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Autore: RossaPrimavera    18/09/2011    4 recensioni
Sud Carolina, 1776. Celeste ha 17 anni e una candida bellezza, la sua giovane vita dedicata ad occuparsi dei suoi numerosi fratelli.
William Tavington, colonnello dei Dragoni Verdi, è un uomo spregiudicato, che non conosce limiti ai propri desideri.
Il loro incontro è uno scontro, ma il destino si premurerà di sconvolgere le loro vite, rendendoli così diversi da sembrare irriconoscibili.
"Ho solo 17 anni,e quando mi guardo allo specchio il mio volto mi pare di un candore assoluto. Davvero, non credevo di poter far gola a qualcuno. Non ad un uomo del genere comunque."
"Tu sei pazza, Celeste. Tu, tra noi, sei come nessun'altra."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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In Punta di Piedi
di Elle H .





CAPITOLO 6
A Window to the Past and Future
 
(Spiragli di luce; fantasmi del passato; per tutta la vita)
 
 

“Greatest thrill, not to kill
But to have the prize of the night
Hypocrite, wannabe friend
13th disciple who betrayed me for nothing!
Old loves they die hard

Old lies they die harder

Il più grande brivido, non per uccidere 
Ma per avere il premio della notte 
Ipocrita, vuoi essere un amico 
Il tredicesimo apostolo che mi tradì per niente!
I vecchi amori sono duri a morire 
Le vecchie bugie sono ancora più dure”

-Wish I Had an Angel, Nightwish-

 
 

Era un odore sgradevolmente conosciuto: metallico, indizio di pericolo.
Era l’olezzo dei campi di battaglia al termine di uno scontro, la terra che da marrone si tingeva di rosso.
Lo conosceva bene il sentore del sangue: lo odiava, e al contempo lo affascinava.
“Pietà signore, vi supplico pietà …” pregò l’uomo accasciato a terra, mezzo nudo e ricoperto di polvere e ferite; ebbe il tempo di alzare appena la testa, prima che l’abbattersi della frusta sulla schiena gli strappasse l’ennesimo lamento di dolore.
A William Tavington non erano mai piaciute le torture. O almeno, non di quel genere.
Se obbligato dalle circostanze, si limitava ad osservarle con distacco; ma occuparsene … quello gli riusciva davvero difficile.
Uccidere era qualcosa di diverso.
Era divenuto quell’elemento che riusciva a ricreare in lui, in modo assolutamente anomalo e barbarico, un senso quasi mistico.
Cosa c’era di più inebriante e potente della sensazione di possedere il potere di falciare vite?
E in più pur essendo perfettamente consapevole di quanto fosse riprovevole e meschina quella soddisfazione, ogni volta che la rabbia veniva a bussare alla sua porta, il suo corpo gli ordinava di rigettarla il prima possibile.
Ma per lui la parola “tortura” poteva solo essere collegabile al mordere la liscia pelle di una donna, fino a farla gemere di dolore.
Quello significava torturare, rifletté con un fugace sorriso.
Le torture fisiche, consumate tra le strette e soffocanti pareti di una cella, erano una cosa completamente differente; gli ricordavano con fin troppa nitidezza l’infanzia.
Le punizioni corporali che suo padre era solito infliggere a lui e ai suoi fratelli, non appena erano stati in grado di sollevarsi sui propri piedi, erano un ricordo ancora vivido.
Era parte della routine quotidiana della famiglia Tavington vedere i figli in fila indiana in attesa di fronte allo scranno del capofamiglia, al centro del piccolo ma distinto soggiorno inglese; non vi era alcuna malevolenza nei gesti del padre, intento ad arrossare le natiche dei bambini con precisi colpi di cinghia.
“Per temprarli” lui spiegava con noncuranza alla madre e all’unica figlia, le quali osservavano quel triste quadretto con i grandi occhi azzurri sgranati e sgomenti.
Sarebbe stato meglio se suo padre si fosse occupato più del suo titolo di baronetto, piuttosto che dell'educazione dei figli.
Tavington riportò il pensiero al presente, in tempo per udire un altro gemito; ribadì a se stesso che quella tortura era assolutamente necessaria.
Pur di portare a termine quell’inutile guerra era ormai necessario ricorrere ad ogni sorta di colpo basso.
Conoscere le strategie americane era sempre più di vitale importanza per concludere il conflitto, scontri e battaglie non bastavano più.
E se solo quel benedetto ufficiale si fosse deciso a vuotare il sacco entro l’alba, avrebbe potuto persino farsi una sana dormita…
Il colonnello  guardò di sfuggita il prigioniero: per lui non aveva nemmeno un nome ed un cognome, era  nulla più che un numero, una necessità da sbrigare; ma se pensava al fatto che fosse americano, americano quanto Lei
Tanto bastava a irritarlo, a fargli ribollire il sangue nelle vene.
“Smettila di fare il duro” ordinò svogliatamente per l’ennesima volta, facendo segno al suo carnefice di donargli altre due decise frustate.
L’uomo gridò angosciato, divincolandosi come alla disperata ricerca di una via di fuga.
“Risparmiatemi, vi prego colonnello… ho moglie e figli” pregò per l’ennesima volta, guardandolo con occhi imploranti.
Questa volta funzionò, le parole stranamente gli entrarono da un orecchio ma si rifiutarono di uscirne.
L’effetto delle parole fu istantaneo: se avesse dovuto dargli un nome, si sarebbe rifiutato di ammettere che fosse un  recondito senso di colpa. O peggio: pietà.
Non era diventato colonnello dei Dragoni Verdi grazie a patetici sentimentalismi.
Eppure la sua mano si mosse immediatamente, fermando il boia e congedandolo con un cenno secco.
Si alzò con lentezza, piegandosi sulla vittima fino a poter percepirne chiaramente l’odore: sudore, sangue, e innegabilmente, paura.
Il corpo era scarno, ricoperto da una serie di piaghe vecchie e nuove, ma per lo più superficiali; il volto smagrito dell’uomo lo fissava con supplica e terrore.
Gli prese il viso con straordinaria delicatezza, sollevandolo appena, incontrando due occhi scuri come pezzi di carbone, e ricolmi di disperazione.
Erano sicuri fosse un ufficiale? Non l’aveva degnato di uno sguardo poco prima, ma ora poteva chiaramente notare quanto fosse giovane; doveva avere appena vent’anni.
“Come ti chiami, ragazzo?” gli chiese a sorpresa, stupendolo, osservandolo tentennare.
“Tom, signore” rispose infine flebilmente, la voce tremante.
Lo valutò per un attimo, occhieggiando gli abiti di cui era stato privato: pantaloni scuri e sdruciti, ed una semplice camicia, lacera e malandata.
“E tu saresti un ufficiale?”
Dopo aver retto così a lungo, i nervi del ragazzo parvero dare un segno di cedimento.
“Non lo sono signore, l’ho detto, l’ho giurato, ma loro…” il ragazzo continuò a biascicare parole, sempre più strozzate; era la perfetta copia di un bambino sul punto di scoppiare in pianto.
Tavington alzò gli occhi al cielo di fronte a quel comportamento, assolutamente riprovevole per un uomo.
Piuttosto cercò di immaginarsi la penosa conversazione che avrebbe dovuto sostenere con il Generale Cornwallis l’indomani: come poteva spiegargli che i suoi uomini gli avevano portato un soldato qualsiasi invece di un ufficiale?
E per cosa avrebbe dovuto punirli: ignoranza, o piuttosto insolenza?
Il ragazzo era in ogni caso molto poco fortunato …  se di fortuna si poteva parlare.
“Ebbene Tom, a quanto pare scampi alla tortura, ma ti sei appena guadagnato un posto sulla forca” proferì; in un’altra occasione avrebbe sorriso di quella tragica ironia.
Osservò il prigioniero divenire, se possibile, ancor più pallido.
“La prego colonnello,  la prego abbiate un briciolo di pietà…”
“Silenzio! Il tuo piagnisteo mi innervosisce” sbottò improvvisamente con disprezzo, sollevandosi furente.
Picchiò il pugno chiuso contro il muro, inveendo contro l’inettitudine dei suoi uomini; maledì quella guerra interminabile, imprecò contro se stesso.
Sentiva la rabbia serpeggiagli nel petto, aggrapparsi alle costole fino a raggiungergli il cuore, allungando i propri artigli con ingordigia.
Il soldato vide lo sguardo del colonnello posarsi nuovamente su di lui: i gelidi occhi, prima del tutto indifferenti, rilucevano d’ira.
 Il terrore provato poco prima divenne nulla in confronto al nuovo.
“Colonnello, la prego mi risparmi, lo faccia per la mia famiglia” supplicò nuovamente, cercando un briciolo di fermezza, tentando di evitare di apparire impaurito; ma finendo per nascondere la testa tra le braccia.
Tavington rimase fermo a guardarlo: avvertiva ancora quell’insolita sensazione di poco prima.
Pietà e senso di colpa.
Fu con un sospiro che tornò accanto al prigioniero, accingendosi ad aprire le catene che gli cingevano polsi e caviglie.
Il ragazzo lo guardò stranito, mentre il clangore del ferro rimbombava contro le pareti della cella.
“Sei del tutto inutile, ragazzo. Persino torturarti rappresenta un impiccio, non riesco nemmeno a divertirmi con i tuoi piagnucolamenti” proferì con disprezzo il colonnello, ma al contempo liberandogli le caviglie.
“E in ogni caso se anche avessi saputo una minima parte di ciò che ti ho chiesto, sono convinto l’avresti persino sputata pur di salvarti la pelle, eh?  Giuramenti di fede alla patria non contano nulla per quelli della tua razza” concluse disgustato.
Si rendeva conto da solo di quanto il suo atteggiamento sprezzante fosse un modo per negare, senza neppure troppa convinzione, di essere caduto nei lacci della correttezza.
Si sorprese di quella parola: da quando considerava quei gesti corretti?
Tom si massaggiò i polsi, asciugandosi poi il volto ancora bagnato di sudore.
“Io penso che sopravvivere conti molto di più, signore” mormorò.
Tavington l’osservò dapprima con freddezza, poi con un barlume di curiosità
“O forse è per via della tua famiglia?”
Il ragazzo faticò particolarmente per cercare di rimettersi in piedi; malfermo, fu costretto ad appoggiarsi ad un bracciolo della sedia.
“E’ la stessa cosa signore. Loro sono la mia vita” ribatté, ansimando.
Cercava di apparire rigido e sicuro di se, di affrontarlo come un egual combattente dopo essere quasi strisciato ai suoi piedi.
Tavington non parve farvi caso, considerando esclusivamente la risposta ricevuta.
“Quindi devo dedurre che le sorti della tua patria non ti interessano” insinuò, con una punta di malevolenza.
Il ragazzo gli rivolse uno sguardo cupo.
“Non ho detto questo signore, non potrei mai pensarlo”
“E invece è la stessa cosa! Tu saresti pronto a disertare, ad abbandonare il campo nel bel mezzo della battaglia, a rivelare ogni tuo turpe segreto, pur di salvar te e la tua patetica famiglia!” ribatté troppo concitato.
Cercò di ridarsi un contegno, di recuperare l’autocontrollo. In qualche modo le parole del ragazzo avevano fomentato una guerriglia di sentimenti contrastanti; in un attimo si era ritrovato del tutto disorientato.
 “Colonnello, la prego, si calmi..” tentò il ragazzo, seriamente preoccupato.
“Sta zitto. Rispondi a questa domanda, e giuro che te ne potrai andare da questo campo con la tua pelle americana ancora attaccata alle ossa” sibilò, avvicinandosi fino a ritrovarsi a faccia a faccia.
Tom trattenne suo malgrado un singulto; la soggezione nei confronti del colonnello Tavington, famoso, per così dire, per la sua spietatezza, era ancora lì: palpabile, come fosse un oggetto.
“Se tieni a tal punto ai tuoi cari, perché continui a combattere? Perché non sei ancora tornato da loro, come già hanno fatto in tanti?”
Il ragazzo gli rivolse uno sguardo straordinariamente limpido.
“Perché i miei figli meritano un mondo migliore in cui crescere, meritano di essere liberi. L’ha detto, colonnello: la patria non c’entra nulla. Ma finché la loro vita non sarà in pericolo, io resterò qui a combattere per loro” concluse, il tono calmo ma risoluto.
“Quegli uomini hanno abbandonato tutto, nella speranza di veder migliorare le nostre vite, di ottenere i diritti che ci sono dovuti!
Il ricordo di parole tanto limpide quanto coerenti sancì la sua definitiva sconfitta.
“Vattene” concluse, asciutto.
Tom si mostrò piuttosto incerto.
“Ma signore, le guardie…”
“Di che ti autorizzo io. Vai, subito, non voglio mai più vederti!”
Il ragazzo afferrò i suoi abiti da terra, titubante, ma infine lasciando apparire un leggero sorriso sulle labbra.
“Grazie, colonnello” bisbigliò, prima di arrancare verso l’uscita; Tavington seguì la sua zoppicante corsa, una piega amara sul viso.
“Colonnello Tavington, dove sta andando il prigioniero?” domandò sorpreso il boia, ricomparendo nella sala; indubbiamente aveva origliato ogni singola parola detta.
“Tu sapevi che non era un ufficiale, vero?” chiese, laconico.
Il boia guardò il colonnello con espressione colpevole.
“Da quanto siete così compassionevole, colonnello?” si azzardò a chiedere.
Il colonnello gli rivolse un’occhiata gelida.
“Non osar insultare la mia intelligenza per la tua inettitudine. E ringrazia piuttosto che questa sera sia particolarmente indulgente” concluse acido, dirigendosi all’uscita con passi fin troppo energici.
Già immaginava fin troppo bene le voci che avrebbero fatto il giro dell’intero esercito nel giro di qualche giorno. Certamente nulla di peggio del favoleggiare delle prostitute riguardo Celeste, neanche fosse una santa.
Sospirò, affrontando le ore più scure della notte a grandi passi, diretto ai suoi alloggi e desideroso di una sana dormita. Maledì ancora una volta quella serata: cosa poteva esserci di più umiliante del rivalutare i propri nemici?
In quel caso americano non poteva nemmeno considerarsi un insulto.
Per un attimo si soffermò a chiedersi cosa avrebbe detto Celeste di quelle considerazioni…
Un messo gli corse incontro, fermandosi sull’attenti ed inchinandosi quasi fino a sfiorar terra con la punta del naso.
“Colonnello Tavington, signore, è appena giunto un forestiero, dice che deve conferire con voi con la massima urgenza. Vi attende al di fuori dei vostri alloggi”
Tavington alzò gli occhi al cielo, passandosi stancamente le mani sugli occhi.
Dio era proprio deciso a non lasciarlo dormire, evidentemente.

 
 

“Somebody bring up the lights I want you to see 
My life turned around but I'm still living my dreams 
I've been through with all, hit about a million walls 
Welcome to my truth...
I still love 
 
Qualcuno accenda le luci, ti voglio vedere
La mia vita si è voltata indietro
ma sto ancora vivendo i miei sogni
Ho chiuso con tutto e
sbattuto contro circa un milione di muri
Benvenuto nella mia verità…io ancora amo”
-Welcome to My Truth, Anastacia -

 

Quando Fort Carolina comparve nell’oscurità, quale microscopico, lontano punto di luce, Celeste tirò un profondo sospiro di sollievo.
La sua non era stata una corsa nella notte, ma qualcosa di più simile ad un vagabondaggio, come unico compagno un groppo in gola e una torcia che minacciava costantemente di spegnersi.
Il cavallo era ormai sfinito, non si era azzardata neppure a fare una sosta per il terrore di incontrare nuovamente qualche sbandato; o qualsiasi altra cosa, all’improvviso le antiche leggende di spiriti della sua infanzia le erano tornate in mente più plausibili che mai.
Ma era oramai distrutta, sentiva ogni arto dolerle e la tensione aveva raggiunto il livello di saturazione.
Sola nel buio si era resa conto di quanto fosse stata azzardata la sua decisione; eppure al contempo realizzò che, per quanto potesse essere sconclusionata, fosse assolutamente e innegabilmente giusta.
Non poté però fare a meno di sentirsi in colpa di fronte all'evidenza di aver nuovamente abbandonato i fratelli, questa volta forse per sempre.
Per sempre. Si pentì di aver ridotto il saluto ad un ultimo sguardo.
Ma dovette riportare la mente al presente, trovandosi a fronteggiare il forte, balenante di qualche sporadica fiaccola sulla sommità.
Rifugio per molti. Prigione per tanti. Speranza per lei.
Si sentì tremare d’emozione di fronte a quel piccolo pezzetto d’orgoglio inglese.
Ma dopotutto era ancora a metà dell’opera; il peggio doveva ancora arrivare.
Le sentinelle all’entrata parvero dare molta importanza al cavallo ansimante e al suo flemmatico andamento. In quanto all’esile cavaliere, valutarono la sua snella figura dubbiosi.
“Vengo in pace” puntualizzò la ragazza, alzando lievemente le mani e faticando a smontare, sibilando quando il piede le rimase incastrato nella staffa.
Osservò preoccupata le sentinelle scambiarsi un occhiata incredula, e si pentì immediatamente di essersi dimenticata di tentar di scurire, anche se sicuramente con scarsi effetti, la voce.
Gli uomini la squadrarono critici, ma con suo sommo sollievo finirono probabilmente per classificarla per un ragazzino particolarmente effeminato, e un po’ tocco per giunta.
“Dichiara il tuo scopo” domandò la più sveglia tra le due, trattenendo però a stento uno sbadiglio.
“Devo assolutamente incontrare il colonnello Tavington, ho il compito di contrattare il rilascio di alcuni prigionieri” affermò, decisa e sicura di se; la mano dentro la tasca incrociava le dita, speranzosa.
Ma al solo udire il nome del colonnello, le sentinelle parvero tranquillizzarsi.
“Puoi entrare, ma lascia il cavallo al garzone all’entrata e bada a consegnare tutte le armi. Verrai scortato da lui” concluse la guardia con rigidità, prima di comunicare il segnale.
Celeste chiuse gli occhi mentre le grandi porte si aprivano, ringraziando mentalmente Dio per così tanta, inaspettata fortuna.
Attese una decina di minuti, osservando lo spiazzo che era il centro del forte, per venir poi condotta negli alloggi dell’esercito; la guardia le intimò di attendere di fronte alla stanza del colonnello, disfandosi subito del compito di sorveglianza, considerandolo evidentemente di scarso pericolo.
Se si fosse trovata in quell’esatto punto anche solo un mese prima, avrebbe certamente avuto la tentazione di dare alle fiamme l’intero locale; ora l’intera faccenda non avrebbe potuto interessarle di meno.
Rimase a dondolarsi sui piedi per un tempo che le parve inesauribile, avvolta nel debole alone di luce di un lume e aguzzando l’udito nel silenzio assoluto.
Dopotutto, che ore potevano essere? L’alba non doveva essere poi così lontana.
Quando nello stretto corridoio giunse l’eco di passi pesanti, sentì il cuore prenderle letteralmente il volo, minacciando seriamente di risalirle in gola; la preoccupazione svanì di fronte all’inequivocabile realtà dei fatti: sicura più che mai della sua scelta, pronta ad accettare quell’irripetibile possibilità.
“Oh ma sei solo un moccioso. Mandano i bambini a trattare ora? Ti avverto che non mi interessa quanti chilometri tu abbia percorso, il tuo viaggio è del tutto vano”
La voce familiare, il tono arrogante e derisorio con cui era stata modulata… bastò a darle un brivido, a farle voltare il volto di scatto verso il suo interlocutore.
Celeste benedì la penombra del corridoio e l’enorme tricorno che le ombreggiava il volto, nascondendole il viso imporporato d’agitazione.
Seguì con trepidazione l’apparire della sua figura, la porta che si apriva e chiudeva dietro il loro passaggio, la candela che venica accesa; ignorò lo squallido ambiente, gli occhi ipnotizzati da ogni movimento del colonnello.
“Allora? Parla ragazzo, non farmi perdere tempo. Se non l’avessi notato, è notte fonda” la spronò nuovamente, senza degnarla di uno sguardo.
La giovane occhieggiava le sue mani, la giubba che scivolava dalle sue spalle, la camicia che veniva allentata; solo intravedere uno scorcio del petto la riempì di tutto il desiderio covato e nascosto per mesi.
Tavington le diede le spalle, versandosi da bere e alzando un bicchierino ambrato al suo indirizzo.
“Perdonami se non ti offro da bere, dubito tu sia abbastanza grande” la schernì ancora, lanciandogli un occhiata sardonica.
Celeste sollevò impaziente il tricorno, poggiandolo sul rozzo tavolo accanto a lei; le dita slacciarono lentamente la crocchia, lasciando piovere lungo le spalle una cascata color rame.
“Non dirmi che stai seriamente pensando di uccidermi” insinuò con una breve risata l’uomo, svuotando il bicchiere con un gesto veloce.
“Non è mia intenzione colonnello, gliel’assicuro” disse, con voce forse fin troppo alta.
Il bicchiere cadde a terra di colpo, infrangendosi in mille pezzi.
L’uomo ignorò quello scroscio di vetri, voltandosi di scatto e cercandola quasi spaventato.
La giovane si avvicinò a lui, ponendosi nel raggio di luce, lasciando che le illuminasse il viso.
“Suvvia colonnello, non mi guardi come fossi un fantasma” lo canzonò, avvertendo tutta via la bocca farsi arida.
Tavington la guardò quasi con diffidenza, prime di convincersi a tender la mano e sfiorarle una tempia; non riuscì a nascondere un accenno d’esitazione, eppure il solo contatto le parve incredibilmente dolce.
“Come diavolo sei arrivata qui?” mormorò inebetito, ma senza degnare d’attenzione l’eventuale risposta.
Lo slancio fu di entrambi, il protendersi dell’uno fra le braccia dell’altro.
William Tavington baciò Celeste come fosse l’unica donna al mondo.
Chinandosi su di lei, premendo la fronte contro quella della giovane: inspirò a pieni polmoni il suo inconsistente, impreciso profumo.
Meritavano il nome che ella portava, quei suoi dannati, cristallini occhi celesti.
Avrebbe potuto annegarci in quegli occhi.
“Confesso che non ho mai spogliato un ragazzo” sussurrò divertito il colonnello, quando armeggiò con una camicia identica alla sua.
“Dovresti ammettere invece che sono piuttosto comodi” lo corresse lei, mentre le mani sul suo corpo divenivano improvvisamente impazienti e frettolose.
Le prese, fermandole con garbo e portandole alle proprie labbra, sfiorandole appena.
“Non c’è fretta colonnello, non c’è nessunissima fretta” bisbigliò.
L’uomo si limitò ad annuire, assorbito dall’intensità di quelle poche parole, da quella sorta di incredibile tranquillità che la ragazza sprigionava.
Perché all’improvviso le pareva così matura, così consapevole di se stessa e del potere che esercitava su di lui?
Lo sapeva quella ragazzina che sarebbe stato pronto a prostrarsi ai suoi piedi, per lei?
Ma Celeste non chiedeva nulla del genere. Finì di spogliarlo con la sollecita dolcezza di una madre.
Sorrise, salendo scherzosamente sui suoi piedi per cercar di risultare più alta.
“Ora sono tutta tua” disse in un sibilo, le labbra dischiuse contro il suo orecchio.
Tavington non se lo fece più ripetere: fretta o no, si chiese perché perdeva secondi preziosi con le mani ancora lungo i fianchi.
Sollevò Celeste senza la minima fatica, facendo volteggiare la sua nuda figura come fosse una bambola.
“Sei pelle e ossa Celeste, ma ti danno da mangiare quei dannati americani?” chiese beffardo, bloccandole in anticipo le braccia ai lati della testa prima che potesse colpirlo.
Si protese per baciarla nuovamente, bloccando eventuali proteste sul nascere, ma ricevette come risposta un morso deciso, che gli strappò un gemito di dolore.
“Siamo pari ora colonnello” disse ridendo.
“Credevo avessi iniziato a chiamarmi William” ribatté lui massaggiandosi il labbro, con tono velato di rimprovero.
Si chinò nuovamente per lambirgli le labbra e proseguire sul petto, disegnando un invisibile percorso fino al seno.
Fu allora che Celeste gli tese definitivamente le braccia oltre il collo, premendo  il proprio corpo contro il suo, attirandolo dentro di se con improvvisa urgenza e chiedendosi cosa cercasse con più necessità: se il piacere, o conforto.
“William…” sospirò il suo nome, quasi fosse una conferma.
L’uomo tacque,  riponendo ogni provocazione, limitandosi a godersi ogni sfumatura di quella notte, rifuggendo l’eventualità che potesse essere la prima e l’ultima.
Ma ora, in quel momento, nessuna maledetta guerra, nessun maledetto americano o inglese che fosse avrebbe potuto separarlo da quella ragazza.
Un suo gemito gli strappo l’ennesimo sorriso, osservandola rabbrividire di piacere sotto il proprio corpo, le dita che percorrevano la sua figuretta incontrollabili, mosso anch’egli da una serie di brividi, sempre più simili ad una deliziosa agonia.
Ma gli occhi di Celeste restavano chiusi contro il presente, le mani saldamente congiunte come in preghiera, decise a non permettergli di allontanarsi nemmeno per un attimo da lei.
E la notte parve all’improvviso più lunga, le ore si dilatarono al punto di apparire eterne.
Nessuno dei due notò il chiarore all’orizzonte, la sottile lunetta di luce che si dipingeva sulle assi di legno del pavimento.
Si erano abbandonati al punto di perdersi, ma senza separarsi l’uno dall’altro.
“Ti ho desiderato così tanto Celeste… credevo di impazzire”
“Non è da te”
“Forse sono impazzito davvero… ho fatto delle cose terribili”
“Oh sì, quello è da te”
L’uomo voltò appena la testa, guardandola stralunato.
Ma Celeste sorrise, allungandosi giusto quel tanto per rubargli l’ennesimo bacio.
Poi salì nuovamente su di lui, stuzzicandolo come un gioco, prima che lui la prendesse per i fianchi e riprendesse il controllo della situazione.
Un’altra volta ancora.

 


“Don’t want to hear about it
Every single one’s got a story to tell
And that ain’t what you want to hear
But that’s what I’ll do
And a feeling coming from my bones
Says find a home

 
Non voglio ascoltare
Tutti quanti hanno una storia da raccontare
E questo non lo vuoi sentire
Ma è ciò che farò
E la sensazione che arriva dalle mie ossa
Dice di trovarmi una casa”

-Seven Nation Army, White Stripes-

 
 

Come erano potute bastare poche parole ad infrangere così bruscamente quell’atmosfera da sogno?
Erano state, dopotutto, poche, banali, scontate domande.
Era bastato domandarle come avesse fatto a scappare di casa, a raggiungere e penetrare nel forte.
Era bastato chiederle perché.
“Sei davvero così stupida Celeste? Correre così tanti pericoli solo per riferirmi i vaneggiamenti  di quattro zotici!” la rimproverò Tavington con disprezzo, allacciandosi rabbiosamente i bottoni della giubba.
“Devi essere cieco per  non far altro che sottovalutarli! Lo sai al pari di me che rappresentano una forza da non ignorare”ribatté Celeste rivestendosi, furiosa per l’incapacità dell’uomo nel comprendere la realtà.
Lui alzò gli occhi al cielo, liquidando le sue parole con un gesto.
“Oh, complimenti, ora ti intendi anche di guerra? Credevo che le tue uniche competenze non andassero oltre il sollevare una misera rivoltella!” ribatté ridicolizzandola.
“Se permetti sono capace di intuire la portata di un pericolo! Non vi basterà la forza questa volta, sono sempre di più e conoscono a memoria ogni singolo palmo di questi territori” ribadì risoluta, ignorando la frecciatina a suo conto.
Tavington alzò gli occhi al cielo, un cenno derisorio verso la ragazza.
“E credi che noi non l’abbiamo esplorato fino a conoscerlo a memoria, prima di avventurarci?”
Fu il turno della ragazza di scoppiare in una breve risata  beffarda.
“Degli inglesi? Ma fammi il piacere! Brancolate nel buio”.
Rimasero a guardarsi rigidi e guardinghi, gli occhi tra il diffidente e il furioso, il letto ancora caldo dei loro corpi a separarli.
L’uomo infine scosse la testa, afferrando spada e rivoltella e assicurandosele alla cinta.
“E’ stato del tutto inutile Celeste. Ti ringrazio per il tuo interessamento, ma non puoi comprendere certe cose” disse con tono forzatamente formale.
“E ora ti prego di scusarmi, ma devo presentarmi dal generale e sistemare definitivamente il problema. Ci vedremo dopo”
Celeste spalancò gli occhi, un vago timore che faceva breccia nella rabbia.
“Che intendi dire?”
William Tavington le mostrò un sorriso sfrontato.
“Prevenire è meglio che curare. Hai detto che aspetteranno il nostro giro di ricognizione per attaccare? Allora gli verrà dato ciò che desiderano, ma con le mie condizioni. Entro sera quei bifolchi saranno sistemati”
La sola idea lo rese estatico.
“Per sempre” aggiunse compiaciuto dalla semplicità del piano.
“No!”
In un attimo la giovane balzò sul letto, avventandosi su di lui, picchiandogli i pugni contro al petto.
“E’ una mossa totalmente azzardata! Un idiozia” urlò stavolta.
Il colonnello non trascurò il tono della sua voce: non più rabbioso, ma gonfio di preoccupazione.
Inclinò appena la testa, sfiorandole il viso teso verso di lui.
“Temi per la mia incolumità, o piuttosto per qualcuno a cui tieni?”
Celeste gli afferrò la mano, stringendola supplichevole, quasi come lo era stata tanto tempo prima per i suoi fratelli; entrambi parvero pensarlo.
“E’ mio padre, William. Ed Andrew è mio fratello” sussurrò, cercando la sua comprensione.
Tavington evitò il suo sguardo, chinandosi per premerle sulla fronte un bacio, afferrandole il viso per sfiorarle brevemente le labbra, nonostante cercasse di divincolarsi dalla sua presa.
“Beh, mi spiace abbiano fatto la scelta sbagliata”
Si avviò all’uscita, aprendo la porta senza neppure voltarsi a lanciarle un ultimo sguardo.
“Evidentemente sarai costretta a sopportarne la perdita” concluse lapidario.
Dopodiché l’attraversò e la chiuse dietro di se con violenza.
Un istante dopo giunse il rumore di una chiava che girava nella toppa.
Celeste rimase per un attimo imbambolata ad osservare la porta sigillata.
Si lasciò cadere sul letto, passandosi brevemente le dita sulle labbra, sfiorando quel bacio obbligato.
Perché tutto in quel momento pareva identico al passato?
Giuda che baciava da dio e la sensazione di aver perso in partenza.
Ma non poteva perdere, qualcosa era cambiato.
L’aveva deciso quando era partita: non tornera indietro.
E non gli avrebbe permesso di renderla nuovamente più impotente di quel che era.

 
 
 
 

“I want my innocence back
And if you can't pacify me
I will break your bones
You think I'm bluffing, just try me
I will never forget the words you used to ensnare me


 
Voglio indietro la mia innocenza 
E se non mi puoi pacificarmi
Io ti romperò le ossa 
Tu pensi io stia bluffando, provamelo
Non dimenticherò mai le parole che hai usato per intrappolarmi”

-I want my Innocence Back, Emilie Autumn-

 
 
 

Il sole del primo pomeriggio sfavillava sulle terre del Sud Carolina, un pressante riverbero che rendeva bruciante e luminosa ogni superficie riflettente: i bottoni delle giubbe rosse, i finimenti dei cavalli lanciati nel galoppo, le armi lucide pronte ad essere sfoderate.
E un vago luccichio sul declivio di una bassa collina erbosa, seminascosta dalla macchia erbosa che ricopriva quel tratto di terra.
William Tavington ripose il cannocchiale, sospirando ansioso per l’imminente scontro: sarebbe stata una carneficina, lo sapeva.
Lo voleva.
Distruggerli definitivamente, spazzarli via in un solo pomeriggio come scarafaggi, cancellare la loro presenza dal continente.
Come poteva non tremare di anticipazione?
Il desiderio di uccidere Benjamin Martin, il loro attuale leader, era ancora forte; prima di incontrare Celeste, un’autentica ossessione, incapace di farlo dormire la notte. Non sopportava l’idea che fosse vivo, figuriamoci occuparsi di dirigere un manipolo di contadini.
Puntò ancora lo sguardo lontano, e constatò con soddisfazione che il finto convoglio inglese, il gioiello del loro piano, era ormai vicino.
Guardò la macchia scura degli alberi, dove sapeva i ribelli erano appostati in attesa.
“Non ti perdonerò mai!”
Strinse nervosamente le redini, a disagio.
Se anche per un puro caso di fortuna, se anche il suo occhio fosse riuscito a cogliere un particolare fisico, una minima rassomiglianza con Celeste, cosa avrebbe dovuto fare?
Risparmiarli restava fuori discussione.
Perché avrebbe dovuto? Loro, individuandolo, a maggior ragione avrebbero cercato di ucciderlo.
E poi se fossero morti, scomparsi dalla vita della ragazza… non vi sarebbe stato più alcun ostacolo rilevante tra loro due.
Sarebbe stata sua, totalmente sua come un tempo, quando non esistevano altre minacce.
Una parte di lui ruggì di approvazione. Era la parte amante dell’omicidio, quella che tra pochi minuti si sarebbe presa permesso di condurlo nella battaglia.
Sorrise compiaciuto quando lesse lo spaesamento sul volto dei ribelli: il convoglio che si rivelava esca, la decina di soldati inglesi e armi in pugno di fronte  a loro, per non contare la ventina nascosta nei larghi campi di grano.
Come un sol uomo, lo squadrone dei Dragoni Verdi si lanciò lungo il declivio al cenno della sua mano.
La rivoltella in pugno, lo sguardo puntato su Martin.
Gli Allworthy  vennero relegati in fondo alla mente.
 

*****

“Il colonnello Tavington è proprio un uomo strano”
“Puoi dirlo forte. Ma dai, guardala!”
“Viene a letto con noi, e poi perde la testa per una come quella?”
“Io trovo che sia molto bella…”
Una serie di occhi scettici si voltò verso l’ultima che aveva parlato.
“Tesoro, sei forse cieca? E’ scheletrica”
“Ma è bellissima!”
“Ma che bellissima, non si può nemmeno considerare una donna!”
Azula si chinò verso Celeste con fare cospiratorio.
“Stiamo escogitando un modo per tappargli la bocca. Ti vuoi unire a noi?”
Celeste le rivolse un sorriso stanco, ignorando le occhiate provocatorie delle prostitute.
“Sei l’ultima persona che mi aspettavo di vedere, Celeste. Quando non ti abbiamo visto qui con Tavington, abbiamo pensato fossi tornata alla tua bella vita” disse Cherry, gettando uno sguardo dubbioso sui suoi abiti maschili, spiegazzati e impolverati.
“Uno spasso che non ti immagini” ribatté la giovane, in un eroico tentativo di ironia.
Guardò le sue interlocutrici una ad una, sedute accanto a lei circondandola come fosse malata.
Sembravano passati anni invece che mesi; i loro visi erano identici, forse solo un po’ più stanchi, più demoralizzati.
Cherry, Azula, Caroline e persino Cynthia. Volti nostalgici della sua mezza vita alla taverna.
Mancava solo Katrina.
Cherry parve leggerle nel pensiero.
“Sì, manca anche a noi. Molto”
Rimasero in silenzio per un attimo.
"E Madama?"
"Ha pagato e se ne è andata. Non ci ha degnate di una parola"
"Che stronza" commentò laconicamente.
Si guardò attorno: la stanza in cui Tavington l’aveva reclusa era l’alloggio delle prostitute dell’intero forte. Non si poteva sostarvi senza provare un senso di disagio di fronte allo squallore in cui vivevano: una decina di  rigide brandine, un divano mezzo sfondato, stuoie a coprire ogni centimetro libero di pavimento. Coperte lacere, polvere e sporcizia, e un innegabile, disgustoso odore proveniente da un angolo della stanza, protetto da una tenda. L’unica privacy che una puttana poteva avere.
“Qui è uno schifo” sentenziò allibita.
“E’ peggio, è un inferno. Ti fa venir voglia di passare la tua intera vita nel letto di chiunque, piuttosto che restare qui” confermò Cynthia, con un’incredibile dose di disprezzo nella voce.
Celeste l’osservò, il labbro superiore arricciato in un accenno di risata.
“Sbaglio o hai cambiato un po’ le due vedute?”
“Stai zitta Celeste. Le mie vedute non cambiano, solo che questo posto è una merda, e  voglio solo che questa guerra finisca”
Caroline tirò il lembo di coperta con cui si erano avvolte: possibile che nonostante l’estate imminente, in quella stanza facesse così freddo? I muri di pietra non erano certo clementi.
“Se anche finisse presto, non avremmo in alcun caso un posto in cui andare” disse gettando un occhiataccia a Cynthia, che tratteneva la coperta con testardaggine.
“Parla per te sorella. Io cercherò in ogni modo di tornare in Messico” ribadì Azula con energia, un largo sorriso che scacciava l’espressione annoiata.
“Ma laggiù non ti è rimasto niente!” ribatté Caroline.
“Appunto per questo. Voglio andarci per rincominciare tutto da capo”
Celeste alzò appena la testa a quelle parole, mentre le due donne incominciavano a battibeccare.
“Per rincominciare tutto da capo”
Ma era possibile, lasciarsi tutto alle spalle e crearsi una nuova vita?
Non senza di lui, parve dire una voce dentro di lei, che stranamente apparteneva alla parte più ragionevole.
In quel momento le parve totalmente impossibile, e al contempo, la cosa che aveva mai desiderato di più in vita sua.
Fu colpita dall’importanza che Tavington aveva acquisito.
Contava più di quella stupida guerra, più della sua terra, contava più del destino che avrebbe subito.
E con un singulto si rese conto che contava più della sua famiglia, più di ognuno dei suoi fratelli, più dell’onore di suo padre e della sua famiglia.
Era più importante del suo orgoglio, del suo senso di giustizia. Contava più di ogni altra cosa al mondo.
Interruppe la conversazione con violenza, scagliando le sue parole con un impeto tale che anche le prostitute dall’altro lato della stanza si voltarono sorprese.
“Dovete aiutarmi a farmi uscire di qui, adesso!”
Cherry tentò di afferrarle la mano e farla tornare a sedere sulla branda, ma la giovane gli scostò la mano di malagrazia.
“Celeste, è impossibile. Se non te lo ricordi siamo in un forte inglese, e questa stanza è chiusa a chiave”
“Non ti perdonerò mai!”
Aveva urlato, prima che Tavington chiudesse la porta, chiudendola nuovamente a doppia mandata.
“Ci deve pur essere un modo per entrare  e uscire da questo posto” sussurrò, tornando a sedersi e scorrendo le spoglie pareti della stanza.
“Negativo. Noi non possiamo mai uscire, la porta è sempre chiusa fino a sera, quando gli ufficiali vengono a sceglierci”
Entro sera lui potrebbe già essere morto.
Celeste si prese la testa fra le mani, sentendosi più che mai impotente.
Poi si alzò nuovamente in piedi.
“Come fate a mangiare?”
Cherry la guardò confusa.
“Un inserviente ci porta qualcosa a pranzo e a cena, ma io non lo chiamerei cibo, piuttosto..”
“Quindi qualcun altro ha le chiavi della porta, e prima o poi dovrà aprire!” disse eccitata, osservando i visi poco convinti delle compagne.
“Celeste, se anche riuscissi a scappare, la sola idea di uscire dal forte è assurda…”
“Come ci sono entrata, riuscirò anche ad uscire, non è questo il problema” liquidò l’obiezione sbrigativa, cercando di chiarire il possibile piano.
Fuggire, cercare l’uscita, prendere il cavallo, tornare verso Mary Town.
Con la luce del sole sarebbe stato più semplice, e al contempo più difficile: non sarebbe bastato un tricorno a farla sembrare un ragazzo.
“Celeste ragiona, è assurdo. Se ti scoprono a gironzolare qua in giro se la prenderanno con te” disse Azula, con la stessa ponderata dolcezza che avrebbe usato Katrina.
“Non importa, almeno devo tentare” ribatté risoluta.
“Potresti aspettare fino a stasera”
“Per stasera potrebbe essere già morto”
Guardandosi  a vicenda le donne si scambiarono uno sguardo indeciso.
“Avevamo ragione allora, già quando eravamo alla taverna tu e lui…” chiese Caroline, ma Celeste la interruppe.
“Non chiedermelo, per favore”
Non avrebbe sopportato di dirlo ad alta voce, non in quel momento, sospesa tra ciò che era possibile e cosa non lo era.
“Proviamoci” disse improvvisamente Cynthia.
Celeste la guardò stupita.
“Che cosa hai detto?” chiese, contemporaneamente ad Azula.
“Ha la fortuna di poter avere un uomo come Tavington. Non c’è nulla di male nel tentare di tenerselo stretto”
“Hai presente che se ci beccano faremo una brutta fine?” domandò Caroline, con tono ormai arrendevole.
“Allora vediamo di non farci beccare. E dopotutto, abbiamo poco tempo: è quasi mezzogiorno”
Per un attimo le labbra a forma di cuore si distesero in un sorriso sincero, illuminandole il viso.
Capelli aranciati a parte, Celeste la trovò per la prima volta carina.
“Sembri quasi avere buone intenzioni Cynthia”
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
“Lo faccio solo per me, stupida. Non ti ho mai sopportato Celeste, prima te ne vai, meglio è” concluse incrociando le braccia divertita.
 

*****

 
 

Andrew Allworthy compì una rotazione sul posto: la mano destra reggeva un corto pugnale, la sinistra un fucile; un profondo taglio sul collo di un soldato, due potenti colpi alla testa del secondo e, imbracciando l’arma e puntandola contro un terzo, un ultimo, preciso e mortale sparo.
Con un solo movimento era riuscito ad uccidere ben tre inglesi. Senza contare i precedenti e, pensò con un brivido di soddisfazione, i seguenti.
Andrew faceva parte dei rimasti, della ventina di uomini rimasti nella boscaglia a combattere.
Erano stati presi alla sprovvista, alcuni erano morti senza neanche riuscire a puntare le armi contro al nemico.
Benjamin aveva decretato la ritirata, seguire il corso del torrente e ripiegare per uno scontro successivo. Erano in netta minoranza, lo sapevano.
Ma ad Andrew non importava, e neanche a suo padre.
Non erano in pochi gli uomini rimasti a combattere, nonostante fossero diversi gli inglesi rimasti e i Dragoni Verdi avessero già fatto una bella piazza pulita con la consueta ferocia.
Andrew si sentiva immune agli attacchi, mieteva vittime con una spaventosa costanza, evitando colpi su colpi come fosse guidato dalla dea Fortuna.
Ma i suoi occhi non si staccavano mai dalla figura di William Tavington: un solo sguardo all’inizio della battaglia era bastato ad accenderlo di un fervore bruciante, una rabbia cieca che gli consentiva di guadagnare ogni minuto passi verso di lui, senza ancora sentirsi stanco.
Quel figlio di puttana che si è preso la verginità mia sorella.
Non pensava esplicitamente ai sentimenti di Celeste, non aveva dato importanza alla sua fuga, come invece aveva fatto suo padre.
La sola idea di Celeste, senza abiti, completamente debole e inerme di fronte alle voglie di quel depravato… l’urlo di dolore del soldato inglese, nel trovarsi la giugulare trafitta da parte a parte, fu una chiara manifestazione del suo odio.
L’avrebbe ucciso. No meglio, l’avrebbe massacrato.
Osservava la sua preda con tanto ardore da non accorgersi che, poco lontano, Conrad Allworthy avrebbe decisamente necessitato un'altra mano per riuscire a vivere per un’altra decina di minuti.

 
 

“Don't get me wrong I love you
But does that mean I have to meet your father?
When we are older you'll understand
What I meant when I said

"No,I don't think life is quite that simple"
 
Non fraintendermi ti amo
Ma questo significa forse che devo conoscere tuo padre?
Quando saremo più grandi capirai
Cosa intendevo quando dissi

"No, non penso che la vita sia tanto semplice"
-Simple and Clean, Utada Hikaru-

 

Fu facile. Immensamente facile.
Era successo tutto in fretta: un attimo prima era dentro, e quello dopo era fuori.
Un attimo prima era evidentemente una donna, e quello dopo era un ragazzo.
Non riusciva a capacitarsi di come Cynthia avesse distratto il servitore, poco più di un ragazzino, prima che potesse anche solo domandare cosa ci facesse un  suo coetaneo nell’alloggio delle prostitute.
O di come Cherry l’avesse accompagnato fino all’ingresso del forte, e avessero incrociato un soldato.
“E voi che ci fareste in giro? E costui?”
Un’idea balenante: una risatina giocosa, un piccolo buffetto sulla guancia di Celeste.
“Sarà il nostro miglior infiltrato”
“Un infiltrato? E perché io non ne sarei al corrente?”
“Ordini del colonnello Tavington”
Un sorriso che si smorzava, la via verso la libertà.
Macinava chilometri in gran fretta, spronando il proprio cavallo oltre i limiti del consentito. C’erano vaghe tracce nella polvere, pesanti segni di ruote di qualche convoglio e molti, infiniti zoccoli.
Chi poteva dire se fosse o meno sulla strada giusta?
“Dio signore, aiutami ti prego…” sussurrò, pensando più a sua madre che a Dio in persona.
Ma a quanto pare chiunque la stesse seguendo da lassù, parve ascoltare le sue preghiere.
Il nitrito di un cavallo la spaventò, e voltandosi vide un sauro, ancora con indosso sella e finimenti, allontanarsi di gran carriera da una macchia verde, poco lontano da dove si trovava.
“Vale la pena tentare” disse risoluta, cambiando bruscamente direzione.
Non avvertiva nulla: niente dolore per essere un incapace a cavalcare, niente sete per non toccare liquidi da ore, niente fame per non mangiar nulla da quasi un giorno; il vuoto allo stomaco era per la paura.
Paura, e un senso di vertigini come se si trovasse ad un’elevata altezza, come se si fosse sospinta sul bordo esatto di un baratro, in un punto da cui sarebbe stato impossibile fare marcia indietro.
Il clangore delle armi divenne evidente anche quando mancavano ancora parecchie miglia. Solo in quel momento ebbe un cenno di esitazione, colta dall’istintiva paura degli scontri.
Il fatto che tu sappia sollevare un’arma non fa di te una combattente, dico bene?
La parte di lei, quella non ragionevole e sottilmente crudele, minacciava di farla scappar via a gambe levate. Fu anche per sedarla che, quando fu vicina, smontò da cavallo e corse tra i gli arbusti e gli alberi sottili.
Osservò la serie di cadaveri a terra e dovette reprimere un conato di vomito.
Più che uno scontro sembrava una mattanza, uno scempio, un autentico bagno di sangue.
Cadaveri di inglesi giacevano scomposti tra quelli degli americani: non erano forse tutti identici ora?
Provò un fremito nel riconoscerne alcuni del villaggio, e si costrinse a continuare, osservando i morti quasi con disperazione.
Cosa avrebbe fatto se avesse riconosciuto suo padre, o Andrew?
O William…
Erano pochi i rimasti sul campo di battaglia, una decina di soldati inglesi e altrettanti ribelli, che si accanivano l’uno sull’altro senza più un particolare scopo.
Chi manteneva il suo dovere e chi sfogava semplicemente il suo odio?
Di Benjamin Martin nessuna traccia.
Li vide non appena si addentrò maggiormente tra gli alberi.
Conrad Allworthy combatteva ormai allo stremo delle forze con un dragone: la bocca tesa alla ricerca del respiro, i gesti sempre più deboli e imprecisi…
Se qualcuno non fosse intervenuto, non ce l’avrebbe fatta.
In preda al panico spostò lo sguardo alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, e scorse William.
O meglio, scorse William impegnato in un acceso combattimento con Andrew.
“Acceso” era un eufemismo: la rabbia di entrambi era fuoco che divampava, le lame cozzavano l’una contro l’altra con tocco di morte.
Non dubitava che un solo colpo andato a segno avrebbe decretato la morte di uno dei due.
Nel panico più completo si guardò intorno, tentando di far combaciare quel poco coraggio che le rimaneva a qualsiasi gesto sensato.
Che fosse ragionevole o meno, si lanciò verso i cadaveri, spostando con fatica e disgusto arti e corpi, fino a ritrovare un fucile.
Era scarico, ma dopotutto non sarebbe neppure riuscita a sparare. Lo sollevò a fatica e impugnandolo come fosse una mazza, corse nuovamente da suo padre, passando tra gli alberi.
Non fu coraggio quello che la spinse a lanciarsi sul dragone; rigirò la paura a suo favore, la possibilità di rimanere orfana che schiacciava ogni conseguenza.
Non attese un momento propizio, semplicemente si lasciò cadere accanto a loro e, con tutta la forza in suo possesso, calò il calcio dell’arma sulla nuca dell’inglese, ottenendo un disgustoso, duro tonfo.
L’uomo cadde a terra con un lamento, mentre suo padre alzava lo sguardo allibito.
“Celeste! Ma cosa diavolo…?”
Non lo lasciò finire, correndo verso gli altri due combattenti.
“Andrew!” urlò con tutto il fiato che aveva.
Entrambi si voltarono a guardarla stupiti, ma non per questo Andrew smise di combattere.
Approfittò della distrazione del nemico per assestargli un altro fendente, fortunatamente intercettato.
“No! No, basta!” urlò, correndo verso di loro.
Ma a fermarli fu qualcos altro. Celeste si voltò agghiacciata
Alle sue spalle provenne un colpo, un alto urlo di dolore.
Riuscì a cogliere il dragone che credeva di aver abbattuto ricadere a terra stremato, la mano che reggeva la punta metallica della baionetta, ancora premuta nel corpo di suo padre.
Conrad Allworthy crollò a terra senza un ulteriore lamento.
E non ci fu spazio per nient’altro.
Sentì un urlo nascerle in gola, sentì le sue labbra aprirsi per lasciarlo fuoruscire liberamente, sentì i suoi piedi muoversi da soli, inciampare varie volte, cadere accanto al corpo di suo padre.
Toccò con ansia la schiena dell’uomo, da cui fuoriusciva la lama; tentò invano di girarlo o estrarla, fermandosi non appena udì un gemito di dolore.
Si limitò a prendergli con delicatezza il viso, voltandolo verso di lei.
“Padre… vi prego..” singhiozzò, osservando gli occhi, tanto simili ai suoi, farsi vacui, come coperti di una sottile patina appannata.
Gli sfiorò la mano, scossa da un leggero tremore, il calore che sembrava già sul punto di spegnersi.
“Padre, padre…” lo chiamò ancora, senza ottenere nulla di più di un battito di ciglia.
La bocca si apriva come volesse dire qualcosa, ma restava semichiusa incapace di proferir suono.
“Andrew! Dannazione, Andrew!” urlò il nome del fratello svariate volte, constatando finalmente che avevano smesso di combattere.
E mentre William si avvicinava, osservò il fratello non accennare un solo passo.
Non verso di loro almeno. Indietreggiò semmai, il volto impietrito.
Per un attimo le sembrò in preda ad un grande emozione, come se dentro di lui qualcosa stesse lottando freneticamente per emergere. Ma poi il suo viso si spense, le emozioni scivolarono via come fossero acqua.
E Andrew tornò ad essere lo strano individuo che aveva faticato a riconoscere come fratello.
Lasciò cadere a terra la spada, e sgusciò via, oltrepassando il bosco, correndo lontano dalla morte e dal dolore.
Abbandonandola al suo destino.
Celeste chinò la testa contro la fronte del padre, posandovi le labbra in un gesto tanto inusuale per loro due.
“Padre… mi dispiace, mi dispiace per tutto” sussurrò ancora, le mani ferme tra i suoi capelli ingrigiti.
“Mi dispiace per i ragazzi, per Dan e Devid. E Celia, e Sophie. Mi dispiace per Andrew. E mi dispiace per William” disse piano.
Gli occhi di Conrad vagarono appena alle spalle della figlia, osservando il colonnello Tavington fermarsi accanto a lei; ma la giovane non si voltò, e tornò con le sue ultime forze a guardarla.
Aprì la bocca in un ultimo eroico sforzo, cercando di spingere la voce ad uscire.
Il nome uscì senza vocali e senza consonanti, un gorgoglio ineleggibile.
Ci riprovò, risultando essere un solo filo di voce, poco più di un sospiro. Ma Celeste era vicina, lo udì perfettamente.
“F eli c e” sibilò, le lettere distaccate le une dalle altre, ma perfettamente riunibili in una sola parola.
Felice. Sii felice.
Singhiozzò più forte che mai, mentre il respiro dell’uomo si fece sempre più fievole, fino a spegnersi.
Celeste continuò a sussurrare il suo nome. Anche quando si accorse che il respiro era scomparso. Anche quando il calore sgusciò via dalla sua presa.
Continuò a sussurrare il suo nome anche quando William si chinò a chiudere gli occhi al padre della donna che amava.
Continuò a sussurrare il suo nome anche quando la sollevò e la prese in braccio contro il suo volere, portandola via con se.

 
 

“La cosa più grande che tu possa imparare
 è amare,e lasciarti amare”
-Dal film Moulin Rouge! di Baz Luhrmann-

 
 
 

Aveva cavalcato seguendo il corso del torrente dalla parte opposta a dove si era diretto Martin coi suoi uomini.
Non verso Fort Carolina, non vero Mary Town, ma anzi lontano da entrambi.
Non aveva la più pallida idea di dove si stesse dirigendo, con il calare della notte faticava persino a intuire dove fossero esattamente.
Smontarono in una macchia boschiva dove gli alberi si facevano più fitti e concedevano riparo da qualunque sguardo.
Non avevano nient’altro oltre le armi.
Non aveva in ogni caso nulla da offrirle.
Il colonnello la guardò: un tenue, basso falò a illuminarle il volto, Celeste se ne stava appoggiata al tronco di un albero, le gambe raccolte tra le braccia e la testa chinata.
Non aveva ancora detto una parola. Ogni tanto tirava su con il naso e ricominciava  a piangere.
“Sai, anche io ho perso mio padre” disse improvvisamente.
La ragazza alzò un attimo gli occhi, gonfi e arrossati, ma le cui iridi rilucevano straordinariamente chiare per via delle lacrime.
Restò senza fiato di fronte a quello sguardo.
“E cosa hai provato?”
Lui alzò lievemente le spalle.
“Niente. Era uno stronzo”
Si pentì subito di aver parlato, rendendosi conto di quanto erano insensate le sue parole.
Ma Celeste tentò un sorriso, che subito morì affogato tra nuovi singhiozzi.
Ma almeno ci aveva provato.
William si alzò, sedendosi accanto a lei, senza ancora osare toccarla.
“Però mi ha anche insegnato molto. A combattere nonostante avessi perso in partenza, a valutare i miei nemici non per la prestanza fisica, a saper riconoscere il valore. Tuo padre era senz'altro un uomo valoroso”
Lo stava ascoltando, e dopo poco fu lei ad avvicinarsi cercando conforto, lasciandosi circondare dalle sue braccia.
Rimasero in silenzio per molto tempo, fino a quando il sole concluse il suo arco, gettando la terra nel buio, una striscia di luce sospesa a occidente.
“Cosa farai ora?” chiese infine la giovane, alzando la testa a guardarlo.
“Quello che farai tu, suppongo. Cosa vorresti fare?”
Aveva già preso la decisione mentre cavalcava. Non gli era costata alcun sacrificio.
Celeste, al contrario, non si aspettava una risposta del genere.
“Non vuoi tornare al forte?” chiese stupita.
“Perché dovrei?”
La ragazza tacque ancora, un’altra lunga pausa tra quelle parole che tanto faticavano a uscire.
“Beh, io non ho un posto dove andare”
“Non vuoi tornare dai tuo fratelli?” questa volta a stupirsi fu il colonnello.
“No. Ho già detto loro addio”
Ancora silenzio.
“E poi, a Mary Town non sarei più il benvenuta. Non credo di essere il benvenuta da nessuna parte”
L’uomo fu colto dall’ironia della sorte; rise brevemente, mentre Celeste lo guardava interrogativa.
“Perdonami. Credo che anche un colonnello inglese disertore non sia ben accetto, né qui né oltreoceano. Credo dovremo tentare altrove”
La ragazza si lasciò conquistare per un attimo da quella possibilità.
“E dove? Non ho un soldo”
Ma ancora esitava a pronunciare il “noi”, a unire la sua presenza alla sua.
“In un modo o nell’altro troveremo qualcosa. Vivremo di espedienti fino a quando arriveremo in Canada”
Lo disse quasi senza pensare, ma poi realizzò che era davvero l’unica cosa possibile da fare.
“In Canada? Perché?”
“Perché ci sono colonie inglesi, la guerra vi è già passata ed è abbastanza lontano perché le voci della mia diserzione giungano in fretta. E in più conosco qualcuno che ci può aiutare”
Celeste tacque ancora.
“Perché insieme?”
“Tu vorresti che ci separassimo?”
“No!” proruppè con troppa veemenza, procurandogli un sorriso.
Nonostante tutto si sentì arrossire.
“Mi chiedo solo perché…”
Il colonnello sentì che il momento di parlare era giunto, un momento che fino a poco tempo prima era convinto non avrebbe mai vissuto in tutta la sua misera esistenza.
“Ti ricordi quella sera, sì quella sera in cui suonasti alla taverna? Fu la sera in cui ti vidi davvero per la prima volta. Non come una puttana da portarmi a letto, una ragazzina insolente da sottomettere, ma come…”
Si arrestò, faticando a trovare qualsiasi altra parola.
Ma Celeste pendeva dalle sue labbra, attendeva come fosse di vitale importanza.
E in effetti, ormai lo era.
“Sei riuscita in qualcosa che nessun’altra donna ha mai potuto fare. Nonostante la mia natura, nonostante tutto ciò che ti ho fatto, mi sei entrata dentro. Piano, in silenzio…. In punta di piedi”
Celeste spalancò gli occhi, rimase attonita per un istante a guardarlo.
Aveva sognato svariate volte quel momento, nel limbo del dormiveglia, nelle notti stretta tra le sue sorelle.
L'aveva sognato in cento modi diversi, ma mai in quel contesto, mai dopo una perdita.
Perdere per ritrovare pensò mentre si sollevava per tendere la bocca verso la sua, sfiorandogli le labbra e baciandolo appena, come se stesse cercando una conferma.
Come se lui volesse dargliela.
L'uomo le posò le mani sui fianchi, trattenendola a se, baciandola con passione, stordito dall’entità delle sue parole, dalle decisione che aveva preso, da quanto ne sarebbe conseguito. Ma sapeva che era stata la cosa giusta.
La giovane interruppe il bacio, lasciandogli le labbra umide di saliva e lacrime.
Apparve un sorriso tremulo, il viso ancora bagnato ma da cui trasparì un incredibile, coraggiosa felicità.
“Sii felice”
“Devi ascoltarmi" sussurrò, prendendogli delicatamente il viso e impedendogli di baciarla ancora.
"Ho perso tutto ciò che avevo, mi è sfuggito dalle mani senza che riuscissi a fare davvero alcunché. L'ho perso, o mi è stato strappato”
Il colonnello ebbe per un attimo un’espressione colpevole, ma Celeste continuò a sorridere.
“Ora, lo giuro, non voglio mai più perdere di vista ciò che conta davvero. Ci siamo trovati, ci siamo odiati, ci siamo cercati e ora ci siamo trovati di nuovo. E ora io ti amo, e lo giuro: voglio passare tutta la mia vita con te”
Il sole era ormai calato da un pezzo, eppure all’improvviso sembrò sorgere di colpo.
Come fosse l'alba. L'alba di un nuovo giorno.



Elle's Space 
Io amo questa storia. Davvero, penso che sia la storia più bella che abbia mai scritto.
Forse perché è la prima. Lo stile non è magistrale, a volte mi rendo conto che potrei fare di meglio. Eppure continuo a prediligerla. Lo so, chiedo venia per il mostruoso ritardo, definiamolo pure una pausa.
Perché? Mi riconosco tanto in Celeste forse anche per questo, un amore che a tratti ti eleva e un attimo dopo ti distrugge.
Mi porta ad essere inconcludente, si prende tutti i miei pensieri.
In ogni caso, chiarisco all'infuori di ogni dubbio che io amo Celeste. Penso che sia uno dei personaggi migliori che abbia delineato.
E' inerme, come lo siamo tutti a volte. Forse più degli altri. Ma è forte, ha qualità che io non potrei mai avere.
E il colonnello è appena abbozzato nel film, viene mostrata solo la sua crudeltà. Chi può dire se dietro la facciata si nasconda qualcos'altro, un'infanzia dolorosa o, giust'appunto, una ben nascosta sensibilità?
Li amo come coppia perché sono totalmente fuori dai limiti, malassortiti eppure perfetti. E finalmente si amano (siiii *-*)
E ora la smetto di blaterare e ringrazio coloro che leggono, che continueranno a seguire questa storia nonostante sia una stronza nell'aggiornare e che sono caritatevoli a recensire,  herAmnesia e  Hilly89 .
Grazie per i consigli e a presto (giuro, stavolta ci proverò davvero!) :3


Elle H .

   
 
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