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Autore: Will P    14/09/2011    4 recensioni
"Dean se la sta cavando piuttosto bene, per essere uno scontro quattro a tredici angeli, finché Castiel non gli cade addosso."
[wing!fic; Dean/Castiel pre-slash]
Genere: Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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Disclaimer: Supernatural non è roba mia, il titolo è un palese scempio dei Panic! at the Disco.
Note: Questo prompt @ kinkmemeita. Come sempre, non so cosa sto facendo.



(The most fun an angel can have without) Taking his clothes off

Dean se la sta cavando piuttosto bene, per essere uno scontro quattro a tredici angeli, finché Castiel non gli cade addosso.

Rotolano a terra e Dean sbatte la schiena contro un lampione, forte, ritrovandosi senza fiato tra il colpo e l’angelo sdraiato su di sé a peso morto. «Porca- Cas!» urla, lo prende per le spalle e fa per gettarlo via e tornare nella mischia, ma la sua stretta scivola su qualcosa e resta raggelato. All’improvviso il lamento che sfugge dai denti digrignati di Castiel, piccolo e straziante, fa passare tutto il caos della lotta in sottofondo.

«Cas,» dice, con una voce che sembra vuota e distante persino alle proprie orecchie, stringendo le dita sulle sue spalle sottili e cercando di ignorare la maniera in cui il trench sembra restargli appiccicato alle mani. «Ehi, non fare scherzi,» lo scuote appena e poi gli volta la faccia di forza, costringendosi a guardarlo negli occhi e non sui segni rossi che le sue dita stanno lasciando sulle sue guance.

Castiel ha gli occhi chiusi, stretti in una smorfia di dolore. Fa tanto più effetto perché non sembra mai chiudere gli occhi, sempre a fissare tutto e tutti senza battere le palpebre, e vederlo così è semplicemente sbagliato. Quando li riapre, però, è peggio.

«Dean,» sputa fuori, come se gli facesse fisicamente male, e sembra così completamente terrorizzato che Dean sente l’impulso violento e viscerale di stringerlo e portarlo al sicuro a costo di dover uccidere tutti gli angeli del paradiso, ma la mano di Castiel che gli stringe il braccio in un avvertimento d’acciaio lo ferma.

Poi nota Raziel che marcia verso di loro stringendo alta una spada insanguinata. Spera, contro ogni buon senso, che quello non sia davvero il sangue di Castiel. Spera che quel povero stronzo non l’abbia davvero toccato, o sarebbe costretto a spezzargli il collo a mani nude.

«Vattene,» ringhia Castiel, facendo un valoroso tentativo di alzarsi in piedi, fargli da scudo e spingerlo via, e Dean vorrebbe dare un pugno anche a lui quando gli ricade addosso con un gemito.

«Non ti lascio qui,» sbotta, cercando di tirarsi su a sua volta, ed è pronto ad un litigio di proporzioni epiche su chi debba proteggere chi anche in faccia alla morte, quando Raziel lancia un urlo straziato e cade con uno spasmo e una nuvola di luce, Gabriel nascosto dietro di lui che si pulisce la spada su una manica della giacca, tutto ghigni folli e Grazia che fa scricchiolare l’aria tutt’intorno.

«Non c’è bisogno che ringraziate, ragazzi,» dice, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte e piazzandosi con una mano sul fianco precisamente in attesa di ringraziamenti.

Castiel rovescia gli occhi e cade all’indietro.

«Cas!»

Dean si rende vagamente contro di quanto possa sembrare ridicolo ma non gli importa. Si piega su Castiel e se lo tira in grembo, e riesce solo ad accarezzargli i capelli ancora e ancora, con una mano che non vuole smettere di tremare perché c’è sangue ovunque e non capisce da dove venga. «Figlio di puttana, potevi pensare ai fatti tuoi,» mormora, con la gola stretta, mentre gli preme due dita sul collo in cerca di un battito che non sa nemmeno se dovrebbe esserci, ma non può fare a meno di sperare…

Castiel apre un occhio, a fatica, e quella scintilla di azzurro è una delle cose più belle che Dean abbia mai visto. «La tua salvezza è molto più importante della mia, Dean.»

Si trattiene dal ridere perché ci manca giusto l’isteria a completare il quadretto. L’istinto sblocca i muscoli dallo shock e lo fa ripartire in automatico, gli tocca il petto, le braccia, le spalle in cerca della ferita, con l’unico risultato di farlo sibilare tra i denti. «Da dove cazzo esce tutto questo sangue?!»

«L’ha ferito all’ala.»

«A cosa

Alza gli occhi e si accorge di Gabriel a pochi passi da loro e di Sam, alle sue spalle, che raccoglie le armi da terra. Dio, non era mai stato così distratto in un combattimento, è un miracolo che sia ancora vivo, ma d’alra parte c’è Castiel che sanguina dal nulla e adesso stanno parlando di ali ed è legittimo che non ci stia più capendo niente, okay?

Gabriel rotea gli occhi e si accuccia accanto a Castiel, appoggiandosi le mani sulle ginocchia. «Salve, angeli a rapporto. C’è un po’ più di un mucchio di ossa e ciccia che cammina.» Dean segue il suo sguardo appena sopra l’orecchio di Castiel ma non vede niente e non riesce a decifrare la sua espressione e sta diventando matto. Stringe un po’ di più Cas perché è l’unica cosa che possa fare e poi prende bene fiato per iniziare ad urlare addosso a quello scherzo di natura che si spaccia per arcangelo.

«Non è grave,» lo interrompe Gabriel prima che possa anche solo aprire bocca. Dean lo fulmina con lo sguardo. Se gli sta di nuovo leggendo il pensiero… «No, basta guardarti in faccia,» continua Gabriel, poi sorride da orecchio a orecchio. «Adesso ti stavo leggendo nel pensiero.»

«Cos’ha allora?» interviene Sam, interrompendo anche lui Dean. Bastardi.

«Oh, è solo un graffio,» dice, agitando una mano, poi sospira davanti alle espressioni vuote (e, nel caso di Dean, vagamente omicide) che si trova davanti. «Sta trasferendo la ferita su questo piano, per farla guarire più in fretta sull’altro. I danni al tramite si riparano in un batter d’occhio. È un bravo soldatino, il mio fratellino,» esclama, dandogli una pacca sulla spalla.

Castiel singhiozza, e Dean vorrebbe strappargli quella mano a morsi.

Sam si avvicina e costringe Gabriel ad allontanarsi con un discreto calcio negli stinchi. «Dobbiamo portarlo via,» dice, serio, chinandosi a sua volta. «Al tre?»

Dean annuisce e si passa un braccio di Castiel attorno alle spalle. «Uno…»

Appena Sam prova a fare lo stesso con l’altro braccio però Castiel sussulta, come attraversato da una scarica elettrica, e afferra di scatto la maglia di Dean con un lamento. È pallido come un cadavere e i segni rossi sul viso che gli ha lasciato Dean solo qualche minuto prima spiccano come papaveri tra la neve, vividi e fuori posto. Dean lo guarda respirare a fatica, la mandibola stretta contro le fitte che lo fanno tremare sempre più forte, e non gli ci vuole nulla a prendere una decisione.

Sam lo guarda incerto. «Dean…?»

Dean si infila una mano un tasca e tira fuori le chiavi dell’Impala, che gli tira di mala grazia. «Guida tu,» poi si inginocchia, passa un braccio sotto le ginocchia di Castiel e lo tira su con cautela.

Castiel pesa poco, meno di quanto si aspettasse. Spera sia normale, che lo stia facendo a posta, che non sia perché è troppo debole e ferito o perché sta per scomparire. Appena è in piedi se lo sistema addosso meglio che può, cercando di fare piano, ma Castiel si limita a trattenere il fiato spingendo la faccia contro il suo petto.

Se ne va verso la macchina con lo sguardo duro fisso avanti a sé, senza voltarsi verso gli altri. Sam, impalato con le chiavi in mano, fissa la schiena di suo fratello che si allontana con un angelo tra le braccia e la dita di Castiel aggrappate al suo colletto, pallide e strette con disperazione alla stoffa.

Gabriel gli si affianca, guardandoli allontanarsi anche lui, poi batte le mani contento. «Significa che posso stare davanti?»

*

Il viaggio dal luogo del massacro al motel è breve ma intenso, considerando che nessuno dice una parola, nemmeno Dean quando Gabriel inizia a giocare con i tasti della radio e riesce misteriosamente a far uscire My Boy Lollypop da una cassetta etichettata come Iron Maiden; è troppo occupato a tenere Castiel verticale per fare qualcosa che non sia guardare male il sedile di fronte a sé (che, in effetti, è di Gabriel) e premersi di più Castiel addosso quando lo sente scivolare verso il basso.

Parcheggiano e Dean riprende Castiel in braccio – piano, sempre piano, anche se questa volta Castiel stringe appena le labbra mentre lo fissa con i suoi occhi grandi e lucidi – e scende dall’auto quasi senza dare tempo a Sam di spegnere il motore. Aspetta che vada avanti ad aprire la porta solo perché buttarla giù a calci causerebbe domande che toglierebbero tempo al curare Castiel.

«Noi, uh…» tenta Sam, mentre lui si abbassa sul primo letto che vede e ci adagia Castiel il più delicatamente possibile.

«Andiamo a sistemare i corpi,» conclude Gabriel per lui, col tono di chi non fa altro che occultare cadaveri ogni giorno e non vede l’ora di ricominciare. «Fate i bravi,» ammicca, prima di prendere Sam per il bavero della giacca e trascinarlo via.

Dean li ignora. Si siede sulla sponda del letto e aiuta Castiel ad appoggiarsi alla spalliera, cercando qualcosa da dire. «Potrai volare ancora, Trilli?» gli esce alla fine, che non è nemmeno lontanamente vicino a quello che vorrebbe dirgli ma almeno non gli fa tremare la voce mentre parla.

Castiel, pallido, ferito e mezzo dissanguato, riesce comunque a fare la sua faccia da non capisco questi umani. «Le nostre ali non servono a volare, Dean.»

«Tutto fumo e niente arrosto, uh?»

Castiel si acciglia ma chiude semplicemente gli occhi, stanco. Niente domande ridicole, niente spiegazioni dell’ovvio che si trascinano per ore, e Dean sente una morsa fredda d’angoscia stringergli lo stomaco. Alza la mano per metterla non sa nemmeno lui dove, e finisce per dargli una pacca impacciata al gomito. «Quanto starai ko?»

«La rigenerazione delle ferite alla mia vera entità richiede del tempo, ma è quasi terminata,» dice, con un filo di voce così lontano dal suo solito tono autoritario che Dean nemmeno si accorge di avergli preso una mano, in cerca di una prova sicura che sia davvero lì, che stia bene. «Purtroppo in queste condizioni non posso fare nulla per accelerare la guarigione del mio tramite. Temo di essere soltanto un peso per voi, in questo momento.»

Sciocchezze. Non sei mai stato un peso. Ti prego rimettiti. «Posso vederle?»

A quanto pare il dire tutt’altro rispetto a quello che ha in mente è diventato un vizio.

Castiel spalanca gli occhi e Dean si sente la faccia andare in fiamme come un ragazzino alla prima cotta. Non aiuta che si renda conto di starlo praticamente tenendo per mano da cinque minuti, staccandosi bruscamente, o che Castiel lo stia fissando come se si sia fatto sfuggire una torbida confessione.

«Puoi vederle,» dice però, lentamente, e Dean deglutisce senza sapere il motivo. È che sembra una cosa importante, una cosa solo per lui.

Castiel si raddrizza un poco e Dean lo aiuta a togliersi il trench, automaticamente, anche se probabilmente non serve a nulla. Vedendolo sporco di terra e sangue – un lago di sangue, bruno e ancora tiepido, il sangue di Castiel, pensa con una punta di nausea – è tentato di gettarlo nel cestino e dargli fuoco, ma è abbastanza sicuro che Castiel ci tenga e non vuole togliergli uno dei pochi oggetti terrestri cui si è affezionato; lo piega e lo appoggia su una sedia, poi torna al letto.

Seduto contro le coperte verde smorto del letto, con le scarpe ancora addosso e la giacca stropicciata, sembra così piccolo. Un piccolo umano che rischia di rompersi in ogni momento.

Poi le vede. Le luci tremano un attimo, l’aria si riempie dell’odore di ozono come prima di una tempesta di lampi e poi inizia a piegarsi, non c’è altro termine per descriverlo, e in un battito di ciglia ci sono due ali che sbucano dalla schiena di Cas.

Non sono come quella volta nel fienile, un’impressione fulminea e terribile; sono lì, nere, enormi, invadono la stanza frusciando lievemente ad ogni più piccolo movimento di Castiel. Sembrano fatte d’ombra, un’ombra densa e lucida che intrappola la luce e la rimanda in piccoli riflessi segreti che disegnano per un attimo il contorno di ogni piuma, prima che la luce cambi e tornino a fondersi l’una con l’altra. Riesce a vedere la ferita, proprio in cima all’ala, un lungo graffio sporco di sangue ma quasi rimarginato che gli fa rimpiangere il non aver pensato personalmente a quel bastardo di Raziel.

Come in trance, allunga una mano e sfiora le piume sotto la ferita.

Sono morbide e incredibilmente calde, non come credeva dal loro colore, e sente una sensazione strana riempirgli il petto così ripete il gesto, deliberatamente, facendo scorrere le dita tra due piume un po’ spiegazzate. Le raddrizza, automaticamente, accarezzandole per tutta la lunghezza.

Castiel fa un verso strano. Si volta verso di lui e i suoi occhi sono in fiamme, brillanti come non li aveva mai visti; è ancora pallido ma ci sono due macchie rosse che spiccano alte sui suoi zigomi, e si sta mordendo le labbra. Gli riesce difficile staccare gli occhi dalla sua bocca, per qualche motivo.

«Che c’è?»

Poi la porta sbatte e il verso sorpreso di suo fratello viene coperto dal gridolino di giubilo di Gabriel, che non è mai un buon segno. Dean ritira la mano di scatto e salta in piedi, allontanandosi dal letto e da Castiel. C’è un fruscio alle sue spalle e capisce, senza guardare, che Castiel deve aver ritirato le ali nella dimensione da cui le aveva tirate fuori. La stanza sembra improvvisamente più vuota.

Sam sta ancora fissando a bocca aperta il punto dov’erano le sue ali fino ad un secondo prima, ma Gabriel sta fissando Dean. Ha un sorriso maniacale e la faccia di chi ha visto sette Natali piombargli addosso in un colpo solo e non sa come esternare adeguatamente tutta la sua gioia, solo che nel caso di Gabriel sarebbe più appropriato dire sette pullman pieni di spogliarelliste.

«Oh Dean-o, non volevamo interrompere!»

«Cosa?»

«Ma potevate anche mettere il cartello “non disturbare”, se ci stavate dando dentro a quel modo.»

«Cosa?»

«Tu sei un uomo di mondo, capisco, l’impeto della battagli e l’adrenalina e tutto il resto, ma tu,» e punta un dito verso Castiel, che sta seduto sul letto come un robot e sembra volersi fondere con l’orrida coperta, «tu, bricconcello, da te non me lo sarei mai aspettato! Il piccolo Cassie sta crescendo!»

«Si può sapere cosa stai dicendo?» dice Sam, stralunato, dando voce ai pensieri del fratello ma in maniera molto più garbata.

Gabriel, che non aspettava altro che una battuta del genere, si illumina come una torta di compleanno. «Castiel qui presente ha fatto l’equivalente angelico di uno spogliarello davanti a Dean.»

C’è un momento di silenzio in cui riescono perfettamente a sentire Castiel morire un po’ dentro, e il cervello di Dean incepparsi. Gabriel ride deliziato.

«Siete tornati solo per spiare, allora?» ringhia Dean, con grande dignità, cosa che fa solo ridere Gabriel più forte. «O solo per farvi prendere a calci in culo?»

«Volevamo avvertire che la gang di Raziel è sistemata e concederci il sonno dei giusti, ma a quanto pare dovremo cambiare camera.»

L’orribile nanerottolo riesce a schivare il soprammobile solo barando con i riflessi da arcangelo, e fugge ridendo chiudendosi la porta alle spalle giusto mentre Dean si prepara a lanciare il telefono. Sam si è defilato molto prima di lui, probabilmente a nascondersi in auto ed ondeggiare sul posto come un gigantesco bambino traumatizzato.

Dean si passa stancamente una mano sugli occhi e poi torna a fronteggiare Castiel. Cas è perfettamente immobile da quando sono stati interrotti, una statua di imbarazzo e contrizione. Dean si risiede sul letto, cautamente, e si avvicina finché Castiel non è costretto a muoversi e guardarlo in faccia. Sembra in attesa di ricevere un colpo a tradimento, come se qualcuno potesse mai alzare un dito su quello sguardo da cucciolo. Dean sbuffa una risata e gli afferra la cravatta.

«Bastava molto meno per fare colpo, sai?»

   
 
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