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Autore: Alizabith    14/09/2011    1 recensioni
Non guardò da quella parte per più di un secondo, ma un secondo le bastò. Gli abitanti della fattoria erano stati troppo presi dal suo colpo in testa, dal timore di perderla, per curarsi subito del cavallo. Ma il marciume non aveva tanti riguardi. Né le mosche. Non sarebbe mai riuscita a dimenticarne l’odore, anche tenendo la finestra chiusa.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio , Dorothy Gale, Emma Gale, Henry Gale
Note: Movieverse, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti
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Oz 1939

 

 

 

 

Non c’era niente – niente di niente, per miglia e miglia – da guardare tranne che la piattezza del Kansas. A volte sembrava quasi che la terra fosse un oceano e che da un momento all’altro si sarebbe sollevata per precipitarle addosso e inghiottirla.

Il ciclone aveva sollevato una casa. Questo era sicuramente successo. Ma era soltanto la cuccia del cane, che il vento aveva strappato da terra e che aveva colpito alla testa un cavallo. Non guardò da quella parte per più di un secondo, ma un secondo le bastò. Gli abitanti della fattoria erano stati troppo presi dal suo colpo in testa, dal timore di perderla, per curarsi subito del cavallo. Ma il marciume non aveva tanti riguardi. Né le mosche. Non sarebbe mai riuscita a dimenticarne l’odore, anche tenendo la finestra chiusa.

Ci volle un po’ per ripulire, per sedare definitivamente le discussioni col vicinato, ma avrebbe dovuto sapere che non poteva durare. Non era cambiato nulla. Era dura da tenere a  mente. Amica del re e salvatrice nazionale, a Oz; qui, nessuno.

Aveva visto Miss Gulch arrivare fin davanti alla porta prima di pensare di nascondere il cane. Lo sollevò e lo mise nella sua vecchia scatola dei giocattoli, svuotata appositamente per l’occasione. Lui saltò su a colpire il coperchio e Dorothy dovette sedercisi sopra per tenerlo chiuso dentro. “Shhh. Totò, zitto. Sta arrivando la Strega. La Strega Cattiva.”

Uggiolò, ma poi tacque. Dorothy strappò un libro dal copriletto e se lo aprì in grembo un istante prima che entrassero gli zii, seguiti dalla Gulch.

La mano che non stringeva il libro stringeva il coperchio della scatola.

Senza una parola, lo zio la mise in piedi e la zia aprì la cassetta, tirando fuori Totò. “Ecco,” mormorò, cacciando l’agitato terrier nelle mani della Gulch. “Lo prenda.”

Lo sguardo negli occhi di Miss Gulch era fin troppo familiare. Dorothy strillò e lottò, ma lo zio aveva una presa molto salda. Nulla, né proteste né lacrime, avrebbe potuto farlo vacillare, così Dorothy si accasciò. Quando lui si mosse per afferrarla meglio, lei si divincolò e si precipitò nella stanza accanto.

Là, sul tavolo, c’era una brocca piena d’acqua. La sollevò e la rovesciò, inzuppando la Gulch, in corridoio, dalla testa ai piedi. Sputacchiando, la strega lasciò cadere il cestino con dentro Totò, che guaì. Dorothy si tuffò e una Gulch furiosa le barcollò di fronte, portando l’alto tacco con tutto il suo peso sul cesto.

Totò squittì.

Per un attimo rimasero tutti in silenzio. Poi la Gulch girò sui tacchi e ripercorse il corridoio senza una parola, lasciandosi alle spalle il cestino e un motivo d’impronte rosa.

 

 

La zia Emma stava componendo uno spaventapasseri. Non perché il grano fosse stato mangiato; aveva solo bisogno di fare qualcosa con le mani. Dorothy non aiutava molto alla fattoria, adesso, ma comporre uno spaventapasseri era una delle poche cose che avrebbe accettato di fare. Quando la mandavano in cortile, non faceva che vagare senza meta, come se non capisse dove fosse o come ci fosse arrivata. Continuava semplicemente a camminare, senza guardare dove andava, e avrebbe continuato finché qualcuno non l’avesse fermata.

“Vieni, Dorothy, aiutami a cucirgli le mani.”

Dorothy tenne ben stretti i guanti e osservò l’ago muoversi dentro e fuori, dentro e fuori, senza alzare lo sguardo.

Quando fu finito, quello dello spaventapasseri era più un ghigno che un sorriso. Emma rimpianse di aver lasciato a Dorothy il compito di dipingergli la faccia, e si voltò per tornare alla fattoria. Dorothy fissò la schiena del pupazzo per ore dal davanzale della sua finestra, dondolando le gambe a un palmo da terra. Batteva i tacchi in un ritmo costante che ormai si erano tutti abituati a sentire, per tutta la casa. Erano sempre tre colpi.

Tap, tap, tap.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note di traduzione

 

Leggere questa storia è stato, in pratica, un dolore fisico. L’autrice afferma di averla scritta perché non ha mai accettato la conclusione semplicistica della trasposizione cinematografica del 1939, con l’espediente del sogno, il banale messaggio che ‘non c’è nessun posto bello come casa’ e anche il fatto che il destino di Totò – che all’inizio del film doveva essere soppresso dallo sceriffo, su richiesta di Miss Gulch – non venga poi ripreso in considerazione. Non ho potuto che essere d’accordo con ogni sua parola, ma è stata soprattutto la forza evocativa ed emozionale di questo pezzo a spingermi a volerlo tradurre e condividere con voi: trovo che Alizabith abbia saputo cogliere in una crudezza tutta nuova il dolore di Dorothy all’idea che tutto fosse stato solo un sogno.

Spero vi piaccia quanto è piaciuta a me.

A questo link lo scritto originale.

Aya Lawliet ~

   
 
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