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Autore: Cinzia N Spurce    16/09/2011    1 recensioni
Due ragazzi, una notte da superare, due cuori rotti da riparare.
E se il destino avesse comunque deciso di tenerli distanti?
Contro il destino, semplicemente, non possono nulla.
ONE SHOT REVISIONATA E CORRETTA.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Onix eyes

 

Le luci psichedeliche illuminavano ad intermittenza. La musica rimbombava nelle orecchie e s’insinuava nelle ossa, espandendo ritmo. I corpi si scontravano e si strusciavano in quel tumulto di persone lasciate libere a loro stesse.
Lui si trovava lì, tra quelle persone accaldate a dimenarsi. Era lì, tra corpi sudati e sorrisi di plastica pronti ad infrangersi nel muro di un lurido cesso troppo piccolo per contenere due corpi intrecciati. Si muoveva senza neanche seguire un ritmo ben preciso. Era solo quella sera. Aveva solo voglia di ballare, solo voglia di devastare l’anima e il cuore, per scacciare dalla mente i fantasmi dei suoi ultimi sogni, quella storia ormai passata che si ostinava a non voler dimenticare.
Si dimenava tra la gente alla ricerca di qualcosa che quella sera rimarginasse, almeno temporaneamente, le ferite del cuore. Così a passo svelto, preso dall’euforia di voler dimenticare, andò verso il bancone, chiese l’alcolico più forte che avessero a disposizione.
Era l’errore più vecchio del mondo, devastare il corpo per curare l’anima, ma in quel momento la distruzione era l’ultimo dei suoi problemi. Utilizzava l’alcol come anestetico al dolore che lo dilaniava, era giunto alla conclusione che perdere la testa fosse un buon modo per allontanare un po’ i suoi problemi.
Ingurgitò l’intruglio che gli era stato servito. Ne bevve un altro, poi un altro, e un altro ancora, fin quando l’alcol non annebbiò i sensi, offuscando e mischiando i ricordi che si affollavano in lui.
Tornò in pista con negli occhi il volto di quella lei che gli aveva spezzato il cuore.
Era come rivederla in ogni volto, era come toccarla ad ogni scontrarsi di corpi.
L’alcol faceva brutti scherzi, soprattutto quando al posto di cancellare la memoria la faceva ritornare indietro più tagliente che mai.
Capelli biondo miele ad ogni angolo, era questo ciò che si presentava ai suoi occhi, più tentava di scacciare quelle immagini più queste si mostravano a lui con la loro fredda e dilaniante crudeltà.
Labbra rosso scarlatto, spiccavano su ogni volto che cercava di incrociare e poi dimenticare. Era come se ogni volto mostrasse il suo, come se tutti gli occhi fossero i suoi, come se quella sera i ricordi fossero lì per ferirlo più di quanto già non fosse.
Cercava pozze nere in cui affogare, era stanco di perdersi mentalmente in quell’oceano infinito che erano le sue pupille, voleva annegare nel buio, voleva vederlo illuminarsi per poi spegnersi nell’attimo in cui il godimento raggiunge il suo culmine.
Cercava occhi diversi in quella calda sera d’estate, cercava un sorriso non luminoso, capelli scuri in cui perdersi e labbra strette in cui far affogare l’amaro di quella storia ormai passata.
Cercava semplicemente di dimenticare ciò che era stata la sua vita prima che quella stronza, di cui non voleva neanche pensare il nome, lo lasciasse solo per inseguire i suoi deliri di onnipotenza, mandando a puttane una vita insieme appena cominciata.
Andò in pista pronto a lasciar dietro i brutti pensieri. Ciò che ormai era passato non doveva condizionare il suo presente.
 

“Noi siamo ciò che abbiamo vissuto”
 

Gli diceva sempre lei.
 

“Stronzate”
 

Si ritrovò a pensare lui.
 

“Noi siamo ciò che vogliamo essere e il passato serve solo a far male quando i nostri piani non vanno per il verso giusto.”
 

Quindi era giunto il momento di prendere una pausa da quella quotidianità dilaniante che erano i ricordi.
Si scatenò sulla pista, cominciò a ballare, incurante di chi aveva attorno, incurante dei corpi che inevitabilmente si toccavano. Guardava senza attenzione i volti dei presenti attorno a lui, tutti con quel loro stramaledettissimo sorriso finto stampato in volto. Tutti con la loro falsa felicità, messa su da quella maschera che ogni persona per l’intera vita si porta addosso.
Li guardava, irritato e infastidito da quella falsa serenità che lui non riusciva ad interpretare, quando nel fondo, sola, intenta a muoversi lentamente la vide diversa da tutte quelle deboli maschere.
Non vide capelli biondi e occhi chiari con labbra rosse pronte a schernire il mondo. No, vide labbra strette e chiare, quasi limpide, con la voglia di inghiottire il mondo. Vide meandri scuri al posto degli occhi, come vortici vuoti dentro al quale perdersi per non uscirne più vivo.
Cercò di avvicinarsi e in quelle pupille scure vide davvero il vuoto, vide la malinconia, vide qualcosa di perduto a cui ancora osava aggrapparsi per non perdere anche l’ultimo pezzo di se stessa ormai a brandelli.
Vide se stesso, in versione più debole e fragile.
Vide se stesso e questo lo scosse dal torpore dei ricordi, perché lei era la rappresentazione della distruzione. Occhiaie, sguardo spento, movimenti quasi accennati. Era lì anche lei per dimenticare ed anche lei non ci stava riuscendo.
Fu così che decise di avvicinarsi, senza sapere esattamente cosa dirle, senza sapere a cosa quell’incontro avrebbe portato. Si avvicinò, pensando che due reduci dalla devastazione altro non potevano che comprendersi e forse rincollarsi a vicenda i pezzi di mondo andato distrutto.
 

“Stai pensando una marea di cazzate Adrien, lei è qui come mille altri ragazzi. Potrebbe non avere nulla da dimenticare, potrebbe non voler avere nulla a che fare con te.”
 

Eppure il suo istinto era più forte della sua coscienza. Si ritrovò così a pochi passi da lei, distante solo un paio di metri. Anche lei si accorse della sua presenza e con in mano il suo bicchiere di vodka gli fece un cenno.
Non era un saluto, non era un richiamo, era solo un cenno a cui lui poteva dare l’interpretazione che voleva. A cui lui decise di dare il significato di un via libera accennato.
« Chi sei? »
Era la sua voce, non morbida, non roca, non suadente o eccitante. Solo vuota, come gli occhi.
 

“Come il cuore”
 

Osò pensare mentre si accingeva a risponderle: « Adrien, sono Adrien. Tu? »
Lo disse sussurrando, come se quella situazione fosse irreale, come se loro non fossero due ragazzi in una semplice discoteca, come se lui non sapesse che la probabile conclusione a quella serata fosse il fare sesso dentro il bagno della discoteca, o nel migliore dei casi in una bettola trovata per strada.
« Ashley », fu un sussurro, un nome quasi mormorato nel bel mezzo del frastuono che li circondava. Quando lei alzò gli occhi Adrien vide quei turbini neri inghiottirlo per poi rigettarlo fuori senza realmente fargli vedere cosa celavano. Scorgeva malinconia di cose perdute e questo lo attrasse più del lecito. « Sei sola? »
« Che importa? », gli rispose lei superandolo e afferrandolo per un polso. Non stava mettendo forza in quel gesto, Adrien credeva che anche se avesse voluto lei non avrebbe avuto la forza necessaria per spingerlo a seguirla. « Voglio da bere », disse sempre con quel suo filo di voce, dirigendosi lentamente verso il bancone. Lui la seguì, aveva la stupida convinzione che lei andasse protetta, gli aveva dato l’impressione di essere un essere indifesa, che dovesse essere tenuta al riparo dal mondo circostante. I suoi occhi gli comunicavano questo.
« Una vodka »
« Due », rimarcò Adrien all’ordinazione di Ashley.
La vide bere quasi senza più gusto, quasi come se quel liquido fosse acqua, come se il suo corpo fosse abituato a quella presenza dentro al corpo.
Lui la segui a ruota, bevve la sua bevanda e strizzò gli occhi, l’alcol stava annebbiando la sua vista.
L’alcol stava facendo il suo effetto, rendendolo confuso e allo stesso tempo disinibito rispetto al suo solito. « Vieni a ballare », le disse senza neanche lasciarle il tempo di dire sì, l’afferrò per quel suo polso fine e stretto e la portò in pista, mettendole le mani ai fianchi mentre lei si lasciava andare davanti a lui.
Cominciarono a muoversi, in sincrono ma senza pensare realmente ai movimenti da fare. Erano come due calamite un po’ consumate, due magneti che si attraevano irrimediabilmente l’uno contro l’altro.
Lei muoveva i fianchi mentre lui con le mani scendeva dalla schiena a riafferrarglieli, non con brama ma con la voglia di vederla sua, di vederla lì tra le sue braccia, in un misto di protezione e riverenza, possesso e passione, curiosità e lussuria.
La immaginava stretta a se mentre il piacere si diffondeva tra loro, mentre i suoi occhi, neri più dell’onice, venivano animati da quel guizzo di vita che sicuramente li avrebbe resi mille volte più affascinanti.
La strinse a sé, più che poteva, come se lei fosse un’illusione destinata a scomparire. Sfiorò il suo collo con il naso, s’inebriò di un profumo dolce, estremamente dolce, quasi fruttato.
Alzò il suo sguardo per farlo incrociare con quelle pozze nere e perdersi in quel mare nero, perché era mille volte meglio della limpidezza e della chiarezza a cui era stato precedentemente legato, il nero era capace di tenerlo stretto a se e farlo sentire quasi protetto nel bel mezzo dell’angoscia che aveva riempito la sua vita e anche quella della ragazza di fronte a sé. Il nero sembrava riscaldarlo.
La strinse, come se dovesse scomparire, come se lei fosse la sua ancora di salvezza.
« Vieni con me », sussurrò a pochi centimetri dal suo viso, fu quasi una supplica detta senza voce, sperando che lei accettasse di seguirlo, di lasciarsi andare, di dimenticare e di rivivere anche solo per una notte, anche solo per qualche squallida ora.
Lei lo seguì, senza remore, senza ripensamenti o fraintendimenti.
Si diressero al bagno femminile, aprirono una delle porte e s’infilarono dentro con la fretta nelle ossa. La sbatté al muro senza farle male e si fiondò sulle sue labbra senza dolcezza o anche solo un minimo di tenerezza. No, in quel mangiarsi di labbra vi era solo urgenza, fretta, voglia di andar via seppur restando chiusi dentro quattro mura spoglie. Era la voglia di laccarsi le ferite a vicenda e contemporaneamente quella di lasciarle sanguinare per tornare, la mattina appena svegli, a farsi del male.
Era la necessità di scoprirsi per non lasciarsi cadere nel baratro di un grigio e dolorante futuro, si stavano dando il ruolo, l’uno per l’altro, di un appiglio sicuro a cui aggrapparsi per ritornare a vedere anche solo un briciolo di strada luminosa.
Continuavano così a baciarsi voracemente, ad inumidirsi le labbra e far scontrare le lingue per esplorarsi e legarsi insieme.
L’accarezzava e la teneva stretta, saggiando ogni anfratto di quel suo piccolo e gracile corpo coperto da quella stoffa fine. Sfiorava ogni punto, ogni angolo con una frenesia che solo la passione di un attimo passeggero e fugace può dare.
Cercò di fare scendere la lampo del vestito che si trovava sulla schiena, cominciò a baciare e leccare, vezzeggiando ogni piccola parte di collo e petto scoperto per saggiarne e assaporarne l’odore e il sapore, mentre lei gli sbottonava la camicia, tastando ogni muscolo che si trovava a sfiorare al suo passaggio.
Lui cercò di sfilare via quel vestito, diventato ormai troppo ingombrante per i loro movimenti, quando lei lo fermò di colpo alzando il volto con gli occhi lucidi di passione e velati da quel suo essere quasi ubriaca, a causa dell’alcol bevuto fino a quel momento.
« Andiamo via da qui », gli sussurrò lei fissandolo negli occhi scuri e caldi, « Non mi va di stare chiusa dentro un bagno lurido… »
« Okay, va bene! », rispose lui allontanandosi di un poco. Si sistemarono alla meno peggio e uscirono da quel bagno quasi di corsa, come se la calca di persone che li circondavano fosse un enorme fastidio, come se la loro fosse una corsa contro il tempo per poter rivivere insieme, come se il destino stesse loro anticipando i suoi progetti dal crudele risvolto.
Si afferrarono la mano senza neanche rendersene conto, attraversarono la folla a passo svelto e con il fiato corto, fino ad arrivare fuori a prendere una boccata d’aria fresca.
Stranamente Ashley guidava e Adrien la seguiva, vedeva nei suoi occhi un guizzo di vita che neanche un’ora prima era totalmente assente dentro le sue orbite.
D’un tratto la blocco facendo un po’ di forza, la tirò a se per un polso e le sollevò il mento con la mano sinistra: « Sei bella » le disse, così, senza pensare.
Poteva quello essere un colpo di fulmine, poteva essersi innamorato nel giro di meno di un’ora, o si trattava soltanto di un pretesto per andare avanti senza pensare?
Non lo sapeva, sapeva solo che il suo corpo minuto e i suoi occhi spenti lo attraevano oltremodo.
Dopo quella frase la vide sorridere, di un sorriso vero che faceva invidia per la sua bellezza.
« Prendiamo la mia macchina? » propose lui, un po’ imbarazzato, vista la calma che li aveva sopraffatti. « Sì… io sono a piedi » rispose lei, abbassando gli occhi.
Si diressero verso l’auto di Adrien e salirono su per dirigersi da qualche parte, in qualunque direzione, ovunque. L’importante era fare in modo che quella bolla di sapone in cui le loro anime si erano ricoverate durasse il più a lungo possibile.
Cominciarono a sfrecciare per le strade di Boston senza una meta ben precisa, giravano a vuoto, come a voler prolungare quel momento.
« Dove andiamo? » fu la domanda di lei, detta a bassa voce, con un tono di quasi accennata aspettativa. « Non so, mi sono trasferito da poco a Boston e… conosco poco la città, solo le zone in cui ho affittato il monolocale »
« Vada per il monolocale » rispose Ashley accennando un sorriso, come risposta a quello smagliante che Adrien le stava dedicando da, praticamente, tutto il viaggio in auto, un sorriso che non ebbe il tempo di completarsi perché trasformatosi in una smorfia di paura.
« Attento! » urlò Ashley mentre un’altra auto gli veniva addosso e Adrien non aveva il tempo di frenare la sua corsa.
Lo schianto fu spaventoso, Adrien non comprese subito cosa successe, vide solo l’auto nera venirgli incontro. Non riuscì a frenare, non riuscì a proteggere Ashley dalle possibili conseguenze che l’impatto poteva avere su di lei.
Immediatamente dopo lo scontro riuscì ad aprire lo sportello dell’auto piegato in maniera innaturale e ad uscire da quell’ammasso di lamiere che l’aveva lasciato illeso, se non fosse stato per i piccoli graffi superficiali che aveva in faccia.
Si allontanò di un passo per guardare la scena che si presentava davanti ai suoi occhi e quello che vide lo lasciò paralizzato: la parte del passeggero della sua auto era stata quasi totalmente devastata dall’impatto con l’altra auto, di cui i passeggeri erano quasi illesi, ciò poteva voler dire solo una cosa, che Ashley era dentro, e che lei aveva subito i danni più gravi di quell’assurdo e imprevisto incidente.
Rientrò in macchina non appena comprese ciò che i suoi pensieri stavano cercando di suggerirgli, doveva vedere come stava Ashley, voleva vedere nei suoi occhi quei vortici neri di incomprensioni e solitudine per poter annegare lì dentro e scoprire mondi nuovi. Voleva avere nuovamente la possibilità di vederla sorridere e di vedere nei suoi occhi quel velo d’eccitazione che la rendeva tanto bella.
Si sporse ad accarezzarle piano la testa che sanguinava dalla tempia destra: «Ashley, come stai? » le domandò sull’orlo di un pianto disperato, sperando con tutte le forze che una risposta arrivasse.
« Bene » fu la flebile risposta della ragazza che, nonostante la situazione disastrosa e disperata in cui si trovava, nonostante i richiami della morte che sembravano non volerla abbandonare un attimo, cercò di sorridergli debolmente per tranquillizzarlo.
« Cerco di tirarti fuori da qui, ok? ». Al cenno di assenso di lei, Adrian si sporse in avanti cercando di portarla fuori dall’abitacolo ormai distrutto. Sulle sue mani sentì scorrere qualcosa di caldo, un liquido che andava ad appiccicargli le mani e che arrivava alle sue narici con quel retrogusto ferroso. Era odore di sangue che si espandeva nell’aria; ed era il sangue di Ashley che stava uscendo fuori a fiotti sempre più grandi e che si riservava su di lui senza che potesse, in alcun modo, fare niente.
« Ashley, ti prego, non dormire » ripeteva, strenuamente, poggiando le labbra sulla fronte di lei.
« Fa freddo » sussurrava sempre con meno forze lei, con gli occhi ormai troppo pesanti per essere tenuti aperti.
« Su piccola, tieni duro. Sta arrivando l’ambulanza a andrà tutto bene, starai bene » ripeteva ormai più a se stesso che a lei. Lo faceva per auto-convincersi che quella ragazza dagli occhi d’onice e dalle labbra strette non stesse morendo lì, fra le sue braccia.
« Avete chiamato un’ambulanza? » urlo agli altri ragazzi coinvolti nell’incidente con le lacrime che ormai uscivano senza chiedergli permesso. Sentì degli assensi a cui non badò più di tanto.
Teneva stretto al petto quel corpo che rantolava, cercando di fermare quella fuoriuscita di sangue che, evidentemente ormai, era un’emorragia. « Resisti Ashley, resisti » ripeteva come un mantra mentre i singulti di lei si andavano sempre più affievolendo.
Lo guardò un’ultima volta con gli occhi appannati da quel velo che la morte stava facendo scendere su di lei prematuramente, prima che la testa cadesse senza vita dal lato opposto a lui.
Fu così che Adrien si ritrovò a piangere e ad urlare per quella morte imprevista e che incauta si stava abbattendo su di lui nel momento peggiore che la vita potesse riservargli.
Quando l’ambulanza arrivò lui teneva ancora stretto il corpo di Ashley, il sangue gli stava impregnando i vestiti e il suo corpo cominciava già a raffreddarsi.
« Qualunque cosa lei avesse fatto la ragazza non si sarebbe comunque salvata, era stata recisa l’arteria femorale nell’incidente… l’emorragia era troppo grave! »
Queste parole gli sembravano lontane mentre teneva ancora stretto il suo corpo, prima di cederlo a chi di dovere per portarlo in un posto più consono di quello che l’aveva vista morire.
« Come si chiamava? » gli chiesero, mentre lui si trovava ancora sotto shock, e in quel momento si rese conto di non sapere davvero nulla di quella ragazza che gli aveva lasciato un vuoto profondo dentro.
Non sapeva nulla di lei se non il suo nome.
Non aveva idea di dove abitasse, di che lavoro facesse, se fosse una studentessa.
Nulla. Di lei sapeva soltanto che aveva sofferto, perché i suoi occhi d’onice glielo avevano testimoniato tante volte quella sera.
Di lei sapeva solamente che le serviva una spinta per tornare a mettersi in carreggiata con la vita.
Di lei sapeva solo questo, niente di più e niente di meno.

FINE

Buongiorno, rieccomi nella sezione generale con una shot che non sapevo esattamente dove collocare.
Non ho molto da dire su questi due ragazzi, solo che rappresentavano due ragazzi feriti che potevano essere tutto e alla fine, a causa del destino, non sono riusciti ad essere nulla se non semplici conoscenti.
Oltre a questo la mia vena sadica andava colmata, ragion per cui dovevo creare una storia con qualche morto u.u
Nel caso in cui voleste contattarmi potete farlo al contatto facebook ‘Pois Nicole Spurce’, al gruppo facebook ‘Radio flit’, che gestisco assieme a Mary_Sophia_Spurce; su twitter ‘@NicoleSpurce e su tumblr con due blog: Reminiscenze e Racconti brevi.

Alla prossima, baci Cinzia ^^

   
 
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