Onix
eyes
Le
luci
psichedeliche illuminavano ad intermittenza. La musica rimbombava nelle
orecchie e s’insinuava nelle ossa, espandendo ritmo. I corpi
si scontravano e
si strusciavano in quel tumulto di persone lasciate libere a loro
stesse.
Lui si trovava lì, tra quelle persone accaldate a dimenarsi.
Era lì, tra corpi
sudati e sorrisi di plastica pronti ad infrangersi nel muro di un
lurido cesso
troppo piccolo per contenere due corpi intrecciati. Si muoveva senza
neanche
seguire un ritmo ben preciso. Era solo quella sera. Aveva solo voglia
di
ballare, solo voglia di devastare l’anima e il cuore, per
scacciare dalla mente
i fantasmi dei suoi ultimi sogni, quella storia ormai passata che si
ostinava a
non voler dimenticare.
Si dimenava tra la gente alla ricerca di qualcosa che quella sera
rimarginasse,
almeno temporaneamente, le ferite del cuore. Così a passo
svelto, preso
dall’euforia di voler dimenticare, andò verso il
bancone, chiese l’alcolico più
forte che avessero a disposizione.
Era l’errore più vecchio del mondo, devastare il
corpo per curare l’anima, ma
in quel momento la distruzione era l’ultimo dei suoi
problemi. Utilizzava
l’alcol come anestetico al dolore che lo dilaniava, era
giunto alla conclusione
che perdere la testa fosse un buon modo per allontanare un
po’ i suoi problemi.
Ingurgitò l’intruglio che gli era stato servito.
Ne bevve un altro, poi un
altro, e un altro ancora, fin quando l’alcol non
annebbiò i sensi, offuscando e
mischiando i ricordi che si affollavano in lui.
Tornò in pista con negli occhi il volto di quella lei che
gli aveva spezzato il
cuore.
Era come rivederla in ogni volto, era come toccarla ad ogni scontrarsi
di
corpi.
L’alcol faceva brutti scherzi, soprattutto quando al posto di
cancellare la
memoria la faceva ritornare indietro più tagliente che mai.
Capelli biondo miele ad ogni angolo, era questo ciò che si
presentava ai suoi
occhi, più tentava di scacciare quelle immagini
più queste si mostravano a lui
con la loro fredda e dilaniante crudeltà.
Labbra rosso scarlatto, spiccavano su ogni volto che cercava di
incrociare e
poi dimenticare. Era come se ogni volto mostrasse il suo, come se tutti
gli
occhi fossero i suoi, come se quella sera i ricordi fossero
lì per ferirlo più
di quanto già non fosse.
Cercava pozze nere in cui affogare, era stanco di perdersi mentalmente
in
quell’oceano infinito che erano le sue pupille, voleva
annegare nel buio,
voleva vederlo illuminarsi per poi spegnersi nell’attimo in
cui il godimento
raggiunge il suo culmine.
Cercava occhi diversi in quella calda sera d’estate, cercava
un sorriso non
luminoso, capelli scuri in cui perdersi e labbra strette in cui far
affogare
l’amaro di quella storia ormai passata.
Cercava semplicemente di dimenticare ciò che era stata la
sua vita prima che
quella stronza, di cui non voleva neanche pensare il nome, lo lasciasse
solo
per inseguire i suoi deliri di onnipotenza, mandando a puttane una vita
insieme
appena cominciata.
Andò in pista pronto a lasciar dietro i brutti pensieri.
Ciò che ormai era
passato non doveva condizionare il suo presente.
“Noi
siamo
ciò che abbiamo vissuto”
Gli
diceva
sempre lei.
“Stronzate”
Si
ritrovò a
pensare lui.
“Noi
siamo
ciò che vogliamo essere e il passato serve solo a far male
quando i nostri
piani non vanno per il verso giusto.”
Quindi
era
giunto il momento di prendere una pausa da quella
quotidianità dilaniante che
erano i ricordi.
Si scatenò sulla pista, cominciò a ballare,
incurante di chi aveva attorno,
incurante dei corpi che inevitabilmente si toccavano. Guardava senza
attenzione
i volti dei presenti attorno a lui, tutti con quel loro
stramaledettissimo
sorriso finto stampato in volto. Tutti con la loro falsa
felicità, messa su da
quella maschera che ogni persona per l’intera vita si porta
addosso.
Li guardava, irritato e infastidito da quella falsa serenità
che lui non
riusciva ad interpretare, quando nel fondo, sola, intenta a muoversi
lentamente
la vide diversa da tutte quelle deboli maschere.
Non vide capelli biondi e occhi chiari con labbra rosse pronte a
schernire il
mondo. No, vide labbra strette e chiare, quasi limpide, con la voglia
di
inghiottire il mondo. Vide meandri scuri al posto degli occhi, come
vortici
vuoti dentro al quale perdersi per non uscirne più vivo.
Cercò di avvicinarsi e in quelle pupille scure vide davvero
il vuoto, vide la
malinconia, vide qualcosa di perduto a cui ancora osava aggrapparsi per
non
perdere anche l’ultimo pezzo di se stessa ormai a brandelli.
Vide se stesso, in versione più debole e fragile.
Vide se stesso e questo lo scosse dal torpore dei ricordi,
perché lei era la
rappresentazione della distruzione. Occhiaie, sguardo spento, movimenti
quasi
accennati. Era lì anche lei per dimenticare ed anche lei non
ci stava
riuscendo.
Fu così che decise di avvicinarsi, senza sapere esattamente
cosa dirle, senza
sapere a cosa quell’incontro avrebbe portato. Si
avvicinò, pensando che due
reduci dalla devastazione altro non potevano che comprendersi e forse
rincollarsi
a vicenda i pezzi di mondo andato distrutto.
“Stai
pensando una marea di cazzate Adrien, lei è qui come mille
altri ragazzi.
Potrebbe non avere nulla da dimenticare, potrebbe non voler avere nulla
a che
fare con te.”
Eppure
il suo
istinto era più forte della sua coscienza. Si
ritrovò così a pochi passi da
lei, distante solo un paio di metri. Anche lei si accorse della sua
presenza e
con in mano il suo bicchiere di vodka gli fece un cenno.
Non era un saluto, non era un richiamo, era solo un cenno a cui lui
poteva dare
l’interpretazione che voleva. A cui lui decise di dare il
significato di un via
libera accennato.
« Chi sei? »
Era la sua voce, non morbida, non roca, non suadente o eccitante. Solo
vuota,
come gli occhi.
“Come
il
cuore”
Osò
pensare mentre
si accingeva a risponderle: « Adrien, sono Adrien. Tu?
»
Lo
disse sussurrando, come se quella situazione fosse irreale, come se
loro non
fossero due ragazzi in una semplice discoteca, come se lui non sapesse
che la
probabile conclusione a quella serata fosse il fare sesso dentro il
bagno della
discoteca, o nel migliore dei casi in una bettola trovata per strada.
«
Ashley », fu un sussurro, un nome quasi mormorato nel bel
mezzo del frastuono
che li circondava. Quando lei alzò gli occhi Adrien vide
quei turbini neri
inghiottirlo per poi rigettarlo fuori senza realmente fargli vedere
cosa
celavano. Scorgeva malinconia di cose perdute e questo lo attrasse
più del
lecito. « Sei sola? »
«
Che importa? », gli rispose lei superandolo e afferrandolo
per un polso. Non
stava mettendo forza in quel gesto, Adrien credeva che anche se avesse
voluto
lei non avrebbe avuto la forza necessaria per spingerlo a seguirla.
« Voglio da
bere », disse sempre con quel suo filo di voce, dirigendosi
lentamente verso il
bancone. Lui la seguì, aveva la stupida convinzione che lei
andasse protetta,
gli aveva dato l’impressione di essere un essere indifesa,
che dovesse essere
tenuta al riparo dal mondo circostante. I suoi occhi gli comunicavano
questo.
«
Una vodka »
«
Due », rimarcò Adrien all’ordinazione di
Ashley.
La
vide bere quasi senza più gusto, quasi come se quel liquido
fosse acqua,
come se il suo corpo fosse abituato a quella presenza dentro al corpo.
Lui
la segui a ruota, bevve la sua bevanda e strizzò gli occhi,
l’alcol stava
annebbiando la sua vista.
L’alcol
stava facendo il suo effetto, rendendolo confuso e allo stesso tempo
disinibito rispetto al suo solito. « Vieni a ballare
», le disse senza neanche
lasciarle il tempo di dire sì,
l’afferrò per quel suo polso fine e stretto e la
portò in pista, mettendole le mani ai fianchi mentre lei si
lasciava andare
davanti a lui.
Cominciarono
a muoversi, in sincrono ma senza pensare realmente ai movimenti da
fare. Erano come due calamite un po’ consumate, due magneti
che si attraevano
irrimediabilmente l’uno contro l’altro.
Lei
muoveva i fianchi mentre lui con le mani scendeva dalla schiena a
riafferrarglieli, non con brama ma con la voglia di vederla sua, di
vederla lì
tra le sue braccia, in un misto di protezione e riverenza, possesso e
passione,
curiosità e lussuria.
La
immaginava stretta a se mentre il piacere si diffondeva tra loro,
mentre i
suoi occhi, neri più dell’onice, venivano animati
da quel guizzo di vita che
sicuramente li avrebbe resi mille volte più affascinanti.
La
strinse a sé, più che poteva, come se lei fosse
un’illusione destinata a
scomparire. Sfiorò il suo collo con il naso,
s’inebriò di un profumo dolce,
estremamente dolce, quasi fruttato.
Alzò
il suo sguardo per farlo incrociare con quelle pozze nere e perdersi in
quel mare nero, perché era mille volte meglio della
limpidezza e della
chiarezza a cui era stato precedentemente legato, il nero era capace di
tenerlo
stretto a se e farlo sentire quasi protetto nel bel mezzo
dell’angoscia che
aveva riempito la sua vita e anche quella della ragazza di fronte a
sé. Il nero
sembrava riscaldarlo.
La
strinse, come se dovesse scomparire, come se lei fosse la sua ancora di
salvezza.
«
Vieni con me », sussurrò a pochi centimetri dal
suo viso, fu quasi una
supplica detta senza voce, sperando che lei accettasse di seguirlo, di
lasciarsi andare, di dimenticare e di rivivere anche solo per una
notte, anche
solo per qualche squallida ora.
Lei
lo seguì, senza remore, senza ripensamenti o fraintendimenti.
Si
diressero al bagno femminile, aprirono una delle porte e
s’infilarono dentro
con la fretta nelle ossa. La sbatté al muro senza farle male
e si fiondò sulle
sue labbra senza dolcezza o anche solo un minimo di tenerezza. No, in
quel
mangiarsi di labbra vi era solo urgenza, fretta, voglia di andar via
seppur
restando chiusi dentro quattro mura spoglie. Era la voglia di laccarsi
le
ferite a vicenda e contemporaneamente quella di lasciarle sanguinare
per
tornare, la mattina appena svegli, a farsi del male.
Era
la necessità di scoprirsi per non lasciarsi cadere nel
baratro di un grigio
e dolorante futuro, si stavano dando il ruolo, l’uno per
l’altro, di un
appiglio sicuro a cui aggrapparsi per ritornare a vedere anche solo un
briciolo
di strada luminosa.
Continuavano
così a baciarsi voracemente, ad inumidirsi le labbra e far
scontrare le lingue per esplorarsi e legarsi insieme.
L’accarezzava
e la teneva stretta, saggiando ogni anfratto di quel suo piccolo
e gracile corpo coperto da quella stoffa fine. Sfiorava ogni punto,
ogni angolo
con una frenesia che solo la passione di un attimo passeggero e fugace
può
dare.
Cercò
di fare scendere la lampo del vestito che si trovava sulla schiena,
cominciò a baciare e leccare, vezzeggiando ogni piccola
parte di collo e petto
scoperto per saggiarne e assaporarne l’odore e il sapore,
mentre lei gli sbottonava
la camicia, tastando ogni muscolo che si trovava a sfiorare al suo
passaggio.
Lui
cercò di sfilare via quel vestito, diventato ormai troppo
ingombrante per i
loro movimenti, quando lei lo fermò di colpo alzando il
volto con gli occhi
lucidi di passione e velati da quel suo essere quasi ubriaca, a causa
dell’alcol bevuto fino a quel momento.
«
Andiamo via da qui », gli sussurrò lei fissandolo
negli occhi scuri e caldi, «
Non mi va di stare chiusa dentro un bagno lurido… »
«
Okay, va bene! », rispose lui allontanandosi di un poco. Si
sistemarono alla
meno peggio e uscirono da quel bagno quasi di corsa, come se la calca
di
persone che li circondavano fosse un enorme fastidio, come se la loro
fosse una
corsa contro il tempo per poter rivivere insieme, come se il destino
stesse
loro anticipando i suoi progetti dal crudele risvolto.
Si
afferrarono la mano senza neanche rendersene conto, attraversarono la
folla
a passo svelto e con il fiato corto, fino ad arrivare fuori a prendere
una
boccata d’aria fresca.
Stranamente
Ashley guidava e Adrien la seguiva, vedeva nei suoi occhi un guizzo
di vita che neanche un’ora prima era totalmente assente
dentro le sue orbite.
D’un
tratto la blocco facendo un po’ di forza, la tirò
a se per un polso e le
sollevò il mento con la mano sinistra: « Sei bella
» le disse, così, senza
pensare.
Poteva
quello essere un colpo di fulmine, poteva essersi innamorato nel giro
di
meno di un’ora, o si trattava soltanto di un pretesto per
andare avanti senza
pensare?
Non
lo sapeva, sapeva solo che il suo corpo minuto e i suoi occhi spenti lo
attraevano oltremodo.
Dopo
quella frase la vide sorridere, di un sorriso vero che faceva invidia
per
la sua bellezza.
«
Prendiamo la mia macchina? » propose lui, un po’
imbarazzato, vista la calma
che li aveva sopraffatti. « Sì… io sono
a piedi » rispose lei, abbassando gli
occhi.
Si
diressero verso l’auto di Adrien e salirono su per dirigersi
da qualche
parte, in qualunque direzione, ovunque. L’importante era fare
in modo che
quella bolla di sapone in cui le loro anime si erano ricoverate durasse
il più
a lungo possibile.
Cominciarono
a sfrecciare per le strade di Boston senza una meta ben precisa,
giravano a vuoto, come a voler prolungare quel momento.
«
Dove andiamo? » fu la domanda di lei, detta a bassa voce, con
un tono di quasi
accennata aspettativa. « Non so, mi sono trasferito da poco a
Boston e… conosco
poco la città, solo le zone in cui ho affittato il
monolocale »
«
Vada per il monolocale » rispose Ashley accennando un
sorriso, come risposta
a quello smagliante che Adrien le stava dedicando da, praticamente,
tutto il
viaggio in auto, un sorriso che non ebbe il tempo di completarsi
perché
trasformatosi in una smorfia di paura.
«
Attento! » urlò Ashley mentre un’altra
auto gli veniva addosso e Adrien non
aveva il tempo di frenare la sua corsa.
Lo
schianto fu spaventoso, Adrien non comprese subito cosa successe, vide
solo l’auto
nera venirgli incontro. Non riuscì a frenare, non
riuscì a proteggere Ashley
dalle possibili conseguenze che l’impatto poteva avere su di
lei.
Immediatamente
dopo lo scontro riuscì ad aprire lo sportello
dell’auto piegato
in maniera innaturale e ad uscire da quell’ammasso di lamiere
che l’aveva
lasciato illeso, se non fosse stato per i piccoli graffi superficiali
che aveva
in faccia.
Si
allontanò di un passo per guardare la scena che si
presentava davanti ai
suoi occhi e quello che vide lo lasciò paralizzato: la parte
del passeggero
della sua auto era stata quasi totalmente devastata
dall’impatto con l’altra
auto, di cui i passeggeri erano quasi illesi, ciò poteva
voler dire solo una
cosa, che Ashley era dentro, e che lei aveva subito i danni
più gravi di
quell’assurdo e imprevisto incidente.
Rientrò
in macchina non appena comprese ciò che i suoi pensieri
stavano
cercando di suggerirgli, doveva vedere come stava Ashley, voleva vedere
nei
suoi occhi quei vortici neri di incomprensioni e solitudine per poter
annegare
lì dentro e scoprire mondi nuovi. Voleva avere nuovamente la
possibilità di
vederla sorridere e di vedere nei suoi occhi quel velo
d’eccitazione che la
rendeva tanto bella.
Si
sporse ad accarezzarle piano la testa che sanguinava dalla tempia
destra: «Ashley,
come stai? » le domandò sull’orlo di un
pianto disperato, sperando con tutte le
forze che una risposta arrivasse.
«
Bene » fu la flebile risposta della ragazza che, nonostante
la situazione
disastrosa e disperata in cui si trovava, nonostante i richiami della
morte che
sembravano non volerla abbandonare un attimo, cercò di
sorridergli debolmente
per tranquillizzarlo.
«
Cerco di tirarti fuori da qui, ok? ». Al cenno di assenso di
lei, Adrian si
sporse in avanti cercando di portarla fuori dall’abitacolo
ormai distrutto. Sulle
sue mani sentì scorrere qualcosa di caldo, un liquido che
andava ad
appiccicargli le mani e che arrivava alle sue narici con quel
retrogusto
ferroso. Era odore di sangue che si espandeva nell’aria; ed
era il sangue di
Ashley che stava uscendo fuori a fiotti sempre più grandi e
che si riservava su
di lui senza che potesse, in alcun modo, fare niente.
«
Ashley, ti prego, non dormire » ripeteva, strenuamente,
poggiando le labbra
sulla fronte di lei.
«
Fa freddo » sussurrava sempre con meno forze lei, con gli
occhi ormai troppo
pesanti per essere tenuti aperti.
«
Su piccola, tieni duro. Sta arrivando l’ambulanza a
andrà tutto bene, starai
bene » ripeteva ormai più a se stesso che a lei.
Lo faceva per auto-convincersi
che quella ragazza dagli occhi d’onice e dalle labbra strette
non stesse
morendo lì, fra le sue braccia.
«
Avete chiamato un’ambulanza? » urlo agli altri
ragazzi coinvolti
nell’incidente con le lacrime che ormai uscivano senza
chiedergli permesso. Sentì
degli assensi a cui non badò più di tanto.
Teneva
stretto al petto quel corpo che rantolava, cercando di fermare quella
fuoriuscita di sangue che, evidentemente ormai, era
un’emorragia. « Resisti
Ashley, resisti » ripeteva come un mantra mentre i singulti
di lei si andavano
sempre più affievolendo.
Lo
guardò un’ultima volta con gli occhi appannati da
quel velo che la morte
stava facendo scendere su di lei prematuramente, prima che la testa
cadesse
senza vita dal lato opposto a lui.
Fu
così che Adrien si ritrovò a piangere e ad urlare
per quella morte
imprevista e che incauta si stava abbattendo su di lui nel momento
peggiore che
la vita potesse riservargli.
Quando
l’ambulanza arrivò lui teneva ancora stretto il
corpo di Ashley, il
sangue gli stava impregnando i vestiti e il suo corpo cominciava
già a
raffreddarsi.
«
Qualunque cosa lei avesse fatto la ragazza non si sarebbe comunque
salvata,
era stata recisa l’arteria femorale
nell’incidente… l’emorragia era troppo
grave! »
Queste
parole gli sembravano lontane mentre teneva ancora stretto il suo
corpo,
prima di cederlo a chi di dovere per portarlo in un posto
più consono di quello
che l’aveva vista morire.
«
Come si chiamava? » gli chiesero, mentre lui si trovava
ancora sotto shock, e
in quel momento si rese conto di non sapere davvero nulla di quella
ragazza che
gli aveva lasciato un vuoto profondo dentro.
Non
sapeva nulla di lei se non il suo nome.
Non
aveva idea di dove abitasse, di che lavoro facesse, se fosse una
studentessa.
Nulla.
Di lei sapeva soltanto che aveva sofferto, perché i suoi
occhi d’onice
glielo avevano testimoniato tante volte quella sera.
Di
lei sapeva solamente che le serviva una spinta per tornare a mettersi
in
carreggiata con la vita.
Di
lei sapeva solo questo, niente di più e niente di meno.
FINE
Buongiorno, rieccomi nella sezione
generale con una shot che non
sapevo esattamente dove collocare.
Non ho molto da dire su questi due ragazzi, solo che rappresentavano
due
ragazzi feriti che potevano essere tutto e alla fine, a causa del
destino, non
sono riusciti ad essere nulla se non semplici conoscenti.
Oltre a questo la mia vena sadica andava colmata, ragion per cui dovevo
creare
una storia con qualche morto u.u
Nel caso in cui voleste contattarmi potete farlo al contatto
facebook ‘Pois
Nicole Spurce’, al gruppo facebook ‘Radio
flit’, che gestisco
assieme a Mary_Sophia_Spurce;
su twitter ‘@NicoleSpurce
e su tumblr con due
blog: Reminiscenze
e Racconti
brevi.
Alla prossima, baci Cinzia ^^