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Autore: Maggie_Lullaby    17/09/2011    2 recensioni
Samantha Sparks è una ventisettenne affascinante da un passato malinconico e un presente che non guarda il futuro che da due anni lavora come Agente Sotto Copertura per l'FBI. Quando viene chiamata a collaborare con l'Unità d'Analisi Comportamentale non ha idea che quel caso cambierà drasticamente il suo futuro.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8.


«Fa attenzione, Sparks.», le raccomandò Rossi, porgendogli una piccola radiolina che la ragazza infilò subito nella borsa.

«Lo faccio sempre, signore.», replicò Samantha con un piccolo sorriso rassicurante.

«Noi saremo pronti ad intervenire qualora ci fossero problemi.», assicurò Hotch.

La ragazza annuì, mentre si scostava una ciocca di capelli dal viso.

Reid, dall'altra parte della stanza, lo osservava preoccupato, le braccia incrociate e una strana sensazione di occlusione allo stomaco. L'idea che si esponesse, disarmata, ad un possibile S.I lo metteva a disagio. Avvertiva nei suoi confronti un senso di protezione: lui doveva proteggerla.

E una vocina nella sua mente gli diceva che non doveva lasciarla andare da Jackson Utah.

Scosse il capo, conscio che qualunque cosa potesse dire lei non sarebbe mai rimasta in centrale, facendo fare il suo lavoro a qualcun altro. Non dopo ciò che gli aveva detto i giorni prima, in quegli attimi di intimità strappati alla routine dei serial killer.

Samantha voltò lo sguardo verso di lui e gli fece un piccolo sorriso, che poteva valere più di mille parole.

Reid annuì sconsolato. Non riusciva a capire come, in una settimana, quella ragazza riuscisse a fargli un simile effetto. Lui, il logico e razionale Dr Reid, per la terza volta da quando era nato era attratto da qualcuno.

Non si capacitava di come potesse essere accaduto, cosa esattamente di lei gli facesse quell'effetto: forse il fatto che era una ragazza complicata, misteriosa, tutta da scoprire, il fatto che avessero due storie simili – padre assente, anche se per ragioni differenti, e madri malate – o forse quel sorriso magnetico e contagioso. O quel suo carattere, prima freddo e deciso, poi improvvisamente quella dolcezza e affettuosità che si permetteva solamente negli attimi di intimità che il lavoro le permetteva.

La osservò uscire dalla stanza del commissariato in cui erano riuniti, i capelli sciolti sulla schiena, la forma del corpo perfetto.

«Tutto bene, Reid?», domandò Morgan, comparendogli alle spalle strappandolo ai suoi pensieri.

«Sì.», rispose il giovane, senza ascoltarlo veramente.

«Hai un'aria strana.».

«Voglio solo prendere quest'uomo e tornare a casa.», disse Reid.

Morgan inarcò un sopracciglio.

«Reid.».

«Sarà meglio prepararci per andare nel parcheggio sotto lo studio di Utah.», disse questo.

Morgan scosse il capo mentre lo guardava avvicinarsi ad Hotch e Mars; l'aveva osservato negli ultimi giorni e si era reso conto che era diverso del solito e più di tutto aveva notato la complicità con Samantha. Inizialmente aveva creduto fosse per la vicinanza d'età, d'altronde a separarli c'era solo un anno di differenza, ma aveva capito che c'era qualcosa di più quando aveva visto Reid spiegare a Samantha di chi stessero parlando durante la conversazione della sera prima e lo sguardo di lei, e soprattutto quando la notte precedente aveva visto Samantha uscire dalla camera di Reid trafelata ma con un sorriso che le partiva da un orecchio all'altro.

Sorrise, felice, assistere a Spencer Reid alle prese con i flirt e le avance nei confronti del gentil sesso era un evento assai raro, e uno spettacolo che non voleva perdersi. Sperava solo che non ci stesse male nel caso non andasse a finire bene.

«Morgan, stiamo andando.», lo chiamò Emily, il giubbotto antiproiettile già legato intorno al busto, porgendogliene un altro.

«Grazie. Arrivo subito.», disse con un piccolo sorriso.

Lanciò un'occhiata a Reid, che parlava con JJ, e si ritrovò a pensare che per lui quel ragazzino era davvero quasi un fratello.

**

«Signorina? È il suo turno.», disse una giovanissima segretaria bionda, con un sorriso cordiale, facendo segno a Samantha.

Samantha si alzò dalla sedia di plastica su cui era seduta e ricambiò il sorriso.

«Può per favore lasciarmi per favore un suo documento?», domandò ancora la segretaria. L'agente annuì, sempre senza calare il sorriso cordiale, e consegnandole il documento falso che le era stato consegnato quella mattina, poco prima di lasciare l'albergo.

La bionda segnò il nome falso di Samantha su un registro: Madeline Pay.

«Prima porta a destra, signorina Pay.».

«Grazie.», ricambiò la mora, seguendo le sue indicazioni.

Non appena le diede le spalle il sorriso le si sciolse dalle labbra, si sciolse i capelli vaporosi che sin ora aveva tenuti legati in una treccia. Poi si riprese tra le mani la targhetta militare che era appartenuta a suo padre e vi stampò sopra un bacio, accarezzando poi l'incisione. «Ti voglio bene, papà.», mormorò, prese un respiro profondo e bussò alla porta dello studio fotografico di Jackson Utah.

«Avanti.», disse una voce sottile dall'altra parte della porta.

Samantha entrò.

«Buongiorno, signore.», disse, mostrando un sorriso felice.

«Buongiorno», ricambiò. «Signora...?».

«Pay, Madeline Pay. E signorina, per favore.», disse subito la giovane donna.

Jackson Utah annuì. Era un uomo piuttosto robusto, anche se la voce poteva far presumere il contrario, doveva essere sui quarant'anni, i capelli erano corti e scuri, gli occhi due pozzi neri. Un uomo a suo modo affascinante.

«Bene, signorina Pay. Mi dica, che genere di servizio fotografico vorrebbe?», domandò, lanciandole un'occhiata circospetta. «Per quale occasione?».

«Sto cercando un lavoro come attrice o modella.», mentì spudoratamente quanto perfettamente la giovane. «Devo mostrare delle foto ai giudici e sceneggiatori, quindi... Non lo so, mi consigli lei.».

Utah meditò a lungo, sfogliando un catalogo.

«Escluderei un nudo», disse. «Magari qualche foto con lei vestita così com'è e qualcun'altra con un abito da sera...».

«Non ho abiti da sera.», disse Samantha, con tono dispiaciuto, abbassando lievemente il capo e mordendosi il labbro inferiore.

«Che taglia indossa?», domandò Utah.

«Trentotto», disse lei.

Jackson le fece cenno di aspettare e sparì dietro a una porta che doveva portare a un magazzino, Samantha lo osservò, pronta a difendersi in caso l'uomo si fosse presentato con qualcosa di pericoloso.

Pochi minuti dopo il sospetto S.I. tornò con un abito grigio accuratamente protetto da una carta trasparente tra le mani.

«Si può cambiare dopo», disse. «Ora, cominciamo con le foto di lei vestita ora come ora.»

Samantha annuì e si sedette su uno sgabello posto accuratamente in un set per la fotografia, sorridendo raggiante e mettendosi in varie pose, da alzata e seduta.

Utah ogni tanto le consigliava come spostare un braccio, una mano, lo sguardo, sembrava un fanatico dei dettagli, particolare che Samantha registrò subito.

«Da quanto tempo fa questo lavoro?», domandò interessata, iniziando a fare domande.

«Quasi sette anni», rispose meccanicamente Jackson.

«Deve essere un lavoro molto interessante!», riprese lei. «Mi ha sempre affascinato la fotografia, mi sarebbe piaciuto fare qualche corso per intraprendere una carriera in questo campo.».

«Se vuole, perché non lo fa?», domandò l'uomo, più per gentilezza che vero interessamento.

«Beh, sono una donna single con un figlio a carico e un lavoro a tempo pieno, non ho proprio il tempo», rispose lei, con finta disinvoltura, scostando lo sguardo ma guardando Jackson Utah con la coda dell'occhio. Lo vide esitare e irrigidirsi a quelle parole.

«Davvero?», domandò. «Quanti anni ha suo figlio?».

«Cinque.», disse Samantha, sorridendo all'obbiettivo mentre si metteva una mano dietro la testa e l'altra la mise su un fianco, in posa per la prossima foto.

Utah scattò un altro paio di istantanee e poi le fece cenno di prendere l'abito e di andare a cambiarsi nel camerino.

La ragazza annuì, afferrò l'abito e si allontanò con aria circospetta, senza lanciarsi occhiate alle spalle solo grazie al suo fermo autocontrollo. Aveva uno strano presentimento che non riusciva a spiegarsi, ma si disse che era solo paranoia.

Si infilò l'abito quasi in trans, mettendosi a posto i capelli e poi tornando da Utah, il quale stava camminando avanti e indietro per la stanza, borbottando tra sé e sé.

«Eccomi!», disse la ragazza.

Utah annuì e Samantha si risedette sullo sgabello, accavallando le gambe; notò che Jackson aveva modificato lo sfondo dietro di lei, da azzurrino ora mostrava una stradina tipica di New York.

«Mi dica, lei invece ha famiglia?», domandò.

L'uomo si irrigidì ancora di più.

«Sì.» disse seccamente.

«Figli?».

Jackson Utah iniziò a toccarsi un orecchio con nervosismo.

«No.».

«Quindi è sposato.», disse la mora, pressandolo, conscia che se avesse continuato a metterlo sotto pressione sarebbe scoppiato.

Il fotografo annuì, sembrava non volesse parlare.

«Avete intenzione di avere figli?», continuò.

«No.».

«No? Sua moglie non vuole dei figli? Non lo sa che i figli sono la gioia della vita? Credo che ogni donna vorrebbe dei figli e impazzirebbe nel caso non li avesse. Avere dei figli è un privilegio a cui non si può rinunciare. Strano che sua moglie non ne voglia. Lo sapeva che...», disse, parlando a manetta, mentre una mano di Utah iniziava a tremare.

«Basta!», urlò l'uomo, sbattendo un piede a terra. Samantha montò un'espressione innocente sul volto.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?», chiese dolcemente.

«Se ne vada di qui.», disse Utah, serrando i pugni. «Subito!».

«Va bene, okay», fece la mora, alzando le mani in segno di resa. «Mi rivesto e vado via. Mi dia qualche minuto, mi scusi.».

L'uomo la guardò sfilargli accanto e chiudersi nel camerino.

Velocemente la ragazza si infilò la maglietta, i jeans e le scarpe, mandando un avvertimento a Hotch di iniziare a intervenire con cautela. Sapeva che la squadra si tornava nel parcheggio in cui era stata trovata Barbra insieme ad alcuni poliziotti di Tucson.

Uscì dal camerino ma non fece nemmeno un passo che sentì improvvisamente un dolore lanciante dietro la testa e cadde a terra, portando le mani in avanti per impedire di farsi male al viso. Si voltò indietro, la vista era sfocata, ma riuscì comunque a scorgere la figura di Jackson Utah con in mano un piede di porco.

«L'ho capito subito che eri della polizia.», disse seccamente, guardandola dall'altro verso il basso ed osservandola mentre si portava una mano alla testa e gemeva. «Solo voi poliziotti avete una simile puzza sotto il naso».

Samantha lo guardò negli occhi: non aveva paura.

«Non ho paura di te, lo sai questo, sì?», chiese con tono sprezzante, trattenendosi appena dallo sputargli in faccia.

Jackson Utah si chinò leggermente verso di lei mentre si portava una mano alla vita e iniziava a slacciare la cintura.

«Vedremo sino a che punto.», mormorò, brandendo l'oggetto e un sorriso malizioso che gli incrinava le labbra.

**

Hotch estrasse la propria pistola dalla fondina e fece cenno ai membri della sua squadra di seguirlo insieme allo sceriffo Mars e ai suoi agenti lungo il corridoio che portava allo studio di Utah. Il piano iniziale era quello di aspettare un esplicito segno di Samantha ad intervenire, ma da quando aveva detto loro di intervenire con cautela non l'avevano più sentita e non aveva risposto per due volte al telefono.

Reid era davanti insieme a Morgan e camminavano velocemente, con passi corti ma svelti.

«Oh mio Dio!», esclamò una giovane ragazza bionda, vedendoli e sbiancando velocemente. «Cosa succede?».

«Via, via di qui!», le ordinò JJ, avvicinandosi a lei e facendole segno di andarsene. La segretaria si allontanò, lanciandosi delle occhiate alle spalle con aria spaventata, e fu prontamente fermata ad un certo punto da un altro poliziotto per interrogarla a proposito del suo capo.

«Jackson Utah, FBI!», urlò Morgan, provando ad aprire la porta ma trovandola chiusa a chiave.

Si scambiò un'occhiata con Rossi alle sue spalle e dopo qualche istante alzò una gamba, dando un possente calcio alla porta, la quale si aprì con un rumore secco. Derek entrò nello studio, subito seguito da Reid e il resto della squadra.

«Qui!», disse loro la voce di Samantha e subito la seguirono, allarmati e insieme sollevati dal sentirla parlare.

Davanti a loro, quando la raggiunsero, si parò una scena tutta nuova: Samantha era in piedi, una mano che si reggeva la testa, una lieve smorfia sul viso misto a un sorriso vittorioso e a terra c'era Jackson Utah, le mani legate con la sua stessa cintura, gli occhi chiusi e l'ombra violacea di un livido che iniziava a disegnarsi sulla tempia destra.

«Eccovi.», disse la ragazza. «Portate questo bastardo lontano dalla mia vista, ve ne prego.».

Non appena finì di parlare tre agenti della polizia di Tucson lo presero per le spalle, trascinandolo fuori mentre un quarto si premurava di chiamare un'ambulanza.

«Stai bene?», le domandò gentilmente JJ, vedendo la smorfia che le percorreva il viso.

«Mi ha colpito alla testa», disse lei. «Ma sto bene, davvero, mi serve soltanto un po' di ghiaccio.».

«Sicura?», domandò Hotch, penetrandola.

«Assolutamente.», annuì la ragazza, sorridendo appena e mostrandosi completamente serena.

«Andiamo via di qui.», disse poi Reid, avvicinandosi a lei e Samantha annuì sollevata.

Per un'altra volta era finita.

**

Quella sera il jet era silenzioso. La stanchezza che aveva accompagnato i membri del BAU per quella settimana e mezzo si stava facendo sentire e ognuno di loro approfittava del viaggio di ritorno per riposare, ascoltare la musica o dormire.

Samantha era seduta vicino a un finestrino, da sola, in silenzio, le cuffie dell'iPod infilate nelle orecchie e la melodia di When I get home che risuonava nella sua testa.

Pensava a Jackson Utah. Sapeva già che gli avrebbero dato l'ergastolo senza possibilità di uscire sulla parola, ma non era tanto quello ad interessarla, più che il pensiero di tutte le donne che aveva ucciso, le vite rubate non solo a loro, ma anche i figli, la maggior parte dei quali non avevano un padre su cui contare e che sarebbero finiti in affidamento. Pensava agli amici delle vittime, con i quali magari avevano pensato di organizzare una vacanza che non sarebbe mai avvenuta.

Sospirò e fece una smorfia quando appoggio la nuca al sedile dell'aereo: nonostante avesse insistito di stare bene, Rossi l'aveva atta visitare da un medico, il quale aveva accertato che non si trattava altro che di una brutta botta.

Pochi istanti dopo vide una mano affusolata che le porgeva un panno rigonfio.

Reid le sorrise incoraggiante.

«Ti ho portato del ghiaccio.», spiegò, arrossendo appena.

Samantha lo afferrò e lo ringrazio con un sorriso, mettendosi poi il ghiaccio sulla nuca e fece subito un sospiro di sollievo.

«Meglio?».

«Decisamente. Grazie, Reid.», sorrise Samantha, facendolo arrossire ancora di più.

La ragazza spostò di nuovo lo sguardo fuori dal finestrino. Le parole che gli aveva detto Utah continuavano a rimbombarle in testa «L'ho capito subito che eri della polizia», ed ogni volta era una continua sconfitta.

«Che cos'hai?», domandò il giovane genio, scrutandola con aria preoccupata.

Samantha scrollò le spalle.

«Utah sapeva che ero della polizia non appena sono entrata in quello studio.», borbottò. «Non sono riuscita ad ingannarlo.».

Reid le fece un piccolo sorriso di comprensione, capendo immediatamente ciò che la ragazza stava cercando di dirgli.

«Capita a tutti.».

«Ma a me no, faccio questo lavoro da anni e sono sempre riuscita ad ingannare qualsiasi S.I. o sospettato quale fosse, se mi scoprivano avveniva solo dopo tanto tempo che ero con loro, Jackson Utah ha capito che ero un federale non appena sono entrata lì dentro.».

«Samantha», fece Spencer, sporgendosi in avanti e guardandola fissa negli occhi. «lui ora è in prigione e ci rimarrà per il resto della vita, tu invece sei qui fuori. È questo l'importante.».

La ragazza annuì, abbassando lievemente il capo.

«Grazie Spencer.».

«Di cosa?».

«Di essere te».

«Oh, grazie, non so essere nessun altro*».

Samantha ridacchiò. «Già, è proprio questo che mi piace di te*.».

A quell'affermazione Reid si fece color porpora e abbassò il capo, passandosi una mano tra i capelli.

Rimasero in silenzio a lungo, scambiandosi delle occhiate ogni volta che pensavano che l'altro non lo vedesse.

«Ehm...», iniziò Reid, rendendosi conto di avere la voce improvvisamente roca. Se la schiarì. «Samantha, io... volevo chiederti una... una cosa.».

La mora si voltò a guardarlo.

«Dimmi.», gli sorrise incoraggiante.

«Ecco, io mi chiedevo se... sì, se uno di questi giorni... Sai, ti andrebbe di andare a prendere un caffè insieme.».

Il sorriso che si era dipinto sul volto di Samantha si sciolse man mano che il ragazzo parlava, fino a scomparire del tutto.

Già da quel gesto, Reid avrebbe voluto non aver aperto bocca.

«Reid... Io... Non posso, mi dispiace.», balbettò, seriamente dispiaciuta.

«Oh, capisco. Non... non importa, davvero.».

«No, ti prego, lasciami spiegare. Tu sei una persona meravigliosa, e mi piacerebbe poter uscire con te per quel caffè, ma... Non possiamo permetterci che quell'uscita diventino tre, quattro, dodici sino a diventare quasi quotidiane, mi capisci? Noi...», abbassò il tono sino a sussurrare in modo tale che non la sentissero. «siamo colleghi, capisci? Il protocollo dell'FBI dice che...».

«Lo so», la interruppe il ragazzo, «lo so. Non importa, era solo un caffè». Nonostante la finta indifferenza, Samantha percepì il dispiacere nella voce di Spencer.

Tornò a guardare fuori dal finestrino. Se Reid non fosse stato un suo collega, avrebbe accettato quell'invito senza quasi pensarci, ma non se lo poteva permettere. Sapeva che quel caffè si sarebbe trasformato ben presto in una prima colazione, e poi in un pranzo, e poi in una cena e dopo ancora tutte e tre le cose. Sarebbero arrivati i week-end da passare insieme, le uscite, l'invito al cinema, gli spettacoli a teatro, i concerti. E sarebbero probabilmente divenuti una coppia. Se lo sentiva, non sapeva come, ma si sentiva che se avesse accettato quell'invito lei e Reid avrebbero avuto una relazione; era strano pensare una cosa simile dopo solo una settimana e mezzo passati insieme, praticamente impossibile, ma era come se tra loro fosse scoccato quel qualcosa che se non si troncava sul nascere sarebbe divenuto qualcosa di importante. Di estremamente importante. Ed ecco cosa doveva fare, troncare sul nascere. C'era un motivo per cui l'FBI vietava le relazioni tra colleghi, per quanto potessero lavorare sporadicamente insieme: non ci si poteva permettere distrazioni sul campo, non potevano mettere a rischio la propria persona e quella dei proprio colleghi nel tentativo di salvare o aiutare il proprio compagno o compagna. E lei osservava il protocollo, da sempre, perché lei era fatta così: previdente, devota alla legge e alle più piccole regole, per quanto le potessero far dispiacere.

Chiuse gli occhi, lasciandosi cogliere dalle braccia di Morfeo mentre si cercava di convincere che era la decisione giusta.

**

Reid salutò il resto della sua squadra con la mano, augurando a tutti la buonanotte e dicendo che si sarebbero visti tutti da lì a due giorni poiché il giorno dopo era stato concesso a tutti un giorno di riposo dalla Strauss tra il sollievo generale. Samantha era andata via, tornata nel suo ufficio non appena il jet aveva toccato terra.

Sospirò amareggiato mentre entrava in ascensore e premeva il bottone che l'avrebbe portato sino al parcheggio sotterraneo; quando l'aveva invitata ad uscire per quel caffè non sperava molto in una risposta positiva, anzi ad essere sincero non l'aveva nemmeno premeditato, erano state le sue labbra a muoversi quasi senza il suo consenso. Non era sorpreso del fatto che gli avesse detto di no, d'altronde lei era bellissima, probabilmente poteva avere qualsiasi uomo desiderasse, e lui era... Beh, era solo lui.

Si incamminò lungo il parcheggio vuoto verso la propria macchina, tenendo il capo chino verso la propria borsa a tracolla mentre cercava le chiavi dell'auto.

Quando le trovò alzò di nuovo il capo, conscio di essere arrivato davanti alla macchina e la sua bocca disegnò una 'O' dalla sorpresa.

Seduta sul cofano dell'auto, a gambe incrociate, i capelli sciolti e un sorriso sereno sul volto, c'era Samantha.

«Mi chiedevo se l'invito per quel caffè fosse ancora valido.», disse, senza accennare di smettere di sorridere.

Spencer Reid la guardò stupito, poi le sue labbra si curvarono all'insù. E sorrise.


The End.


Finita! Ho postato gli ultimi due capitoli insieme altrimenti mi sarei dimenticata di postare, di nuovo.

Tecnicamente ci sarebbe un seguito, di cui ho già scritto un paio di capitoli. Ma non sono sicura se postarlo o meno. Vedremo.

Grazie mille a tutti voi per le recensioni, i preferiti, i seguiti e le ricordate. Vi adoro. GRAZIE. <3

  
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