiterà a tiro la sua amichetta Eva, le farà un discorsetto che comprenderà il gossip, il belldom ed altre simili stronzate da fangirl idiota, pensa aprendo l’acqua e coprendo con quella il rumore della televisione.
Quando arrivano nella hall Dominic sgrana gli occhi e Tom, per poco, sviene in braccio a Chris. In compenso il bassista rimane impassibile, segno che gli altri due han tenuto la cosa per sé.
-Chi è quella bambina?- lo sente chiedere Matt.
Liquida la cosa con una scrollata di mani e tira dritto in direzione delle porte scorrevoli, mentre un paio di bodyguard ben addestrate si addossano a lui ed a Whiskey, che lo segue talmente da vicino da avvertire con precisione il tocco delicato dei suoi ricci sulla pelle del braccio. Matt lo ignora, le getta uno sguardo obliquo per accorgersi che è comunque spaesata e che fissa i due omaccioni guardinga, ma lei non dice niente e lui non ha voglia di farsi raggiungere dalle domande di Tom o dalla preoccupazione di Dominic.
Le auto aspettano fuori sul piazzale ed una piccola folla di fan sta ancora presidiando l’uscita, Matt spinge Whiskey contro una delle due macchine dai vetri scuri molto prima che qualcuno possa scattare foto ed indica l’altra agli amici che lo seguono.
-E’ pazzo!- sente sbottare Tom mentre Matt s’infila a sua volta nell’auto, facendosi spazio sul sedile accanto alla ragazzina.
La portiera anteriore si richiude sulla massa muscolosa di una delle bodyguard, l’auto parte lentamente e Matt si rilassa contro lo schienale, sospirando e chiudendo gli occhi.
Whiskey, accanto a lui, si piega a sistemare le stringhe degli stivaletti. Matt solleva appena le palpebre e coglie il suo profilo delicato, una smorfia buffa che le arriccia le labbra. Sorride.
-Vuoi sapere come ci siamo conosciuti io e tua mamma?
-Me lo ha detto lei. E comunque non mi interessa.- lei non lo guarda neppure.
Matt controlla che il separé di vetro li isoli all’interno dell’abitacolo e che i due uomini che li stanno accompagnando all’Olympiastadion non possano sentire.
-Immagino come te lo avrà raccontato.- commenta ironico. Whiskey lo guarda inespressiva.- Ti avrà senza dubbio detto che ero una sciocca rockstar disinteressata che se l’è portata a letto e dimenticata il giorno dopo.
-Tu come ti saresti definito, al posto suo?- Matt si morde la lingua. Whiskey si rimette dritta contro il suo fianco, appoggiandosi indietro allo schienale e sfiorandolo nuovamente con i ricci morbidi. Matthew stringe le braccia al petto ancora un volta e la osserva.- Comunque no, non mi ha mai detto niente del genere.
-Uhm.
Whiskey resta in silenzio per qualche istante, sbirciando la strada attraverso il vetro. Si sono lasciati alle spalle l’albergo ed i fan con una certa facilità e lei non ha avuto neppure il tempo di vedere se tra loro c’erano ancora Eva o Bas. Peccato. Le loro facce al vederla assieme a Matt Bellamy sarebbero state sicuramente impareggiabili.
-Perché mi stai portando con te?- chiede alla fine, colloquiale e tranquilla.
-Voglio ucciderti e far sparire il tuo cadavere in un canale, così che tu non possa vendere la tua storia ai giornali e rovinare il mio matrimonio.
Whiskey lo fissa scettica ed inarca un sopracciglio. Matt sorride apertamente stavolta, non sa perché ma sente che la tensione – nonostante tutto – sta scivolando via un pezzo alla volta man mano che se la tiene vicina e si accorge che lei…
“E’ meno “pericolosa” di quel che pensi, Matt”, conclude divertito.
-Non so ancora che fare con te.- confessa più banalmente.
-Non devi fare niente con me, così come io non devo fare niente con te.- ritorce lei, spiegando la cosa con lo stesso tono che userebbe con un bambino un po’ tonto e corredando la spiegazione con una gestualità vivace delle mani che lo fa sorridere.
-Va bene. Tu volevi vedere che tipo ero, no?- prova ancora.
-Comincio a credere che in realtà sia tu a voler sapere qualcosa da me.- sospira lei scuotendo la testa, affatto convinta, e tornando a voltarsi verso il finestrino in cerca di qualcosa di più interessante.
Arrivano allo stadio nel più completo silenzio. Quando la macchina viene assalita all’ingresso, tra i flash dei fotografi e le urla dei fan, Whiskey balza indietro sul sedile con un gesto istintivo e fissa ad occhi sgranati quella follia collettiva consumarsi con una ferocia esaltata che la sconcerta. Matthew la osserva e ridacchia, ma lei non è intenzionata a dargli soddisfazione e gli butta un’occhiataccia prima di recuperare tutta la propria compostezza, sistemandosi rigidamente contro il sedile. L’auto riesce ancora una volta a fendere la ressa ed approda con tranquillità all’area più interna dei parcheggi, dove poco dopo li segue anche la seconda berlina scura con il resto dei componenti dei Muse.
-TU!
Matt non sembra particolarmente intimidito, nota Whiskey mentre vede Tom lanciarsi fuori dalla macchina prima ancora che sia del tutto ferma sul piazzale e venire loro incontro a passo di carica. Dom lo segue da presso e Chris li guarda da lontano ma, dal modo in cui la scruta, come se vedesse un esponente delle specie aliene di cui il suo frontman parla spesso e volentieri, Whiskey immagina che il tragitto in macchina sia stato esplicativo di chi lei sia e di cosa ci faccia lì con Matt.
-Tom, non penso che sia utile ora come ora…- sta provando ad argomentare il batterista.
L’altro non si ferma e non lo ascolta neppure. Arriva ad un passo dal cantante e gli pianta ben saldo un indice al centro del petto, punzecchiandolo in modo rapido e cattivo.
-TU!- ribadisce- Avevi detto che ci pensavi tu!- gli ricorda.
-Lo sto facendo.- è la risposta laconica di Matthew.
E lei pensa che avrebbe molto da dire al riguardo ma non sembra che ce ne sia la necessità perché Tom sbotta un “ahah!” affatto divertito e fronteggia Matt, mani sui fianchi ed aria truce.
-Se i giornalisti scoprono questa cosa, sei fottuto, Matt!- gli ricorda sprezzante.
-Credi davvero che non lo sappia?- domanda lui retoricamente. E poi fa un cenno con la testa ad indicare brevemente la bodyguard e l’autista lì vicino che li guardano senza capire.
Tom si rabbonisce. Dominic, intanto, li raggiunge e gli posa una mano sulla spalla, rassicurante.
-O.k., ora abbiamo un soundcheck ed un concerto che ci aspettano.- prova a ridimensionare la cosa. Whiskey vede Chris avvicinarsi anche lui, circospetto, e sbuffa un sorriso che soffoca nel palmo della mano e che Matthew intercetta al volo, intuendone l’origine e sorridendo anche lui di riflesso- Ne possiamo discutere più tardi e con calma. Whiskey…- continua Dom. Si mordicchia l’interno di una guancia sospirando subito dopo, quel nome stordisce un po’ anche lui.- lei starà buona e non farà casini. Vero?- prova a contrattare.
-Guardate che non ho motivi per fare casini.- osserva piana la ragazzina.- Ci sono i miei amici in mezzo al pubblico e non voglio certo mandare a monte un concerto che aspettano da mesi!
-Molto ragionevole.- conviene Dom annuendo con gravità.
-Almeno ha preso il buon senso da sua madre!- commenta Tom rassegnato.
-Chi ti fa credere che lo abbia preso da sua madre?!- ritorce Matt indispettito.
-Principio di esclusione, Bells.- sminuisce Dominic spingendolo poi verso l’ingresso dello stadio prima che possa iniziare a protestare contro il loro manager.
Tom li segue stancamente e Whiskey rimane lì ad aspettare il gigante barbuto che sta venendo cautamente verso di lei, studiandola con attenzione.
-…lo sei…davvero?- borbotta Chris quando se la trova davanti, stringendo gli occhi e scrutando il suo viso- Buon Dio! – sbotta.- Sei sul serio…?
Whiskey annuisce. Si porta un dito alle labbra per fargli cenno di tacere e poi addita di nascosto bodyguards ed autisti con aria da cospiratrice.
-Oh….Sì.- conviene Chris. Si schiarisce la voce e fa cenno verso l’ingresso dello stadio.- Andiamo?
-Dopo di lei, Mr. Wolstenholme.
***
-Non sembra pericolosa.
Dominic da voce ai pensieri di Matthew mentre, in pausa dalle prove, se ne sta in disparte tentando invano di affogarsi con un unico sorso di acqua da una bottiglietta semivuota e, contemporaneamente, osserva Whiskey, seduta su un amplificatore scollegato nel backstage, scribacchiare qualcosa su una vecchia moleskine trasandata. Annuisce distrattamente senza staccare gli occhi da dosso alla ragazzina e sente, più che vedere, il proprio migliore amico lasciarsi cadere a terra, gambe incrociate e sigaretta già pronta tra le labbra. L’odore di tabacco bruciato lo riscuote abbastanza da solleticare il suo palato, si volta ed allunga una mano.
Dominic gli passa il pacchetto e l’accendino, dicendosi che per una volta ha un motivo per assecondare le cattive abitudini dell’altro.
Matt butta via la bottiglia e si accende una sigaretta.
-Che intendi fare?- gli domanda il batterista.
-Che dovrei fare? La riporto da sua madre e tanti saluti.
Il silenzio del biondo è più difficile da accettare di qualsiasi commento, ma Matt se lo fa bastare a forza e ricaccia indietro il fastidio che sente montare mentre fuma nervosamente.
Chris si sta avvicinando di nuovo a Whiskey, sembra che lei gli piaccia – prima lo ha anche detto a Matt, voleva essere gentile, ma non è stata una buona idea comunque – la ragazzina solleva gli occhi su di lui e gli fa posto sull’amplificatore quando lui glielo chiede. Matthew vorrebbe sapere cosa hanno da dirsi, probabilmente lui le sta chiedendo cosa stia facendo e Matt si ritrova a domandarsi se non sarebbe più corretto fosse lui ad andare lì e provare ad intavolare una discussione con lei. Una qualunque.
-Credi che ci sia lei dietro questa storia?
-Patricia? No.- afferma tranquillamente Matt.
-Come puoi esserne così sicuro, l’hai incontrata una volta sola o c’era una storia tra di voi?
Matt schiocca la lingua e lo guarda come se avesse detto un’enorme idiozia.
-Come poteva esserci una storia tra di noi, Dom?! E’ tedesca e vive a Berlino! Quando l’avrei frequentata, me lo spieghi?
-Quindi è stata “una botta e via”. – conclude l’altro senza scomporsi alla sua aggressività- Non puoi escludere che ci sia lei dietro e che stia…cercando un po’ di notorietà, o soldi, o…
-Adesso?- ritorce Matt interrompendolo.- Che senso avrebbe? Lei ha…quattordici anni, Dom, poteva portarmela quando era una mocciosa, quando siamo diventati famosi ed io non avevo nessuno accanto! Che senso ha aspettare che avessi un altro figlio e che mi sposassi per farmi sapere che ho una figlia naturale. Non è neanche la prima volta che veniamo a Berlino da allora.- osserva.
-O.k., quindi è una sua iniziativa.- conviene lentamente Dominic- E che cosa vuole?
Matt non risponde. Abbassa lo sguardo sulle proprie dita e sulla sigaretta che si consuma lenta, sfrega appena uno dei calletti che le corde della chitarra gli hanno lasciato sulle dita. Il contatto ruvido da concretezza ai pensieri, riflette.
-Che c’è?- insiste Dom, afferrando al volo il sottile cambiamento nell’umore dell’altro che preannuncia burrasca.
Il fatto che lui non lo guardi quando torna a sollevare gli occhi e preferisca, invece, puntarli su Chris e Whiskey, che ridono assieme di qualcosa, è già indice di come le sensazioni del batterista siano più concrete di quanto vorrebbe.
-Magari cerca la stessa cosa che cercavo io quando sono andato da mio padre…- mormora strozzato Matt, faticosamente.
L’altro afferra al volo. Sbuffa stizzito e getta via il mozzicone ancora acceso.
-Matt.- lo chiama per poterlo guardare negli occhi con convinzione mentre dice quelle poche parole – Tu e lui siete ben diversi, no? Tu nemmeno lo sapevi che lei esisteva, fino a tre ore fa.
-Sì, ma è della sua prospettiva che ti parlo…
-Mi sembra troppo intelligente per fare considerazioni così stupide.- lo interrompe brusco Dominic. Matt si zittisce e lo sguardo dell’altro si fa comprensivo.- Non darti colpe che non hai, sua madre poteva dirti di lei e non lo ha fatto.
Matthew annuisce. Chris si è alzato e sta salutando la ragazzina, le da un buffetto su una guancia, lei sorride. Sembra felice.
-E poi non sai nemmeno se è vero…- prova a dire ancora il biondo alle sue spalle.
A quell’affermazione scoppia a ridere.
-L’hai vista?!- sbotta, trattenendosi a stento dall’indicarla all’altro.
Dom sospira.
-O.k., sì, ti somiglia.- acconsente. Matt solleva un sopracciglio: “somigliare” non rende nemmeno l’idea, Whiskey ha i suoi occhi, il suo sguardo, le sue espressioni…- Va bene. Probabilmente è davvero tua.
-Sa cose che non sa nessun altro a parte me e Patricia. Non ho mai raccontato neppure a te e Chris di lei.
Il bassista sorride venendo loro incontro.
-E’ adorabile!- esclama vivacemente quando sono ancora troppo distanti perché possa cogliere le parole che Matt e Dom si scambiano a voce bassa.
-Io penso che sia davvero la figlia di Patricia. E, quindi, penso che possa essere davvero mia figlia.
Imbraccia la chitarra rimasta immobile al suo fianco e fa passare velocemente la tracolla sopra le spalle. Dom lo osserva in silenzio, Matthew non sa cosa gli passi per la testa ma probabilmente neanche il biondo riesce ad interpretare fino in fondo le sue emozioni in questo momento.
Neppure Matt stesso riesce ad interpretare le proprie emozioni fino in fondo, in questo momento.
Non risponde a Chris, si volta e torna verso il microfono lasciando che il suono assordante della chitarra riempia lo stadio ancora vuoto ed i suoi pensieri.
***
A Eva non lo dirà mai. Non riuscirebbe più a reggerla se solo sapesse quello che sta provando in questo momento. Eppure non riesce a smettere di sorridere e non riesce ad allentare la morsa serrata con cui stringe tra le mani una delle travi che formano l’impalcatura dell’enorme palcoscenico dei Muse.
Prova a darsi una spiegazione “scientifica” di quello che sta sentendo: le luci, i suoni sparati “a mille” direttamente nelle orecchie, le scenografie fantascientifiche…!
Tom l’ha vista osservare da lontano lo spettacolo quando i Muse avevano appena attaccato la terza canzone in scaletta, l’ha spiata qualche minuto – lei se n’è accorta – poi si è avvicinato e le ha chiesto se le andava di trovarsi un punto di osservazione migliore. Quando lei ha annuito, sospettosa ed affatto convinta, l’ha portata con sé fin lassù, appena dietro le quinte, e l’ha affidata ad uno dei tecnici che sorvegliano l’esibizione.
-Se hai bisogno di me, scendi e mi vieni a cercare, ok?
È stato gentile, Whiskey credeva che l’avrebbe odiata ma non sembra farlo. Le ha sorriso ed ha raccomandato al tipo di stare attento che non si possa fare male in qualche modo. Il rischio c’è, lì dietro è un autentico delirio di gente che si muove in continuazione e di persone che non fanno che urlarsi ordini ed indicazioni l’un l’altro. Matt un paio di volte si è affacciato e se l’è presa con uno dei ragazzi alla consolle di regia – è poco dietro la postazione dove l’ha portata Tom – in una delle pause sono usciti tutti e tre, Matt, Dom e Chris, ma solo il bassista si è accorto di lei e le ha sorriso. Matthew le è sembrato completamente assente, totalmente assorto in quello che stava succedendo sul palco, come se la sua testa fosse rimasta lì anche a luci spente e chitarre silenziose. E Dom non ha fatto altro che fissarlo preoccupato.
A lei sembra un buono show. Vorrebbe chiedere a qualcuno se lo sia, non li conosce abbastanza nonostante i tentativi di Eva di farglieli ascoltare a tutti i costi, ma sembrano tutti troppo presi per fare domande stupide.
Quindi si gode quella sensazione che le scorre nelle vene, lungo la schiena, irrigidendola nella postura che ha assunto, aggrappata al palco come ad un’ancora di salvezza. Loro continuano a non piacerle - …crede – ma c’è qualcosa che riesce ugualmente a trasmetterle un brivido di piacere a tutto il corpo. Sarà il suono della chitarra o il rimbombo sordo della batteria. Sarà la ritmica gutturale del basso. Sarà che semplicemente è ferma lì dietro, ad un passo appena da un sogno fatto di luci e suono, da un’illusione potente che romba amplificata da migliaia di teste e voci più sotto. Riesce a vedere il pubblico solo in parte, la sua posizione è troppo defilata e sa – Martha glielo diceva quando provava per il saggio di danza – che “se tu non vedi la platea, la platea non vede te”. Quindi non può muoversi da lì ma può sentirli tutti: gridare, saltare e pestare i piedi allo stesso ritmo, battere le mani.
Eva dice che Matt sul palco è in un altro mondo, una dimensione in cui si accorge di loro solo distrattamente, con la coda dell’occhio. Prova a guardarlo e pensa che è vero. Ogni tanto si volta, si sforza a dire qualcosa, il più delle volte è così rigido che è Dom a metterci una pezza, morbido e gentile si rivolge loro incitandoli. Sorride. Aveva creduto che Matthew fosse una bestia da palcoscenico, ma lo è meno di quanto possa sembrare quando il suo pubblico corrisponde ad una platea ristretta di pochi intimi.
…un po’ si somigliano in questo.
Sbuffa. Sposta una ciocca di capelli da davanti al viso ed aguzza lo sguardo per non lasciarsi sfuggire niente dei movimenti scoordinati, assorti ed istintivi cui il cantante si abbandona sul palco.
Anche a lei non piace essere al centro dell’attenzione di troppe persone. Finisce per chiedersi se tutte stiano pensando esattamente quello che lei vuole pensino. Si chiede se sia adeguata, se sia davvero il posto giusto. Forse per Matt è lo stesso, chissà. In quel caso, immagina, sarebbe molto più facile fingere di essere soli quassù. Mordicchia le labbra, avvertendole spaccarsi sotto la pressione dei denti e sentendo il sapore pungente del sangue.
La chitarra geme sotto le dita esperte del suo proprietario, il suono lamentevole si perde in uno sfavillio di luci più mastodontico dei precedenti ed accompagnato dal rombo dissonante della batteria. Sorride, Dom sta solo facendo casino ed è carino vederlo tutto impegnato e soddisfatto pestare sui piatti e sui tamburi come non ci fosse un domani. Anche Chris sorride come lei, si lascia scivolare in quella jam-session improvvisata e la chiude insieme con il batterista. Matt, invece, sfila la chitarra come se pesasse quintali e, stordito e stremato, si trascina giù dal palco in un accenno rocambolesco di corsetta. Ha il fiatone, considera Whiskey nel ritrovarselo improvvisamente accanto, sudato ed ansante. Il suo odore ha qualcosa di familiare e non riesce a trovarlo fastidioso come vorrebbe, però si fa piccola contro il palco perché lui non la sta guardando e, quando anche Dom e Chris arrivano, il pensiero che riesce a formulare è solo “sono un’intrusa”.
-Grandiosi!- li saluta Tom, piombando sulla piattaforma al loro fianco talmente veloce che Whiskey pensa ci si sia materializzato. Batte una pacca poderosa sulla schiena di Matt, ancora curva mentre, mani alle ginocchia, tenta di respirare normalmente, poi si volta a sorridere agli altri due.- E’ stato grandioso!- ribadisce.
-Sì, grazie, ordinaria amministrazione.- sminuisce Dom esibendosi in un piccolo inchino aggraziato che le strappa una risatina.
Ed è risvegliare tutti dalla solita routine. Li vede voltarsi verso di lei all’unisono, Matthew di nuovo ritto, e fissarla come se dovessero mettere a fuoco la sua esistenza. Ma non dicono niente.
-Andiamo. C’è il party che ci aspetta.- afferma sbrigativo Tom, indicando l’uscita dello stadio.
Whiskey si accoda a Matthew, dietro di loro vengono Dom, Tom e Chris più lentamente. Raggiungono una stretta passerella che costeggia gli spalti. È il punto più vicino alle parterre e Whiskey ha, all’improvviso, una visione d’insieme dello spazio ellittico ricolmo di persone che i Muse hanno appena fronteggiato egregiamente e stregato con la propria musica. Trattiene il fiato e si ferma. Non saprebbe dire quanti sono, non saprebbe neppure immaginare tanta gente tutta assieme. Il senso di vertigine la assale fortissimo mentre si affaccia più vicino possibile alla cancellata improvvisata che li separa dai primi gruppetti di fan e si appende alle sbarre con entrambe le mani.
A scuoterla è il suo nome urlato a squarciagola all’improvviso.
-Whiiiskeyyy!
Sobbalza e spalanca gli occhi. A pochi metri da lei, poco più in basso, Eva e Bas si stanno facendo spazio tra la ressa a suon di spintoni. Eva è la prima a raggiungerla, gridando e saltando, e si appende come lei alle sbarre, sfiorando le sue dita in mezzo al metallo gelido che le separa. Whiskey sente il sorriso enorme che le sta tirando le labbra ed un po’ di ansia scivola via. Stringe le dita dell’amica con tutta la forza che ha.
-Eva!- ricambia.
Matthew si è voltato a cercarla. Lei non può saperlo ma è Bas ad avvisarla.
-Oh mio Dio!- strilla anche lui in tedesco - Quello è Matthew Bellamy! Questa pazza ce l’ha fatta, Eva!
Gli occhi dell’amica si sollevano d’istinto, incrociano quelli di Matt solo per un momento, perché lui è completamente disinteressato a loro e fissa furente Whiskey. Prima che qualcun altro dei presenti si accorga di ciò che sta facendo ha raggiunto la ragazzina e l’ha tirata in piedi, strappandola di peso dall’inferriata sotto lo sguardo stupefatto dei due amici.
-Che accidenti stai facendo?- le grida contro.
Whiskey lo fissa spaventata. Matt sembra non accorgersene neppure, la spinge sempre più lontano dalle sbarre oltre cui Eva e Bas seguono la scena ad occhi sgranati. È solo l’intervento di Dominic e Tom, allarmati, a riportare la cosa su un piano accettabile. Li separano con discrezione, allontanando Matt quel tanto che basta perché la sua presenza non risulti così minacciosa come la faccia della ragazzina pare testimoniare.
-Cosa credi che sia?!- gli sibila contro lui, comunque. Dom prova inutilmente a rabbonirlo, ma Matt sembra sordo anche ai suoi richiami.- una specie di sfilata? Un gioco?!- la incalza.
-Io…non…
-Adesso basta.- Chris interviene con pacatezza, un sorriso rassicurante ad entrambi e poi ai due ragazzetti che continuano a scrutarli dal basso e che vedono un pezzetto di tutto quello che hanno sempre creduto andare in frantumi. Prende Matt per una spalla e lo spinge avanti.- Sei su di giri, Bells, andiamo a farci una doccia.
-Whiskey.- la chiama Dom mentre lei, imbambolata, fissa la schiena curva di Matt sparire per prima oltre le porte degli spalti.
-…mh.- concede breve, scostando il viso per non dover ricambiare né il suo sguardo né quello dei due amici che la chiamano ancora.
Dom le posa delicatamente una mano sulla schiena e lei pensa che è un contatto rassicurante e si lascia condurre docilmente oltre la stessa porta.
***
-Lo sai che non avresti dovuto comportarti a quel modo.
Matt non risponde. Vaga per lo spogliatoio – momentaneamente adibito a camerino - come un leone in gabbia, fingendo di cercare qualcosa che non esiste per il semplice fatto che non ha voglia di affrontare Chris. Non ora. Nemmeno se lui sta lì con la sua aria più paterna ed il suo tono più conciliante.
Soprattutto se lui sta lì con aria paterna e tono conciliante!
Hanno fatto un pessimo show. Lui non ci stava con la testa, gli altri due hanno fatto fatica a stargli dietro perché continuava a perdere battute o a partire per la tangente. Lui odia fare brutti show. Odia che Tom finga di non accorgersene e gli faccia complimenti che non sono veri. Odia che Dom e Chris riescano a superare la cosa scrollando le spalle, dicendosi che la prossima volta andrà meglio e facendo tutto questo senza neppure sentire l’esigenza di dirlo ad alta voce. Non è una questione di perfezionismo, no, è che se le cose non vanno come devono andare lui non riesce a staccare. Non riesce a vivere quella cosa con lo spirito giusto, non riesce a vivere le sensazioni giuste.
Sa che è solo colpa sua. Whiskey non c’entra, lei non ha chiesto di essere messa al mondo – ma ha scelto di piombargli nella vita senza preavviso! – e lui dovrebbe avere la maturità per fare i conti con questa cosa senza lasciarsi travolgere da troppe sensazioni tutte assieme. Oscilla tra la rabbia e la frustrazione da troppo, ormai, e non può semplicemente giustificarsi dicendo che è successo troppo in fretta e che non ha avuto il tempo di metabolizzare. È successo comunque. E lei non ne ha colpa.
-Matthew.
-Lo so.- concede rapido, continuando a non guardarlo ed afferrando a casaccio dei vestiti puliti prima di puntare alle docce.
Chris non lo perde di vista.
-L’hai spaventata. Lei non ti conosce, Matt, non sa come interpretare certi…aspetti del tuo carattere.
-Vuoi dire la mia isteria?- ironizza ferocemente l’altro, aprendo completamente il rubinetto dell’acqua e lasciandola uscire finché diventi calda.
-Senti. Non vuole niente da te, Matthew, davvero. Ci ho parlato. È solo…curiosa, forse. Ecco, “curiosa” è il termine che mi viene in mente per primo.- prova a spiegare Chris con difficoltà. Ma di sicuro non gli si può rimproverare di non starci provando e Matt sospira ma accetta di voltarsi a guardarlo, braccia incrociate, appoggiato al muretto umido della doccia.- Ma non ti sta chiedendo che un po’ di tempo. Ed io credo che tu questo glielo debba. Perché non ti costerà nulla e farà bene ad entrambi.
-Credi che mi farà davvero bene lasciarmi trascinare in questo casino?!- sbotta.
-Sì.
Il tono senza esitazioni con cui lui risponde basta a sconfiggere ogni ritrosia di Matthew. Allunga svogliatamente una mano, bagnando appena la punta delle dita per saggiare con disattenzione la temperatura, e poi scrolla le spalle.
-La riporto a casa. Ma niente mi vieta di farci due chiacchiere se lei ne ha voglia.
-Ti conviene scusarti.
-Sì, certo.
-E cercare di non essere scostante.
-Non sono scostante!- protesta.
-E non essere aggressivo.
-…quando mai sono aggressivo?!
-Ed evita altri attacchi isterici.
-…c’è altro, papone?
-Bah!
La risata di Matthew è abbastanza serena perché Chris riesca a chiudere la porta senza pensieri.
***
-O.k., allora, questo è un aftershow party, qui ci si diverte e non si sta con i musi lunghi a fare da mucchietto di polvere raccolto in un angolo della stanza!
Sbuffa un sorriso che Dom le ricambia prontamente, accompagnando il tutto con l’offerta – rincuorante – di un bicchiere pieno di qualcosa di colorato che, all’assaggio, sa di succo di frutta e di limone. Dissetante, chiaramente nemmeno vagamente alcolico.
-Fai posto allo zio Dom.- le chiede il batterista.
Whiskey si stringe un po’ sul divanetto che ha occupato quando Tom l’ha portata di sotto, alla festa che è stata organizzata nel backstage ed a cui sono presenti tutti – ma proprio tutti – tranne Matthew. Dominic le siede accanto e segue il suo sguardo mentre vaga senza interesse sulla sala. La musica si porta via buona parte delle chiacchiere e delle risate di sottofondo, ma le attutisce allo stesso modo i pensieri in testa. Ed è quasi un bene.
-Regola n. 1 di quando si ha a che fare con Matt.- inizia Dom senza badare al suo faccino troppo serio. Whiskey si volta a guardarlo nuovamente e tanto gli basta. Punta il dito in alto ed inizia a spiegare- Mai farsi impressionare. Vedi, lui spiazza la gente apposta. Lo fa perché così ha un vantaggio di partenza, non riesce a giocare senza vantaggio di partenza. È molto meno sicuro di sé di quanto sembra.
-Sì, lo avevo intuito.- annuisce lei, fissando il bicchiere e bevendo un altro sorso.
-O.k. Regola n. 2, non prendere sempre per oro colato tutto quello che dice. Non è solo che è un bugiardo patologico, è che aggredisce per non essere aggredito e, di solito, non pensa mai alle conseguenze di quello che sta facendo.
Whiskey ridacchia e Dom le sorride di nuovo, sistemandosi meglio sul divanetto e passandole un braccio attorno alle spalle per stringerla un po’.
-Regola n. 3?- chiede lei.
-…uhm. Regola n. 3, non fargli domande. Mi spiace, ma purtroppo, in virtù di quanto detto al punto 2, Matt non dice mai la verità su di sé, la devi intuire da sola.
-Ha paura di essere ferito dove fa più male.- continua lei.
-…temo di sì.- ammette Dom a voce bassa.
-Regola n. 4, non aspettarti nulla.- riprende Whiskey.- Se ha paura di farsi male, non sarà disposto a mettersi in gioco.
-No, non necessariamente.- la contraddice lui, gentilmente.
-Non ho bisogno di una bugia. Non sono venuta qui per chiedergli qualcosa che non voglia darmi.
-Non lo sto dicendo per questo. Voglio solo spiegarti quello che tu non avrai il tempo di imparare da sola, quindi so che tutte le tue eventuali pretese andranno disilluse e non sto facendo niente per indorarti la pillola.- osserva Dom pacato.
Whiskey annuisce. Se quel discorso le ha fatto male, non lo da a vedere. Incassa e resiste egregiamente, a testa e schiena ben dritte.
Dom la fissa soddisfatto ed un po’ orgoglioso.
-Senti. Non voleva aggredirti. Era nervoso per altro.- lo giustifica.
Lei ride.
-Oddio, era un preambolo per arrivare a questo!- puntualizza, nuovamente pungente.
Dom ride anche lui, per nulla intimorito.
-Nah.- nega.- Però ci tenevo a precisarlo. Il resto è tutto vero.
-O.k.- conclude lei, sbrigativa- In fondo quello che ero venuta a fare, l’ho fatto. Gli ho parlato ed ho avuto modo di vedere che persona fosse. Sono a posto.
-Davvero?
-Certo. Potrei anche andarmene, adesso.- riflette a voce alta. E fa davvero per raddrizzarsi, guardandosi attorno rapidamente come ad individuare le uscite. Dom la scruta in silenzio, osservando di nascosto i suoi occhi troppo umidi o la piega rigida della sua bocca. Sa che se la sfiorasse ancora la sentirebbe tremare appena, quindi non la tocca.- Magari se mi sbrigo becco Eva e Bas ancora fuori dallo stadio.
-Whiskey, sono certo che Matt ci resterebbe male se andassi via senza salutarlo e senza dargli modo di scusarsi.- la trattiene lui.
La ragazzina si volta a guardarlo. Esita e Dom sa che ha vinto – sa che lei non aspettava altro – e le sorride.
***
Matt vide per prima cosa la chitarra. Non fu voluto ma fu istintivo, come se all’interno della stanza quell’oggetto, e poi qualsiasi altro, fosse in grado di catalizzare la sua attenzione. Sentiva Patricia muoversi cauta in una stanza in fondo al corridoio; la cucina, pensò, lei gli aveva detto che avrebbe preparato del caffè e lui le aveva risposto che gliene sarebbe stato molto grato. Aveva la testa troppo leggera ed il corpo troppo pesante, non voleva addormentarsi ma la sbornia stava facendosi sentire più di quanto avesse voluto inizialmente.
È che inizialmente Patricia non c’era.
La chitarra, comunque, era lì. E poi c’era anche una stanza. Ingombra di oggetti, con un letto in disordine ricoperto di vestiti sgualciti, con i poster dei Nirvana e dei Bush appesi sopra quel letto e di fronte alla porta e con una scrivania che spariva sotto un mucchio confuso di quaderni, libri, trucchi e profumi. Era la stanza di una ragazza – le mutandine di pizzo rosa in bilico, attaccate alla maniglia dell’armadio, un pupazzo di peluche con un cuore gigante reduce da un S. Valentino trascorso, la foto con l’amica del cuore appiccicata allo specchio con il nastro adesivo – eppure in quella confusione indisciplinata Matt si sentì improvvisamente “a casa”. Sorrise e si lasciò cadere sul letto, urtando nel farlo un mucchio di cd sparpagliati sul materasso, la buona parte dei quali si riversò sulla moquette in una piccola cascata sorda. Li raccolse uno ad uno, leggendo le copertine e tentando di ripescare nella memoria – annebbiata – ricordi del loro contenuto. Patricia lo raggiunse in quel momento e l’odore del caffè gli sembrò la cosa più buona di sempre.
-Allora,- esordì porgendogli una delle due tazze che reggeva tra le mani e facendosi posto anche lei sul letto, dove si accucciò a gambe incrociate – come si chiama la tua band?
-Muse. – le rispose in automatico, bevendo il primo sorso e sentendolo scendere a scaldargli lo stomaco.
-E’ carino.- disse lei educatamente. Matt si chiese distratto se fosse sincera o lo stesse dicendo per convenzione sociale, poi se ne disinteressò subito dopo. Patricia appuntò la tazza ad indicare la chitarra e sorrise in quel modo che faceva bene – Avevi promesso di farmi sentire qualcosa!- esclamò vivacemente.
Matt scoppiò a ridere e si lasciò cadere all’indietro sul materasso, attento solo a non far rovesciare il caffè.
-Dammi tregua! Ricordo a stento come mi chiamo! Figuriamoci come si suona…
-A proposito! Che ne diresti di presentarti, Mr. “Saremo Famosi”?!
Lui ridacchiò, socchiudendo gli occhi in un modo che lo fece somigliare incredibilmente ad un gatto arruffato e che le strappò un sorriso involontario, lo nascose nella tazza.
-Matthew.- si presentò brevemente.
-Mmmh…mi piace.- convenne lei, assaporandolo sul palato come fosse una caramella ed inghiottendolo con un sorso di caffè.
-Ah grazie!
-Non essere sarcastico!- lo riprese lei, allungando un piedino nudo a dargli un buffetto sulla spalla.- Il mio voleva essere un complimento.
-Sì, ma è un complimento idiota.
-O.k., ci riprovo.- sospirò lei diligente. Posò la tazza sulle ginocchia, si mise dritta e lo squadrò un secondo con aria critica.- Uhm…trovo i tuoi capelli grandiosi.- concluse alla fine.
Matt si tirò su di scatto, con il risultato che il caffè saltò fuori dalla tazza, macchiando la sua maglietta ed il copriletto in uguale misura e facendo sobbalzare Patricia che lo fissò orripilata.
-Matthew!
-Davvero trovi i miei capelli grandiosi?!- chiese lui, senza accorgersi minimamente del disastro che aveva combinato.
Lei sbuffò, cercando un pacchetto di fazzoletti nel cassetto del comodino e mettendosi poi a tamponare il disastro con meticolosità; quando arrivò alla maglietta di Matthew lui la fissò perplesso ma non glielo impedì.
-Ovviamente no. Sembri un porcospino blu. Credi davvero che qualcuno potrebbe trovare questa cosa accettabile?- gli spiegò lei intanto.
-Ah sì, mi offenderei se non mi stessi palpeggiando.
-Non ti sto palpeggiando, sto cercando di rimediare alla tua idiozia.- ritorse lei pratica, sbuffando ancora quando vide la macchia resistere stoicamente ed, anzi, allargarsi con indifferenza in una chiazza marrone sbiadito che risaltava splendidamente sul rosso intenso della maglietta del ragazzo.- Dille addio.- consiglio indicando la maglia e scrutandolo da sotto in su.
-Oh.- Matt sembrò accorgersi solo in quel momento della maglietta ma si strinse nelle spalle con indifferenza- Tanto era di Dom.
-Perfetto. Il copriletto invece era mio, quindi tu sei a posto.- osservò lei, mordendosi le labbra subito dopo perché le venne nuovamente da ridere. Soprattutto perché Matt annuì con tranquillità e riprese a bere il caffè.
Patricia si mise a sedere composta e riprese anche lei la propria tazza, rimasta ad aspettarla pazientemente sul comodino.
-Mi verrebbe da chiederti chi è il povero “Dom”, ma non so se voglio saperlo.
-La mia vittima sacrificale n. 1.- rispose comunque Matt.
-Spero che lui ne sia informato…
-Da anni. Ho la sua totale acquiescenza a questa cosa. Poi, per sicurezza, mi sono trovato una vittima sacrificale n. 2, così lui ogni tanto può prendersi una giornata di libera uscita. Sai, può essere stancante come lavoro…
-Non ne dubito!- esclamò lei ridendo.- Se sei sempre così!
-No, scherzi! Sono molto peggio. Ora mi sto contenendo.- la rassicurò lui con molta serietà.- A) perché sono incapace di intendere e di volere e b) perché sto cercando di fare colpo su di te.
Patricia annuì, sforzandosi di ricambiare la sua serietà e finendo per fare una smorfia davvero poco elegante che fece ridacchiare Matthew.
-Non so se posso approfittarmi di un povero ragazzo indifeso.- confessò lei con gravità.
-Approfittati pure.- rispose lui nello stesso identico tono.
Il bussare discreto al battente della porta li distolse entrambi da un silenzio imbarazzato e troppo carico che si dissolse nel lieve colpetto di tosse della nuova venuta. Matt si distrasse piuttosto velocemente: “la nuova venuta” era praticamente seminuda – camicia da notte trasparente e troppo corta e niente reggiseno – e tutt’altro che brutta.
-Ciao, Pat.- salutò assonnata in un inglese che gli fece intuire che si trattava di una sua connazionale – Hai ospiti?
-Ah, sì.. Jude, lui è Matthew. Matthew, Jude è la mia coinquilina.
-Ciao.- ripeté lei, con uno sbadiglio, allungandogli le dita per una stretta fugace.- Senti, io me ne torno a letto, ché domani ho lezione.- annunciò a Patricia - Non fate casino.
-Ti abbiamo svegliata?- domandò Matt con un sorriso affascinante.
-Sì. Tu hai la voce troppo squillante.- lo riprese lei con indifferenza, prima di voltarsi ed uscire inseguita dalla risatina dell’amica e dallo sguardo ferito ed offeso di Matthew.
-Squillante?!- sbottò.
-Ssssh!- lo riprese Patricia, dito alle labbra e sorriso nascosto tra le pieghe di quella bocca stretta ed umida.- Non l’hai sentita?
-…sì…ma come faccio a suonarti qualcosa se non possiamo fare rumore?- osservò contrariato.
Lei fece spallucce.
-Volevi davvero suonare qualcosa?
-…beh…potevo volerlo, sì. Suonare mi piace.
Patricia rise appena, scuotendo la testa e mettendo via la tazza quasi vuota sul comodino. Si stese accanto a lui e Matt la osservò per un attimo e poi decise di fare altrettanto, pancia all’aria e caffè nuovamente in bilico sullo stomaco. Aveva sonno e non voleva assolutamente dormire. Avvertì il calore di lei contro la spalla e questo lo rilassò.
-“Suonare mi piace” è una bella espressione.
-Tu, perché hai smesso?- chiese posando la tazza sul pavimento.
-Te l’ho detto, non ho più una band da quando ho lasciato il villaggio dei miei. Non ho nemmeno il tempo per inseguire i sogni di quando sono partita. Tra lo studio ed il lavoro, mi resta appena il tempo per vivere!
-E non ti manca?
-Forse non era così importante. Può capitare. Per la maggior parte della gente non è così importante.
-Già.
In silenzio studiarono entrambi il rincorrersi delle ombre sul soffitto. Le auto passavano in strada – una ogni tanto, era troppo tardi, ed il giorno ancora troppo lontano – non c’erano “cattivi pensieri” a far loro compagnia, solo il senso vago di essersi già incontrati in qualche altra vita o qualche altro posto dove potevano aver condiviso una camera, fatta dello stesso disordine, degli stessi poster e degli stessi cd. Ah sì, e con una chitarra. Era una cosa abbastanza distante e soffusa da non essere ingombrante, però, insieme, era una sensazione che li faceva sentire meno estranei. Così come quelle battute vivaci, come il ridere senza inibizioni o l’ammettere, tra le righe, i propri desideri.
-Com’è Gavin?
-Mi prendi in giro se ti confesso una cosa?- La risatina soffusa che lei gli concesse fu una risposta sufficiente. Matt continuò con un sorriso nel tono- Ci ho parlato pochissimo!- la sentì ridere con più convinzione, dritto contro il suo orecchio ed agitandosi anche un po’ - Mi vergogno da matti anche solo a rivolgergli il saluto e sono la persona più goffa ed impacciata del mondo quando me lo trovo attorno!
-Tu?!- sbottò lei incredula, battendogli una mano sul fianco.
-Ehi! non farti strane idee, ora sono ubriaco!
-Dio! sei incredibile!- la sentì ridere, premendosi la bocca con la manica del maglione per non fare troppo rumore. Si voltò a cercare il suo sguardo e lo trovò ad aspettarlo.- Ma dove ti ho pescato?
-In un pub irlandese a Berlino.- rispose lui con calma.
Fu lei a baciarlo per prima.
Dopo aver annuito con solennità ed essersi presa il tempo di pensare che aveva gli occhi più belli che avesse mai visto.
***
Whiskey siede di nuovo su una delle casse da amplificazione che i tecnici hanno scollegato e smontato dal palco. Ha un bicchiere in mano – “Dio in cui fingo di non credere dal lunedì al venerdì, fai che non sia niente di alcolico” – e ride. Un ragazzo, che Matt riconosce come l’assistente alla regia che ha rimbrottato aspramente durante lo show, le parla. O meglio, tenta con ogni mezzo a propria disposizione di fare colpo su di lei e passa la metà del proprio tempo a riempirla di complimenti che sanno di artificioso, falso e studiato perfino a quella distanza. Inoltre, lui ha dieci anni più di lei. Incidenter tantum.
-Alex!- saluta Matthew, piombando come un falco sul ragazzo e ghermendolo, allo stesso modo, con un braccio molto prima che quello possa realizzare e cercare di svicolare via – Vedo che socializzi, eh?!
-Ciao, Matthew.- ricambia per prima Whiskey, sopprimendo sul nascere un sorrisetto soddisfatto che le rimane all’angolo della bocca e che fa lampeggiare d’astio gli occhi dell’altro.
Alex, in compenso, si sente molto fuori luogo e non sa bene nemmeno perché:
-Ciao, Matt…- borbotta perplesso. Poi guarda la ragazza e nuovamente il cantante.- Senti, non è che…- prova ad ipotizzare, indicando prima lei e poi lui.
-No!- lo previene Matt con un sorriso bonario- Ma se sapessi la sua età, sono certo che ti ricorderesti di un impegno improvviso.
-…dovrei farlo? - Matthew annuisce con partecipazione. Alex soppesa con lo sguardo Whiskey, che ruota gli occhi da lui a Matt e sembra piuttosto infastidita, e deve concludere che, effettivamente, magari ha fatto male i conti- …oh.- sbotta.- …oh…sì…credo che Greg mi stesse cercando, in effetti.
-Appunto.- concorda Matt, battendogli rassicurante una mano sulla schiena ed annuendo ancora.
-Beh…ci vediamo…piccola.- mormora il ragazzo, un sorriso impacciato a Whiskey ed una veloce fuga in direzione del resto della festa.
Matthew fronteggia tranquillamente l’occhiata sbigottita di Whiskey.
-Non posso credere che il tuo istinto paterno si esprima solo in modalità “padre geloso-possessivo-iperprotettivo”, Matthew.- osserva piatta.
-Infatti, non è così. Non è alcolica quella roba, vero?- afferma subito dopo, indicando il bicchiere.
-Ah, non saprei. Me l’ha data il tuo batterista.- risponde lei candidamente, sbattendo gli occhioni e sorseggiando il drink.
-…s-ssì!- conclude Matt con un colpetto di tosse, si gratta la fronte e sospira- Che non è la persona più affidabile di questo mondo, ma non mi sembri brilla ed io ho già abbastanza problemi per stanotte.
-Giusto. Affrontiamo una catastrofe alla volta.- concorda Whiskey.
Matt si ritrova a sorridere nonostante tutto.
-Non la butterei così sul tragico.- mormora.
Le fa cenno con la mano, invitandola a seguirlo e lei lo fa prontamente.
-Dove stiamo andando?
-Ti riporto da tua madre. Che altro?
-Oh, è gentile da parte tua. Pensavo avessi di meglio da fare.
Matthew le scocca un’occhiata di sbieco ma non ribatte e la sua espressione è abbastanza indecifrabile perché lei scrolli le spalle e se ne disinteressi.
-Tom, prestami la macchina che hai noleggiato.- ordina Matthew quando incrociano il manager vicino l’uscita della saletta.
Lui lo fissa perplesso, poi vede Whiskey e mette mano alla tasca dei jeans, intuendo quello che l’altro sta facendo.
-Ehi, piccola.- la chiama prima che lei e Matthew escano, le fa l’occhiolino quando lei si volta e sorride, accennando un “colpo di pistola” con le dita.- E’ stato un piacere conoscerti!
Whiskey inarca le sopracciglia in un modo che ricorda tragicamente Matt ma commenta solo quando sono già nel corridoio.
-E’ ubriaco!
-Ne dubitavi? Sono le due di notte, era ubriaco due ore fa.
Il buio freddo di Berlino è quasi piacevole quando escono sulla piazzola di sosta. Un paio di tizi della security stanno ancora aspettando che gli ultimi irriducibili si tolgano di mezzo e Matt evita accuratamente di esporsi troppo a sguardi indiscreti nel raggiungere una spyder scura parcheggiata in un angolo. Whiskey è veloce ad infilarsi al proprio posto e ad allacciare la cintura senza fiatare e lui la guarda di sottecchi e si chiede cosa stia pensando.
Quando escono dallo stadio guidando piano e con attenzione, la vede cercare freneticamente qualcuno lungo i marciapiedi semideserti, non ha difficoltà ad intuire che sta semplicemente aspettando di vedere comparire i suoi amici.
-Mi spiace per prima.- si scusa a quel punto.
Whiskey ne prende atto annuendo ma non si volta.
-Immagino di aver perso due fan.- ridacchia Matt.
-No, Eva non ha un’opinione particolarmente alta di te. Avrai spezzato il cuore a Bas, al più.
-…è gay?
Lei si volta e lo guarda.
-No, ma per te potrebbe diventarlo.
Matthew scoppia a ridere e scuote la testa, divertito.
-Che cos’è, una specie di fidanzato?
-Hai ripreso la modalità “padre geloso ecc ecc”?
-No.- risponde con calma, attento alla strada. Si ferma ad un semaforo rosso e ne approfitta per voltarsi verso di lei.- O.k. Ci riproviamo?
-…a fare cosa?- chiede sospettosa.
-Ricominciamo dall’inizio? Io sono Matthew.
-…ed io sono sempre Whiskey e sono sempre tua figlia, anche se questa cosa ti manda nel pallone.
-Sì, ma se non stai al gioco, rendi tutto estremamente complicato.
-Non mi piace giocare quando non conosco le regole!
-O.k.!- sospira Matt, pazientemente.- Ti ho chiesto scusa per come mi sono comportato e sto tentando di intavolare con te una discussione piacevole e pacata, è così strano? Devo spiegarti qualcos’altro? Devi per forza pensare che ci sia un secondo fine?!
Lei scuote lentamente la testa e Matt decide di farselo bastare ed ingrana la marcia ripartendo.
-Non è un fidanzato.- la sente dire dopo qualche minuto.- Però ha una…specie di cotta per me, quello sì.
-Oh. E a te piace?
-No. Bas è un cretino.- lo liquida lapidaria. Matt sgrana gli occhi a tanta franchezza e si volta a cercarla con lo sguardo, così che Whiskey si sente in dovere di circostanziare.- Cioè! è quel tipo di ragazzo che non ha spina dorsale! Fa tutto quello che gli chiedo! Tipo…questa cosa, no?! – comincia infervorandosi man mano ed agitandosi incredibilmente mentre spiega - questa cosa che dovevo venire a cercarti, mh?! Lui non l’approvava mica, sai! Ma io gli ho chiesto di aiutarmi e lui, anche se non era d’accordo, lo ha fatto! Non ha senso!
-Non ti piacciono i ragazzi accondiscendenti, va bene.- realizza Matt.
-No!- concorda lei con vivacità.- Che accidenti me ne faccio di uno che mi dice sempre sì!
-Beh, ti fai offrire il cinema, la cena, la discoteca…- comincia ad elencare Matthew con praticità.
-Sei veramente un opportunista!- osserva lei scandalizzata.
-O.k., o.k., mi rimangio tutto. Niente Bas nella lista dei futuri ex-fidanzati.
-Appunto!- sbotta Whiskey incrociando le braccia, offesa.
-Va bene. E ad Eva io non piaccio.- riprova.
-Chi lo ha mai detto?!
-…tu…prima…Hai detto che non ha di me un’alta considerazione.
-Tu ce l’avresti a conoscerti?
-Whiskey!
-E’ una domanda legittima, sei abbastanza intelligente da saper fare dei “distinguo”.
-Sono anche molto soddisfatto che tu sappia cos’è un “distinguo”, ma gradirei immensamente se tu avessi un’opinione migliore di me!
-E perché dovrei? Sulla fiducia?! Non so manco chi accidenti sei!
-Stiamo ricominciando come prima!- sbuffa Matt spazientito.
-Sei tu che lo hai messo in mezzo!
-Questo non è vero!
-Oooh!
-Va bene!- ringhia Matt per l’ennesima volta- Time out!
In silenzio raggiungono il successivo semaforo rosso. Matt la vede fissare nuovamente fuori dal finestrino, chiusa in un silenzio astioso che le fa brillare gli occhi di una luce violenta. Vorrebbe che non succedesse, la trova bellissima anche così…
la trova bellissima. Avrebbe voglia di dirglielo, di scostarle da davanti il viso quel ricciolo che le scende dispettoso lungo la fronte e le ricade sul naso e sulla bocca. Vorrebbe che lei glielo lasciasse fare, che si lasciasse abbracciare. Sarebbe già tanto riuscire ad avvicinarsi un po’.
La tenerezza che prova lo fa sorridere e pensa che, in fondo, non ha neanche un motivo per essere arrabbiato con lei.
-Hai fame?
-Ho mangiato in hotel.
-…un mucchio di tempo fa.- le ricorda.- Se hai fame, lo puoi dire.
La vede esitare e voltarsi lentamente a cercarlo con gli occhi, indecisa, scrutando attenta la sua espressione per capire come debba comportarsi. Si mordicchia le labbra poi annuisce.
-Un po’ di fame, ce l’ho.- ammette a disagio.
-O.k., scegli tu: cibo vero o schifezze?
Whiskey sorride senza volerlo ed a Matt basta, per ora.
-Schifezze?
-Schifezze! Dove?
-Conosco un posto dove fanno dei waffel buonissimi!- esclama lei, battendo le mani entusiasta.
-Bene. Indica tu.- la invita Matt ripartendo.
-Alla prossima a sinistra.
***
-Vedo che sul cibo almeno andiamo d’accordo.- ridacchia Matt mentre entrambi, dita sporche di cioccolato, seduti in un caffè, finiscono di sbrindellare il terzo waffel della serata.
Whiskey ricambia con una risatina soddisfatta e si lecca i polpastrelli.
-Amo la Nutella!
-Ah sì!- ribatte lui, annuendo.
-Eva dice che hai vissuto in Italia. La Nutella la fanno lì, no?
Matt mugugna un assenso a bocca piena e Whiskey ride ancora.
-E com’è?
-La Nutella o l’Italia?
-La Nutella la sto mangiando, Matthew!- osserva Whiskey, divertita.
-Beh, l’Italia è fantastica.- risponde, stringendosi nelle spalle.
-Ci sei stato parecchio, mi diceva lei.
-Sì, come ci può stare parecchio uno che è sempre in giro per lavoro. In tutto ci sarò stato cinque anni, sparpagliati su un arco temporale pari al doppio. Avevo una casa su un lago, piena di insetti ma dove nessuno mi disturbava mai.
-Sembra una cosa figa.
-Aspetta. La casa, gli insetti o la privacy?
-Ci rinuncio.- Lui ride e lei sorride di rimando.-Lo stai facendo apposta?!- sbuffa fingendosi offesa.
-Un po’. Finiamo la cioccolata ed andiamo?
Whiskey si mordicchia il labbro, scostando lo sguardo per appuntarlo distrattamente sulla tazza in cui un fondo di cioccolato fuso si è condensato appena, limaccioso e poco invitante.
-Era la tua idea fin dall’inizio, vero?
Matt non capisce di cosa stia parlando ed aspetta pazientemente che lei torni a guardarlo e gli sorrida, impacciata ed un po’ goffa.
-Non mi hai chiesto dove abito.- gli fa notare.
-…vero.- soffia Matthew, sorridendo appena.- Hai fretta?
Lei si stringe nelle spalle.
-Se ti prendi anche la cazziata al posto mio…
Matt ride.
-O.k. – la rassicura - Andiamo, dai.
Fuori la città è quasi completamente silenziosa. Whiskey getta un’occhiata veloce al display luminoso del suo cellulare e vede brillare l’orario – quasi le tre di notte! – e nessuna chiamata. In realtà sapeva che sarebbe andata così, Eva e Bas avranno telefonato a sua madre rassicurandola che tutto era a posto appena usciti dallo stadio, le avranno detto che lei era con…
Il pensiero muore in un sussulto improvviso. Si volta a guardare Matt, che sembra distratto mentre camminano lentamente lungo il marciapiede, costeggiando un piccolo giardino pubblico fatto di semplicissime aiuole che si aprono direttamente sulla strada. Infila il telefono nella tasca della felpa che ha indossato prima di uscire dal locale, adesso fa freddo e lei sente brividi sottili lambirle le gambe completamente scoperte, avrebbe dovuto vestirsi con più accortezza.
-Quello che mi da fastidio quando facciamo un concerto all’estero è che non c’è mai il tempo di vedere davvero qualcosa.- la raggiunge la voce di Matthew all’improvviso.
Whiskey annuisce senza nemmeno capire fino in fondo di cosa lui le stia parlando. Fissa il terreno, su cui i suoi stivaletti dalla suola morbida non producono nessun rumore, e gli cammina di fianco in silenzio.
-A Berlino ci saremo stati…un numero incredibile di volte!- sbuffa ancora lui.- Ma mi credi se ti dico che a parte gli alberghi, le location dei concerti e qualche locale notturno non ho visto quasi niente?!
-Avete delle giornate piuttosto piene.- osserva lei pensando a quell’unico pomeriggio passato in compagnia dei Muse.
-Sarà anche che arriva un momento in cui sei in ritardo su tutto.- riflette Matt a voce alta- Perfino sulla tua vita.
-E’ per questo non che non hai mai cercato mia madre?- si ritrova a domandare d’impulso. Nella sua testa la voce di Dom ripete pazientemente la “regola n. 3 delle iterazioni con Matthew Bellamy.
Lui si ferma. Di lato, lungo il bordo dell’aiuola, ci sono un paio di panchine dal legno scrostato. Si dirige da quella parte, siede sulla più vicina e la guarda. Whiskey prende fiato solo un momento, poi lo segue e si arrampica sulla panchina, sedendosi direttamente sullo schienale e sporgendo le gambe in avanti.
-Come credi che vadano certe cose?- le chiede lui.
Si stringe nelle spalle, ostentando indifferenza e fingendosi più adulta di quanto non sia. Matthew realizza tutto d’un colpo che ha quattordici anni ed è cresciuta senza un padre, figlia di una notte che si è consumata nello spazio di un’ora o poco più: non pensa proprio che lei voglia anche solo chiedersi come vanno certe cose.
-Ti porti a casa una groupie, te la scopi e l’indomani te ne scordi.- elenca asciutta.
-Tua madre non è mai stata una groupie.- la riprende lui, quasi offeso.
-Sì, lo so. Mi ha detto che vi siete incontrati al pub.
-Ti ha detto altro?
-Perché me lo chiedi in continuazione?!- sbotta lei, infastidita. Arriccia il naso e gli rivolge contro uno sguardo astioso che lui fronteggia senza scomporsi.- Ti interessa saperlo perché hai paura della sua o della mia opinione?
-Mi interessa saperlo per non dire qualcosa che potrebbe distruggere ciò che tua madre ha fatto o detto per te.- risponde Matt con molta – “troppa”, pensa Whiskey affannosamente – sincerità.- Ma non sei obbligata a dirmelo. Ed io non sono obbligato a risponderti.
-Sta bene!- ritorce in un ringhio basso.- Cambiamo argomento!
Si lascia cadere a sedere accanto a lui, scivolando lungo il bordo dello schienale – con il risultato che la gonna troppo corta le si arrampica sulle gambe – e sistemandosi lì con un breve saltello scomposto. Rimessi in ordine i vestiti, Matthew la vede armeggiare in silenzio con la propria borsa per tirarne fuori il taccuino ed una penna blu, ritrova il segno e prende a scrivere con una grafia sottile e disordinata, occupando per intero il foglio con parole minute che lui non può decifrare.
-E’ il tuo diario?- prova a sondare con discrezione.
-No.- ribatte lei, senza alzare lo sguardo dal proprio lavoro- E’ una sorta di…relazione scientifica.
-…prego?
Whiskey lo guarda, inespressiva, e si spiega.
-Annoto i risultati di questo incontro, così da poterli rileggere a mente fredda e trarne le giuste considerazioni.- Detto ciò riprende con indifferenza dal punto da cui lui l’ha interrotta.
Matt fa fatica a non mettersi a gridare. Nell’esatto istante in cui lei termina di riferirgli il contenuto del taccuino, il suo desiderio è strapparglielo di mano, costringerla a tradurgli tutto quello che ha scritto sillaba per sillaba e poi bruciarlo. Qualunque sia il suo contenuto. Anche se fosse lusinghiero.
E stai certo che non lo sarà…
Si trattiene a forza. Respirando piano e scrutando il profilo concentrato di Whiskey per tentare di mettere a fuoco qualcosa di diverso dal dolore sordo che sente alla bocca dello stomaco e che pareva essersi attenuato mentre erano seduti assieme nel caffè.
“Evidentemente, non era fame, Matt”, considera ironicamente. Un sorriso cattivo ed amaro gli tira le labbra e decide che la lascerà fare a modo suo. Si chiude nello stesso mutismo immobile della ragazzina e rimane a fissarsi le dita mentre lei, progressivamente, prende coscienza di questo atteggiamento e si volta a cercarlo di sottecchi.
Matt la vede chiudere il quaderno con circospezione e quando si gira a vedere la sua espressione la scopre vergognosa ed imbarazzata. Ne prende atto, segnandosi mentalmente un punto a favore e sperando che stavolta sia lei a voler riprendere la discussione. Anche perché non sa davvero più come fare per avvicinarsi senza scontrarsi con il muro di spine che lei si erige attorno.
Whiskey fa scivolare il taccuino nella borsa e poi lascia cadere la penna tra le pieghe di un marasma indistinto di oggetti fra cui Matt nota l’iPod, il telefonino ed una maglietta scura, a maniche lunghe, probabilmente portata come ricambio.
-…la mamma non parla mai male di te.- soffia piano Whiskey.
-Sul serio?- la incoraggia allo stesso modo. Non riesce ad essere arrabbiato ed è contento che il suo orgoglio, una volta tanto, se ne stia buono e non gli faccia assumere toni stupidi ed arroganti che rovinerebbero di nuovo tutto.
-No. Non si arrabbia con me se lo faccio, ma lei non mi ha mai detto niente di male su di te. E mi ha raccontato tutto dall’inizio. Quando le ho chiesto chi fosse mio padre, perché non fosse Gunther, lei mi ha raccontato tutta la storia dall’inizio.
-Tua madre pensa che certe cose si facciano in due.- conclude Matt con un sorriso sghembo.
-Sì.
-E tu sei una ragazzina troppo intelligente per credere che te lo abbia detto solo per difendermi.
-…
-Però sei arrabbiata lo stesso.
-…non giocare a fare lo psicanalista da due soldi, Matthew.
Il fatto che lei lo dica più con rassegnazione che con ironia lo fa sorridere di nuovo e gli strappa anche una risatina, che Whiskey ricambia appena.
-Se non è per questo, perché sei venuta a cercarmi?
-Non puoi credere che fossi solo curiosa?
-Non lo so. Mi riesce difficile. Io ero arrabbiato quando sono andato a cercare mio padre.
Whiskey ride più apertamente adesso, ma senza cattiveria, e per Matt non è un problema accettarlo.
-Non siamo tutti uguali! E tu avevi un motivo per odiarlo, no?
-La tua amica Eva è una fangirl.- osserva Matthew, immaginando la fonte di quelle considerazioni.
-Oh sì! non sai quanto!
-Non voglio neanche saperlo!- rabbrividisce Matt, provocando una risata più serena e tranquilla da parte della ragazzina. Si appoggia all’indietro contro lo schienale e sorride, puntando il dito verso la borsa.- Fammi vedere un po’ che c’è in quell’iPod.- ordina appena.
Whiskey scuote la testa, facendo finta di spazientirsi, ma infila la mano nella tracolla e tira fuori lettore e cuffie, porgendogli, tuttavia, solo uno degli auricolari.
-Ehi!
-Ahah! Non mollo il mio P-Chan a nessuno!- lo redarguisce lei, puntando un ditino ammonitorio prima di schiacciare l’altro auricolare nell’orecchio ed iniziare a scartabellare tra le cartelle.
Matt si affaccia sulla sua spalla, sbirciando le opzioni che lei scarta rapida, e si lascia sfuggire una smorfia contrariata.
-Dio! non dirmi che ascolti davvero i Green Day!
-Certo che sei un bell’impiccione!- sbuffa Whiskey, schiacciando a dispetto e facendo partire a tutto volume “Minority”.
Matt allontana d’istinto l’auricolare dall’orecchio e la fissa bieco e dolorante:
-C’è anche della musica vera su quell’affare?!
Lei non lo ascolta affatto, comincia invece a cantare a squarciagola, disinteressandosi completamente di lui e dell’iPod, che Matt non si fa scappare l’occasione di afferrare e toglierle di mano, iniziando a rovistare furiosamente per eliminare quella roba.
-FERMO!!!- lo riprende Whiskey, buttandoglisi addosso.
Matthew riesce ad evitarla un paio di volte, ma lei gli si arrampica sulle braccia fino a raggiungere nuovamente il lettore, che si contendono duramente.
-Non ascolterò del punk!- afferma lui cedendole nuovamente l’iPod.
-Benissimo! Ti metto i Placebo!- commenta Whiskey ironica.
-…Cristo! – soffia Matt d’un fiato - Ti prego! dimmi che non ti piace quella checca di Molko!
-E’ l’uomo più bello che abbia mai visto!- afferma orgogliosamente lei.
Matt la fissa in silenzio, sbigottito, e poi sbotta senza pensarci:
-Sei lesbica! Tua madre lo sa?!
Whiskey gli tira un pugno.
-E tu sei un cretino! La tua band lo sa?- scimmiotta offesa.
-Ma cavoli! dici che non ti piace la nostra musica ed ascolti quella roba! Sei troppo…troppo, per farlo davvero!
-Ma tu giudichi sempre la gente dalla musica che ascolta?
-Sì! Ed il 99% delle volte ci azzecco.
Whiskey sospira stancamente e Matthew ha quasi la sensazione che lei lo fissi come fisserebbe un bambino piccolo – sconsolatamente – poi la vede premere nuovamente sull’iPod e sente le famigliari note di “Stairway to Heaven” riempire l’auricolare che ha accostato all’orecchio.
-Meglio?- gli domanda ironicamente.
-Direi.- si rilassa Matt. Quando prova di nuovo a prendere il lettore, lei glielo lascia fare e lui sfoglia attento la libreria musicale.
-Sei un arrogante, saccente e poco rispettoso del prossimo.- la sente dire. Quasi dispiaciuta.
Lui non ribatte. È tutto vero e non ha voglia di ammetterlo, ma nemmeno di negarle quelle verità (poche) che si potrà permettere di scoprire stanotte. Scorre i nomi dei “The Clash”, dei “Nirvana” e dei “Blur” e sorride.
-Sono tutti gruppi un po’ datati per una quattordicenne.- nota pacatamente.
-E’ mamma che mi ha fatto scoprire la musica, per lo più.
-Spero non i Green Day o i Placebo!- esclama Matt ridendo.
-No, quelli me li ha fatti sentire una mia compagna di scuola.
-Oh…e questi chi sono?
-Gruppi tedeschi, non puoi conoscerli.
Matt si volta e le restituisce l’iPod, che Whiskey intasca nella felpa prima di spingersi anche lei contro lo schienale della panchina, reclinando la testa all’indietro verso il cielo buio.
Matthew la imita in silenzio, le note languide della chitarra di Page in sottofondo.
-E’ una versione live.- riconosce.
-Sì. Non si sente troppo bene, mi sa.
-E’ perfetta.
-A me piace.
-Piace anche a me.
-…come la Nutella.- sorride Whiskey in uno sbuffo.
-Pensa, adesso abbiamo i waffel, la Nutella ed i Led Zeppelin che ci accomunano. Facciamo progressi!
Whiskey ridacchia contro la sua spalla. Matthew si accorge che è vicinissima, il suo calore gli sfiora il braccio ed i suoi riccioli gli fanno il solletico sulla guancia. Di sbieco riesce a vederla mentre socchiude appena gli occhi, assonnata, sbadiglia e si stringe nella felpa, calcando le mani dentro le tasche sformate.
-Vuoi andare a casa?- le chiede.
-No.
Matthew annuisce.
-Vuoi dormire?- prova allora.
-…un po’. Magari.- borbotta lei, già intontita, chiudendo lentamente gli occhi.
Matt sorride, si solleva appena per sfilare via la giacca dalle spalle e gliela appoggia addosso con delicatezza, coprendo entrambi mentre torna a sistemarsi di fianco a lei. Quasi timidamente allunga un braccio, facendoglielo passare attorno alle spalle, e la sente irrigidirsi appena, socchiudere di nuovo lo sguardo e metterlo a fuoco. Ma poi Whiskey si rilassa piano, gli si accuccia contro rannicchiando le gambe al riparo della giacca e schiaccia il viso contro il suo petto.
-Sei morbida…- pensa Matt a voce alta, accarezzandole un braccio da sopra la felpa.
A rispondergli è solo il sospiro quieto della ragazzina, che si trasforma presto in un respiro regolare e profondo.
Matt vede la borsa, socchiusa e pericolosamente vicina al bordo della panchina, la raccoglie per tirarsela in grembo e non lo fa apposta quando il taccuino gli scivola in mano quasi da solo. Lo sfoglia, è interamente redatto in tedesco salvo qualche breve appunto in inglese che Matthew riconosce subito: titoli di loro canzoni. Lo chiude nuovamente per aprirlo sulla prima pagina, legge il nome e l’indirizzo di casa scritti in maiuscolo, ordinatamente.
Hannerose.
Ridacchia. Chissà… “Whiskey” le sta meglio, forse.
Sospira anche lui, mettendo via il quaderno e chiudendo attentamente la borsa. Chiude gli occhi e sente sulla guancia il pizzicare delicato dei capelli di lei.
***
Ferma la macchina davanti al vialetto di ingresso di una casetta di periferia, una di quelle che ricordano un po’ le periferie inglesi - …o irlandesi, e non sa perché ci stia pensando ma sorride – con un muretto basso, un giardino piccolo e curato, con le siepi di erbe aromatiche lungo tutto un lato e perfino un accenno di porticato sotto cui sonnecchia un grosso cane dal pelo ispido e l’aria sciocca. Probabilmente dormono ancora, riflette. Whiskey, comunque, non pare farsene un problema mentre indossa a tracolla il tascapane e spinge sulla sicura per aprire la portiera. Così spegne il motore e inforca gli occhiali scuri contro un sole, sorgente, che si preannuncia troppo forte per i suoi occhi stanchi.
Whiskey è già in cima alla breve rampa di tre gradini quando lei appare sulla soglia. Porta una felpa sformata e di un blu sbiadito ed i suoi fianchi sono larghi nei jeans a zampa. Da quella distanza Matt non può vederne il viso, gli tocca ricordare a memoria e ripescarlo di fronte a quell’immagine così diversa è incredibilmente difficile, è solo quando segue la ragazzina che vede il sorriso di lei brillare esattamente identico a come lo ricordava.
-Ha detto che la ramanzina se la prendeva lui!- sta dichiarando Whiskey in inglese.
Si blocca con il piede sul primo gradino e le solleva gli occhi addosso, di nuovo, sentendo il bisogno infantile di sollevare gli occhiali da sole per studiare meglio l’espressione divertita ed insieme…materna con cui lei lo sta guardando.
-Sì, beh, vieni dentro, Matt,- la sente ribattere - così posso sgridarti per benino. Non mi piace farlo in piazza.
Whiskey ride e gli scocca un’occhiata da sopra la spalla ma poi la sua attenzione viene catturata dalla presenza di un uomo alto, biondo e massiccio che si affaccia alla portafinestra del giardino.
-Gunther.- saluta lei, caracollando immediatamente nella sua direzione. Il resto si perde in un dialogo serrato in tedesco di cui Matt non afferra assolutamente nulla.
Patricia lo accoglie in cucina con una tazza e la brocca del caffè.
-Vuoi?- chiede gentilmente.
-Grazie.
-Ti ha fatto fare la notte in piedi?- gli domanda versandogli il caffè e posandolo sul tavolo davanti a lui mentre prende posto su una delle sedie.
Matthew getta uno sguardo di traverso all’orologio a pendolo che segna le sette e mezza del mattino e sorride. Ha il viso talmente stanco che sente la pelle tirare sugli zigomi e riesce a stento a tenere gli occhi aperti, immagina che tutto questo sia ben visibile e quindi non nega.
-Diciamo che adesso dovrebbe essere lei a venire a prendersi la ramanzina da Tom al posto mio!- afferma.
Patricia ride con lui e siede dall’altro lato del tavolo con una seconda tazza.
-Sei stato gentile a riportarla a casa.
Gli da fastidio. Il tono casuale con cui lei lo ha detto gli fa intuire che sia anche vero: è stato gentile a riportarla personalmente, avrebbe potuto affidare quell’incombenza a chiunque, rifilare la bambina al primo dei propri autisti disponibili e rispedirla indietro come un pacco postale. Eppure l’idea che lei lo ringrazi per non averlo fatto è disturbante.
Così prende un respiro profondo, beve dalla propria tazza e sul fondo scuro cerca finalmente una risposta a quelle domande che non ha avuto il coraggio di formulare davvero da quando Whiskey è arrivata, improvvisa come la pioggia.
Cerca a tentoni le parole giuste per dirlo, perché non è sicuro che esistano e non è sicuro, soprattutto, di essere capace di trovarle in così poco tempo, ed inizia in modo banalissimo.
-…perché non me lo hai detto?- chiede scontato.
Patricia assentisce brevemente, ma non pare particolarmente stupita. Fuori dalla finestra Whiskey è ancora con quell’uomo biondo e gioca con il cane mentre lui innaffia le piante. Lei sta dicendo qualcosa che lo fa ridere e ride anche lei, con il cane che le salta addosso e le fa le feste.
-Non credi che fosse giusto che…
-Non ho mai detto che non lo fosse.- lo ferma lei pacatamente. E Matt sente quell’accenno di rabbia che stava montando sgonfiarsi lentamente.- Non c’è stato modo. Non c’è stato il tempo. In realtà neanche il motivo.- elenca asciutta.
-…è mia figlia.
-Sì.
-Come puoi dire che non ce ne fosse il motivo?- insiste. Ma no, proprio non riesce ad arrabbiarsi. Sarà il fatto che lei non sta facendo niente per sottrarsi.
Patricia sospira e beve anche lei dalla propria tazza.
-Non c’era. Stavamo bene, quindi non c’era motivo per dirtelo. Stavi bene anche tu.- spiega pazientemente.
-Pensi che non l’avrei voluta?
-Lo avresti fatto?- ritorce senza alcun rimprovero.
Il fatto che non ci siano recriminazione, piccinerie e cattiverie represse tra loro lo obbliga a farci i conti. E doverlo fare senza potersi trincerare dietro il solito scudo di menefreghismo ed egoismo lo spiazza, lo confessa a se stesso. Poi però la guarda e stringe le spalle.
-No. O forse sì, ma non sarebbe stato facile.
- “No” è più onesto.- concorda lei sorridendo.- Quindi è a posto così. Non te l’ho tolta, Matt, è qui.
Sospira. Lo sguardo, nonostante tutto, torna ad appuntarsi al giardino ed al corpo minuto di Whiskey. Adesso è seduta sul bordo del porticato, il cane si è arrampicato dietro di lei e sonnecchia ancora, a bocca aperta e lingua ciondolante. L’uomo biondo di nome Gunther è ancora lì che annaffia le aiuole.
-E’ tuo marito?
-Compagno.- risponde lei finendo, poi, in silenzio di bere il caffè.
-Voglio riconoscerla.
Lui lo dice senza alcuna consequenzialità, lei lo registra con una passività marmorea.
-No.
Vorrebbe credere che sia il suo solito egoismo infantile, quel suo ostinarsi a volere solo le cose che non ottiene immediatamente, a farlo parlare. Invece resta in silenzio ed è il segno di come il suo rifiuto penetri troppo a fondo. Ci mette un po’ a recepire del tutto “la botta”, quando lo fa è talmente furioso da non riuscire nemmeno a replicare come vorrebbe.
-E’ mia figlia…- osserva lentamente, in un sibilo trattenuto.
-E’ anche mia, Matthew, me ne sono presa cura fino ad adesso e penso che sarai d’accordo con me se mi vanto di aver fatto un ottimo lavoro.
-Non stiamo discutendo questo!
-Invece sì.- lo contraddice Patricia - Tu hai una famiglia,- inizia – una moglie ed un figlio…
-Kate è una persona splendida, non dirà o farà assolutamente nulla di male e…
-Kate è la donna più incredibile dell’Universo,- concorda Patricia, spiccia – ma non è di lei che mi preoccupo.
Il fondo di raziocinio incontestabile che sente nella sua voce è sufficiente a scalfirlo, almeno per un attimo.
-…che vuoi dire?- esita Matthew, sospettoso.
Patricia gli sorride. Scosta una ciocca di capelli corti, ancora biondi come li ricordava. A parte le rughe sottili sul viso e quel fisico appena appesantito dalla gravidanza e dagli anni, lei è ancora com’era quel giorno.
-Matthew, la tua vita non è la vita di Whiskey. Lei non ha idea di cosa siano i riflettori, le attenzioni dei media, il gossip…Ha vissuto in una famiglia normale, ha una madre normale…- si volta anche lei verso la finestra e Matt incrocia, nei suoi occhi, la figura imponente dell’uomo che ora si sta avvicinando a Whiskey- un padre normale.- conclude a voce bassa.- Va bene così.- sottolinea – E’ felice. Tu cosa puoi offrirle di più?
-...stai scherzando?!- sbotta Matthew con un sorriso forzato.- Io posso offrirle qualsiasi cosa!
-…abiti firmati? Scuole prestigiose, feste di compleanno in hotel di lusso? Cosa, Matt? Che cosa manca a Whiskey che solo tu puoi darle? Ed in cambio di cosa? – lo incalza. Continua a farlo con calma, parlando senza alzare il tono, senza affrettarsi, ogni singola parola scandita con precisione disarmante ad un Matt che la fissa impotente e ferito - Ti rendi conto che ti proponi di darla in pasto ad una folla di persone che reagirà alla sua presenza…in che modo?! Te lo sei chiesto? Ti sei domandato come reagirà lei?!
No, non se l’è chiesto. Lo sanno entrambi.
-Non puoi portarmela via.- soffia fuori, esitante.
-Non lo sto facendo. È qui, la vedi, non le ho impedito di venire da te, non le ho mai nascosto chi fossi. Potrà venire tutte le volte che vorrà, potrai tenerla con te tutto il tempo che vorrai. Ma è questa la sua famiglia.
-Non è giusto!- ringhia rabbiosamente, guardandola con un odio talmente sincero da farla rimanere di stucco.
Per un momento, ma poi sorride stancamente e con una dolcezza infinita.
-Non per te. E nemmeno per me, non lo è stato e non lo è ancora. Ma per lei sì.
-Come puoi dire che è giusto per lei?! È lei che è venuta da me!- ribatte aspramente.
Patricia annuisce ancora.
-Evidentemente sentiva di doverlo fare.
-Tu non sentivi di dovermela portare, però!
-Diciamo le cose per come stanno, Matt, non avevo idea di come avresti reagito e volevo che fosse lei a stabilire cosa aspettarsi da te.
-Cristo Santo, Patricia!
Non c’è altro da aggiungere.
Scuote la testa piano e poi lo guarda. Matt ha lasciato perdere la tazza, buttato indietro le spalle e non la guarda. Fuori in giardino sono arrivati Bas ed Eva, hanno visto Whiskey da lontano e l’hanno salutata a piene mani. Sono evidentemente iper eccitati ma lui non capisce niente di quello che i tre ragazzini si stanno dicendo tra strilla ed abbracci.
-...ha i piedi ben piantati a terra.- comincia a bassa voce lui. Patricia sbuffa un sorriso e si fissa le mani.- Ed un caratterino che te lo raccomando.
-Quello è tutto tuo.- commenta lei strappandogli una risatina.
-Credi che mi odi?
-No.
La sua paura è qualcosa di tangibile e di delicato, li riporta indietro, ad una sera di tanti anni prima in cui lei lo ricorda ragazzino, sbruffone ma talmente spaventato da tutto quello a cui si stava solo affacciando da non riuscire a dire al proprio idolo di sempre quanto fosse importante stargli accanto.
-…allora va bene.
-…Matt…- La guarda. Lei non lo fa, persa ancora nell’osservarsi le mani, che sono un po’ tozze e rovinate dal lavoro.- non è solo una questione di egoismo, vero? Non è solo perché deve fare stare bene te?- chiede.
-No.
-Allora va bene.- concorda lei, sollevando di nuovo la testa a ricambiare il suo sguardo.
Si alzano insieme, di tacito accordo, sistemando con delicatezza le sedie contro il tavolo.
-Mi ha fatto piacere rivederti.- gli confessa Patricia, avvicinandosi piano.
Matt la abbraccia prima che lo faccia lei e sente le sue braccia avvolgerlo, calde e protettive.
-Ha fatto piacere anche a me, Pat. Non sei cambiata affatto.- osserva con sincerità.
-Vorrei poter dire lo stesso di te, Matthew, ma mentirei. E tu sei sempre stato troppo intelligente per non capirlo.
***
In giardino Eva e Bas non riescono a credere ai loro occhi. Matthew soffoca un sorriso ed un ghigno tirato si fa strada comunque sulle sue labbra. Punta un dito contro Bas, che sussulta e quasi si strozza con la propria saliva.
-Tu! non permetterti di svenire o metterti ad urlare come una ragazzina!- lo redarguisce seccamente- E tu!- continua voltandosi verso Eva, ancora abbracciata a Whiskey con la quale stava parlottando a bassa voce fino ad un istante prima del suo arrivo- Non le riempire la testa di cavolate!
Eva sorride ed accenna un saluto militare.
-Agli ordini, mio capitano!- risponde divertita.
-Whiskey…- la chiama Matt, addolcendo appena il tono. Ma bada bene di non risultare melenso, è quasi certo che lei non lo sopporterebbe e non vuole salutarla “a modo suo”, tra rimbrotti e punzecchiature.
Lei si fa attenta, sciogliendosi dall’abbraccio dell’amica e mettendosi in piedi, in attesa.
-Sai che questa cosa mi costerà una bella punizione?!- scherza Matt.
-Sì, come no! Senza tv per un mese, Matthew Bellamy!- motteggia lei, mani ai fianchi e gambe larghe, imitando la voce di Tom.
-Probabile.- ritorce lui serissimo.
Whiskey scuote la testa e torna verso la veranda per recuperare qualcosa dalla propria borsa. Quando lo raggiunge di nuovo gli sta porgendo la moleskine.
-Non mi serve. So esattamente cosa pensare del nostro incontro. – spiega asciutta, facendogli cenno di prenderla.
Matt esegue in automatico, stupito, e poi si ritrova immobile senza sapere che fare. Patricia alle sue spalle che li guarda con il solito sorriso – lo sa – e sua figlia che aspetta pazientemente qualcosa.
-Vieni qui.- conclude alla fine, decidendo che non gli importa se lei si arrabbierà o gli dirà qualcosa di cattivo.
Ma non lo fa. gli va incontro a braccia aperte e si lascia stringere e, nonostante la notte insonne, il casino, le corse, i litigi, sa di buono, di pulito e di fresco, in cui Matt si lascia sprofondare stringendo più forte che può ed allentando la stretta solo per paura di farle male.
-Devo dirti una cosa…- sussurra lei piano, in modo che lo possa sentire solo lui.
Matthew annuisce senza aprire gli occhi e senza dire nulla, cullandola piano tra le braccia.
-E’ Hannerose.- dice lei.
Matt sbuffa un sorriso contro i suoi capelli e poi la allontana da sé, fissandola sorpreso mentre la tiene per le spalle.
-Sul serio?!- chiede. Whiskey annuisce appena.- E’ un bel nome.
-…a me fa un po’ schifo.- afferma lei arricciando di nuovo il naso.
Matt le da un buffetto sulla guancia e s’infila in tasca il taccuino.
-Devo andare.- le spiega.- Ma mi piacerebbe molto sapere che potrò rivederti.
-Beh, guarda che l’indirizzo ce l’hai, papà!- commenta lei ridendo.
Lascia cadere quella parola con la stessa noncuranza di quella prima volta che l’ha sentita dire il suo nome. Non fa differenza per lei, ora lo sa, non era arrabbiata. Semplicemente…
Non ti conosceva, Matt, che ti aspettavi?!
Quando sorride lo fa con la sincerità di chi pensa di sé di essere stato veramente un po’ stupido. Ma questo non lo dirà agli altri, proprio no!
-Intendevo dire che mi piacerebbe che venissi a trovarmi qualche volta.- ribatte.
Prenderla in contropiede, una volta tanto, è quasi piacevole.
-…oh…beh…se a Kate non da fastidio…
-Kate ti adorerà e potrete parlare male di me tutto il tempo.
-Oh, parlerò male di te con un mucchio di gente, allora!
-Whiskey!- la rimprovera Patricia.
Ma Matt sta ridendo. La abbraccia di nuovo, di slancio, ed ottiene in cambio un bacio morbido sulla guancia che probabilmente resterà un segreto esattamente come quel nome pronunciato al suo orecchio.
Mentre se ne va inforca di nuovo gli occhiali, ma giusto perché non ha voglia di avere un ricordo sbiadito di lei quando si volta a salutarla prima di entrare in macchina.
***
Dominic lo raggiunge mentre sta osservando i cubetti di ghiaccio raccolti sul fondo del bicchiere. Se lo rigira tra le dita, ascoltando in sottofondo le note languide di una qualche cantante jazz di cui non sa il nome. L’amico si arrampica sullo sgabello accanto al suo e si volta subito verso il bancone, riservandogli la discrezione educata di sempre nel non fissare direttamente gli occhi sulla sua aria spenta e sul suo viso tirato e stanco. Sorride sghembo, in uno sbuffo appena accennato, e posa sul piano il bicchiere con un rumore sordo. Solleva le dita a chiamare il barman.
-A cosa brindiamo?- s’informa ironico Dom.
-Alla mia idiozia senza fine.
-Giusto. È sempre una buona ragione per bere.- annuisce l’altro con gravità eccessiva.
Il barman si avvicina.
-I signori desiderano?- domanda compitamente.
Quando si volta ad incrociare il suo sguardo, Dominic gli cede la scelta con un cenno.
-Whiskey.- risponde Matt brevemente.- Doppio. - aggiunge con una risatina.
 
Fine
 
Beh…non esattamente.
Non finisce così.
Finisce con me che, vi dirò, odio da matti volare. E spero che questo dannato aereo arrivi a Los Angeles da mio padre quanto prima!
 “Doppio Whiskey”
MEM 2011
 
Note di fine capitolo della Nai:
Se siete arrivati fin qui ed avete ancora voglia di saperne di più, avete una pazienza encomiabile.
Io ci avevo pure pensato di dividerla a “capitoli”, ma poi non aveva senso ed io odio le cose senza senso.
 
Mentre scrivevo questa storia mi sono innamorata innumerevoli volte. Chiaramente, quando ho iniziato a scriverla amavo già Whiskey. Perché lei è la mia bambina ed una mamma adora sempre la propria figlia.
Ma poi è arrivato Bas, con il suo essere assurdamente ragazzino e deliziosamente stupidotto. Ed Eva, a cui piace vivere come non piace a nessun altro. E Martha, che non c’è nella storia ma nella mia testa è tutta qui, in carne ed ossa, e dice un mucchio di cose sagge con il sorriso di una ventenne un po’ disillusa un po’, semplicemente, troppo “grande” per la sua età. E Gunther, certo, il tedesco che non sa l’inglese e resta attore muto di una commedia corale.
E poi Patricia. Fuori luogo e fuori tempo. Fuori tempo massimo sulla vita. La mamma perfetta. La donna che resiste.
 
  
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