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Autore: Jay W    14/09/2011    3 recensioni
Ciao a tutti!^^
Questa è una storia nata dalla mia improvvisa passione per Iron Man (o dovrei dire Tony Stark?) e una lunga chiacchierata con mio padre sulla condizione di vita delle donne libiche, paese in cui ha lavorato per diverso tempo da giovane.
Premetto che non sono araba, non so molto della cultura araba e non ne capisco niente di arabo, ma qualche espressione in questa splendida lingua non volevo perdere l'occasione di mettercela, a partire dal titolo stesso, il cui significato vi verrà svelato più in là nella storia... Sempre che decidiate di continuare a leggere!XD
Enjoy^^
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il sibilo assordante e sconfinato del vento.
 
Era l’unico suono udibile, quando tentò di riaprire gli occhi , un tempo non ben determinato dopo il suo poco morbido e delicato atterraggio.
 
La sabbia aveva attutito l’impatto, è vero: sempre meglio cadere su una duna di sabbia che su una lastra di cemento…
Ma provate voi a fare un volo di seicento piedi in discesa libera, con un mucchio di ferraglia addosso!
 
Si sforzò di tenere aperti gli occhi, ma fu un’impresa difficile, feriti dal sole e dal deserto che sembrava aver deciso di sputargli in faccia tutta la sua sabbia.
Muoversi? No, nemmeno quella fu impresa facile: nell’impatto col suolo, la corazza di ferro che si era fabbricato era andata in pezzi e diverse schegge gli si erano conficcate in una coscia e nelle braccia. Non in profondità, almeno… Non com’era accaduto con le schegge della granata che avevano colpito il suo cuore riducendolo in quello stato. Alcune, le più grandi e superficiali, potè togliersele con le dita. Altre rimasero nella pelle, troppo piccole per essere estratte a mano in quelle condizioni.
 
Un rivolo di sangue, che era scivolato da una ferita accanto alla tempia giù per uno zigomo, si era raggrumato in una striscia nerastra che andava ad aggiungersi a cento piccoli altri graffi, lividi e tagli sul suo volto, sporco e provato dalle settimane di prigionia appena terminate.
Alzò lo sguardo: il sole non si era spostato: non doveva, quindi, essere rimasto svenuto a lungo.
 
Accecato dal sole e con la vista appannata, chiuse gli occhi, abbandonandosi sfinito alla sabbia. Col volto sofferente per le ferite e la stanchezza, gli occhi serrati per proteggersi dal sole che sembrava torturarlo con la sua luce accecante dopo le settimane in cui aveva vissuto di tetra oscurità e le labbra screpolate che imploravano acqua, riprovò a sollevarsi appena, per guardarsi attorno: nient’altro che sabbia…
Ma sì: meglio morire di caldo e sete, ma libero, che prigioniero con una pallottola in testa!
Si riaccasciò, senza trovare nemmeno la forza di ripararsi dal sole con le mani, sprofondando di nuovo in un buio silenzio, privo di sensi.
 
Privo di sensi, sì, ma pieno di sogni…
 
Almeno a quanto gli sembrò. Gli parve di vedere qualcuno o forse qualcosa. Di udire uno strano brontolio animale, monete… Sì, un tintinnare come di monete, insistente, ora che si avvicinava, ora che si allontanava… Gli parve di scorgere un’ombra, poi una figura scura…
“Ecco lady morte che arriva…” pensò “Lo sapevo che sarebbe arrivata presto per me, con passo leggero, quasi in punta di piedi, così come sta facendo ora… Ma non ho mai creduto potesse essere tanto dolce e premurosa, da tentare di offrirti un conforto prima di portarti via… Cos’è, lady morte? Acqua? Non sapevo ti prendessi cura delle persone che stai per strappare a questo mondo… Né che il tuo odore fosse tanto pungente… Né che avessi mani così piccole… Né che i tuoi occhi fossero così grandi e scuri… “
 
Spalancò gli occhi. E la misteriosa piccola figura senza nome e senza volto, ricoperta da capo a piedi da un mantello ed un turbante marrone, balzò indietro con un urlo, raggiungendo il cavallo che se ne stava fermo pochi passi dietro di lei.
Gli ci volle un po’, a Tony, per capire cosa stesse succedendo. Gli bastò leccarsi le labbra e sentirsele realmente umide d’acqua, per intuire. Protese una mano verso di lei, tirandosi a stento a sedere. Si riparò gli occhi accecati dal sole e dal riverbero di esso sulla sabbia, col dorso di una mano.
A discapito del suo aspetto e degli strani rottami che lo circondavano, tutto poteva apparire fuochè una minaccia.
 
Diffidente ma generosa come solo le genti nomadi sanno essere, gli si avvicinò cauta, con plateale circospezione, porgendogli una borraccia di pelle di capra piena d’acqua. Tony bevve avidamente e lei fu costretta a fermarlo prima che terminasse tutta l’acqua di cui disponeva. Dopodiché si allontanò lentamente, senza mai dargli le spalle, tenendo strette le rudimentali briglie del cavallo, che carezzava nervosamente.
Lo aveva visto piovere giù dal cielo ed ora, com’era facilmente comprensibile, ma aveva un sacro timore: aveva visto molti stranieri nel corso della sua giovane vita.
Ma mai li aveva visti scendere giù dal cielo come angeli… E nella sua mente si faceva strada, dunque, la possibilità che l’individuo dallo strano aspetto a cui aveva dato da bere, non fosse uno straniero qualsiasi, ma che provenisse dal cielo da cui era caduto. Molte volte aveva visto cadere le stelle, nelle fredde e lunghe notti del deserto… Si era sempre chiesta cosa fossero… Dove finissero… Forse le stelle cadevano anche di giorno e forse, anzi, probabilmente, quell’uomo era una stella!
Tony si tirò in piedi a fatica, scrollandosi di dosso la sabbia e arruffandosi vigorosamente i capelli per costringersi a tornare lucido. Ma aveva perso molto sangue, non mangiava a sufficienza da settimane ed era terribilmente debole: non rimase in piedi a lungo e cadde, dopo aver barcollato sulla sabbia per qualche passo.
 Solo allora lei realizzò che probabilmente, l’uomo stella, avendo vissuto fino a quel momento in cielo, non poteva certo saper camminare. Gli portò il cavallo e senza dire una parola, si avvolse un suo braccio attorno alle spalle per aiutarlo a rimettersi in piedi. Non si porse molte domande, Tony, quando si ritrovò in groppa all’animale, dopo diversi tentativi. Semplicemente, si abbandonò alla stanchezza, sprofondando col volto nel collo della bestia, aggrappato alla sua criniera per non cadere, con le ultime forze che gli erano rimaste.

Il movimento lento e dolce del cavallo tra le dune, ebbe il potere di cullarlo e riaddormentarlo placidamente.



  
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