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Autore: Mizar19    16/09/2011    13 recensioni
Spin-off di Fior di Pesco
Una raccolta di squarci di vita quotidiana di Veronica ed Elena, piccoli spezzoni della loro vita assieme.
8. L'angelo guerriero: «Mi raccomando, la parola chiave è furtività», bisbigliò Erica. Aveva atteso di distanziare le due di almeno una ventina di metri prima di iniziare a pedinarle. «No, fammi capire: tu stai davvero seguendo tua figlia? Ed io lo sto facendo assieme a te?» domandò Paola perplessa e piuttosto scettica circa l’invasione della privacy altrui. «Esatto! Andiamo, Pale, abbiamo fatto di peggio ai bei tempi!» ridacchiò Erica. «Se però scopro che stanno assieme le faccio un mazzo tanto: come ha osato non dirmi nulla?! Non l’ho educata io così...»
Il rating e gli avvertimenti possono variare, ma segnalerò di volta in volta.
Genere: Comico, Erotico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La decima Musa'
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Eccomi di ritorno con un nuovo aggiornamento dopo un’estate di silenzio!
Dopo la maturità, tutto sembrava molto più rilassante e appagante: sono stata in Liguria, come ogni anno da diciannove anni a questa parte, per poi concedermi cinque giorni in Sardegna con alcuni amici, sfruttando l’occasione per incontrare nuovamente quella grandissima lagna di Kabubi, che già era stata mia ospite ad inizio agosto, e la sua dolce metà Riotwithdance. Assieme a loro e ai miei quattro scalcinati amici abbiamo celebrato una serata-tacos indimenticabile!
Vi farà piacere sapere che sono ufficialmente una matricola del Politecnico di Torino (con tanto di tesserino e libretto, ora me la tiro) e in questi giorni sono davvero molto impegnata con le pulizie nell’appartamento di mia nonna, dove mi , abbandonando l’amato campagna, tra una settimana assieme ad un mio carissimo amico, compagno di mille sventure, nonché mio finocchio preferito. Sarà una casa molto queer! (Una nostra amica ha già annunciato che ci regalerà un tappetino arcobaleno con su scritto “Born this way”. Sia ben chiaro che nulla del genere entrerà mai in casa mia! Però, forse, le presine arcobaleno...)
 
Infine, per quanto riguarda l’iniziativa di UR Editore “Niente è come prima”, la casa editrice ha deciso di firmare i nostri racconti con i nostri veri nomi; inoltre dovremo rispondere ad alcune domande per una sorta di intervista on-line che sarà pubblicata sulla pagina Facebook di Efp. In sostanza, la mia super-identità segreta andrà a pezzettini. In realtà, ho deciso che alla fine non mi importa più molto: una volta quasi nessuno sapeva della mia omosessualità, ora tutte le persone che mi sono care ne sono a conoscenza, e degli altri non mi importa un fico secco! Riuscirò a superare l’imbarazzo di vedermi collegate le porcherie che scrivo! Quindi, giunti a questo punto, vi devo ringraziare, perché sono cresciuta scrivendo per voi e con voi, grazie di cuore!
 
La smetto di tediarvi con le considerazioni sulla mia misera e trista vita di quasi studentessa universitaria e vi lascio alla lettura del capitolo! Come al solito un grande ringraziamento a tutti quanti, e mi scuso fin da ora se risponderò lentamente alle recensioni: la casa di Torino necessita davvero di essere pulita, quindi trascorrerò su intere giornate!
 
Per questo capitolo si ringraziano in particolare Nessie per la pazienza, Kabubi per il medesimo motivo e Wrath, indovinate un po’ perché! Grazie che mi sopportate nei periodi di calo d’ispirazione!
Il capitolo invece è dedicato alla mia metà dell’anima (in senso platonico e molto, molto figurato), Calypso, che ora se la spassa in un’altra metropoli e sguazza tra matematica ed economia, e mi manca tanto!
 
p.s. Com’è stato il rientro a scuola di quelli tra voi che ancora sono al liceo? (Notare il sadico compiacimento in queste parole!)
 
 
Genere: Romantico, Triste
Avvertimenti: Femslash
Rating: Giallo
 
***
 
Capitolo VIII
 

L’ANGELO GUERRIERO

 
 
«Lo comprendete il senso di tutto questo discorso?»
La tipica frase pronunciata dalla professoressa di filosofia dopo una spiegazione contorta circa il pensiero di uno dei suoi pupilli.
Veronica osservava di sottecchi Bianca che premeva con cautela i tasti di un vecchio Samsung dall’aria consunta sotto al banco, lanciando vigili occhiate all’insegnante che marciava di fronte a loro, come una sentinella che pattuglia il perimetro murario. Martina, invece, ascoltava e prendeva diligentemente appunti senza sollevare il naso dalla pagina di quaderno aperta sotto di esso, la penna stretta con foga e gli occhi stretti.
«Lo sta facendo davvero?», sussurrò Veronica, il movimento delle labbra nascosto con nonchalance da un elegante gesto della mano.
«Dire stupidaggini? È la prof, Vero, te ne stupisci?», replicò scrollando le spalle e tornando a concentrarsi sul telefonino.
«Non parlavo di lei, ma di Marti. Mi fa paura quando prende appunti così. Il caterpillar della filosofia», rabbrividì Veronica osservando i furiosi tratti di inchiostro nero affastellarsi sulle righe della pagina.
«Be’, quando fa così anch’io ne ho timore: le pupille le diventano verticali, come quelle dei serpenti, e non capisce più nulla. Ora, prova a sfiorarla in qualche modo...», suggerì Bianca sghignazzando piano. Veronica allungò lentamente il braccio e sfiorò con la corta unghia dell’indice la guancia dell’amica. Quella trasalì, come terrorizzata, mentre la sua mano subiva uno spasmo che vide come esito una armoniosa rigaccia occupante l’intera pagina. Il ribollire delle viscere di Martina attirò l’attenzione della professoressa.
«Aimassi, qualche problema?», chiese con la sua voce gutturale, decisamente in disarmonia con la tenera boccuccia da cui usciva.
«No, professoressa, solo... Può ripetere l’ultima cosa? Non penso di aver... capito», lanciò un’occhiata di fuoco alle sue ridanciane vicine di banco per poi riprendere a devastare quel povero quaderno con la sua marcata calligrafia.
«A chi scrivi?», domandò Veronica curiosa mentre la professoressa tornava a sproloquiare di volpi al guinzaglio e fortini a palle di neve.
«Uh?», grugnì Bianca senza scostare lo sguardo.
«Testa di cemento, con chi ti messaggi?»
«Ah. Vincenzo», rispose senza sprecare due parole di più. Veronica sorrise sconsolata di fronte all’amica, perennemente innamorata e perennemente piantata in asso. Vincenzo era l’ultimo principe azzurro di una lunga e azzardata serie.
«Guarda che sento il tuo scetticismo come fosse mio: emani più vibrazioni negative di un martello pneumatico», borbottò Bianca posando il telefono sulle cosce e legandosi i capelli colorati con un grosso elastico nero. «Inoltre, cara la mia topa innamorata, pensa alla tua principessa rosa!», ridacchiò.
«Penso che l’epiteto non le si confaccia minimamente, Bi. Soprattutto la componente cromatica!»
«Mm, devo dire che Elena porterebbe divinamente un tubino rosa con tanto di scarpe con tacco intonate», sghignazzò Bianca. Se la rideva alle spalle di Elena Cantalupo, ma nemmeno lei si sarebbe conciata in quella maniera ridicola.
«Smettila di ridere di lei», replicò serissima Veronica, incenerendola con lo sguardo.
«Mamma mia, come sei spinosa oggi! Però ammetto che Elena ha il suo fascino, quando si mette i jeans a vita bassa...», il filo del discorso di Bianca venne interrotto dall’improvviso vibrare del suo cellulare, che produsse un suono ovattato contro i suoi jeans. Vincenzo aveva risposto.
Dimentica di ogni discussione, la ragazza si immerse nella lettura mentre Veronica tornava a fissare le lancette dell’orologio. La loro rapidità era inversamente proporzionale alla spinta vitale che le strillava di fuggire dall’aula, soffocata a stento dalla Veronica razionale e ponderata.
 
«Fa freddo. Non dovrebbe fare così freddo. Ho i brividi...», stava borbottando Angela. Un mantra che andava avanti da parecchi minuti. Nel laboratorio di chimica si stavano congelando le terga a causa del buco nel muro, che li metteva in diretta comunicazione con la strada: gli operai stavano lavorando per ampliare l’ambiente.
«Invece di parlare a vanvera dimmi l’ora, ne ho fisicamente bisogno», la esortò Elena posandole una mano sulla spalla e stringendo leggermente: pallido tentativo di scaldare l’amica, che venne poi prontamente abbracciata da Loredana, soffocata nella sua matassa di ricci scuri.
«Mancano dieci, fottuti minuti», sbuffò Angela sotto quella criniera castana.
«Fate attenzione!», stava strillando il professore di chimica in direzione di alcuni ragazzi che maneggiavano con poca cautela una serie di provette dall’aria sospetta.
«Che cretini», stava borbottando Michele, seduto dietro ad Elena. Fissava con odio e disgusto quel gruppo di caproni pieni di steroidi, aitanti giocatori di calcio e rugby che tendevano ad occupare costantemente il palcoscenico della classe.
«Fregatene, fregatene!», lo scosse con forza la ragazza afferrandolo per il gomito.
«Dimmi qualcosa di bello, fammi dimenticare della loro esistenza», piagnucolò Michele alzando gli occhi al soffitto scrostato.
«Vado a pranzo a casa di Veronica e siamo da sole...», ammiccò Elena gongolando.
«Oh sì, mentre fuori nevica e voi fate le cose sporche sotto al piumone. È una cosa molto carina. Anch’io voglio farlo», si lagnò Michele.
«Tu e Nadia state assieme da appena un mese, non pretendere che te la dia al primo schiocco di dita», lo mise in guardia la ragazza con un sorrisetto.
«Non ho detto questo, maliziosa! Voglio solo abbracciarla...»
«Che tenerone! Diglielo, no?», lo esortò Elena scuotendo il capo con aria di superiorità. Chiacchieravano serenamente perché il professore li aveva lasciati liberi di portare a termine un divertente esperimento e scorrazzava da un gruppo all’altro per controllare che nessuno facesse saltare in aria la scuola.
«Tu avresti accettato?»
«Michele, devo ricordarti che io e Veronica siamo state fin troppe volte coricate assieme sotto al piumone prima di stare assieme? È una situazione diversa, comunque io non direi di no».
«Ah già, voi siete lesbiche», sbuffò Michele, impaziente di udire il trillo del campanello per poter tornare a casa e sentire la sua adorata Nadia.
Elena non replicò e tornò a concentrarsi sul suo tavolo di lavoro, dove Angela e Loredana stavano complottando a bassa voce.
«Che succede?», domandò curiosa sporgendosi verso di loro.
«Sabrina sta sparlando di te e stavamo complottando per rovesciarle dell’acido nel portapenne», rispose Loredana mortalmente seria.
«Oh no, non fate niente, vi prego. Vivi e lascia vivere: se lei sparla di me sono fatti suoi. Non voglio rovinarmi la giornata...», il trillo della campanella coprì le sue ultime parole.
I ragazzi scattarono in piedi, gli zaini già preparati in previsione di una rapida fuga. Si accalcarono contro la porta, sgomitando e spingendo che manco avesse preso fuoco l’edificio. Elena era impaziente di raggiungere il Liceo Classico, verso il quale si diresse a passo di marcia dopo aver salutato rapidamente la sua compagnia di amici. Michele le augurò buona fortuna per la permanenza sottocoperta.
 
«Che strazio, amiche», borbottò Bianca raccogliendo le sue cose dopo il suono della campanella. «Non voglio più sentire tutte queste stupidaggini su gente che non può sedersi a tavola senza prima aver decapitato qualcuno.»
«Troppe, troppe fesserie», concordò Veronica chiudendo il suo zaino e caricandoselo in spalla.
«Be’, non mi pare che vi siate spaccate la schiena...», le rimbeccò pungente Martina, ancora offesa per il gesto di poco prima.
«Su, Tina, non essere così rigida: devi concordare con noi sulla marea di porcherie! Io, infatti, compio un’opera di epurazione e mentre tu scrivi sei pagine di cose inutili, io estrapolo i concetti chiavi e le riduco a due», replicò sorniona la bionda, attendendo che Bianca finisse di raccogliere il contenuto del suo portapenne che si era rovesciato sul pavimento.
«Va bene, ma io mi diverto molto di più studiandole dopo», sogghignò Martina per poi sbraitare contro la ragazza dai capelli colorati, ricordandole quanto fosse goffa e lenta.
Le tre uscirono ridendo e spintonandosi come delle bimbette delle elementari: Martina era felice perché quel pomeriggio avrebbe disputato un torneo pallavolistico, Bianca perché si sarebbe fiondata tra le braccia di Vincenzo e Veronica perché la attendeva un dolce pomeriggio con la sua metà.
La individuò immediatamente ai margini della calca urlante e multicolore, lo sguardo perso tra essa, preoccupata di non vedere la sua Veronica. La bionda agitò un braccio fino ad attirare la sua attenzione: il sorriso di Elena fece allargare immediatamente anche il suo.
«La faccia di Giulia...», si limitò a mormorare Martina sogghignando. Veronica seguì il suo sguardo, fino ad incontrare la smorfia rabbiosa di quella che era stata la sua migliore amica fino a qualche mese prima, ovvero fino al momento in cui la ragazza era stata messa al corrente dell’omosessualità di Veronica e della sua relazione con Elena, che lei detestava cordialmente.
La ragazza deglutì e disse una battutaccia qualsiasi fingendo di ridere: anche se si atteggiava a menefreghista, in realtà l’aver perso Giulia la faceva ancora soffrire moltissimo. Soprattutto perché non riusciva più a capirla, né riconoscerla.
Raggiunse rapidamente la sua dolce metà, sgomitando nella calca di urlanti liceali intenti a combattere fra loro usando le palle di neve come armi improprie. Veronica fu costretta ad abbassarsi due volte per schivare dei proiettili diretti contro di lei. Imprecò fra i denti e quasi scivolò davanti ai piedi di Elena, che la afferrò per i gomiti evitandole uno spiacevole tête-à-tête con il marciapiede ghiacciato.
«Grazie», sussurrò affannata, per poi abbracciarla.
«Ci mancherebbe altro. Cosa fanno quelle due scimmie?», domandò Elena alludendo a Martina e Bianca: la seconda aveva appena fatto scivolare con scaltrezza un mucchietto di neve nello scollo posteriore del maglioncino dell’altra, che si stava dimenando manco avesse avuto il fuoco di sant’Antonio.
«Se fossi Bianca avrei già iniziato a correre: l’ira di Martina è particolarmente funesta oggi, dato che l’abbiamo tormentata un po’ durante le ore di storia e filosofia...», sorrise Veronica sotto i baffi, mentre Elena alzava gli occhi al cielo domandandosi se quello fosse davvero un Liceo Classico.
«Andiamo a casa? Ho una fame terribile: non senti il mio stomaco? Gorgoglia più di un lavandino otturato», brontolò Veronica portandosi una mano guantata all’altezza del ventre.
«Povera chouchou...», mormorò Elena posandole un bacio sulle labbra e una mano su quella che Veronica aveva appoggiato al giubbotto imbottito all’altezza dello stomaco.
Salutarono le due ragazze, troppo impegnate una a correre strepitando dietro all’altra che rideva istericamente tentando di sottrarsi alle sue grinfie, e si avviarono verso il Viale della Chiocciola ambrata.
«Cosa avete fatto di bello oggi?», domandò Veronica stringendo la mano dell’altra, lo sguardo fisso sul marciapiede per evitare le lastre di ghiaccio: aveva nevicato abbondantemente nella notte e l’amministrazione comunale non aveva ancora fatto spargere sabbia e sale grosso sulle strade.
«Niente di speciale... siamo andati in laboratorio e ci siamo congelati il culo...», Elena iniziò ad illustrare all’altra le amenità capitate in quel laboratorio, calcando molto la mano sull’isteria del professore, che aveva passato la maggior parte del tempo zigzagando tra i ragazzi, le mani nei pochi capelli rimasti e gli sgranati come globi lunari. Poi le disse che le era giunta voce che Sabrina continuava a parlar male di lei.
«Dovresti ignorarla, lo sai? Penso che prima o poi si stancherà di darti fastidio: insomma, se ne farà una ragione!»
«Lo so, lo so! Io ti giuro che la ignoro, non le dico nulla... manco la guardo! Lei, invece, continua a macerare bisbigliando insulti e maldicenze. La ignoro, però, perché di litigare con una mantide religiosa come lei non è proprio il caso», sbuffò Elena. Veronica le si aggrappò al braccio, baciandole affettuosamente una guancia, per poi rassicurarla con tenere parole.
 
*
 
«Meno male che l’avevo chiesto senza origano...», borbottò Paola osservando il suo panino pomodoro e mozzarella con cipiglio scuro.
«Ah! Andiamo Pale, due foglioline verdi non hanno mai ucciso nessuno», sorrise bonaria Erica prima di addentare un panino al tonno con lo stesso sguardo famelico di un predatore della savana.
«Rica, solo perché tu mangi qualsiasi cosa si frapponga tra te e la tua fame ancestrale, non significa che anch’io debba ingollare tutto ciò che non puzza di marcio», obiettò Paola guardando con odio l’origano sui suoi pomodori.
«Oh, andiamo, non farmi passare per una fogna a cielo aperto!»
«Non parlare di fogne: il colore dell’origano mi ricorda... liquami. Ecco, mi sta passando la fame» sussurrò Paola posando nel piatto il suo pranzo. Erica scoppiò a ridere, portandosi una mano alla bocca per nascondere ciò che presto sarebbe stato spedito allo stomaco.
«Parlando di liquami, devo giusto chiamare per la fossa biologica...»
«Erica!», sbottò Paola sgranando gli occhi per poi tornare a posarli sul suo panino con aria molto offesa.
«Va bene, Pale, scusa, cambiamo argomento. Sai già se Lilith ha organizzato qualcosa per il compleanno di Walter? Mancano solo due settimane...»
«In realtà no, l’ultima volta che ne abbiamo parlato mi ha solo detto che stava ancora decidendo se prenotare al ristorante o organizzare qualcosa di casalingo», spiegò Paola che si era fatta forza e aveva ripreso in mano il suo pranzo, sospirando.
«A proposito di figli, Mattia e Federica sono a casa tua, vero?», domandò Erica improvvisamente preoccupata. Paola sorrise, rassicurandola che sarebbero stati al sicuro fino a sera.
«Bene, per un istante non ricordavo più se li avessi spediti tutti e tre da mia suocera e temevo che la povera Rosa sarebbe impazzita con quelle tre pesti!»
«Guarda che i tuoi figli sono le persone più civili che conosca! Edoardo è molto arrogante ultimamente, Simone fa sempre chiasso con Walter, le gemelle passano il tempo a tentare di strapparsi i capelli... Cosa dovrei dire?», rise Paola alzando gli occhi al cielo. Però erano i suoi adorati figlioli, li avrebbe amati anche se fossero stati terroristi baschi.
«Ti concedo che Veronica, Mattia e Federica siano intoccabili, però Claudio è un po’ difficile da gestire...»
«Ha solo quattordici anni, è nel pieno della pubertà: la terza media è un anno tremendo per la maggior parte dei ragazzini».
«Sì, ma per i primi tre non è stato così... e lo sai! Ho provato a parlargli, ma è molto chiuso, non vuole ascoltare né me né Gianni, tantomeno i suoi fratelli! Quando ho tentato di suggerirgli di confidarsi con Mattia se aveva qualche problema intimo di cui non voleva parlare con noi, si è messe a strepitare che lui con quello non aveva la minima intenzione di parlarci. È sempre così astioso...», sospirò Erica pulendosi gli angoli della bocca dalla maionese.
«Già... Mi dispiace che lui e Maggie siano gli unici dei ragazzi a non andare d’accordo con il resto del gruppo. Maggie però pare improvvisamente impazzita: fino ad un anno fa lei e sua sorella litigavano normalmente, come due sorelle dovrebbero fare. Ora pare che si siano giurate guerra eterna, e non solo con i miei, anche con Federica!», spiegò Paola perplessa per il repentino cambiamento della figlia, non riusciva a darsi nessuna spiegazione plausibile.
«Lasciamo che se la sbrighino loro ancora per un po’: saranno i soliti magoni della loro età. Se entro qualche mese vediamo che nulla cambia, allora propongo di intervenire», sentenziò Erica ingoiando l’ultimo boccone del panino che aveva divorato interamente, mentre Paola non era nemmeno a metà.
«A proposito... Veronica è a casa da sola? Perché non viene anche lei da me?», domandò Paola dopo aver deglutito un morso troppo grande per il suo esofago.
«No, tranquilla, ha insistito per invitare Elena a pranzare da noi. Penso che studieranno per finta e passeranno il tempo a chiacchierare o guardare video idioti su Youtube!», rise Erica scuotendo il capo.
«Magari per un po’ studieranno davvero, Veronica è molto diligente...»
«Sì, probabilmente sì. Però poi cederebbe: mi ci gioco quello che vuoi che quando torno a casa le trovo addormentate davanti ad un musical!»
«Rica, spesso tua figlia ed Elena mi ricordano noi due da giovani», scoppiò a ridere Paola, coprendosi la bocca con una mano.
«In che senso?», inquisì dubbiosa Erica.
«In tutti i sensi».
«Mm, ammetto sinceramente di averci pensato: Elena sappiamo per certo essere omosessuale, stava con quella Sabrina, della quale Veronica ha sempre parlato con molto astio, allo stesso tempo però so che loro due sembrano sorelle. Non sarebbe... incestuoso?»
«Parli del diavolo...», sussurrò concitata Paola indicando ad Erica due figure visibili attraverso la vetrina del bar. Elena e Veronica stavano passando proprio lì davanti, il braccio della mora sulle spalle dell’altra e chiacchieravano spensieratamente.
«Sbrigati Pale, voglio fare una cosa molto infantile!», ridacchiò Erica alzandosi in piedi e raccattando con una sola manata le sue cose, per poi schiaffare quindici euro sul bancone ed esclamare la classica frase da film «Tenga il resto!», trascinando con sé Paola e il suo mezzo panino.
Si precipitarono all’esterno, indossando rapide i rispettivi cappotti invernali prima che il freddo provocasse loro una sgradita congestione.
«Mi raccomando, la parola chiave è furtività», bisbigliò Erica. Aveva atteso di distanziare le due di almeno una ventina di metri prima di iniziare a pedinarle.
«No, fammi capire: tu stai davvero seguendo tua figlia? Ed io lo sto facendo assieme a te?», domandò Paola perplessa e piuttosto scettica circa l’invasione della privacy altrui.
«Esatto! Andiamo, Pale, abbiamo fatto di peggio ai bei tempi!», ridacchiò Erica. «Se però scopro che stanno assieme le faccio un mazzo tanto: come ha osato non dirmi nulla?! Non l’ho educata io così...»
 
*
 
«Sei sicura?», domandò Elena a Veronica poggiando per alcuni istanti il naso fra i suoi capelli ondulati.
«Assolutamente: Claudio è stato spedito da nonna Rosa e gli altri due sono a casa dei Volpe, siamo sole solette...», pigolò Veronica, infondendo all’ultima parte della frase un tono volutamente malizioso.
«Non avrei dovuto fare l’amore con te», rise Elena, apparentemente molto divertita.
«Perché?», domandò piccata Veronica, spingendo in fuori il labbro inferiore come una bambina capricciosa.
«Perché ora non mi dai tregua», la prese bonariamente in giro la mora.
Si punzecchiarono senza sosta, premendo tutti i tasti dolenti che capitavano loro a tiro, ridendo felici di potersi divertire assieme. Passeggiavano tranquillamente fra i cumuli di neve, sempre strette l’una all’altra.
«Ah, devo davvero dirti cosa ha detto Sabrina di te l’altro giorno! È esilarante quella ragazza», rise di gusto Elena al ricordo, mentre Veronica, curiosa, pendeva dalle sue labbra.
«Ha detto che tu sei lo stereotipo della bionda e avvenente figlia di papà, che sei una manipolatrice senza scrupoli e - senti questa perla! – mi stai già tradendo con qualcun’altra», scoppiò a ridere Elena, che non aveva mai sentito un cumulo di idiozie più alto e fetente di quello uscito dalla boccuccia a cuore di Sabrina.
Veronica, però, non parve divertirsi molto, specialmente riguardo l’ultima cattiveria. Le bruciava lo stomaco al solo pensiero che quella cagna avesse osato accusarla di essere una cornificatrice. Come se lei avesse potuto tradire Elena! Assolutamente ridicolo e folle.
«Te la sei presa, amore?», mormorò Elena cercando di interpretare il suo sguardo.
«Tu lo sai che io non ti tradirei mai, vero?», rispose con una domanda, preoccupata che non fosse abbastanza chiaro. Elena la costrinse a fermarsi e, fissandola intensamente negli occhi, che avevano assunto la tenue sfumatura tendente al grigio del cielo, le giurò che non avrebbe mai potuto pensarlo, né tantomeno farlo lei stessa.
Posando due dita sulla sua guancia, le si avvicinò per baciarla, ma proprio un istante prima di concretizzare le sue intenzioni si fermò.
«Stiamo insieme da... sette mesi, chouchou, però siamo migliori amiche da quindici anni. Con Sabrina ci sono stata insieme sei mesi e non siamo mai state migliori amiche. Vogliamo mettere queste informazioni sui piatti di una bilancia?»
«Okay, okay! Mi arrendo...», sussurrò Veronica chiudendo gli occhi e baciando la sua ragazza, ben felice di poterla stringere a sé.
 
*
 
«Più le pediniamo e più mi sento stupida...», borbottò Paola scivolando silenziosa dietro un’eccitata Erica, manco stessero seguendo il bel culetto di Johnny Depp.
«Sh, Pale!», la rimproverò Erica. «Io, invece, più le seguo e più mi rendo conto che ho ragione. Guarda come Elena abbraccia mia figlia!» gongolava la donna.
«Abbiamo quarantacinque anni, devo ricordartelo per forza? Sembriamo due adolescenti in preda agli ormoni...»
«Sei una disfattista. Andiamo, voglio solo sapere cosa mi nasconde la mia primogenita, ti sembra un delitto?» ribatté Erica accorata.
«No, certo che no... Va bene, mettiamola così: almeno non è un aitante maschione che sprizza virilità e autocompiacimento per le tre ore al giorno che passa in palestra. E non può metterla incinta», si concedette un sorriso la tesa Paola, che ancora era convinta di star facendo una pessima cosa e si sentiva in colpa, manco avesse rubato i soldi ad un mutilato che chiedeva l’elemosina.
«Preferisco sapere che ha perso la verginità con Elena, in effetti, mi rassicura... Almeno non arriva ai trenta con la gigina sigillata nel cellophane!»
«Guarda, Rica, guarda!», bisbigliò concitata Paola afferrando l’amica per la manica del cappotto. Le due ragazze si erano improvvisamente fermate ed Elena teneva due dita sul viso di Veronica.
«Lo sapevo, lo sapevo!», soffiò felice la madre della bionda, stringendo il pugno sinistro in segno di vittoria.
«Ma non si stanno mica baciando...», tentò di smorzarla Paola, facendole cortesemente notare che nulla di concreto era ancora accaduto.
«Concedigli qualche istante... Ecco, me lo sento... Sì! Si sono baciate! Guarda che carine!», esultò Erica che dovette trattenersi a stento dal correrle tra le braccia e stamparle due grossi baci sulle guance.
«Calmati, Erica, è una cosa normale, non capisco il tuo entusiasmo...»
«Pale, io adoro Elena: è una bravissima figliola, è perfetta per la mia bambina. Sono solo felice che sia in buone mani... Avrei esultato come una pazza anche se si fosse messa con tuo figlio, o con un altro ragazzo buono come il pane e che la ami davvero», spiegò Erica. Le due donna si erano fermate: non aveva più senso proseguire con l’operazione di spionaggio dato che avevano la prova provata della loro relazione. Più cristallino di così!
«Direi che sarebbe anche tempo di avviarci a lavoro: la nostra pausa pranzo finisce tra mezz’ora!», si rese improvvisamente conto Erica lanciando una rapida occhiata al quadrante del suo elegante orologio dal cinturino in pelle.
«Non sono stata io a voler perdere tempo dietro a tua figlia», ridacchiò Paola prendendola in giro con affetto. «Però un caffè sarebbe perfetto, che ne dici?»
«Dico che mi sta più che bene», asserì Erica, per poi aggiungere «Pale, tu che faresti se uno dei tuoi figli saltasse su dichiarandosi omosessuale?»
«Io? Niente. Be’, di sicuro non li pedinerei! Sai benissimo che l’importante è che stiano bene con loro stessi, dunque gli direi di farsi coraggio e camminare a testa alta, in barba alle maldicenze e al bigottismo. Mi conosci, Rica, che domande fai?»
«Era per curiosità... In realtà anch’io ho un sospetto su una delle tue figlie...», sghignazzò la donna, immediatamente rimproverata dall’amica.
«Non pedineremo nessuna delle gemelle, chiaro?! Se una di loro vorrà dirmi qualcosa, la aspetto a braccia aperte, ma non sarò io a seguirle come una madre apprensiva e sospettosa!»
«Pale, dicevo per scherzare!»
«Li conosco fin troppo bene i tuoi scherzi, Rica...», sospirò Paola con un sogghigno sul volto in onore dei vecchi tempi.
«Te lo ricordi il furgoncino della Volkswagen?», sghignazzò Erica.
Le due donne sparirono dietro l’angolo di un negozio di arredamento, e il ricordo con loro.
 
*
 
«Non riesco a trovare la chiave», esalò Veronica e le sue parole vennero immediatamente sublimate in nuvolette di vapore, il labbro inferiore che tremava leggermente per il freddo pungente.
«Calma, chouchou, l’avrai messa in qualche tasca dello zaino...»
Iniziarono dunque assieme una spasmodica ricerca che si concluse con un’esclamazione gioiosa di Veronica, che annunciava il ritrovamento del piccolo oggetto, e una sua scivolata all’indietro a causa della foga.
Sbatté con poca grazia il sedere sul marciapiede prima che Elena potesse accorgersene.
«Io... Ahia...», ringhiò Veronica massaggiandosi un polso, con il quale aveva tenta di ammortizzare la caduta.
Elena scoppiò a ridere del suo scarso equilibrio, facendole notare che se avessero dovuto fuggire correndo su una fune tesa sopra la fossa degli alligatori lei sarebbe stata fregata. Veronica ritrovò subito il sorriso, storcendo amabilmente il naso davanti agli occhi innamorati della compagna. La chiave stretta nel pugno che manco Andùril[1], Veronica spalancò il cancello d’ingresso tenendolo aperto con la punta delle dita per concedere ed Elena il privilegio di calpestare per prima il giardino innevato.
Rispetto al pungente freddo che si insinuava sotto al giubbotto e alla sciarpa, il tepore di casa Mantovani parve loro un clima tropicale.
«Porca miseria...», boccheggiò Veronica riponendo sulla gruccia giubbotto e accessori di lana colorata.
«Mm, c’è qualcosa di buono per pranzo? O dovrò cucinare io come al solito?», domandò Elena con aria eloquente ammiccando in direzione del piano cottura.
«No, testona, mia mamma ci ha lasciato l’insalata russa e lo spezzatino da scaldare», la rimbeccò Veronica sollevando il coperchio di una pentola e indicandole il contenuto con un sorrisetto compiaciuto.
«Bene, allora tu cambiati, io accendo il gas. Torna poi per darmi una mano con la tavola», le ordinò con tono da generale Elena afferrandola per le spalle e posandole un bacio sulle labbra.
Veronica zampettò nella sua stanza soddisfatta dei suoi progetti per la giornata. Aprì l’armadio per riporvi i jeans e la dolcevita di lanetta. La temperatura era ideale per dolci coccole sotto al piumone. Avevano fatto l’amore un mese prima sotto quello stesso piumone (che nel frattempo era stata lavato almeno due volte), la tormenta di neve attorno a loro. Quel pomeriggio, però, era decisamente in vena di tenerezze e carezze smielate. Doveva attenuare l’acidità trasmessale dallo sguardo di Giulia e nulla meglio che riposare tra le braccia della sua innamorata poteva rigenerare in lei un armonioso senso di pace.
S’infilò una morbida felpa azzurra e un paio di pantaloni grigi, poi ritornò di corsa in cucina rischiando di scivolare sul tappeto nell’ingresso.
«Tu hai dei seri problemi d’equilibrio», ridacchiò Elena afferrandola per il bavero dell’indumento e poggiando la propria fronte su quella dell’altra ragazza.
«Sono solo affannata...», mormorò Veronica prima di essere baciata con foga. «Uh, aspetta, lo spezzatino!», esclamò Elena per poi schizzare come un fulmine ai fornelli e spegnere in tempo il gas, prima che il cibo iniziasse a bruciare.
 
Consumato il pasto, si trasferirono finalmente nell’agognata meta della giornata: il letto di Veronica. Elena ebbe l’onore di sollevare il piumone color cielo, intonato alla felpa della sua dolce metà, che si raggomitolò in posizione fetale, le spalle al muro.
«Sono stanchissima» sbuffò Elena coricandosi accanto a lei. «Mi canti qualcosa?» sussurrò avvinghiandosi a lei con tutto il corpo, le gambe intrecciate e le mani strette.
«Mm, va bene...»
Elena chiuse gli occhi, abbandonandosi alla voce sensuale di Veronica, così affascinante e piacevole, dalla quale lasciarsi attraversare senza ostacolarla, mentre tutte le sue membra si rilassavano. Appoggiò le labbra sulla fronte della compagna, beandosi nell’udirla.
«Vorrei però qualcosa in cambio...», ridacchiò Veronica quando il suo canto si interruppe. Elena borbottò quanto fosse stanca in quel momento, ma fu bellamente ignorata dalla ragazza, che posò invece un bacio sulle sue labbra dischiuse. Veronica si coricò con un movimento aggraziato sulla compagna, che se ne stava prona, un occhio chiuso ed uno aperto, ad osservarla con aria fintamente contrariata.
 
*
 
Claudio non aveva la minima intenzione di trascorrere il pomeriggio a casa della nonna Rosa. Non che non la sopportasse, ma non capiva perché i suoi fratelli potevano starsene con gli amici mentre lui era costretto in casa. Quando infilò silenziosamente la chiave del cancello nella toppa non si sentì minimamente in colpa, d’altronde viveva in quell’edificio e aveva tutto il diritto di soggiornarci quando lo desiderava.
Gli fu immediatamente chiaro di non essere solo nel momento in cui si sfilò la sciarpa di lana blu. La appese con cautela ad uno dei pomelli di legno. Immediatamente a destra riconobbe il giubbotto della sorella e la sua sciarpa multicolore. Subito accanto notò il giubbotto blu scuro dal taglio maschile che non poteva appartenere a nessun altro, se non ad Elena. E allora quei gemiti?
Aveva quattordici anni ma non era affatto ingenuo.
Procedette con passo felpato lungo il corridoio, rasente al muro e salendo i tre gradini che separavano la zona giorno dalle camere da letto si mosse nel silenzio più totale. S’accostò alla stanza della sorella maggiore. La porta era aperta ma non osava sbirciare per timore d’essere visto.
«Ahia, fai piano...», si lamentava la sorella con voce roca.
«Scusa, amore, è l’enfasi del momento». Claudio ebbe la conferma che il giubbotto blu apparteneva ad Elena. La ragazza aveva appena chiamato sua sorella amore.
Claudio rimase qualche minuto ancora accostato al muro a riflettere. Stavano davvero facendo quelle cose? E mamma e papà lo sapevano? Fu un folgorio istantaneo.
«Chouchou...». Di nuovo la voce di Elena: solo lei parlava francese. Fece immediatamente eco la voce della sorella che implorava l’altra di non smettere.
Si allontanò di alcuni passi, turbato e vagamente in imbarazzo. Non voleva guardare, per nulla al mondo: la prospettiva di ciò che avrebbe potuto scorgere lo raggelava.
Tornato in salotto stabilì che sarebbe stato decisamente meglio togliersi dai piedi. Non essendosi nemmeno tolto il giubbotto, in pochi secondi era fuori casa, un po’ agitato ma con la soddisfazione di possedere un’arma contro la sorella.
 
*
 
«Hai sentito?!», ansimò Veronica mettendosi a sedere repentinamente. Elena sobbalzò allarmata dal suo movimento inaspettato.
«No, non ho... Nulla...».
Veronica la zittì con un gesto della mano, gli occhi stretti e le orecchie tese a carpire il minimo rumore. Le era parso di sentire una porta sbattere.
«Magari era un rumore che veniva da fuori, o l’hai immaginato», mormorò Elena allungando una mano verso il volto della ragazza, impaziente di ricominciare ciò che avevano interrotto.
«No, sono sicura di averlo udito...», protestò debolmente osservando il tappeto ai piedi del letto, come indecisa se sgusciare fuori dal piumone a inseguire l’impressione di un rumore, o restare in quel tepore profumato a fare l’amore. L’indolenza ebbe la meglio sulla paranoia.
Elena la afferrò per le cosce e la costrinse sotto di sé.
«Delizioso», sussurrò Veronica rovesciando il capo e chiudendo gli occhi.
 
Elena liberò un lungo sospiro, affondando la nuca nel morbido cuscino della compagna, che si era appena accoccolata contro il suo fianco. La strinse affettuosamente, cingendola con braccia e gambe.
«È stato tenero», biascicò Veronica, la voce che esprimeva la sua condizione di beato stordimento.
«È stato... meraviglioso», aggiunse Elena baciandole i capelli.
Continuarono ad aggiungere aggettivi sempre più creativi e fantasiosi per definire l’amplesso, finché, stufe, decisero di sistemarsi di fronte al computer – dopo essersi parzialmente rivestite – per navigare in giro per la rete.
Lessero con molto interesse gli ultimi aggiornamenti dal blog di Sabrina, per poi collegarsi su Skype e contattare Bianca, che risultava in linea.
«Salve, tesorucci miei! Cosa vi spinge a disturbarmi?», scherzò Bianca sistemandosi le cuffie sui capelli colorati. Il microfono le sbatté due volte contro il naso prima che lei riuscisse a sistemare l’attrezzatura.
«In realtà non sapevamo cosa fare...», ridacchiò Veronica.
«Dunque avete deciso di chiamare me? Vi sembro un ripiego?!», si finse scandalizzata la ragazza dal volto leggermente sgranato a causa della risoluzione non propriamente eccezionale.
«Certo che no, bimba, volevamo solo sapere come va con Vincenzo. Vi siete sentiti oggi?», inquisì Elena stringendo la vita di Veronica, seduta sulle sue gambe.
«Ah Vin...», Bianca emise un sospiro allo zucchero filato e polvere di stelle.
«Abbiamo capito che sei cotta come una pera! Ora vogliamo i dettagli osceni», la esortò Elena, rimproverata dalla sua ragazza.
«Diciamo che gli ho messo una mano nelle mutande e viceversa...», comunicò loro un’allegra Bianca con tono da sbornia allegra.
«Che angoscia... Ma quindi hai intenzioni serie?», volle sapere Veronica, che sulle vicende amorose della migliore amica si teneva costantemente informata.
«Io assolutamente sì, e spero che per lui sia lo stesso».
Nulla poteva abbattere lo spirito ottimista di Bianca, nemmeno il venire scaricata puntualmente dopo qualche mese di idillio da ogni ragazzo con cui si era impegnata dall’età di quattordici anni.
«Bi... Non voglio essere disfattista, ma...».
«Ele, so cosa stai per dire, però sono certa che con Vincenzo sarà diverso... almeno in qualcosa! Ne sono assolutamente certa!».
Anche le altre volte ne eri certa, Bianca, si trattenne dal dirglielo a voce alta Veronica, limitandosi a tossicchiare imbarazzata.
 
*
 
«Come pensi di comportarti?».
«Riguardo a cosa?», domandò Erica. Era sovrappensiero e le parole di Paola non avevano colpito nessun interruttore dentro di lei.
«Sei così distratta? Tua figlia, Rica...», le ricordò Paola. L’altra donna annuì immediatamente, segno che non l’aveva rimosso come evento traumatico.
«Certo, Veronica. Ed Elena. Mi stai chiedendo cosa, di preciso?», Erica strizzò gli occhi come se non vedesse molto chiaramente una spanna oltre il suo naso.
«Ti senti bene?».
«Sì, scusa, stavo solo... riflettendo». Erica si strofinò gli occhi, poi sospirò. Paola attese paziente che i pensieri le si schiarissero. «Temo la reazione di Gianni. Qualche sera fa ricordo che discutevamo pacificamente di fronte al telegiornale e se n’è uscito chiedendomi se Veronica avesse un ragazzo. Quando gli ho risposto negativamente, ha detto che forse era il caso che iniziasse a guardarsi attorno, anche solo per fare esperienza. Auspicava per lei un elegante matrimonio borghese con il rampollo erede di qualche impero industriale».
«Scusa?!»
«Non scherzo, Pale. Gli ho domandato con molta cortesia cosa stesse dicendo e semplicemente ha espresso quanto grande sarebbe potuta essere la sua gioia nel momento in cui Veronica le avrebbe presentato questo fantomatico ragazzo. Mi sono rifiutata di discutere e me ne sono semplicemente andata. Ora, Pale, immagina come reagirebbe sapendo che la nostra primogenita sta con la figlia di quelli della rosticceria», sospirò Erica.
«Suvvia, pensi che reagirebbe così male?», tentò di stemperare la tensione Paola posando una mano sulla spalla dell’amica.
«Non hai sentito come parlava. Sembrava un’altra persona...Sono fermamente convinta che la prenderebbe molto male».
«Sto per darti un cattivo consiglio: parlane con Veronica, ma non una parola con tuo marito. Non penso che ora siano necessari altri litigi», constatò Paola.
Erica annuì. L’idea di mentire a suo marito non la entusiasmava, ma non desiderava nemmeno forzare Veronica: se sua figlia non aveva detto loro ancora nulla, doveva sicuramente esistere un ottimo motivo.
«Che dici, torniamo a casa?», domandò Paola lanciando uno rapido sguardo al parcheggio semideserto.
«Sì, Pale, andiamo».
Ognuna si avviò alla propria automobile. Capitava, talvolta, che i loro orari coincidessero, dunque ne approfittavano per vedersi nella pausa pranzo e dopo il lavoro.
Erica si sedette al volante della sua utilitaria con un peso sullo stomaco: se da un lato l’essere al corrente della verità circa la figlia maggiore la metteva di buon umore, dall’altro non avrebbe voluto saperlo per non essere costretta a tenere tutto nascosto al marito, anche dopo un’eventuale chiacchierata con Veronica.
Guidò lentamente e con prudenza siccome la sua testa viaggiava molto lontano. Davanti a lei, Paola si muoveva con maggiore disinvoltura nel traffico serale. Scatole di metallo colorate che riportavano i rispettivi proprietari a casa dopo una giornata trascorsa a sudare su qualche scrivania o a spaccarsi la schiena in fabbrica, ne era circondata. Osservava con poca attenzione i volti delle persone al volante. Uomini e donne, adulti e ventenni, tutti concentrati nella guida, oppure ad ascoltare la musica, o ancora a parlare nell’auricolare, spesso quasi invisibile, e allora sembravano dei pazzi visionari poiché parevano rivolgere al nulla i proprio discorsi.
Doveva affrontare direttamente Veronica? Ciao figliola, luce dei miei occhi, sei lesbica?
Forse non era il caso di esordire con quelle esatte parole, ma Erica non era più convinta che parlarne immediatamente con la figlia maggiore fosse una buona idea. Si stava convincendo sempre più che sarebbe stato opportuno che fosse la figlia, nel momento da lei ritenuto più adatto, a confidarsi liberamente con lei. Erica voleva rispettare le scelte di Veronica. Continuava a ripetersi che, se era ancora all’oscuro, un motivo c’era senz’altro, e la figlia sarebbe stata in grado di fornirle delucidazioni a tempo debito.
Attese pazientemente che il cancello automatico in ferro battuto si aprisse completamente, spalancandole la strada verso il vialetto di pietra. Spense i fari e restò immobile ad ascoltare il rumore del suo stesso respiro.
Afferrò la ventiquattrore di pelle, la borsetta da signora e le chiavi di casa, custodite in un piccolo cassetto sotto al sedile, poi spinse la portiera ed uscì dall’automobile. Le luci del salotto erano accese.
Non si preoccupò di chiudere a chiave la macchina essendo il quartiere molto tranquillo. In ogni caso, l’antifurto perimetrale era un marchingegno estremamente efficiente, una difesa micidiale.
Inserì la chiave nella toppa. Le bastò mezzo scatto per aprire del tutto la porta.
In salotto, Elena e Veronica stavano giocando a carte sedute attorno al tavolino di legno. Un bastoncino d’incenso bruciava accanto a loro diffondendo nell’ari a un rilassante profumo.
«Mamma!», esclamò Veronica salutandola con allegria, sventolando le carte da gioco che teneva in mano.
«A cosa giocate?», domandò Erica appendendo il cappotto.
«Ora una banalissima scala quaranta, ma fino a poco fa abbiamo giocato a pinacola. E vincevo sempre io», gongolò Elena.
«Brave ragazze. Avete studiato almeno un po’?», inquisì Erica calandosi nel ruolo del genitore supervisore.
«Certo, mamma!», s’indignò Veronica. Sua madre sorrise compiaciuta.
«Elena, ti andrebbe di fermarti per la cena?», le chiese con apparente noncuranza. In realtà voleva osservare le due ragazze e capire come mai non se n’era accorta prima. Be’, le faceva anche piacere che la ragazza mangiasse assieme a loro. Era una persona educata e piacevole. Forse Gianni avrebbe dimenticato questi lati del suo carattere una volta saputa la verità.
«Mm, sicura che non disturbo?», si preoccupò Elena per il poco preavviso.
«Certo che no, davvero. Vero, tesoro, ascoltami un momento: potresti telefonare a casa dei Volpe e dire ai tuoi fratelli di rientrare per l’ora di cena?». Veronica annuì e s’alzò immediatamente per cercare il telefono cordless.
«Claudio? È in camera sua?», domandò Erica dato che il suo ultimogenito non si era nemmeno degnato di sporgere il collo della stanza dove se ne stava rinchiuso tutto il giorno.
«Sì, Erica, è arrivato meno di mezz’ora fa», la informò Elena.
«Grazie. Ora vado a cambiarmi e mi metto di buona lena con la cena... Ho proprio voglia di combinare qualche pasticcio ai fornelli!», sorrise Erica, apparentemente molto di buon umore.
Nel percorso verso la sua stanza da letto, deviò verso la camera di Claudio. Bussò due volte con il dorso della mano.
«No, ti ho detto che non voglio giocare a carte!», s’inalberò immediatamente la voce del ragazzino. Evidentemente Elena e Veronica avevano tentato di convincerlo a partecipare al loro passatempo.
«Sono mamma, Claudietto, posso entrare?», domandò Erica.
«Oh, scusa... Sì, vieni».
Erica aprì la porta con un sorriso gentile. Suo figlio sedeva alla scrivania, un libro aperto di fronte a lui.
«Com’è andata oggi da nonna?», gli domandò Erica posandogli un bacio sulla fronte. Lui non si ritrasse, ma nemmeno mostrò segni d’affetto.
«Normale... È la nonna, insomma, lo sai meglio di me». Erica annuì.
«Come mai non giochi un po’ a carte con Veronica e la sua amica?»
«Non mi va, mamma, preferisco starmene un po’ a leggere dato che oggi non sono riuscito».
«Va bene, tesoro. La cena sarà pronta verso le otto e mezza, nove meno un quarto, come al solito», lo informò Erica carezzandogli i capelli con fare materno e protettivo. Era molto preoccupata per Claudio.
Il ragazzo annuì distrattamente, poi tornò a fissare gli occhi sulle pagine stampate di fronte a lui.
 
«Ciao, piccola!», esclamò Elena vedendo entrare la sorella minore di Veronica, seguita da Mattia e da Gianni, che si era incaricato di riportare i figli a casa.
«Come mai sei qui?», domandò Federica sorridendo togliendosi il cerchietto di stoffa rossa che le allontanava i capelli mossi dal volto. Li aveva tagliati da poco: fino a dicembre li aveva portati lunghi fin sotto al seno, poi aveva deciso di voler cambiare e aveva optato per un drastico taglio. Ore le ciocche ondulate non le sfioravano le spalle.
«Tua mamma mi ha invitata a restare per cena. Ti sei divertita dai Volpe?», le domandò Elena alzandosi in piedi per abbracciarla. La ragazzina squittì contenta quando venne stretta tra le braccia di Elena, che, dal canto suo, la adorava. La quattordicenne Mantovani era paffuta e graziosa, dal carattere socievole e dolce, i suoi tratti più caratteristici.
«Ti sei divertita da Mari?», le domandò Veronica mentre la sorellina prendeva posto accanto a loro. Elena si premurò di ridistribuire le carte, in modo da coinvolgere anche la nuova venuta. Mattia dopo aver salutato frettolosamente si era barricato nella sua stanza, dicendo che doveva assolutamente collegarsi a Internet.
«Oh sì, molto!», rispose arrossendo e ridacchiando Federica. Veronica sorrise a sua volta scuotendo la testa: chissà cosa avevano combinato quelle due pesti!
Avevano appena terminato di distribuire le carte che Gianni le raggiunse, sedendosi sulla poltrona più vicina a loro.
«Allora, ragazze, come va?», domandò rilassandosi contro i cuscini.
«Tutto bene, grazie...», esitò Elena.
«Bene, papà, bene».
«Veronica, che mi dici del concerto?», le domandò fissando su di lei gli occhi castani.
«Be’, non ho novità particolari... Iniziamo alle nove, il biglietto costa due miseri euro, suoniamo un’oretta circa, daranno qualcosa da bere...», elencò Veronica leggermente imbarazzata. Da meno di un anno aveva messo su con suo fratello, Bianca e Michele una specie di gruppo musicale e, attraverso un passaparola e una serie di contatti azzeccati, erano riusciti ad iscriversi ad un evento musicale organizzato da una società di Montenotte che spesso promuoveva band locali per animare alcune serata interamente dedicate ai ragazzi. Non era nulla di eclatante, semplicemente, per la prima volta, non avrebbero suonato per un muro – o, peggio, per i familiari – ma per dei ragazzi un po’ scettici e un po’ fanatici.
«Suvvia, non sminuire la cosa. Hai talento, Veronica, lo sappiamo». La ragazza avvampò e abbassò lo sguardo. Era brava, ne era conscia, ma aveva difficoltà nel tollerare l’insistenza con la quale il padre si insinuava nel suo mondo, abusando del pronome di prima persona plurale, anziché lasciarle il suo spazio per respirare.
«Sì, lo so... Andrà bene...».
«Suonerete qualche pezzo originale o vi dovrete limitare alle cover?», s’informò Gianni, incrociando le gambe.
«No, per fortuna solo cover: non siamo ancora al punto di poter proporre pezzi originali».
Gianni avrebbe replicato senz’altro con un rimprovero alla solita tendenza della primogenita a svendere miseramente il suo talento, ma Erica lo chiamò dalla cucina, chiedendogli di apparecchiare la tavola.
«Arrivo, arrivo!». Il signor Mantovani si alzò dalla poltrona con uno sbuffo e raggiunse la moglie nell’altra stanza. Veronica non tirò il fiato finché non udì la porta della credenza sbattere.
«Possiamo venire anche noi, vero? Prometto che non daremo fastidio!», esclamò Federica che ancora non aveva avuto il coraggio di chiederlo alla sorella maggiore, temendo un rifiuto: probabilmente non avrebbe voluto la sorellina rompiscatole tra i piedi mentre stava con i suoi amici.
«Con noi intendi tu e Mari?»
«Sì...»
«Eh... Ma sì, va bene... Basta che non diate fastidio e ve ne stiate per conto vostro!», la ammonì Veronica con un mezzo sorriso. La piccola Mantovani ringraziò e accennò un abbraccio, che la sorella rifiutò con garbo sostenendo che non era il caso.
«Sarà molto divertente...», sghignazzò Elena lanciando un’occhiata obliqua alla compagna, che storse il naso con disprezzo.
«Quando spaccheremo i culi non farai più così, ma sarai onorata di avermi come am...ica». La parola amante le stava sgorgando con tremenda naturalezza dalla labbra e si salvò in corner con un rapido scambio vocalico. Federica non si accorse di nulla.
«Amica della migliore chitarrista e cantante della storia», ironizzò Elena, che non aveva faticato molto a cogliere l’esitazione avuta poco prima da Veronica.
«Dai, non siamo così pessimi! Mattia alla batteria fa la sua figura, Bianca è una bassista nata, ha il tipico sguardo truce!, e Michele... be’, lo sai meglio di me che razza di chitarrista, semi-cantante sia!», rise Veronica spintonando con affetto la compagna.
«Avete già una scaletta?», domandò Federica curiosa.
«Ehm... più o meno! Cioè, sappiamo quali canzoni fare, ma non ancora in che ordine. In effetti avrei dovuto parlarne oggi con Bianca ma l’ho completamente scordato!», esclamò Veronica, il cui ricordo le era balzato alla memoria proprio in quel momento.
«E quali canzoni farete?»
«Non ti voglio rovinare l’esibizione, quindi te ne dico solo qualcuna! Mm, vediamo... Be’, faremo Aqualung dei Jethro Tull, Eric’s song di Vienna Teng, Elephant stone degli Stone Roses, Break it up di Patti Smith e... e basta! Ti ho quasi rivelato metà delle canzoni!», s’indignò Veronica per essersi lasciata trasportare.
«E pensa, Fede, che la tua sorellona eseguirà la canzone della Teng tutta da sola!», calcò la mano Elena passando un braccio attorno alle spalle di Veronica.
«Sono stati gli altri ad insistere!», protestò la ragazza incrociando le braccia sul tavolino, dove le carte erano ormai state dimenticate. Si muoveva con naturalezza su un palco, si esibiva senza paura, pareva essere nata per quello, ma guai ad elogiarla dopo: l’imbarazzo la rendeva intrattabile.
«È che voi Mantovani siete degli artisti, Vero, c’è poco da fare!», rise Elena.
«Ah, finché c’è da suonare o disegnare, io sono schierata in prima linea, ma non parliamo di sport perché potrei fare la peggiore figura della mia vita. Ringrazio che non ci siate mentre giochiamo a pallavolo o a basket a scuola...», borbottò Federica storcendo il naso. In effetti, le sorelle Mantovani erano l’antisportività per eccellenza, mentre Mattia riusciva a combinare il talento musicale allo sport giocando da portiere in una squadra di calcio locale, ed era anche decisamente bravo. L’unico che non pareva mostrare interesse per le diverse manifestazioni artistiche era Claudio, che viveva in funzione dell’atletica leggera, mondo sconosciuto ai tre fratelli maggiori.
«Ragazze, la cena! Chiamate i ragazzi, per favore», annunciò Gianni spostandosi in salotto con un strofinaccio da cucina nel quale si stava asciugando le mani.
«Ci penso io!», s’offrì volontaria Federica. Si rialzò aggrappandosi al divano e poi saltellò verso le stanze dei fratelli. Le altre due ragazze si avviarono immediatamente verso la cucina.
Erica aveva servito in tavola due grilletti di insalata di pomodoro, tonno, cipolle, fagioli e mais, assieme a due piatti di carne cruda tagliata a fettine e condita con un filo d’olio ed una spolverata di pepe nero.
«Se poi avete ancora fame, ho degli agnolotti ma preferisco aspettare a buttarli», spiegò Erica. In effetti, sia l’insalata che la carne abbondavano.
«Per me va benissimo così, davvero», annunciò immediatamente Veronica prendendo posto capotavola, dove usava sedersi. Federica e sua mamma, alla sinistra della ragazza, si sarebbero strette per far posto ad Elena.
«Tra l’altro, gli agnolotti sono di tua mamma», sorrise Erica rivolta ad Elena che rispose con la stessa espressione. «Devi assolutamente dirle che, se non ci fosse lei, talvolta saremmo qua a mangiare i ripiani del frigorifero, altroché!». Elena annuì, promettendo che avrebbe riferito.
«Ci siamo», annunciò Mattia sedendosi di fronte ad Elena e Federica. Claudio, senza una parola, tirò indietro la sedia accanto al fratello e vi si sedette chiuso nel suo silenzio.
«Papà dov’è?», domandò Erica. Anche lei si era appena seduta e stava sbirciando oltre la porta della cucina alla ricerca del marito.
«Oh, è andato a cercare una felpa perché ha freddo», rispose Mattia scrollando le spalle.
«Come fa ad avere freddo che i termosifoni sono accesi?».
«Si sono spenti prima, hanno raggiunto la temperatura impostata...», riferì Federica, che aveva controllato lungo il tragitto verso la stanza dei fratelli.
«Scusate, ci sono anch’io», borbottò Gianni accomodandosi capotavola, di fronte alla primogenita.
«Datemi i piatti, vi servo la carne cruda! Elena, tesoro, passami il tuo», le sorrise dolcemente la signora Mantovani. Erica non aveva scordato lo spettacolo che le due avevano offerto a lei e Paolo quel pomeriggio, anzi, stava osservando le due ragazze da quando era entrata in casa. Voleva rendersi conto del motivo per cui era giunta da sola alla conclusione che le due stavano assieme. Una madre non dovrebbe solo intuirle certe cose, dovrebbe esserne certa!, si rimproverava bonariamente con un dolce sorriso sulle labbra.
«Tre fette sono abbastanza?»
«Va benissimo, grazie Erica». Elena afferrò il piatto che le veniva restituito, subito dopo si sporse verso l’insalatiera più vicina per fare scorta del contorno.
«Ehm... tutto bene a scuola, Elena?», le domandò Gianni tentando di iniziare una conversazione. Elena non gli piaceva, non gli era mai andata a genio: fin da bambine, lei era solita traviare Veronica in atteggiamenti che non le si confacevano per nulla. La sua delicata e graziosa bambina non avrebbe mai dovuto arrampicarsi così in alto sugli alberi. Era colpa di quell’altra se sua figlia si era rotta un braccio all’età di sei anni. Elena non era una compagnia adatta alla sua primogenita, di questo era assolutamente certo. Eppure confidava nella figlia, sperando che il suo buonsenso le impedisse di seguire Elena in tutti i suoi folli progetti.
«Sì, grazie, tutto bene...», rispose lei, imbarazzata.
«Buon appetito!», esclamò gioioso Mattia. Doveva aver ricevuto una bella notizia, oppure era semplicemente felice.
«Buon appetito...», borbottò l’ultimogenito Mantovani, la testa china sul piatto.
Veronica occhieggiò i genitori, poi il fratello, poi scrollò le spalle e si tuffò sull’insalata.
I signori Mantovani iniziarono a parlare di questioni ineranti il proprio lavoro allo studio legale. Entrambi parevano piuttosto irritati con una certa Anna.
«Verranno anche gli altri a sentirvi?», domandò Federica, la bocca piena di carne cruda.
«Gli altri, chi?».
«Simo, Walter e poi non so...Martina e Andrea...».
«Sì, be’, Marti e Andre verranno di sicuro, perché aver suonato andiamo nella casa di campagna di Martina e facciamo un po’ di festa tra di noi», rispose Veronica annuendo.
«Gli altri due certamente ci saranno! Devono fare il tifo per me», sorrise Mattia.
«Cla, tu verrai?», chiese con gentilezza al fratellino la maggiore dei Mantovani. Il ragazzo alzò la testa dal piatto e le scoccò un’occhiata terribile.
«Che hai?», gli chiese Mattia. Il suo tono appariva apertamente seccato: tra loro due non correva affatto buon sangue, probabilmente, tra i tre, Claudio detestava maggiormente proprio lui.
«Lasciami stare», ringhiò Claudio, infastidito dalla sua intromissione. Voleva prendersela con la sorella maggiore. Lui avrebbe potuto diventare suo obiettivo in futuro, non c’era fretta.
«Dai, Cla, è solo preoccupato per te...», tentò Veronica.
«Non ho bisogno che vi preoccupiate per me! Piuttosto, tu dovresti preoccuparti per te stessa...».
Veronica aggrottò le sopracciglia: il tono di voce del fratello pareva sottendere una minaccia nemmeno troppo velata. Eppure la ragazza non capiva.
«Claudio, non essere maleducato», intervenne stancamente Erica che davvero non sapeva più come prendere il figlio minore, non riusciva a capirlo per quanto si sforzasse. Vederlo lì seduto, di fronte a lei, con lo sguardo accusatore che ora si era spostato su di lei, la feriva. Spesso s’interrogava su cosa avesse sbagliato con lui, cosa fosse successo per farlo cambiare in quel modo.
«È più maleducato chi vuole farsi i fatti degli altri o chi nasconde le cose?».
In quel momento Elena comprese la provocazione del ragazzino: il rumore che alla sua ragazza era parso di udire acquistò un senso alquanto sinistro. Non poté impedirsi dal trasalire sulla sedia, urtando con il gomito la ragazza alla sua sinistra.
«Claudio, cosa...», provò a interrogarlo il padre in merito alla sua criptica domanda, ma venne interrotto dallo stesso.
«Chiedilo a Veronica cosa significa», replicò con tutta la naturalezza del mondo, per poi tornare a mangiare come se avesse appena informato i suoi genitori circa le previsioni meteorologiche del giorno seguente.
«Non penso sia affatto importante», intervenne su due piedi Erica con tono di rimprovero verso il figlio. Aveva capito di cosa stava parlando Claudio, d’altronde lei stessa l’aveva scoperto quel pomeriggio. Possibile che lui lo sapesse da più tempo? Soprattutto, come faceva a saperlo? Erica non riuscì a trattenersi dall’osservare il volto del marito. Era teso e contratto, in una smorfia d’attesa, impaziente di sapere cosa gli stesse nascondendo la primogenita stando alle parole del figlio minore.
«Io invece penso che lo sia. In questa famiglia non devono esserci segreti», disse Gianni con tono secco. Tutta la situazione non gli faceva presagire nulla di buono.
«Gianni, sii ragionevole...», tentò Erica posandogli una mano sull’avambraccio, dove esercitò una lieve pressione.
«Rica, voglio parlare con mia figlia. O mi state nascondendo tutti qualcosa?».
Veronica all’improvviso si sentì schiacciare ed iniziò a respirare con fatica. Aveva paura, le tremavano le caviglie e il cuore le pulsava violentemente nel corpo: non voleva affrontare suo padre, non ora, non era pronta! Strinse convulsamente il tovagliolo.
Elena le lanciò un’occhiata preoccupata. Era incastrata, come un topo ad un party felino. Non osava incrociare gli occhi di Gianni, l’avrebbe scoraggiata totalmente, nonostante si fosse ripromessa più volte che prima o poi l’avrebbe affrontato. Era una persona adulta, e gli adulti dovrebbero essere ragionevoli. Dovrebbero. Elena venne percorsa da un brivido freddo e viscido, decisamente spiacevole.
«Non essere ridicolo, Gianni, nessuno sta nascondendo nulla!», si scaldò Erica, che aveva tutte le intenzioni di proteggere la figlia.
«Mia sorella e la sua amica, sì», replicò quasi con noncuranza Claudio. Il suo tono indifferente stava mandando in bestia Veronica: la ragazza da una parte era terrorizzata dall’idea dell’imminente confronto con il padre, dall’altra sentiva crescere un odio e uno disgusto verso la superficialità e il menefreghismo del fratello, che non aveva speso nemmeno cinque minuti per riflettere sulle conseguenze delle sue parole.
«Veronica!», esclamò Gianni, rosso di rabbia. Il suo pensiero aveva galoppato in fretta verso la soluzione dell’enigma, le ultime parole del figlio gli avevano solo dato l’input finale.
Elena sobbalzò, serrando gli occhi. Avrebbe voluto svanire in una nuvola di vapore, senza nemmeno un sibilo, indisturbata, ignorata. Purtroppo ora la situazione era esattamene rovesciata. Federica la stava osservando in modo strano, Mattia, che già sapeva, la guardava con compassione, Claudio con disprezzo, Erica con aria di scuse e Gianni con odio. Veronica, invece, fissava il muro alle spalle del padre.
«Cosa vuoi che ti dica?», sussurrò. Si detestava perché stava per piangere: avvertiva il familiare bruciore agli occhi e la spiacevole sensazione di calore srotolarsi lungo le sue guance e il suo naso. Non avrebbe voluto mostrarsi debole di fronte al genitore, non avrebbe nemmeno voluto affrontarlo, in fondo, ma andava fatto e lei lo sapeva. Avrebbe solo voluto essere dannatamente più sicura di se stessa.
«Anzitutto, spiegati. Mi pare assolutamente chiaro», infierì il padre dimostrando per l’ennesima volta la sua proverbiale mancanza di tatto.
«Gianni! Smettila, smettila immediatamente!», si scaldò Erica, indignata dal comportamento del marito. Non aveva alcun diritto di trattare così sua figlia. Eppure lei sapeva che qualcosa dentro di lui era scattato: dubitava che avrebbe continuato a vedere Veronica sotto la stessa luce.
«Erica...», iniziò Gianni, ma venne interrotto dalla figlia.
«Va bene, papà, va bene...», mormorò Veronica, alzando una mano tremante. Elena la osservava in silenzio. Lei aveva già combattuto la battaglia contro i suoi genitori più di un anno prima. Suo padre, Pierre Cantalupo, l’aveva guardata con freddezza e aveva pronunciato gelide e taglienti parole cariche d’amarezza, mentre la madre era scoppiata in lacrime, si sarebbe strappata i capelli se il marito non l’avesse fermata. “Una figlia sola! La nostra figliola...” , aveva piagnucolato miseramente per un buon quarto d’ora Teresa. Raffaele, il maggiore dei fratelli Cantalupo, che allora aveva trent’anni, si era limitato a dire di aver intuito l’omosessualità della sorella fin da quando era bambina, ma non espresso né simpatia né antipatia per la questione, aveva piuttosto eretto un muro di indifferenza. Il ventottenne Paolo, invece, non aveva espresso remore nel mostrarsi decisamente disgustato all’idea che la sorella preferisse correre dietro alle sottane e nel corso dell’anno questo sentimento era stato manifestato più volte attraverso battute acide e subdole allusioni che mandavano in bestia il signor Cantalupo. Le loro reazioni erano state molto diverse, però, dall’aperto odio che stava mostrando il signor Mantovani. Perché non poteva essere altro che odio quello che Elena gli leggeva negli occhi.
«Forza, Veronica. Ti ascolto».
«Sì, è che... non so da che parte iniziare...», mormorò Veronica. Un singhiozzo sfuggitole spezzò la sua voce.
«Magari inizia giustificando i gemiti che ho sentito oggi pomeriggio», s’intromise nuovamente Claudio con quel tono che irritava tanto le due ragazze.
«Tu non dovevi essere dalla nonna?!», alzò il tono Erica. Non gli piaceva il modo in cui si stava comportando il figlio. Non sapeva dove avesse assorbito tanta maleducazione, di sicuro lei non gli aveva insegnato quel genere di intolleranza, anzi.
«Erica, di questo ci occuperemo più tardi», ringhiò Gianni che, dopo l’ultimo sentenza di Claudio, era diventato ancora più rosso, pareva sul punto di esplodere, un’eruzione d’ira sanguinolenta. «Veronica, avanti!», abbaiò sbattendo un pugno sulla tavola, che fece vibrare minacciosamente tutti i bicchieri. Federica osservava suo padre paralizzata per il terrore. Quella stessa sera, più tardi, avrebbe telefonato a Maria Cristina e le avrebbe raccontato l’accaduto in lacrime, sostenendo che era questo il motivo per cui la loro neonata relazione avrebbe dovuto continuare a restare segreta ancora per un bel po’.
«Gianni, smettila! Ti stai comportando come un bambino!», urlò Erica risentita per il suo comportamento. Si alzò in piedi e raggiunse la figlia maggiore seduta a capotavola, proprio di fronte al signor Mantovani. Le poggiò le mani sulle spalle, un gesto che voleva comunicare la sua presenza e il suo supporto in quell’insensata discussione.
«Erica, santa pace! Tua figlia... tua figlia è...». Gianni non riusciva a pronunciare quella parola che ora nella sua mente andava espandendosi. Ma non era nemmeno quello il motivo di tanta rabbia, no. Era Elena. La figlia dei Cantalupo, come la definiva di solito nonostante la conoscesse da quindici anni. Era senz’altro tutta colpa sua, perché Veronica era nata normale, lui lo sapeva: da bambina giocava con le bambole, si innamorava dei maschietti dei telefilm ed era così graziosa e femminile... No, era stata senz’altro Elena!
«Sì, papà sono lesbica! Almeno abbi la forza di dirlo a voce alta!», s’inalberò Veronica che dal supporto materno aveva tratto energia positiva per affrontare il padre, conscio che almeno uno dei suoi genitori era dalla sua parte.
«Non usare quel tono con me, Veronica, è ovvio che non sai quello che dici!»
«Io so benissimo quello che dico. La vedi Elena? Bene, io la amo e tu puoi dire o fare quel che ti pare, ma la situazione non cambierà!»
«Per l’amor d’Iddio! Smettila con queste assurdità! Erica...», tentò invano di trovare un alleato nella moglie, ma la donna gli abbaiò in faccia una notizia che, se possibile, lo infiammò maggiormente.
«Io sapevo già della relazione, perché credi non te ne avessi parlato?!»
Veronica stupita si voltò ad osservare la madre, che scrollò le spalle e sorrise. La figlia sarebbe scoppiata in lacrime per il sollievo: sapeva di poter contare sulla madre, la conosceva troppo bene.
«E non hai fatto nulla?! Ora...».
«Ora è il caso che io vada...», mormorò Elena alzandosi in piedi, le guance imporporate e i pugni serrati. Davanti a lei, il piatto era ancora praticamente pieno.
«È ora che tu sparisca in via definitiva, Elena!»
«Papà!»strillò Veronica, alzandosi in piedi a sua volta. «Se lei se ne va, io la seguirò!»
«Veronica Mantovani, rimettiti immediatamente a sedere!»
Il tono di voce pacato era ormai stato dimenticato e tutti i partecipanti alla discussione si esprimevano urlando la propria rabbia. Mattia e Federica, silenziosi e rossi in volto, osservavano la tovaglia, ed entrambi riflettevano in silenzio.
«No, papà, se mandi via lei, allontani anche me, ricordalo!»
«Gianni, ora basta! Basta!», gridò Erica prima che suo marito potesse aprire bocca. La richiuse con una smorfia rabbiosa, osservando la moglie con aria di profondo rimprovero per quell’eccessivo permissivismo.
«Scusate, io vorrei davvero tornare a casa...», mormorò nuovamente Elena. Non riusciva a tollerare oltre l’atmosfera di quella cucina, che già inizialmente non era delle più leggere: la ragazza sapeva di non andare particolarmente a genio a quello che sarebbe diventato suo suocero, ma ora, se fosse riuscito a metterle le mani addosso... be’, Elena non voleva scoprirlo. E di sicuro non avrebbe mai immaginato che Gianni, un anno e mezzo dopo, avrebbe cercato di romperle la faccia con un mattarello.
«Certo, Elena, non preoccuparti...», tentò di rassicurarla Erica posandole una mano sulla spalla.
«Veronica, tu siediti a tavola, dobbiamo parlare», le ordinò il padre. In tutta risposta, la figlia si allontanò di qualche passo, fissando il genitore con uno sguardo che celava tutto il risentimento e la delusione di una figlia.
«Vero, stai tranquilla, se non vuoi restare non sei obbligata», le sussurrò la madre carezzandole una guancia. La ragazza annuì con le lacrime agli occhi. Sospirò asciugandosi le guance e scostandosi le ciocche che le si erano incollate al volto. Si sentì immediatamente più fresca.
Il signor Mantovani  non sapeva nemmeno cosa dire. Rimase seduto a tavola, paralizzato, costretto ad osservare la figlia che usciva da casa sua assieme alla... la figlia dei Cantalupo. Stava per dirlo, stava per dire la sua ragazza. Fremette di rabbia.
Claudio osservò con aria vittoriosa la sconfitta della sorella maggiore. Il piedistallo sul quale il padre l’aveva elevata si era crepato irreparabilmente, ed era esploso nel momento in cui la porta di casa Mantovani era stata sbattuta e l’ultima ciocca bionda di Veronica era scomparsa nella notte. Finalmente suo padre si era reso conto la sua perfetta figliola non era poi così perfetta.
Mattia e Federica, gli occhi sgranati e le bocche dischiuse, erano come in stato di choc: in una manciata di minuti, l’ordine naturale della loro casa era stato totalmente sovvertito. Ed entrambi tremavano per il segreto che custodivano.
Erica si sedette nuovamente al tavolo e con un secco “mangiamo” esortò la famiglia a terminare la cena. Gianni non le rivolse la parola fino alla mattina seguente.
 
*
 
«Sei stata forte, piccolina», mormorò Elena abbracciandosi alla schiena della compagna e posandole un bacio sulla spalla, nascosta da un pigiama che le aveva prestato, azzurro pallido a righe verticali bianche.
«Mm, avevo paura...», confessò lei, gli occhi gonfi e stanchi a causa del pianto.
Appena entrate a casa Cantalupo, si erano trovate di fronte i genitori di Elena e il fratello di mezzo, Paolo, che in salotto si godevano un film in francese.
«Veronica resta a dormire, va bene?», aveva domandato con molta cautela. Sapeva che i suoi non le avrebbero detto di no, ma era certa che non si sarebbero risparmiati una battuta amara, specialmente suo padre.
«Basta che non vi comportiate da persone strane», aveva concesso il padre. Basta che non facciate l’amore, tradusse mentalmente Elena, senza replicare. Si erano rintanate nella stanza della ragazza, dove Veronica aveva finalmente dato sfogo alle lacrime represse.
«Sei il mio angelo guerriero», mormorò Elena ridacchiando. Il soffio del suo fiato aveva spostato alcune ciocche color miele dei lunghi capelli di Veronica, che ora le coprivano la guancia. Lei li scostò con un dito, riportandoli dietro l’orecchio.
«Guerriero magari sì, angelo non propriamente...», sorrise Veronica.
«Strano, io avrei detto esattamente il contrario!»



[1] Andùril in Sindarin, tradotto Fiamma dell’Ovest, è la spada che fu spezzata e riforgiata de Il signore degli anelli, con la quale Isildur, figlio di Elendin, tagliò il dito di Sauron impossessandosi dell’unico Anello.
   
 
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