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Autore: cartacciabianca    18/09/2011    3 recensioni
Anno Domini 1496. Bartolomeo d’Alviano combatte per la causa degli Orsini contro le truppe papali di Giovanni Borgia, che sparpaglia uomini e cannoni attorno alle due città gemelle, Trevignano e Bracciano, minacciando la quiete del lago. Gentile Virginio Orsini e Bartolomeo, legati dal matrimonio di quest’ultimo con la sorella del primo, sono da poco stati imprigionati a Castel dell’Ovo (Napoli) l’uno come ostaggio e l’altro per una scomunica del Papa. Bartolomeo, forse con l’appoggio del Sovrano del Golfo Ferdinando d’Aragona, fugge dalla rocca , raduna i suoi mercenari e dichiara battaglia a Juan Borgia, Duca de Gandia, primo cavallo della scacchiera di Alessandro VI. Tira aria di guerra, tra Bartolomeo e la moglie si accende un’ultima discussione, prima che “Mea” Orsini diventi la nuova Casus Belli.
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Questa fan-fiction partecipava al contest “Nulla è Reale, Tutto è Lecito”, indetto da DarkRose86, ma annullato dalla stessa per cause di forza maggiore. Tra gli iscritti, combattuti tra la possibilità di contattare una nuova giuria e quella di pubblicare le loro storie, io sottoscritta cartacciabianca ho optato per la seconda; perciò, a quasi 9 mesi di distanza dalla data d’istituzione del contest, pubblico la mia Casus Belli, con protagonista uno dei personaggi più caratteristici della saga.

Autore: cartacciabianca
Fandom scelto: Assassin’s Creed II
Titolo della storia: Casus Belli
Oggetto scelto: “Il nemico del tuo nemico è tuo amico.”
Personaggi/pairing: Bartolomeo d’Alviano, La Volpe, Nuovo Personaggio
Genere: Storico, Introspettivo
Rating: Giallo
Avvertimenti: Spoiler!, What If…
Beta-Reading: sì.
Note dell’autore: inizialmente mi ero segnata al Contest con la frase n°17 (Un uomo saggio disse una volta: “Quando arrivi all’ultima pagina, chiudi il libro.”)
Il vento della mia ispirazione ha cambiato rotta e ho deciso di scrivere sulla frase n° 6 (Il nemico del tuo nemico è tuo amico.)
Un innocuo tributo a Bartolomeo d’Alviano e alle sue gesta miracolose nelle campagne romane, quando nell’inverno del ’96 – fuori dal gioco – imbraccia la fedele Bianca per difendere i possedimenti degli Orsini attorno al lago di Bracciano. In questa turbolenta fine del XV secolo si muovono il mio Bartolomeo, fedele all’Ordine degli Assassini quanto alla storia, sua moglie Bartolomea Orsini – personaggio storico, realmente sposata con l’Alviano fino alla sua morte – e Gilberto la Volpe. Un ringraziamento speciale al mio beta-reader per la pazienza nel sopportare questo genere di “pippe storiche”.
Breve introduzione alla storia: Anno Domini 1496. Bartolomeo d’Alviano combatte per la causa degli Orsini contro le truppe papali di Giovanni Borgia, che sparpaglia uomini e cannoni attorno alle due città gemelle, Trevignano e Bracciano, minacciando la quiete del lago. Gentile Virginio Orsini e Bartolomeo, legati dal matrimonio di quest’ultimo con la sorella del primo, sono da poco stati imprigionati a Castel dell’Ovo (Napoli) l’uno come ostaggio e l’altro per una scomunica del Papa. Bartolomeo, forse con l’appoggio del Sovrano del Golfo Ferdinando d’Aragona, fugge dalla rocca , raduna i suoi mercenari e dichiara battaglia a Juan Borgia, Duca de Gandia, primo cavallo della scacchiera di Alessandro VI. Tira aria di guerra, tra Bartolomeo e la moglie si accende un’ultima discussione, prima che “Mea” Orsini diventi la nuova Casus Belli.


   Casus Belli
(Lat. Causa della Guerra)

Rocca di Bracciano,
10 novembre 1496

Suo marito entrò gridando. Come sempre.
“…si era fatto dare quattrocento cavalli, per la Madonna! Aveva duecento fanti e otto cannoni, porco Demonio! Degli storpi avrebbero combattuto meglio! A quelli come lui Dio la manda buona solo perché sanno tenere una forchetta!”
Bartolomeo d’Alviano, seguito da un timido servo, andò a spalancare la finestra e se ne fregò altamente del freddo invernale che fece capolino nella stanza. Si affacciò dal balcone, tacque un breve istante e poi riprese da dove aveva interrotto: “Si avvicina il giorno in cui vedrò pendere la sua carcassa da una torre. Se non lo impiccano all’Ovo, me lo rispediscono castrato con un fiocco per budella…”
“È vostro cognato che elogiate con tal prestanza, mio signore?” domandò la padrona di casa affiancata da un’ancella.
Bartolomeo voltò un’occhiata alle proprie spalle inarcando un sopracciglio. Quando vide le due donne sedute al tavolino da scacchi, scoprì di essersi tradito proprio di fronte alla moglie, sorella a sua volta dell’uomo contro il quale si era preso la libertà d’imprecare.
“Non ti avevo vista, Mea”, farfugliò dopo essersi morso la lingua. Staccandosi dal balcone andò verso le due dame con passi lenti. “Stavo riflettendo a voce alta, perdonami.”
“Che gran giorno, questo”, ridacchiò la signora Orsini. “Ricevo le lettere di Gentile e scopro che mio marito pensa.”  
Bartolomeo avvampò.
“Credi che io non rimpianga di essermi condannato ad una famiglia d’incapaci?” sillabò nervoso. “Rammenterai, spero, la fuga incresciosa di Paolo che ci costò ben due squadre d’armi alle porte di Napoli. Quella notte i Gonzaga li avevano presi entrambi per il collo come polli, a lui e al Vitelli! Se tra le fila non c’avessi visto i miei vecchi uomini, giuro che…”
“Era un lontano settembre, Bartolomeo, e non è da te arrampicarti sul passato.”
“No, infatti”, tagliò l’uomo bruscamente. “Ma quante volte sarei potuto entrare e uscire dal porto con quei quattrocento cavalieri che Gentile ha cestinato in due ore?! Non mi stancherò mai di ripetertelo, moglie: tuo fratello è un idiota!”
Lei non si scompose. La sua stirpe, si disse, non lo faceva mai. Piuttosto approfittò del silenzio venuto a crearsi per valutare l’idea di confessare o meno al marito le notizie ricevuto quella mattina. Bartolomeo, nel frattempo, diede le spalle alla sposa e tornò in balconata. Mentre il volto perdeva un po’ del troppo colore, con un lento sguardo catturò il paesaggio circostante e il castello innevato. Osservò le guardie, attente a non scivolare sul ghiaccio, passeggiare tra i merli per andare a scaldarsi per un focolare all’altro.
“Da quando sei tornato non mi hai parlato di molte cose”, esordì la dama. “Anzi, non mi hai parlato affatto”, si corresse fissando un ritratto della parete. “C’è sempre bisogno di qualcuno da insultare per conversare con te, Bartolomeo?” formulò distrattamente, catturata dal volto pallido del fanciullo raffigurato nel quadro.
L’uomo sul balcone non mosse nessun muscolo.
“Potresti dirmi chi ti ha fatto uscire di galera, per cominciare.”
Dopo essere miracolosamente evaso dalle prigioni di Castel dell’Ovo, l’Alviano era entrato in città qualche giorno prima, scortato da un contingente di mercenari e vagabondi. Aveva racimolato quegli sfollati con l’intenzione di difendere i possedimenti cari agli Orsini e salvaguardare così l’alleanza tra gli Assassini e la famiglia romana.
Bartolomeo arricciò le labbra sotto ai baffi e borbottò qualcosa d’incomprensibile, ma la donna poté intuire comunque la risposta di suo marito. “Non il Ferdinando, almeno non lui solo” pronunciò la signora di Bracciano, alzandosi. L’ancella, imitandola, le sistemò lo strascico della gonna e stirò le pieghe del pesante vestito di calda stoffa blu. “Mio fratello non si è dimostrato l’abile spadaccino che avresti voluto accanto, ma ha il nobile cuore degli Orsini e sarà sempre al fianco dei suoi alleati.” S’interruppe aspettando una qualsiasi reazione del marito. Cogliendo l’immobilità di Bartolomeo, però, fu costretta ad avanzare e continuare per sé: “Come ti ho detto, stamani ho ricevuto le carte che i suoi carcerieri non lasciavano partire”, disse congedando l’ancella con un gesto.
L’Alviano si voltò e rientrò nella stanza. “Piscia altrove, te” soffiò a quel servetto incapace che sua moglie gli aveva messo alle calcagna, camuffando il medesimo sorvegliante.
Il fragile omuncolo cercò lo sguardo della padrona, che acconsentì il suo congedo. Dopodiché marito e moglie rimasero soli.
“Che racconta quel cane?”
“Ha confessato.”
“Cosa? La sua deficienza precoce nell’impugnare una spada?” ridacchiò l’Alviano.
“Ha confessato di aver ceduto la propria in cambio della tua liberazione.”
Il sorriso isterico di Bartolomeo sfumò, mentre lui prendeva faticosamente atto di parole tanto assurde. Dopo ch’ebbe boccheggiato senza suono due, tre volte, l’uomo girò i tacchi e tornò ad appoggiarsi al balcone con entrambe le mani. Si sentì all’improvviso il pezzo di merda più grande tra tutti quelli che aveva insultato nella sua vita, ma non volle lo stesso dare alla moglie la soddisfazione di avergli rivoltato lo stomaco.
“Avrà patteggiato con i suoi ospiti per spedire quelle missive e riconquistarsi la mia fiducia”, spiegò con finta certezza. “Virginio ha mandato al macello metà del nostro esercito senza averne mai davvero fatto parte. Uomo di guerra che non fa la guerra, nascosto dietro gli scudi dei suoi soldati bravo solo sulla scacchiera…” rimuginò ricordando quel pessimo guerriero che aveva perso le staffe. “Bhé, fossero pure le sue ultime volontà, ma non mi presenterò al funerale di un Condottiero tale solo per nome!”
Detto ciò, e senza depositare ulteriori parole, suo marito tornò in battaglia. Come sempre.



Bracciano,
20 dicembre 1496

Il trafelato messaggero entrò in città dopo una staffetta di dieci chilometri. Smontò dalla sella e corse fino alla porta della rocca, dove le guardie, quando lo riconobbero, gli aprirono una porticina ritagliata nel portone maggiore. Attraversò l’ampio cortile sotto un cielo stellato e, attento a non scivolare sul ghiaccio delle gradinate, giunse sulla soglia degli appartamenti. Bussò e gli venne strappata dalle mani la missiva urgente che doveva essere recapitata al Protettore di Bracciano. Si era appena accomodato su una poltroncina imbottita, quando fu aggredito da un uomo che lo sollevò per la collottola.
“Cosa significa?!” sbraitò Bartolomeo strattonando il misso. Nelle mani di Mea, comparsa dietro al marito, giaceva il telegramma che gli occhi sorpresi della donna rileggevano per la quarta volta.
“Trevignano è caduta. Ora il Duca de Gandia sta disponendo i suoi lungo la costa e reclama Bracciano per conto della Chiesa”, balbettò il messaggero coperto dal sudore della cavalcata. Non gli era neanche stata offerta dell’acqua.
Bartolomeo sbatté l’omuncolo di nuovo seduto sulla poltroncina. Dispose le guardie affinché Bracciano non fosse colta di sorpresa e lasciò a sua moglie le redini della rocca in caso di rivalsa. Poi volò fuori dalla cittadella diretto alla caserma. Montato a cavallo, chiamò con sé una trentina di uomini e si avviò al galoppo verso la gemella.
Bianca non sarebbe mai stata sazia del sangue spagnolo.

* * *

Alla vigilia del Santo Natale, il vittorioso Bartolomeo che si era ripreso Trevignano e aveva fatto scappare a gambe levate le armate pontificie da Cerveteri, rientrò a Bracciano con tutti i suoi trenta gloriosi mercenari. La cittadella lo accolse con qualche ammacco nelle mura e una dozzina di cadaveri da seppellire, perché - glielo disse la proprietaria di una locanda – quattro cannoni di un contingente papale, nascondendosi sul confine, avevano aggirato le balaustre e attaccato la rocca, in sua assenza, due notti prima.
Bartolomeo si separò dagli uomini che facevano baldoria nella locanda e corse fino alle torri del castello.
L’ancella di sua moglie lo fermò nel salone delle armi e gli comunicò il lutto.
Bartolomea Orsini, scherzosamente detta Mea per distinguerla dal marito, era morta nello scontro a fuoco tra i cannoni Borgia e i cannoni Orsini. La sua donna si era spenta sul Belvedere della Sentinella mentre organizzava le truppe e dirigeva le azioni di difesa come un uomo.
Quella sera Bartolomeo si chiuse nello studiolo privato di Gentile senza cenare e non ne uscì fino all’indomani. Al mattino fece spalancare le porte di Bracciano e appese al collo di un asino un cartello con su scritto: “lasciatemi passare perché sono un ambasciatore e reco un messaggio per il Duca de Gandia”. In allegato, vi pose una lettera gravida d’insulti che aveva stilato durante la notte.




 Napoli,
30 gennaio 1497

Il prete concluse la litania nell’aria ghiacciata del primo mattino. Benedisse il corpo di Gentile Orsini e si ritirò dalla cappella prima di tutti. Quando tornò fece un breve riepilogo della messa appena conclusa, mentre la maggior parte degli invitati lasciava la Chiesa prima che capitolasse un nuovo acquazzone.
Bartolomeo, seduto nella panca della seconda fila destra, immaginò di stringere la mano di sua moglie nella propria. Guardava la salma di suo cognato e viveva il desiderio di cancellare le ultime frasi scambiate con Mea, il disprezzo sputato sulla sua famiglia di nobili cuori e l’odio incontrastato per un alleato fedele come un cane al suo pastore.
“Vitellozzo e Carlo hanno umiliato le truppe papali nel Cimino. Nonostante le perdite, siamo sempre un passo avanti ai Borgia. Ed è tutto merito tuo, Bartolomeo.”
Con queste parole la Volpe lodava le imprese dell’Alviano nella campagna romana. Ma Bartolomeo era ugualmente scettico che una delicata alleanza con gli Orsini, resa ancor più fragile dalla morte di Mea, sarebbe bastata per sopraffare i secolari avversari degli Assassini. Mai come allora si era sentito più sfiduciato nelle proprie e nelle capacità altrui, senza contare la mancanza dei mezzi e dei finanziamenti per portare avanti le colonie romane. L’Ordine stava passano un brutto periodo.
“Se Mea fosse vissuta abbastanza per vedere tutto questo… credo che ci avrebbe rivoltato contro tutta la sua famiglia. Non mi avrebbe mai perdonato e non se ne sarebbe mai pentita.”
“Permettimi di trascinare in causa una delle frasi più antiche del nostro Mondo”, cominciò Gilberto sollevandosi il cappuccio sul volto. “Il nemico del tuo nemico…” s’interruppe apposta.
“…è tuo amico” concluse l’Alviano con un sospiro. Si alzò e seguì la Volpe fuori dalla Chiesa, ove, per assistere al funerale di Gentile Virginio, si erano confusi ai numerosi membri della famiglia Orsini dei totali sconosciuti. Suo cognato era morto nelle carceri, avvelenato, e tra gli ospiti della cerimonia Bartolomeo riconobbe, camuffati da paesani, i suoi assassini: tre spagnoli.
Gilberto si accorse dello sguardo imbestialito dell’amico giusto in tempo. Lo prese per la cappa e lo trascinò dietro la chiesa. Si fermarono a parlare nel quadriportico, mentre la salma partiva su un carro e i cari la seguivano in carrozza.
“Nessuno rivolterà niente contro nessuno, Bartolomeo”, disse Gilberto stringendo una spalla al fratello Assassino. “Gli Orsini che conosciamo noi combattono questa guerra contro i Borgia da molto più tempo e sanno bene che non possono vincerla da soli, perciò ci penseranno due volte prima di ripudiare alleati. In quanto alla tua Bartolomea… mi dispiace che sia andata così, ma il suo sacrificio, come quello di ognuno di noi, sarà valsa la libertà.”
Prima di separarsi, si chiesero l’un l’altro che ne sarebbe stato di loro.
La Volpe disse di avere le zampe nelle peggio paste di Firenze. Era arrivato in città un certo monaco domenicano, detto Savonarola, che la gilda dei Ladri stava tenendo d’occhio già da un po’. Si sarebbe occupato della faccenda personalmente, ma avrebbe coltivato la speranza che Ezio tornasse a fargli visita.
Bartolomeo avrebbe presenziato a Roma al fianco di Giorgio di Santacroce per saldare delle convenevoli, ma momentanee, trattative di pace con il Papa. Poi il vento sarebbe cambiato, ne era certo, e l’avrebbe spinto a Firenze per rimettere Piero de’Medici sul trono della città. Lui e la Volpe si sarebbero rivisti in quell’occasione.

THE END
   
 
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