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Autore: Kate_88    18/09/2011    8 recensioni
Tutti avevano giocato con le vite delle guerriere e di Mamoru; tutti avevano osato e fallito perchč loro anche dopo l'ultima battaglia erano vivi. Non c'erano pił nemici d'affrontare, solo la grande attesa prima della glaciazione, verso quel futuro che gią conoscevano, eppure nel momento in cui Chibiusa aveva varcato la soglia del tempo pił volte, nel momento in cui ognuna di loro aveva rinunciato a vivere in favore di un destino gią scritto, questo era cambiato.
Davanti a loro si presentava adesso la prova pił grande: affrontare una vita normale. Ci sarebbero riuscite?
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Usagi/Bunny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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Capitolo 3 – Tempo e Spazio

 

 

Il sogno e l'illusione nulla possono contro la forza dello spazio, del tempo e dello stesso Destino.

La ragione ed il cuore invece possono piegare queste forze, mutando ciò che è scritto, sfidando le forze sacre.

 

 

 

Usagi a scuola si annoiava e si annoiava da diversi mesi ormai, da quando la vita l'aveva abbracciata concedendole una possibilità: essere una liceale come tutte le altre.

Non le era mai piaciuta la scuola ed aveva sempre attribuito i suoi insuccessi scolastici non solo alla poca voglia, ma anche alle battaglie, ricordando ai professori, senza svelare il suo segreto, che essere una liceale era piuttosto difficile ed ogni giorno si affrontavano battaglie estreme.

I professori puntualmente le ricordavano che la sua guerra scolastica l'avrebbe persa se non avesse studiato; avrebbe rimediato una bella bocciatura, difficile da cancellare sul curriculum di una futura Regina.

Il suo quaderno d'appunti tuttavia non conteneva nulla che rimandasse all'inglese, alla matematica o al giapponese: Usagi disegnava una faccia stilizzata di Mamoru circondato dai cuoricini, alternando la presenza di qualche nemico che piangeva nel vederli felici.

« La frase ipotetica, in inglese, ha diverse forme. Vediamo, chi mi sa tradurre: Se Tsukino la smettesse di disegnare cuoricini, migliorerebbe i suoi voti in inglese evitando la bocciatura!? »

Il professore Matsura era un uomo di mezza età con i capelli brizzolati e la barba incolta; un bell'uomo a detta di molte, in forma per la sua età e con una forte personalità oltre alla sua spiccata voglia di punzecchiare gli allievi distratti a lezione.

Si era fermato al lato del banco di Usagi che continuava a disegnare, persa nel suo mondo non tanto lontano da quello degli altri, sotto gli sguardi divertiti di tutti i suoi compagni.

« Tsukino, problemi d'amore? Nessuno te lo ruba e sono sicuro che il signorino stilizzato sarebbe più contento nel vederti promossa e non bocciata! » alzò di poco la voce e finalmente la ragazza tornò alla normalità, alzando lo sguardo sul professore e coprendo con le braccia il foglio, vergognandosi fino alla morte.

Passò il resto della lezione con le braccia incrociate e la testa poggiata sul banco, con gli occhi puntati al professore fingendo interesse, pensando invece a Mamoru ed a quello che stava facendo.

Il tempo passava a ritmi lenti, sembrava che le lancette si fossero fermate all'ultimo anno di scuola e per Usagi le ore a scuola sembrava scorrere ancora più lente, a differenza di Ami che ringraziava per i momenti di pace, riuscendo a recuperare un po' quello che aveva lasciato in sospeso.

Tutti si meravigliavano di Ami, Usagi, Makoto e Minako perché ad osservarle sembravano provenire da un altro pianeta.

Il diploma si avvicinava e con esso anche il futuro che tanto conoscevano, quel futuro di cui nessuno si poteva meravigliare.

Suonò la campanella ed Usagi, come un fiume in piena, corse in bagno per sciacquarsi il viso, in preda ad un forte mal di testa; si guardò il volto pallido, squadrò il suo viso da ogni angolazione , scoperta da Minako che la raggiunse con il mano la sua borsa.

« Stai bene? »

« Si, è tutto a posto. »

« Sei pallida. »

« È la lezione d'inglese. Ha effetti collaterali. »

« Capisco. Senti... » Minako si lasciò andare ad una lunga pausa ed arricciò le labbra; era sofferente in quel momento, con i capelli sciolti, privi di fiocco.

« So quello che stai per chiedermi. Non so perché non fa freddo ma se non ricordo male, prima io e Mamoru dobbiamo sposarci, poi nascerà Chibiusa ed allora arriverà la glaciazione. Ce n'è di tempo, non siamo neanche diplomate e Mamoru ha i suoi sogni da portare avanti. »

« Il suo sogno è sposarti. »

« No, il suo sogno è diventare un medico, aiutare gli altri, proteggere questo mondo e stare con me. È più di un sogno e non posso arrivare io ed interrompere ogni sua aspirazione con un matrimonio. Sai bene che dopo la glaciazione niente sarà come prima. Saremo costretti a regnare, saremo costretti ad essere diversi da come siamo. »

« Usa, invece cosa pensi sia successo alle altre? » Minako nuovamente abbassò lo sguardo, stringendo la sua borsa e porgendo ad Usagi la propria.

« Non lo so. Io per ora sono solo Usagi, non ho nessun potere e sai, al momento non mi dispiace. » tirò un sospiro di sollievo, stirò le braccia verso l'alto e tornò ad essere la ragazza di sempre « l'unica cosa che mi dispiace è dover fare i compiti per domani. Matematica, inglese. Un giorno abolirò queste materie! »

Minako fece un segno di vittoria ed abbracciò Usagi baciandole la guancia, venendo ricambiata in quel gesto.

« Sai che provo l'amore di una sorella per te. Non abbatterti. Arriverà il momento ed io ti starò vicina. »

« Lo so Mina, lo so. Non abbandonarmi mai, ne morirei. »

Erano unite come due amanti, complici di uno sguardo che poteva creare disappunto negli altri, ignorando coloro che non potevano capire quanto profondo e quanto antico fosse quel legame.

 

Setsuna aveva nuovamente aperto il baule, quello stesso scomparto dove aveva rinchiuso i ricordi di una vita insieme alle lacrime; stavolta però una voce l'aveva chiamata, invitandola a far scattare la serratura del lucchetto, prendendo in mano il suo vecchio talismano.

Non parlarmi, per favore. Ho già dato troppo, sono stata la tua mano per troppo tempo. Uccidimi, sarebbe meno doloroso. Non voglio più essere una guerriera se il prezzo da pagare è la solitudine.

I suoi pensieri si scontravano con una forza potente, una divinità che arrivava a farla piangere così da sentire nuovamente la tristezza nel suo cuore, quella sensazione di vuoto ed impotenza che per anni aveva sentito, quel dolore che nuovamente sfiorava il suo petto dopo le ultime parole di quella bambina.

Ti odio. L'aveva detto con odio vero e Setsuna non riusciva a non pensare a quelle parole, quella verità uscita dalla bocca di una bambina.

Hotaru la odiava perché per ordine di Chronos aveva dovuto relegare Chibiusa nel trentesimo secolo, il tempo a cui realmente apparteneva.

La sfera rossa si era illuminata per un istante, aveva ripreso vita e Setsuna aveva richiuso violentemente il baule, spaventata da quella possibilità di tornare ad indossare la fuku, con il cuore che batteva forte per l'emozione che contrastava con la paura.

Essere Sailor, di nuovo. Si domandava se fosse una cosa positiva o negativa, se sarebbe servita anche lei nel periodo della glaciazione, se ci sarebbe stato un ruolo anche per lei o se sarebbe rimasta nuovamente da sola, come in passato.

Non voglio. Non sarò mai più una Sailor.

Decisa, parlò nella sua testa, cacciando la voce del Dio che nuovamente la chiamava, lanciando la chiave del baule fuori dalla finestra ed indossando una giacca per l'autunno.

Il tempo scorreva e lei non voleva governarlo più, non se il prezzo da pagare era l'odio di una bambina che fino a qualche mese prima la chiamava mamma.

Scendendo le scale del palazzo che abitava, Setsuna si guardò allo specchio vicino al portone, accanto alle cassette della posta ed osservando il trucco leggero trovò nella sua espressione un dolore mai provato, una serie di situazioni che sembravano averla fatta invecchiare.

Non era facile vivere da sola, lontano da tutte quelle persone che un tempo frequentava e che adesso la guardavano in modo strano, come se avesse commesso il peggiore dei crimini; una serie di eventi le avevano segnato lo sguardo e la mente, arrivando a farla sentire una donna triste senza futuro.

Chronos...

Pensò il suo nome con una forte nostalgia, con la sensazione che il cuore battesse forte e con il corpo che sembrava richiedere una strana attenzione: era il capriccio di una donna di avere il suo Dio solo per sé.

C'era qualcuno anche per lei in quel mondo, era troppo vasto per restare soli e qualcuno, a sua insaputa, già la spiava, già la seguiva, già la voleva.

 

Hotaru si guardò allo specchio schiaffeggiando appena le guance per dare un po' di colore, sistemando la frangia e facendo la giravolta per far ruotare la gonna che le arrivava fino alle ginocchia, di un tenue color glicine.

Si era vestita bene per la grande occasione e non la smetteva di guardarsi allo specchio, per evitare che la coda alta creata da Michiru cadesse o si sciogliesse.

« Hotaru andiamo? Faremo tardi. »

« Arrivo! » si guardò un'ultima volta allo specchio, sistemò la maglietta bianca ed infilò le ballerine. Si era fatta bella per il suo papà.

In macchina Haruka non correva, poco entusiasta di quella gita che avrebbe potuto sconvolgere ancora di più la sua vita; non sentiva più il rumore del vento, adesso non parlava più la lingua dei tifoni e temeva che quella normalità potesse toglierle anche la gioia di badare a quella piccola peste che stava crescendo.

Chibiusa aveva influito molto sul carattere di Hotaru e da quando aveva legato i capelli, aveva visto in lei la consapevolezza che con un sorriso poteva farsi degli amici; era gelosa che qualcuno le portasse via la figlia.

Guidava con poca voglia, affiancata da Michiru che ormai da qualche mese aveva un'espressione sempre assente.

Non serviva a nulla apparire normali, non potevano dimenticare chi erano state, cosa avevano fatto e quanto il mare ed il vento fossero di compagnia ed in sintonia tra loro.

Michiru carezzò la mano di Haruka che stringeva il cambio mentre Hotaru canticchiava una delle sue canzoni preferite in voga in quel momento.

« Hotaru smettila di cantare. Mi stai infastidendo. »

« Ma... mi fai sempre cantare in macchina »

« Oggi no. Ho mal di testa. »

Hotaru s'ammutolì dopo il rimprovero di Haruka, tornando a guardare fuori dal finestrino, stampando il palmo della mano sul vetro; a breve avrebbe rivisto il vero padre e la tranquillità mattutina lasciò spazio ad una forte agitazione che smuoveva lo stomaco.

Chissà se lui l'avrebbe riconosciuta. Voleva sapere se l'avrebbe abbracciata od allontanata, se sapeva qualcosa di lei, se ricordava di avere una figlia affidata ad altri genitori.

« Mamma Michiru, io vorrei anche interrompere le lezioni di Musica. »

Michiru fu colta di sorpresa, si girò ed osservò incredula la ragazzina.

« Perché? »

Haruka osservava la scena dallo specchietto retrovisore mentre Hotaru si mordeva il labbro inferiore, agitata per quella reazione.

« Ormai sono brava ed i miei compagni di scuola il pomeriggio già escono. Io non posso? »

« Capisco. È una tua scelta Hotaru, puoi anche non seguirle più. » Michiru tornò a guardare la strada, avvertendo nel petto qualcosa che si era spezzato, come se quella ragazzina che aveva cresciuto come una figlia fosse diventata grande tutto d'un tratto, pronta a spiccare il volo.

Eppure era piccola.

 

Usagi sembrava preoccupata e Mamoru aveva notato quel suo stato d'animo, fermandosi spesso ad osservare le sue espressioni, cercando di capire cos'è che avesse.

Se ne stava sdraiata sul suo letto, con le lenzuola che la coprivano fino ai seni, i capelli sciolti e l'espressione da donna. Usagi era cresciuta e Mamoru si era perso parte di quel cambiamento.

Triste era stata la morte, ancora di più per ciò che aveva tolto ad Usagi: il sorriso.

Si meravigliò tuttavia di quell'espressione preoccupata, ormai tutto sembrava filare liscio e l'ultimo ostacolo d'affrontare era ben lontano.

Fuori faceva ancora caldo, anche se era autunno e Mamoru sorrideva per quella tranquillità ritrovata.

« Tutto bene? »

« Mh... oggi a scuola mi sono stancata molto. »

« Forse devi riposare un po'. »

Sedette sul letto, al fianco della ragazza, carezzandole il capo e lasciando scivolare le mani lungo quei capelli biondi.

« Mamo chan, io e te resteremo insieme per sempre, vero? »

« Certo. Cosa succede, mh? Mi fai preoccupare se ti vedo così. »

« Davvero, va tutto bene. Però, la verità è che... » si alzò con il busto, mettendosi a sedere e reggendo il lenzuolo per non farlo cadere; poggiò la fronte contro la spalla del ragazzo e con le labbra lasciò un tenero bacio mormorando « voglio fare l'amore con te »

« Ma sei stanca... »

« Per stare con te, non lo sono mai. Non vuoi? »

Alzò lo sguardo verso il ragazzo, mostrando gli occhi dolci, facendo le moine con Mamoru che scuoteva il capo carezzandole un braccio.

« Sei sleale. Non so dirti di no, Usako. »

Quel nome negli anni era stato sempre pronunciato con dolcezza e sensualità e mai con cattiveria; anche quella volta Mamoru la guardò con gli occhi dell'amore, carezzandole il braccio e tirandosela in braccio per baciarla facilmente ed infilare le mani dietro la nuca, tirandole appena i capelli in un gesto carico di passione.

Fare l'amore era sempre diverso, ogni volta era una novità ed anche dopo una giornata lunga trovavano il tempo di amarsi, di stare insieme quelle poche ore in grado di confermare con ogni gesto il sentimento che li univa.

In quella situazione, Usagi vide volar via ogni preoccupazione, concentrandosi sul battito del cuore e sul calore che aumentava: la pelle di Mamoru sembrava di fuoco eppure non ne rimase scottata bensì provava piacere nel sentire il corpo nudo dell'uomo che amava, che lentamente aveva spogliato, lasciandolo solo con l'intimo.

Lei invece era nuda sopra di lui, nuda con la pelle che veniva ricoperta di baci e con le mani del suo uomo che scorrevano, sfiorando e toccando con decisione ogni parte del suo corpo, disegnando con le dita le linee dei glutei, facendola alzare per dedicare attenzione ai seni non troppo sviluppati, giocando con quelle parti che tanto lo facevano eccitare, faticando a controllarsi.

Si stesero sul letto ed Usagi lasciò uscire quella parte proibita di sé, quel suo carattere incontrollabile che veniva fuori solo quando il corpo nudo di Mamoru la sovrastava, quando avvertiva dentro di sé quel sangue caldo che solo lui sapeva scaldare.

Si abbandonò ad ogni carezza del suo uomo, lo abbracciò così da fargli sentire cosa aveva da offrire, quanto donna fosse diventata a partire dal corpo fino ai gemiti che da timidi com'erano un tempo, si erano fatti più audaci, in grado di far capire a Mamoru quanto e cosa le piaceva.

Non c'era più controllo su quel letto con le lenzuola sfatte, con le tende chiuse ed il sole che calava; c'erano solo due amanti incontrollabili che riuscivano ad amarsi ed ad essere passionali in ogni momento, con i corpi che si muovevano insieme ed i gemiti che soffici si mischiavano con i respiri, aleggiando nell'intera camera da letto.

« Usako... » Mamoru pronunciò spesso il suo nome mentre la stringeva e si muoveva dentro di lei, mentre Usagi stessa s'aggrappava alle sue spalle per sentire dentro di sé tutto il suo amore e non perdere nulla di quei momenti e di quei contatti.

« Mamo – chan... » lo pronunciò con una voce così sensuale, così innocente che lui perse il controllo, riversando dentro di lei tutto ciò che poteva offrirle in quel momento.

Usagi fu felice. Sfinita ma felice.

 

Michiru bussò alla porta di Casa Tomoe, venendo accolta da una signora di mezza età con la divisa da colf; aveva i capelli grigi raccolti in uno chignon coperto da una retina, gli occhi erano scuri ed il viso rifletteva il peso degli anni che portava dietro.

« Chi siete? »

« Siamo conoscenti del dottor Tomoe. Ci domandavamo se fosse possibile incontrarlo. È importante. »

« Tsk... » Haruka continuava, senza troppi complimenti, a mostrare il disappunto per quella visita mentre Hotaru, con la testa tra le nuvole, si lisciava la gonna e cercava di non formare neanche una piega.

« Signora Masae, chi è? »

Souichi uscì dalla stanza reggendosi ad un bastone, zoppicando verso la porta d'ingresso dove inizialmente notò Michiru ed Haruka e solo in seguito riuscì a scorgere Hotaru che in quel momento, colpita dalla timidezza, si nascose dietro la madre.

Il dottore non sembrava essere invecchiato più di tanto; quei pochi anni non lo avevano deturpato e l'incidente aveva lasciato che il suo volto mantenesse comunque il fascino di un tempo.

« Signora Masae li faccia entrare. Ci accomoderemo nella sala da pranzo. Se non le crea troppo disturbo può portarci un tè e... i biscotti al cioccolato? »

Hotaru fece sbucare la testa da dietro Michiru quando il padre menzionò i biscotti al cioccolato, mostrando così il suo volto radioso e libero dai capelli che erano legati in una coda alta.

Souichi andò a sedere sul divano nel salotto, seguito dai suoi ospiti silenziosi e curiosi; osservarono intorno sorpresi di quella casa così moderna, dai colori chiari e tuttavia priva di foto e quadri. Era una casa nuova dove nessuno aveva mai vissuto.

« Hotaru. Ti sei fatta grande » sorrise guardando la figlia seduta di fronte a lui, separati dal tavolino che a breve avrebbe accolto tè e biscotti.

« Voleva incontrarti. Ha espresso questo desiderio. Non so se vuole rimanere. » Haruka rispose prima di Hotaru, togliendole il tempo di parlare; fu fulminata dallo sguardo di Michiru.

« Signorina Tenou, la ringrazio per averla portata qui. Volevo vederla già da un po' ma... »

« Immagino fosse difficoltoso arrivare da lei. Difficile trovare un indirizzo! » I toni si stavano scaldando ed Haruka non riusciva a frenare l'impeto dentro di sé, quel vento agitato che veniva minacciato dalla presenza del dottore.

« Mi scusi signor Tomoe. Io ed Haruka dobbiamo consultarci in privato. Lei ed Hotaru avrete molte cose da dirvi, vi lasciamo soli. »

 

Michiru trascinò fuori dal salone Haruka, lasciando il dottor Tomoe da solo con Hotaru, che silenziosa mostrava il suo forte imbarazzo.

Masae arrivò con il vassoio con quattro tazze di tè e vari biscotti al cioccolato; non chiese nulla sull'assenza delle due ragazze, semplicemente posò il vassoio e chiese congedo per rientrare in cucina.

« Ti piacciono ancora i biscotti al cioccolato, vero? »

Hotaru annuì, allungando la mano verso il grande biscotto rotondo al cacao con granella di cioccolato.

L'odore del tè era piacevole in quel salone moderno, con gli arredi chiari ed il muro dipinto di un tenue grigio; il tè riportava quel luogo alla tradizione ed alla loro vecchia casa.

« Come va la scuola? Ti stanno bene i capelli legati. Io non so se te lo ricordi, ma quando eri piccola ti facevo spesso i codini. Eri molto bella. »

« Si che la ricordo. Senti papà, io ho fatto la coda per sembrare più bella... »

« Sei sempre bella. Vieni qui, vorrei stringerti. »

Hotaru guardò il padre incuriosita, sentendosi davvero piccola in quel momento, bambina come un tempo prima della sua rinascita. I ricordi erano dolorosi d'affrontare, eppure sentiva che solo in quel periodo di pace poteva sorridere di nuovo con quel che restava della sua vecchia famiglia.

« Papà un giorno ci possiamo andare alla serra a vedere i fiori? Mi piacciono molto... »

« Lo so che ti piacciono molto e dimmi, la tua amichetta? A scuola va tutto bene? »

Hotaru si gettò tra le braccia del padre nel sentire nominare Chibiusa anche solo con un appellativo; strinse con le mani la camicia del dottore e strofinò la fronte contro il petto, coccolata da quelle braccia che per tanto tempo non aveva sentito.

« È dovuta tornare a casa sua per colpa di un'altra persona. »

« A casa sua? Ci sono i suoi genitori lì? » La ragazza si limitò ad annuire, facendo strusciare ancora una volta la fronte contro il petto dell'uomo, rovinando la frangia perfettamente liscia.

« Non credi che sia giusto così? Resterete comunque Amiche, no? Se tu la porti nel cuore, anche lei ti porterà con sé. Non credi che quella persona che te l'ha portata via abbia avuto le sue ragioni? »

« No. Io la odio. »

Souichi sospirò carezzando la nuca scoperta della ragazzina e scaldandole la schiena con l'altra mano.

« Sai, vorrei dirti che sei grande, ma la verità è che per fortuna sei ancora una bambina e questo atteggiamento mi consola, m'illude che non mi sono perso poi molto della tua vita. Sai, se tu tornassi a vivere qui io sarei davvero felice, però so che ci sono persone che si sono prese cura di te, persone che chiami Mamma e Papà e sarei crudeli se ti strappassi alle loro cure, non credi? Ecco, la tua amica è tornata dai suoi genitori, qualcuno ce l'ha portata, ora tu non puoi odiare quella persona per aver svolto il suo compito. Vuoi bene alla tua amica e sai che è giusto che stia con i suoi genitori. »

« Ma... »

« Sai, anche quelle persone che ti hanno portata qui oggi ti vogliono molto bene, soprattutto quella ragazza mascolina dai capelli corti. Lei ti vuole tanto bene. »

Hotaru guardò per un attimo la porta del salone, curiosa di sapere dove fossero i suoi due genitori.

Souichi la stringeva ancora, cercando quel contatto che da tanto tempo mancava.

« Io adesso devo andare. Posso tornare ogni tanto? »

« Torna quando vuoi. Questa è casa tua, lo sai. »

La ragazzina sorrise e mostrando di nuovo il volto felice, baciò la guancia del padre abbracciandolo forte; rubò un paio di biscotti al cioccolato poi corse fuori dal salone, fermandosi poco prima di aprire la porta che dava all'esterno.

« Haruka devi calmarti. È tutto oggi che sei nervosa. »

« Non mi piace che ora voglia vedere il padre. È arrabbiata con Setsuna, va bene, ma noi? Ci siamo occupate di lei, non voglio che se ne vada! »

Michiru rise senza esagerare, mantenendo la postura elegante e la sua solita compostezza nei modi.

« Che ridi? »

« Sei gelosa. »

« Ma che dici? »

« Dico che adesso sei gelosa che Hotaru possa preferire il suo vero padre a te ed un giorno sarai gelosa quando la scoprirai a passeggiare mano nella mano con un ragazzo. »

« Un ragazzo? Ehi non dire assurdità! » Haruka era ancora scossa ed arrabbiata quando la porta si aprì ed uscì Hotaru con in mano i due biscotti ed il volto arrossato dalla felicità.

« Io ne ho mangiati due, però ve ne ho portato uno per uno anche a voi. Papà, Mamma, andiamo a casa? »

Michiru sorrise ed Haruka rimase scossa da quelle parole tanto da girarsi e ricacciare le lacrime dentro, attenta a non farsi vedere dalle altre due; asciugate le lacrime si girò ad afferrare il biscotto sotto lo sguardo divertito di Hotaru e rigirandosi in direzione della macchina bofonchiò qualcosa che riguardava Niente ragazzi in casa mia.

 

Setsuna aveva appena terminato il settimo drink al pub sotto il suo appartamento, quando la testa iniziò a girare tanto da farla cadere con il mento contro il bancone, sotto lo sguardo poco stupito degli altri clienti.

Le voci si confondevano, qualcuno faceva notare che quella era ubriaca, qualcuno si domandava se fosse morta; il barista si fermò davanti alla donna, spostandole il bicchiere, mettendolo nel lavandino.

« Ehi stai dando spettacolo. Dovresti alzarti. Se ti becca così la polizia potrebbe farci storie. Potrebbe pensare che sei fatta. »

Setsuna non disse nulla, agitò appena la mano bofonchiando qualcosa, quando avvertì delle braccia che la trascinarono da dietro, facendola scendere dallo sgabello.

« Mi scusi, la mia fidanzata ha avuto una giornata difficile. Mi dica quant'è il conto, la riporto a casa. »

Era una voce sconosciuta o forse non sapeva dire se l'avesse già udita da qualche parte, tuttavia non c'era molto da fare: non riusciva a muoversi né ad opporre resistenza. Era in balìa di uno sconosciuto che a quanto pare sapeva dove abitava.

Non sapeva chi fosse quella persona, non sapeva cosa volesse tuttavia si ritrovò sdraiata sul letto di casa sua, riconoscendo l'odore delle sue lenzuola e gli inquilini del piano di sopra che nuovamente sfruttavano il letto per antiche tradizioni di coppia.

« Setsuna mi senti? Non è il momento di sbronzarsi. »

La donna non rispose, limitandosi a chiudere gli occhi, girandosi su un fianco, dando le spalle allo sconosciuto in casa sua.

« Voi donne siete odiose. Volete sempre fuggire dal mondo senza sapere che c'è sempre qualcosa per voi. Setsuna fatti passare la voglia di dormire e sbronzarti e torna ad essere te stessa. Il tempo e lo spazio proprio oggi sono stati definitivamente modificati. »

Setsuna dormiva già e non ascoltò quelle parole nel pieno del loro significato; bofonchiò un si impastato dal sonno e dall'alcool, scivolando in un sonno pesante, ignorando lo sconosciuto in casa.





Buonasera carissime.
Finalmente oggi ho avuto la giusta ispirazione per scrivere il 3° capitolo di Life. Vi dirò, spero vi piaccia perchè mi ci sono impegnata e se fa schifo allora mi va meglio quando non m'impegno xD
Spero che come sempre mi farete sapere cosa ne pensate.
Credo che la parte che potrà essere maggiormente criticabile di questo capitolo è la scena tra Mamoru ed Usagi: spero di non essere stata esagerata. Non mi piace essere volgare con le parole ed anche se c'è il rating arancione alla storia, preferisco scrivere queste scene in questo modo, purtroppo è un difetto personale senza margini di miglioramento.
Oltre questa piccola parte, spero vi sia piaciuto il capitolo ed io come sempre vi ringrazio per le recensioni che lasciate e per aver inserito la storia tra le preferite/seguite/da ricordare.
Sono preziose le vostre parole; mi aiutano a migliorare e m'incoraggiano molto.
Spero di non farvi aspettare troppo per il prossimo capitolo. Il prossimo aggiornamento sarà per Dolci d'Amore.

Baci,


Kate

   
 
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