Libri > Black Friars
Ricorda la storia  |      
Autore: ViKy_FrA    15/09/2011    1 recensioni
Fanfiction partecipante al concorso scritto "Regnum Insomniae" indetto dai blog "Sfogliando" e "Reading at Tiffany's"
(Io incrocio le dita!)
La notte del Carnevale della Cittadella Axel incontra Eloise tra i vicoli. Mentre lui scivola lentamente nella disperazione cosa accade nelle stesse notti ad Aldemar?
Con chi sei ora? Cosa stai facendo in questo momento?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Loaded Dice

Cronaca di un Sogno di fine Inverno

 

 

 

Hayaku ichiban taisetsu na hito no tokoro e

Konomama kimi wo hontou ni ushinau sono mae ni

[Devo andare in fretta dove si trova la persona per me più importante

prima che, in questo modo, io ti perda veramente]

(Maaya Sakamoto, Soonic Boom)

 

 

 

Axel.

Si svegliò all’improvviso, senza motivo apparente. Le coperte erano in disordine e si sentiva a disagio: aveva caldo oppure freddo, non riusciva a capirlo.

Confusa frastornata infastidita, Eloise gettò le gambe fuori dal letto, posando i piedi nudi sul tessuto morbido del tappeto. Un passo dopo l’altro, muovendosi alla luce della luna che filtrava dall’esterno, raggiunse le spesse tende, le tirò con veemenza, spalancò gli scuri e rimase a guardare oltre il vetro il chiaro paesaggio irreale della notte marzolina di Aldenor.

Le sue stanze affacciavano sul cortile meridionale della residenza, ma per quanto affinasse lo sguardo, per quanto scrutasse l’orizzonte, per quanto insistentemente cercasse il profilo di una città sconosciuta, non vedeva altro che giardini, campi, altipiani, fiumi e monti e monti e monti.

Sapeva che non era una distesa infinita: aveva visto pianure e Nationes, fiumi e Strade Regie, attraversando quelle terre più di una volta per raggiungere il mare di Altieres. Eppure in quel momento le sembrava che tutto ciò appartenesse a un altro mondo, diverso e parallelo, che quelle montagne fossero invalicabili, che non solo lo spazio ma anche il tempo la separassero da lui.

Axel.

Il bianco dell’inverno stava lasciando posto ai colori della primavera; lo si capiva dalle rocce che iniziavano a fare capolino da sotto la neve o dagli alberi che iniziavano a liberare i rami dai loro freddi cappotti. Erano passate settimane dall’ultima nevicata – non una di quelle frequenti spolverate di zucchero, ma una di quelle abbondanti cascate di fiocchi di lana grandi e ovattati –, i cumuli sopra le mura si erano abbassati e la luce della luna mostrava sui laghi le ampie lastre di ghiaccio ormai tanto sottili da sembrare trasparenti.

Mancavano tre giorni alla prima Domenica di Quaresima e quelle erano le ultime sere di vero inverno: Pasqua avrebbe visto una timida primavera spargere le sue tinte tenui.

Axel.

Eloise accarezzò sul vetro freddo la sua immagine riflessa – l’immagine di lui nella mente.

Dove sei adesso?

 

Kogoeru arashi no yoru mo

Mada minu kimi e tsudzuku

Oshiete umi wataru kaze

Inori wa toki wo koeru

[Anche nelle freddi notti di tempesta, la tua figura non muta. Vi prego ditemi, venti oltre l’oceano, se la mia preghiera attraverserà il tempo]

(Lena Park, Inori – You Raise Me Up)

 

Un grande specchio sulla parete di destra la ritraeva di profilo, nella veste da notte candida, immersa nel paesaggio oltre la finestra. Quando una grande nuvola, scivolando pigramente nel cielo, oscurò la luna per un lungo istante, il riflesso di luce che lo specchio restituiva venne a mancare. Fu in quel momento che per istinto si voltò.

Nell’ombra scura della stanza, immersa in un buio poco più chiaro della notte fonda, Eloise vi vide riflessa una donna minuta, vestita di nero, una maschera le nascondeva del tutto il viso, i lunghi boccoli scuri erano coperti da un velo sottile1.

La stava guardando.

Un’ampia gonna a balze di seta e pizzo nero sbocciava a corolla dalla vita sottile. I capelli erano scuri sotto il velo ricamato che indossava; ai margini della mezza maschera, la pelle era chiara2.

La stava guardando e sorrideva di scherno.

La paura assalì Eloise in un’unica ondata di terrore. Il cuore picchiò una volta più forte contro le costole, prima di iniziare a martellare freneticamente. Aprì la bocca per gridare, ma si rese conto di non avere voce: le restava bloccata sotto la gola, solida, soffocandola, senza voler uscire in un urlo di panico.

La nuvola nel cielo passò oltre indifferente e la luce della luna tornò nella stanza. Lo specchio ora le restituiva l’immagine di una ragazzina spaventata e ansante nella sua camicia da notte bianca, le mani al cuore come per calmarlo, i capelli spettinati, il viso scoperto.

Un violento senso di nausea la pervase non appena tornò il chiarore notturno, si appoggiò con una spalla alla finestra costringendosi a respirare a fondo per calmarsi. Chiuse gli occhi, provando a mettere ordine alle idee. Doveva essere stata un’illusione ottica causata da un gioco di ombre, e l’autosuggestione aveva fatto il resto. Se anche avesse ceduto al bisogno che ancora sentiva di urlare aiuto ci sarebbe stato ben poco da fare, se non tranquillizzarla come una bambina piccola dopo un incubo.

La nausea non se ne voleva andare e l’offerta delle coperte di un sonno ristoratore sembrava ora straordinariamente attraente. Fece un passo verso il letto, e sentì qualcosa scivolarle in mezzo al seno per cadere ai suoi piedi con un tonfo pesante. Abbassò lo sguardo e si portò una mano alla bocca.

Sul legno scuro del pavimento giaceva la sua croce di diamanti e ossidiana.

La croce che le aveva regalato Axel.

Con un gesto irrequieto, Eloise si chinò per raccoglierla e tornò alla finestra per esaminarla alla luce lunare. Una delle maglie della collana aveva ceduto e sembrava impossibile ripararla a mano.

In genere la notte la posava sul tavolino a fianco del letto, ma capitava di frequente che se ne scordasse e si addormentasse con la croce addosso. Doveva averle dato uno strattone di troppo nel sonno agitato delle ore precedenti. Se la sera prima si fosse ricordata di toglierla – si disse –, ora sarebbe ancora integra. Sconforto e dispiacere si sommarono al malessere che già provava, facendole venir voglia di piangere. Stringendo la croce al cuore tornò a letto, decidendo di lasciare tutto a domattina: era stanca, e aveva bisogno di riposo. Con la luce del sole avrebbe ridimensionato ogni cosa, e la paura, la nausea, il dispiacere l’avrebbero finalmente abbandonata.

 

Hashire ima jiyuu ni naru boku no ishiki

Todoke genshoku no hane ni notte maiagare

[Lascia la mia coscienza libera di correre / lasciami decollare su ali vibranti di colori primari e arrivare a te]

(Maaya Sakamoto, Sonic Boom)

 

Minuti o ore dopo non aveva ancora ripreso sonno. Gli occhi le bruciavano desiderando solo nascondersi dietro le palpebre, mentre un senso di disagio col suo stesso corpo le impediva di trovare comodità in qualsiasi posizione. La stanchezza non le consentiva di essere lucida e ogni occhiata alla croce sul tavolo accanto al letto era motivo di pensieri nefasti.

Axel.

La sua mente tornava continuamente a lui, spesso senza coerenza, come se il suo ricordo fosse l’unica cura, come se pensandolo abbastanza intensamente lui potesse davvero entrare nella sua stanza e darle conforto, attendendo accanto a lei la fine di quella notte terribile.

Axel.

Ricordi si mischiavano a sogni e desideri, rincorrendosi davanti ai suoi occhi insonni, senza mai regalarle un oblio dove abbandonarsi in quelle scene, perdendo per un poco il contatto con la realtà.

Il ricordo della prima volta che l’aveva baciata, il sogno di un luogo lontano solo per loro, il desiderio di seguirlo fino al confine con le truppe. Il ricordo di quando si era ferita pescando per la prima volta, il sogno di contare le stelle per lui, il desiderio di raggiungerlo nella Vecchia Capitale. Il ricordo delle notti in cui fingevano la malattia pur di condividere la febbre che era la smania di stringersi, il sogno di vederlo tornare all’improvviso dallo Studium solo per lei, il desiderio di stringerlo, semplicemente.

Axel.

Ma non c’era sole che non sarebbe tornato un’altra volta, e dei lenti raggi iniziavano a spargersi dalle valli a est, entrando di sbieco nella sua stanza, passando per il vetro ancora libero da cui aveva guardato la notte invernale.

Eloise si alzò di nuovo, con calma, e tornò alla finestra mentre il sole sorgeva. Lontana da quel letto inospitale, dalle ore di veglia involontaria e dalla croce di diamanti e ossidiana, posò la fronte sul vetro, cercando ristoro nel freddo della superficie.

Un raggio di sole andò sfacciatamente a colpire lo specchio che poche ore prima la notte aveva oscurato. Di nuovo Eloise colse il riflesso con la coda dell’occhio, e l’istinto di voltarsi fu più veloce dell’inquietudine che la sorprese ancora, come un’inattesa onda di risacca.

Ma vide soltanto se stessa, i capelli sulle spalle erano miniati d’oro dalla luce del sole, lo sguardo stanco per la notte insonne le dava un’aria incantata, le fattezze che la veste lasciava intuire erano morbide, e qualcosa in nella sua postura la mostrava inconsapevolmente più adulta di quel che non fosse.

Aveva quindici anni e la malizia di tutte le donne che l’avevano preceduta sulla terra.

Stremata dall’insonnia, pensò che avrebbe solo voluto Axel vicino, pensò confusamente che avrebbe anche potuto rinunciare alla loro decisione di aspettare, se questo avesse potuto significare sentirlo nel proprio cuore come se le vivesse accanto.

Axel, quante volte siamo stati sul punto di…

In un angolo mazzi di rose rosse e margherite bianche spargevano petali su un tavolo nella luce fredda dell’alba3.

Cosa ci legherebbe adesso?

La passione che scorreva nelle loro vene era potente come i venti del nord tra i quali erano cresciuti, ed era un miracolo che entrambi non fossero già venuti meno alla loro promessa4. Nudi a letto, e con intenzioni innocenti? Era come mentire al diavolo: era come sfidare il cielo e mettere l’anima nelle mani di Lucifero5.

Le tornò in mente la croce che le aveva regalato caduta sul pavimento scuro, e la tristezza la assalì di nuovo. Poi, prima che lo potesse fermare, riemerse nitido anche il ricordo della donna in nero riflessa nello specchio. Il suo ghigno.

Con chi sei ora?

Il suo senso di malessere si accentuò all’improvviso, e qualcosa di simile all’abbandono la fece accasciare, scossa da un tremito violento. Si abbracciò il ventre rannicchiandosi su se stessa, cercando istintivamente sicurezza e protezione. Voleva gridare, gridare tutta la sua solitudine.

Pensò che se Axel avesse chiesto di sposarla, ora lei sarebbe stata con lui.

Cosa stai facendo in questo momento?

Il grido che le sfuggì sembrò giungere da un luogo lontanissimo, dove soltanto lui avrebbe potuto raggiungerla6.

Ma lui non era lì.

 

And all I do is miss you and the way we used to be

(Dire Straits, Romeo and Juliet)

 

***

 

L’indice della mano destra calò dolce sul tasto bianco, due volte e poi una, ancora due volte e ancora una.

Re-re re. Re-re re.

Il mignolo corse al tasto nero più vicino, l’anulare scese su quello bianco accanto, di nuovo l’indice sostò un istante di più sulla lacca bianca, il pollice accarezzò un altro dei tasti scuri. Subito la mano si spostò sull’ottava più bassa: indice, pollice, indice, medio, anulare, mignolo, pollice.

Fa diesis, mi, re, do diesis, si, la diesis, si, do diesis, re, mi, la.

Due battute di pausa, ma sul quarto tempo la musica non riprese.

Sopra il pianoforte, rose rosse si disfacevano delicatamente da un vaso di cristallo che catturava il bagliore di una candela7. La mano giaceva dimenticata in grembo mentre Eloise fissava la doppia porta della sua stanza senza vederla. Oltre il legno di abete c’erano il letto, lo specchio, la croce e gli incubi ad occhi aperti che il sole del giorno trascorso aveva temporaneamente confinato nelle ombre. Temeva una notte come la precedente, temeva di non saperla sopportare.

Accarezzò l’idea di passare la notte al pianoforte. Non lo sapeva suonare: aveva cominciato a prendere lezioni per sfizio da qualche settimana, da quando le biblioteche avevano finito di fornirle letture interessanti e gli studi erano giunti a un punto tale che solo lo Studium poteva aggiungere altro alla sua istruzione. Così aveva chiesto e ottenuto il permesso di imparare a suonare uno strumento. Non era eccezionalmente dotata, soprattutto faticava a trovare il ritmo giusto nelle prime esecuzioni – un po’ come nel ballo -, ma lo trovava comunque un modo piacevole per far scorrere il tempo fino a giugno, quando Axel sarebbe tornato.

Chissà cosa avrebbe detto Axel…

Nelle lettere gli aveva taciuto la novità. Non intendeva né fargli una sorpresa, né meravigliarlo con improvvise doti musicali: semplicemente nutriva il desiderio di mostrare ad Axel i frutti del pezzetto di vita che aveva trascorso senza di lui, con quello stesso tenero e infantile orgoglio che portava i bambini a comportarsi bene in attesa del ritorno dei genitori. Non era rimasta con le mani in grembo, ma le aveva usate per imparare a suonare.

Suonare. E’ anche troppo compassionevole definirlo suonare8.

In un impeto di rabbia contro se stessa e le sue paure notturne, Eloise si alzò con un gesto brusco dal seggiolino del pianoforte. Il tempo di muovere un passo e sentì un rumore di stoffa lacerata: abbassando lo sguardo vide che un lembo della veste bianca era rimasto impigliato sotto la gamba del pesante sgabello in ebano. Doveva essere successo mentre si accomodava allo strumento nella posizione corretta. Con un moto di divertimento, pensò che di quel passo avrebbe sfasciato tutto ciò che possedeva prima del ritorno dell’estate.

Prima del ritorno di Axel.

Axel.

Quando il pensiero di lui era diventato così fisso nella sua mente da superare l’innocenza per sfociare nell’ossessione? Quando il bisogno di averlo per sé si era trasformato in qualcosa di oscuro e disperato dopo anni trascorsi a imparare ad amarlo senza neppure conoscere i termini per definire ciò che provava?9

Eloise chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. La sua mente iniziava a cedere, i pensieri non erano più coerenti, si disse. Liberò la veste dal seggiolino, decisa a coricarsi. Sperava – desiderava – che almeno per quella notte Morfeo si degnasse di visitarla, restituendole i suoi pensieri.

 

Soba ni itemo kizukenakute ima ni natte wakatta koto

Moshikashitara ano koro yori boku wa kimi no chikaku ni iru

[Non mi sono mai accorta che sei sempre stato al mio fianco, ma ora capisco / forse ti sono più vicina io ora della me di allora]

(Maaya Sakamoto, Sonic Boom)

 

Vide il sole sorgere anche quel giorno. Dalla stessa, alta finestra di svariate ore prima, la luce del sole entrò in un unico fiotto che accarezzava la stanza dal pavimento al soffitto. Eloise aveva aperto gli scuri anche quella notte, un modo qualsiasi di passare il tempo; oltre i vetri il marmo della balconata della sua stanza aveva riflettuto indifferente i raggi della luna. Dentro, il camino era spento e la tazza di tè restava intonsa e fredda sul tavolino accanto al letto.

Abbandonata sul letto, sfinita – ancora – dall’insonnia, le membra stanche, la mente confusa, lo stomaco contratto, gli occhi in fiamme, riusciva solo a pensare che sarebbe volentieri annegata in un mare di pergamene vergate dalla calligrafia di Axel.

Con chi sei ora?

Cosa stai facendo in questo momento?

Anche le tue notti sono state orribili come le mie?

I suoi pensieri disordinati da quella involontaria veglia non le permettevano di concentrarsi su altro: eppure non era troppo desiderarlo accanto, perchè lui le apparteneva, sempre.

Ma lui non era lì.

 

Kimi ga warau sekai ga suki de 
Soba ni itai soredake  
Wasurekaketa itami wo mune ni

[Amo il mondo del tuo sorriso / voglio essere al tuo fianco, solo questo / ho dimenticato quanto può soffrire il cuore]

(Yui Makino, Yume no Tsubasa)

 

***

 

Febbricitanti, le mani intrecciavano i suoi lunghi capelli scuri. Da due giorni aveva la nausea, tutti i muscoli erano in tensione e parlava in maniera accelerata: nei suoi protetti quindici anni non era mai stata privata del sonno per tanto tempo, e mai avrebbe pensato fosse tanto necessario alla mente quanto al corpo.

Le estremità delle sue ciocche si erano fatte tanto fini da scivolare tra le sue dita nervose, così prese un nastro dal tavolino di fronte a lei e lo annodò stretto in fondo alla treccia. Non era solita raccogliersi i capelli per dormire, voleva semplicemente qualcosa da fare. Sprofondata nella poltrona del salottino, guardava il letto nell’altra stanza come il peggiore dei nemici. Eppure era stato così accogliente le notti in cui lasciava socchiusa la porta della stanza in attesa dell’arrivo di Axel, che mai si era fatto attendere.

Rassegnata, conscia che l’incubo reale in cui era imprigionata potesse solo continuare - addolcito solo dal continuo e disperato pensiero di Axel -, raggiunse il letto e si coricò senza riuscire ad abbandonare la speranza di un clemente oblio notturno.

 

My baby boku no heya ni kyou mo yoru ga kita to iu koto wa

baby kimi ni mo kitto onaji iro de chigau yoru ga kitandarou

[Mio tesoro, il fatto che la notte sia arrivata nella mia stanza anche oggi,

tesoro, significa che una diversa sera dello stesso colore ha raggiunto anche te]

(Suga Shikao, Sofa)

 

«Lady Eloise».

Eloise si svegliò di soprassalto, una musica conosciuta nelle orecchie. Il suono delle campane a festa riempiva l’aria del cortile arrivando a lei attutito da muri e vetri. Qualcuno doveva essere passato più volte a provare a svegliarla: la stanza era vuota ma le tende erano spalancate su uno splendido sole di fine inverno, sul tavolo c’era il vassoio coperto della colazione e sulla sedia i vestiti da indossare. Mentre lo sguardo vagava per il resto della stanza, si tolse automaticamente i capelli dal collo che nel sonno le si erano attorcigliati attorno alla gola nella morsa morbida della sua treccia.

Il primo pensiero coerente che mise insieme fu che, stando ai rintocchi delle campane, doveva essere mezzogiorno della Prima Domenica di Quaresima. Questo significava che si era persa la funzione mattutina e che, di conseguenza, sua madre avrebbe preteso la sua testa su un vassoio d’argento entro il tramonto.

Il secondo pensiero fu la consapevolezza di aver dormito. Per la prima volta dopo tre giorni.

Inspirò a fondo, sentendosi rinvigorita e di buon umore. Il suo corpo sembrava essersi ripreso, la sua mente sembrava nuovamente lucida. Una volta fuori, alla luce del sole, probabilmente avrebbe riso delle sue stesse paure notturne. Avrebbe potuto pesare agli strani eventi di quelle notti come allo strano incubo di un sogno10.

Quell’ondata di gioia però le impedì di accorgersi subito di qualcosa simile a un cattivo presagio annidato in fondo al cuore. Era convinta di essere sprofondata in un sonno senza sogni, eppure aveva la sensazione irritante di aver invece sognato qualcosa che non riusciva a ricordare: per quanto tendesse la mano l’immagine era un soffio d’aria più in là.

Scese dal letto stiracchiandosi, e coi piedi nudi cercò le pantofole senza trovarle. Abbassò lo sguardo e si rese conto che non erano da quel lato del letto, e nemmeno dall’altro o in giro per la stanza. Strano. Ma era come cercare di ricordare il suo sogno: le sarebbe tornato in mente all’improvviso, così come le pantofole sarebbero sbucate quando avrebbe smesso di cercarle.

Curiosando sul vassoio della colazione, notò distrattamente dei piccoli fiori di raperonzolo in un vasetto di vetro. Dovevano venire dalle serre, lì l’altitudine era eccessiva per quei fiori.

Nel tempo di un istante le sembrò di poter afferrare un bandolo del suo sogno, mentre il presagio di cattive notizie si accentuò. Durò un attimo, il battito di ciglia con cui la sua mente registrò la presenza dei fiorellini, poi se ne dimenticò del tutto.

 

Time goes by

Toki ga sugite mo kitto kawaranu mono ga aru no

Todokanai kara mitsuketai kara

Yume no tsubasa wo sagashi ni yuku

Soba ni ite ne zutto...

[Time goes by / ma anche se il tempo passa ci sono cose che non cambiano mai. / Perché non riesco a raggiungerle, perché voglio trovarle / cerco le ali dei sogni. / Stai al mio fianco per sempre]

(Yui Makino, Yume no Tsubasa)

 

***

 

Una settimana dopo un pettegolezzo sempre più insistente prese a girare per il palazzo. Zittito bruscamente all’inizio tra le cucine e le lavanderie, diventò in breve tempo una frase calcolata lasciata cadere casualmente da ospiti e visitatori tra un convenevole e l’altro.

L’erede al trono era stato visto più volte in compagnia di una donna bruna e molto bella. Il principe che in passato aveva avuto occhi solo per lei era diventato l’amante della cortigiana più famosa di tutti i tempi11.

Quando lo venne a sapere, Eloise non volle dare peso alla cosa. Sembrava una malignità gratuita come altre che erano circolate nei corridoi – con quella insistenza? con quella ufficialità? con quella fretta? Arriverà una lettera, si disse, una lettera che le avrebbe spiegato tutto, che avrebbe svelato quelle cattiverie per quello che erano.

Ma Axel taceva.

Non una lettera arrivò ad Aldemar. Non una smentita, non una conferma.

Non un pensiero per lei.

Nulla.

Eloise si costrinse ad ignorare la faccenda e l’inquietudine che la invadeva: affrontarla significava soffrire, accettarla o rifiutarla significava ammettere che un baratro poteva aprirsi perfino tra loro, confermarla o smentirla significava permettere alla lontananza di dividerli.

Mi hai dimenticata così in fretta?

Si erano visti solo qualche mese prima, e tutto era stato come nei loro incontri da quando i nastri delle loro vite avevano smesso di intrecciarsi negli stessi luoghi: intenso passionale nostalgico.

Mi hai mai ricordata?

 

Soba ni irenai sono kawari ni

Gin iro no ame ga futte kitara

Watashi da to omotte namida wo fuite

[Non posso stare vicino a te, quindi / se cade una pioggia d’argento / tu pensi che sia io e asciughi le tue lacrime]

Anata ni furu ame ni naru

Amurita

[Diventerò la pioggia che cade su di te / Amrita]

(Yui Makino, Amrita)

 

Aveva avvolto la sua croce di diamanti e ossidiana in un panno di velluto nero, intenzionata a farla riparare il prima possibile. Tuttavia ogni volta che la prendeva in mano, il ricordo delle sensazioni di quella notte spaventosa la assaliva, costringendola a riporla di nuovo in fondo ai cassettini della toletta.

La sera del Giovedì Santo, Eloise si ritirò nelle sue stanze subito dopo la grande funzione In Coena Domini, celebrata nella cappella palatina. Sola, seduta sul letto ancora vestita del bianco e del violaceo richiesti dal suo status e dalla circostanza, l’assenza e il silenzio di Axel l’assalirono ora con particolare violenza, lasciandola preda dello sconforto. Si lasciò cadere all’indietro sulle coperte ricamate.

Per la prima volta da quando tutta quella faccenda era iniziata, le lacrime le salirono agli occhi, e non provò nemmeno a opporvi resistenza.

Mi hai davvero lasciata sola?

«No», singhiozzò lei incoerente. «Mi manchi. Mi manchi in un modo che non sono mai riuscita a dirti».12

Si premette una nocca sulle labbra, tentando di calmarsi abbastanza da alzarsi e prendere ancora una volta la croce nascosta nel buio di un piccolo cassetto dall’altra parte della stanza. Tornò sul letto col gioiello in mano, asciugandosi le lacrime coi palmi delle mani.

Sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe pianto: si fidava di Axel, doveva solo saper aspettare la prossima agognata volta in cui finalmente l’avrebbe incontrato. In cui tutte le sue paure e le sue ansie sarebbero state fugate, in cui lui le avrebbe detto quanto lo studio l’aveva impegnato impedendogli di scriverle e quanto l’aveva pensata e quanto le era stato devoto, in cui quel monile non l’avrebbe più turbata e la croce che le aveva regalato avrebbe riposato di nuovo sul suo seno.

Axel.

Eppure avrebbe pianto ancora, tanto da rinchiudere in fondo al cuore la ragazzina che era stata e buttare la chiave. Lui l’avrebbe evitata per tutta l’estate e non sarebbe nemmeno venuto ad accoglierla al suo arrivo nella Vecchia Capitale. Lei l’avrebbe evitato per i cinque anni successivi, cercando di conservare i pezzi del suo cuore che le erano rimasti tra le dita.

Ma Eloise non poteva ancora saperlo.

Non sapeva che i pettegolezzi avrebbero trovato conferma sulla sua pelle. Non sapeva che non avrebbe mai potuto conoscere tutta la verità. Non sapeva che avrebbe dovuto aspettare anni prima di indossare quei diamanti e quell’ossidiana di nuovo.

 

 

Juliet, the dice were loaded from the start

And I bet, and you exploded in my heart

(Dire Straits, Romeo and Juliet)

 

 

Note

 

1 V. de Winter, Black Friars – L’Ordine della Chiave, capitolo 15, pag. 206-7

2 ibidem, capitolo 16, pag. 209

3 ibidem, capitolo 16, pag. 215

4 ibidem, capitolo 4, pag. 45

5 W. Shakespeare, Othello, Scena IV, Atto I – traduzione libera dall’inglese dei versi 5-8

6 V. de Winter, Black Friars – L’Ordine della Chiave, capitolo 16, pag. 217

7 ibidem, capitolo 19, pag. 249

8 ibidem, capitolo 19, pag. 253

9 ibidem, capitolo 19, pag. 251

10 W. Shakespeare, A Midsummer Night’s Dream, Scena IV, Atto I – traduzione libera dall’inglese dei versi 67-68

11 V. de Winter, Black Friars – L’Ordine della Chiave, capitolo 23, pag. 297

12 ibidem, capitolo 22, pag. 282

 

Contest

Questa fic partecipa al Contest Regnum Insomniae, indetto dai blog Sfogliando e Reading at Tiffany’s, alle amministratrici dei quali va tutto il mio ringraziamento per la voglia e la pazienza di curare un concorso di fanfiction. Raccomando a tutti di andare assolutamente a leggere le chicche che pubblicano su Black Friars.

 

Il titolo

Il titolo riprende la canzone dei Dire Straits Romeo and Juliet, in particolare il verso che chiude la storia.

Il sottotitolo riprende e modifica il titolo dell’anime (Cronache di un Sogno Primaverile, un OAV di xxxHolic) di cui una delle canzoni è l’opening.

 

Black Friars – L’Ordine della Chiave

di Virginia de Winter. Oltre alle frasi palesemente riprese e indicate nelle note, sono sparse varie allusioni più o meno esplicite a elementi narrati nel libro.

 

Musica

La scelta di così tante canzoni giapponesi dipende unicamente dai miei gusti musicali. Inoltre la maggior parte fanno riferimento a Tsubasa Reservoir Chronicle, quindi riprendono alcuni elementi (come la lontananza, il sogno, tenerezza e amore) che trovo azzeccati per la storia.

I versi inseriti all’inizio e alla fine sono quelli che introducono e chiudono, soprattutto nel loro significato. Quelli durante la narrazione sono piuttosto un sottofondo, a volte per contrasto. Ho cambiato la formattazione, spero si noti.

Sonic Boom”, Maaya Sakamoto (opening di Tsubasa RC – Cronache di un tuono primaverile, OAV collegato a quello ripreso nel sottotitolo)

Romeo & Juliet”, Dire Straits (ispirata alla tragedia shakespeariana come due dei passaggi della fic)

Inori – You Raise Me Up”, Lena Park (cover dell’originale You raise me up di Josh Groban, opening dell’anime Romeo x Juliet)

Yume no Tsubasa ”, Yui Makino (insert song dell’anime Tsubasa RC)

Sofa”, Suga Shikao (opening dell’OAV di xxxHolicCronache di un sogno primaverile, da cui il sottotitolo)

Amrita”, Yui Makino (ending di un film ispirato a Tsubasa RC)

 

All’inizio della seconda parte, Eloise suona questo arrangiamento della Marcia di Radetzky. Basandomi sullo spartito ho provato a ricostruire i movimenti delle dita frugando tra i miei lontani ricordi di pianoforte. Quando ho guardato il video per la seconda volta mi sono resa conto che la pianista inizia col medio, non con l’indice: evidentemente né io né Eloise siamo particolarmente dotate per il piano.

Altro brando candidato era Danubio Blu, ma quando l’ho riascoltato intenzionata a riscrivere il brano della fic mi sono resa conto che non era ciò che volevo suonasse distrattamente.

 

Betaggio

La prima e l’ultima parte della storia (ovvero il nucleo originale) sono state betate da mia sorella – che ringrazio molto. Ha corretto unicamente la battitura, la grammatica e un paio di cose riguardanti la sintassi.

 

 

 

BHA! BUBBOLE!

 

Continuo con questo Calibri, ma cambiare tutto il testo in Verdana alla fine mi sembra di cambiare i connotati a qualcuno con Photoshop… Anyway…

 

LE GRANDI DOMANDE!!!

Era Belladore la donna in nero riflessa? Ha in qualche modo stregato Eloise tramite lo specchio? C’è una connessione tra quanto vive Axel e quanto vive Eloise? Se c’è, serve a Belladore per assumere le sembianze della ragazza, per mostrarsi come lei ad Axel, o solo per costruirgli una visione lunga due notti nella mente?

Pensate ciò che preferite! Se mi premeva dirvelo l’avrei raccontato nella storia! *sguardo diabolico*

 

Il motivo principale, originale, scatenante per cui scrivo questa fic è che alla fine degli eventi narrati in BF-OC la frase “Aveva quindici anni e la malizia di tutte le donne che l’avevano preceduta sulla terra.” si rivela riferita a Belladore o a un’illusione o all’immagine che la mente di Axel – viziata da svariati sogni vampireschi – ha di lei.

E siccome è una frase che mi ha emozionato, una di quelle che dopo un intero libro (la Spada) narrato dal punto di vista di Eloise, finalmente te la mostra come può essere agli occhi di qualcun altro, ho voluto attribuirgliela davvero.

Inoltre, io detesto Belladore. Non perché è la cattiva, non perché fa quello che vuole, non perché va in giro a sterminar fanciulle picchiando loro in testa uno specchio (più o meno), non perché si comporta da grandissima BIIIIIP… No… La detesto perché io adoravo Alise. Mi piaceva un sacco, per svariati motivi.

E invece no. Alise non era Alise. Quindi odio Belladore perché ha preso in giro anche me, ha giocato anche coi miei di sentimenti, accidenti! Quindi questa benedetta frase NON poteva riferirsi solo a lei, dannazione!

 

Passando ad altro, ora come ora resta qualcosa che non mi convince in questa fic… come se fosse oltre un vetro opaco… mmm…

Da un lato penso “Sì, una fic così è un’incredibile figata!” dall’altra mi dico “Non succede praticamente un cacchio, se qualcuno arriva a fine storia è un masochista!”. E dire che con le aggiunte mi pare migliorata! Come ha fatto mia sorella a resistere fino alla fine della prima versione?

A proposito, mi permetto di fare la “Top three” dei commenti di mia sorella.

Altri dettagli in merito al sofferto Making Of di questa FanFiction QUI. (Clikkerete in milioni immagino… -.-”)

 

TOP THREE – i commenti della sister diabolica scritti a margine del foglio.

 

3^ posto:

Le virgole sono tue amiche!!!” (riguardo i miei aggettivi senza punteggiatura)

 

2^posto:

Axel. […] Axel. […] Axel. Triplo Axel!!! (è una figura del pattinaggio su ghiaccio – ma lo saprete tutti)

 

1^ posto:

(Rullo di tamburi…)

Ma Axel taceva. | Non una lettera arrivò ad Aldemar. Non una smentita, non una conferma. | Non un pensiero per lei. | Nulla. Stronzo! (almeno si è immedesimata!)

 

Basta, non ho altro da blaterare, in questa sede.

Però mentre rileggevo la fic per inserire le canzoni e controllare non ci fossero frasi-aiuto come “controlla questa parte sul libro!!!” mi sono quasi emozionata *cuoricino*. Magari tra qualche giorno, quando la mia testa si sarà staccata dalla storia e avrà smesso di montarla e smontarla, la apprezzerò di più! *smile*

 

 

Ps: Come sempre la mia guerra coi link per l’HTML… E sembra che questa volta (FINALMENTE!) abbia vinto io!!! ;)
A breve on line anche la copertina!

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Black Friars / Vai alla pagina dell'autore: ViKy_FrA